CAPITOLO DODICESIMO: ATLANTE.

Mur era accasciato a terra, le mani che faticavano a stringere lo scalpello, la corazza di Asher ancora da riparare. Stanco e fiacco, respirava a fatica, sopraffatto dalle angosce degli ultimi giorni, e dal timore che tutto fosse prossimo alla fine. Non solo la guerra, che durava ormai da anni, da quando l’ombra aveva trovato valido aiuto per germogliare sul pianeta in attesa del suo ritorno, ma anche la sua vita, il mondo come gli era sempre apparso. Sua madre era stata rapita e per quanto tentasse non riusciva a localizzarla, non riusciva a capire se fosse viva o morta; la colonia dei suoi antenati era stata distrutta, e a fatica avrebbero dovuto ricostruire un sapere che temeva presto sarebbe andato perduto. Atena era di nuovo in pericolo e i suoi Cavalieri erano rimasti in pochi, provati dalle guerre continue; per quanto la fede fosse incrollabile, il loro corpo era umano e poteva essere spezzato. Come le morti di Scorpio e Libra testimoniavano.

Aveva visto Virgo come si trascinava, l’ombra del Cavaliere che era stato un tempo e che aveva frenato la corsa di tre presunti rinnegati suoi pari; aveva notato le rughe di preoccupazione tendersi sul volto di Ioria, la stanchezza del lanciarsi in continue massacranti battaglie. E infine aveva visto lo sguardo di Kiki tremolare per la prima volta incerto. Dell’aria sbarazzina di un tempo, quando si divertiva ad apparire e scomparire attorno agli amici Sirio e Pegasus, era rimasto ben poco, ma a quel ricordo doveva aggrapparsi se voleva garantirgli un futuro. E questo era ciò che più di ogni altra cosa gli premeva in quel momento. Questo era ciò che lo aveva fatto rientrare in fretta alla Prima Casa, terminata l’assemblea generale, per rimettersi all’opera.

Quella notte aveva riparato l’armatura del Leone, danneggiata dalle vampe demoniache di Anhar, ben sapendo quanto ardesse il compagno scendere in battaglia. Per quanto in grado di autorigenerarsi, anche dopo essere stata potenziata nelle fucine di Muspellheimr, era in così gravi condizioni da rendere necessaria una gran quantità di sangue, che il Cavaliere di Ariete aveva gentilmente offerto, all’insaputa di Ioria, per rigenerarla. Lo aveva fatto col cuore, pensando a quanti uomini quegli artigli di luce avrebbero ancora potuto difendere, allo spirito indomito che ne muoveva i passi, strappandogli a volte un gemito di invidia.

Poi era stato il turno delle corazze del Pastore e di Cassiopea, distrutte da Cariddi sull’isola leggendaria. Era stata Nemes, una loro compagna presso l’isola di Andromeda, a donare il sangue necessario, un gesto di affetto e di perdono, così lo aveva motivato. Infine era toccato alle corazze dell’Aquila e dell’Unicorno, che Mur aveva dovuto riparare da solo e, se la prima non era stata particolarmente impegnativa, adesso sentiva di non aver più forze per concludere l’opera. Del resto lo scontro con Horkos era stato un massacro a cui era scampato per un colpo di ventura.

Fu il pensiero della colonia di Mu, dei sopravvissuti che avevano resistito alla valanga finale unendo i propri cosmi, a spingerlo a rialzarsi, a risollevare lo sguardo sulla violacea corazza, oltre che il timore che Kiki potesse sorprenderlo di nuovo svenuto. Era già successo una volta, dopo che aveva riparato la corazza di Ioria, e si era ripromesso di non farlo accadere più.

"Cavaliere di Ariete?!" –Lo chiamò una timida voce di donna all’improvviso, forzandolo a sollevare lo sguardo verso il fondo del salone, in cui una figura ignota era appena comparsa. Guardandola meglio, mentre si avvicinava, riconobbe la Sacerdotessa che, un’ora prima, aveva seguito Yulij verso le Stanze di Atena, sebbene non ne conoscesse il nome. –"Sei tu il riparatore di armature?"

Mur annuì, alzandosi a fatica, mente la donna lo raggiungeva, presentandosi.

"Sono Kama della Poppa, Cavaliere di Bronzo di stanza a Bomihills, in Liberia!"

"Lieto di conoscerti, Sacerdotessa, anche se non ho molto tempo per conversare, al momento! Ho udito il fragore montante dell’ombra appressarsi su di noi e devo terminare al più presto la corazza per…" –Ma non riuscì a terminare la frase che l’intera stanza parve traballare davanti ai suoi occhi, obbligando Mur a tenersi la testa e Kama a fare un passo avanti, per afferrarlo prima che cadesse.

"Sei debilitato, Cavaliere! Riparare molte armature stanca! Lo so bene, il mio maestro me lo insegnò!"

"Devo terminare un lavoro! Poco importa quanto sia stanco!" –Sussurrò lui, divincolandosi, prima che la voce della donna lo richiamasse.

"È per questo che sono qua! Per aiutarti!" –Aggiunse, portando le braccia avanti e tagliandosi i polsi. –"Usa il mio sangue per riparare la corazza dell’Unicorno! Fallo, te ne prego!"

"Sacerdotessa! Quale generosità, offrire il tuo sangue per uno sconosciuto!"

"Siamo tutti fratelli a difesa di Atena!" –Chiarì Kama, sorridendo sotto la maschera. –"Inoltre un legame speciale mi univa all’uomo che addestrò il Cavaliere dell’Unicorno!" –Quindi, vedendo che Mur la osservava interessato, non capendo a pieno le sue parole, continuò. –"Regor della Vela, il maestro di Asher di stanza ad Orano, era il mio amante, l’uomo per amore del quale fui tentata di abbandonare la strada di Atena, mostrandogli il mio volto! E tu conosci le regole delle Sacerdotesse. Amore o morte. Io scelsi il primo, ma la morte scelse noi. Qualche mese fa, un suo vecchio allievo tornò con un’armatura nera, simile a quelle in uso ai Cavalieri dell’isola maledetta, e lo uccise, senza che io potessi fare niente per salvarlo. Inutile e debole, lo osservai morire, tenendogli la mano mentre gli promettevo di vegliare sull’Atlante e sul suo allievo. Una promessa che ho intenzione di mantenere."

Mur sorrise, rinfrancato dalle parole della donna e dal suo spirito giusto, riprendendo in mano gli attrezzi da lavoro e mulinando il primo colpo alla corazza dell’Unicorno. Proprio in quel momento Asher apparve sull’ingresso della Prima Casa, chiedendo a gran voce la propria armatura. Atlante era arrivato!

***

Quando la Nave di Argo sbucò dalle nuvole, facendosi strada tra i cirri ombrosi del meriggio siciliano, Zeus inorridì, e ugualmente fecero Nikolaos ed Euro al suo fianco, osservando il devastato versante orientale dell’Etna. Pareva che il vulcano fosse stato sventrato, o che l’enorme pressione del magma fosse fuoriuscita anziché dalla bocca dai lati, ricoprendo il pendio fino a valle, fagocitando la sia pur rada vegetazione, le rocce e ogni forma di vita. Spaziando con lo sguardo e con i sensi sull’apocalittica visione, il Nume Olimpico tremò per un momento, stringendo con forza il corrimano della nave, fino a schiantarlo. Dei cosmi di Efesto e di Eracle, che avrebbe dovuto proteggerlo, non vi era traccia, né di alcun’altra impronta cosmica, amica o nemica.

Senza neanche attendere che Neottolemo completasse la discesa del vascello, il Sommo spalancò le angeliche ali della Veste Divina, balzando fuori e iniziando a percorrere l’intero versante, scrutando ogni anfratto con attenzione. Euro lo imitò, lasciando Nikolaos e Toma a bordo della nave volante. Il Luogotenente si voltò a guardare il liberato Cavaliere Celeste, seduto ai piedi dell’albero maestro, con una coperta sulle spalle e una tazza di infuso caldo in mano. Non riusciva a immaginare come si sentisse, dopo una prigionia durata quindici anni, dopo quindici anni trascorsi incatenato sulla gelida cima dell’Elbrus, senza compagnia alcuna se non quella dei ricordi. Pur tuttavia, grazie al cosmo di Zeus che ne aveva sanato le ferite, il ragazzo pareva riprendersi in fretta e già il suo viso aveva recuperato colore, sebbene le sue membra fossero ancora intorpidite per la lunga inattività. Non aveva posto domande, neppure chiesto perché Zeus avesse preso quella decisione o cosa fosse accaduto in quegli anni lontano dall’Olimpo. Aveva semplicemente chinato il capo, ringraziando il Nume supremo per la sua generosità, rinnovandogli il giuramento di servirlo fino alla morte; quindi si era chiuso in se stesso, trascorrendo il resto del viaggio a carezzare, quasi fosse una reliquia, lo strano pendaglio che portava legato al polso destro. Stava quasi per chiedergli cosa significasse, quando la Nave di Argo atterrò sul terreno accidentato, scuotendoli entrambi. Affacciandosi dal parapetto, Nikolaos notò che il terreno era ricoperto di un consistente strato di lava, fredda e compatta, ma di certo frutto di un’eruzione avvenuta in tempi recenti.

"Qui!!!" –La voce di Euro li richiamò tutti, costringendoli a scendere dal vascello e a raggiungere il Vento dell’Est a metà del versante, dove anche Zeus stava convergendo dall’alto, per osservare inorriditi i resti bruciati di un uomo il cui volto era ormai irriconoscibile.

"È uno dei guerrieri di mio figlio!" –Commentò il Sommo, sfiorandone il cadavere e scrutando con occhi attenti i pochi frammenti di armatura che aveva ancora addosso, stringendoli con rabbia fino a distruggerli nel suo palmo.

"Sono stati attaccati! Maledizione!!!" –Avvampò Nikolaos, guardandosi attorno d’istinto, sebbene niente turbasse la malinconica quiete di quel luogo. Soltanto sirene che, d’un tratto, parvero provenire dal fondovalle, rumori insistenti e fastidiosi che andavano aumentando di intensità. –"Credo che gli abitanti di queste terre stiano venendo a controllare, timorosi forse di una nuova eruzione dell’Etna!"

"Non ci disturberanno!" –Si limitò a commentare Zeus, socchiudendo gli occhi e alzando un braccio al cielo, mentre una scarica azzurra scuoteva il fianco del vulcano, una folgore attorno alla quale scivolarono strati caliginosi di nembi. –"La foschia che un tempo gettavo sugli umani impedirà loro di trovarci. Quel tempo di cui abbiamo bisogno per ritrovare i corpi degli altri!"

Fu allora che uno scricchiolio sommesso li raggiunse, un rumore che andò crescendo sotto i loro piedi, prodromo di un terremoto che scosse il versante centrale dell’Etna, spaccando la lava solidificata sotto di loro e sollevandola verso il cielo, quasi gli inferi stessi si aprissero e liberassero demoniache figure. E tali in effetti parvero i tre corpi che fuoriuscirono dalla terra: sporchi, sfregiati, ricoperti di sangue, polvere e magma rappreso, con le armature distrutte e i bei volti stanchi e tumefatti.

"Eracle, figlio mio!" –Esclamò il Nume, concedendosi un sorriso, che si allargò non appena vide, alle sue spalle, i corpi claudicanti di Ermes e di Efesto, quest’ultimo che reggeva un ragazzo tra le braccia, la cui armatura azzurra, dalle lunghe ali spezzate, gli permise di identificarlo come il Primo Cavaliere di Atena. –"Cos’è successo?!"

"Le tenebre sono scese su di noi, Padre! Le tenebre più oscure e antiche, quelle che solo colui che le gettò nel Tartaro più profondo poteva evocare!" –Commentò Eracle, tossendo, facendo rabbrividire i presenti.

"Vuoi forse dire?!"

"Non nominarlo, Padre! Non è necessario, poiché tutti ne conosciamo il nome! Dei quattro Progenitori, egli è il più temibile! Egli è davvero una tenebra infinita! Saremmo stati spazzati via se Efesto non avesse avuto la prontezza di sollevare il magma dell’Etna, usandolo per ricoprire tutti noi. Al di sotto di quella crosta protettiva, i nostri cosmi hanno perdurato a baluginare, sia pur deboli e fiacchi, dandoci tempo di riposare e di… ripensare ai nostri errori…"

"Siamo stati vigliacchi!" –Commentò allora Ermes. –"Lo abbiamo lasciato fuggire, anziché combatterlo fino alla fine!"

"Abbiamo fatto ciò che era in nostro potere, Messaggero Olimpico! Non potevamo permettere che Pegasus cadesse! Non ancora!" –Precisò Efesto, cercando lo sguardo del Padre, che annuì, sospirando, prima di avvicinarsi all’abile fabbro, chiedendogli un ultimo sforzo, un’ultima fatica, prima della fine. –"Seguitemi!" –Si limitò a rispondere, incamminandosi verso le profondità dell’Etna, seguito da Zeus, Nikolaos, Euro e Toma.

Eracle ed Ermes rimasero all’esterno, poiché il primo desiderava cercare i corpi di Nestore e di Marcantonio, convinto che fossero ancora vivi, sepolti anch’essi dallo strato di lava sollevato da Efesto. Anche Neottolemo rimase con loro, sul volto un’improvvisa ansia per le sorti dei compagni.

"Mi dispiace!" –Gli disse il Vindice dell’Onestà. –"Siete appena tornati alla vita e già vi è stata portata via! Pare che la nostra amicizia sia marcata da questo, la gioia di un effimero incontro e poi il dolore di un’altra perdita! Così fu ai tempi delle gloriose legioni di Tirinto, così adesso, che di quelle legioni ne è rimasta soltanto una!"

"Non dovete crucciarvi, mio Signore! Possiamo solo esservi grati per averci concesso un’altra opportunità, un dono che a ben pochi uomini è stato elargito! Lieti siamo stati di combattere per voi a Tirinto, e lieti siamo di ripeterci quest’oggi!" –Rispose fiero il Nocchiero di Eracle, prima che la voce di Ermes li distraesse, portandoli ad avvicinarsi al Messaggero Olimpico, che stava liberando due corpi dagli strati di magma solidificato.

"Eccoli! Sono ancora vivi! Malconci ma vivi, sento il loro respiro!"

Eracle si chinò su di loro, ne tastò la fronte febbricitante e le braccia ferite e ustionate dai colpi di Erebo, ma convenne con Ermes che fossero ancora vivi. Con rabbia, li tirò fuori, depositandoli sul terreno dinnanzi a lui, afferrando poi le braccia di entrambi, per dare loro un po’ del suo cosmo.

"Perdonatemi! Perdonatemi tutti, anche voi, Agamennone e Adone, che più non siete con me! Ma non temete, non dovrete aspettarci molto! Quando questa guerra sarà finita, saremo di nuovo insieme, nella nostra bella Tirinto, in una Tirinto che nessun nemico, ombra o demonio violerà! Mai!" –Mormorò il figlio di Zeus, avvolto nel suo cosmo lucente. –"Ma solo quando questa guerra sarà finita, solo allora! Non prima!" –Aggiunse, mentre un tuono sovrastava i cieli sopra l’Etna.

***

Atlante era immenso.

Così alto, robusto e fiero che pareva innalzarsi davvero fino al cielo. Non a caso, si disse Asher, in piedi sulle mura di lato al Cancello Principale, il mito cantava la sua punizione, inflittagli da Zeus, a reggere la volta celeste. Come avrebbero potuto fermarlo purtroppo il mito non lo spiegava e non era affatto certo che le loro attuali difese avrebbero retto a quell’assalto. Pur tuttavia avrebbero tentato, come sempre, decisi a sfidare l’impossibile, in modo da renderlo possibile, come Pegasus e i suoi quattro amici, ai più adesso noti come Cavalieri Divini, avevano insegnato loro.

E se ce l’aveva fatta quello sbruffoncello dal ciuffo rampante, perché lui avrebbe dovuto essere da meno? Si disse, strusciandosi il naso impaziente, pervaso da una frenesia che lo invadeva ogni volta che doveva scendere in guerra. Una smania che per il momento doveva tenere a freno, almeno fino a quando Atlante non fosse entrato nel raggio d’azione dei suoi arcieri.

"State pronti!!!" –Strillò, volgendo un rapido sguardo verso il piazzale interno del Santuario, ove duecento uomini erano schierati in formazione, gli archi abbassati, ma le frecce già incoccate, in attesa di un suo cenno. Li guidava Patrizio, il più anziano dei soldati, un uomo che aveva visto molte nuvole annidarsi sul Tempio della Dea Guerriera, fin da quando Shin era Grande Sacerdote, sempre convinto che non a lungo vi avrebbero dimorato, che Atena sarebbe tornata, portando il calore di una nuova alba. Con quella fede, Patrizio era cresciuto, al pari di tutti coloro che avevano deciso di impugnare le armi e servire la Dea. –"Caricateee!!!" –La voce squillante dell’Unicorno lo raggiunse in quel momento, portandolo ad accendere la stoppa avvolta sulla punta della freccia e a prepararsi. –"Tendete l’arcooo!!! Ora, tirateee!!!"

Una selva di dardi infuocati solcò le mura meridionali del Grande Tempio, dirette verso l’altissima figura che ad esse si stagliava di fronte, e ancor prima che la raggiungessero gli arcieri stavano già ricaricando le loro armi, fermi e decisi nel loro agire. Non era la prima volta che il complesso templare veniva attaccato da così bestiali figure, Patrizio e i suoi compagni lo sapevano bene, ricordando l’infuocata figura di Orochi, il distruttivo drago che aveva seminato il panico mesi addietro. E, andando indietro con la mente, l’anziano soldato ricordò quando un gigantesco guerriero distrusse la porta settentrionale del Grande Tempio, mai più ricostruita, massacrando tutti i suoi compagni. Lui era stato l’unico a salvarsi quel giorno, grazie all’intervento della giovane Sacerdotessa dell’Aquila e del Cavaliere di Leo, che ebbero ragione del temibile nemico al soldo dei Titani.

Atlante era molto simile a quel gigante scarlatto, poiché anch’egli sembrava davvero un essere umano, uno come loro, sebbene avesse una stazza colossale e potesse schiacciarli soltanto sollevando un piede. Di sicuro, almeno una decina sarebbero morti sotto quell’ampia e robusta pianta.

Patrizio cercò di scacciare quel pensiero, limitandosi a scagliare una nuova freccia, condannata alla stessa sorte delle altre. Per quanto il corpo del titano fosse enorme, la cotta protettiva ne proteggeva solo una parte, lasciando spazi scoperti sulle gambe e sulle braccia, sul volto e persino sui fianchi, dove le piastre metalliche di quella grigia armatura non riuscivano a chiudersi bene. Eppure, nonostante la fitta pioggia di dardi infuocati, Atlante continuava ad avanzare, senza neppure sentirli, senza neppure degnarsi di sembrare ferito, infastidito o lontanamente impensierito.

"Attenti!!!" –Gridò Asher, balzando giù dalle mura, mentre il gigantesco guerriero le colpiva con un calcio, sfondandole e scagliando in aria pezzi di roccia e uomini armati. –"Maledizione!!! Non deve entrare, non deve entrare!!!" –Ripeté, scattando in piedi e balzando avanti, il cosmo che riluceva fresco attorno al suo braccio destro. –"Corno d’argento!!!" –Tuonò, dirigendo un lucente strale di energia verso il braccio del titano, che neppure se ne curò, limitandosi a deviarlo con un colpo di mano.

Frustrato, il Cavaliere dell’Unicorno iterò il proprio attacco, aumentandone l’intensità e obbligando questa volta Atlante a posare lo sguardo su di lui. Dovette davvero apparirgli simile ad una formica, per quanto pervasa da una strana aura violetta, quell’essere così piccolo, così insignificante, ma che insisteva nell’attirare la sua attenzione. Così lo soddisfò, calando la mano e chiudendo il pugno su di lui.

"Aaargh!!!" –Gridò Asher, stritolato da quella devastante pressione.

"Tirate!!! Tirate adesso!!! Colpitelo!!!" –Tuonò allora la voce di Patrizio, mentre centinaia di arcieri, radunatisi attorno all’Unicorno, liberavano i loro strali infuocati, mirando all’arto teso del titano. Ma anche quella volta le frecce tornarono indietro, senza produrgli danno alcuno. Solo un fastidio di cui Atlante si sbarazzò, muovendo il braccio a spazzare e gettando a terra decine e decine di soldati.

"Ora, amico!!!" –Intervenne allora un’agile figura, rivestita da un’armatura blu, cui presto ne seguì un’altra, coperta da una corazza rossastra. –"Catena di Reda!!!" –Chiosò quest’ultimo, mentre anche il compagno scagliava la propria arma, avvolgendola attorno ad un dito del colosso, iniziando a strattonarlo.

"Che fate, stolti?!" –Bofonchiò Asher, stretto nella mano di Atlante, osservando i discepoli di Albione tentare di liberarlo con quelli che, dalla prospettiva con cui poteva vedere le cose, erano semplici fili per fermare i bottoni.

"Cerchiamo di salvarti, sei cieco e non lo vedi?!" –Esclamò Reda, il volto una maschera di sudore per il solo sforzo di trattenere la mano del titano. Sforzo destinato a concludersi all’istante, quando Atlante sollevò il braccio, trascinando il ragazzo e Salzius con sé. –"Aaahhh!!!" –Gridarono i due, mentre il gigante scuoteva la mano, liberandosi infine della loro fastidiosa presenza.

Fu una scattante figura, rivestita di argentei e turchini bagliori, ad afferrarli in volo, prima che si spiaccicassero al suolo, ove li depositò poco dopo, permettendo loro di ammirare la snella sagoma di Castalia dell’Aquila, appena giunta in loro soccorso.

"Inutile rimanere al muro occidentale, se l’attacco è qua! Date ordine di ripiegare a tutti i soldati verso il cuore del santuario! Dobbiamo impedirgli di raggiungere la Collina della Divinità, ove risiede Atena! Tutto il resto è sacrificabile, anche noi!" –Dispose la donna, ricevendo pronti gesti di assenso da coloro che la attorniavano. –"E adesso andiamo! Attacchiamo e attacchiamo ancora! Finché di noi non resterà che cenere!!! Meteora pungente!!!" –E scattò avanti, caricando il pugno destro di energia cosmica. Balzò sulle mura squassate, dandosi lo slancio per saltare ancora più in alto, e mirò al volto del titano, su cui si abbatté uno sciame di comete lucenti.

Asher, ancora stretto nella mano di Atlante, osservò quel centinaio di pugni di luce, così simili al colpo segreto di Pegasus, perdersi senza produrre alcun effetto. Ma… come? Borbottò, avendo creduto che, quantomeno al viso, Atlante avrebbe prestato attenzione. Eppure, come già in precedenza, l’attacco non lo aveva raggiunto. Com’è possibile? Rifletté il Cavaliere, pur nella scomoda situazione in cui si trovava. Le vesti dell’Unicorno, appena riparate da Mur, sopportavano a malapena l’estenuante pressione cui erano costrette, pur tuttavia il titano pareva non stringere troppo, forse dimentico del moscerino che teneva in pugno.

Orbene, ti farò tornare io la memoria, bisteccone! Sibilò il Cavaliere, espandendo il cosmo, come tante volte aveva imparato a fare di recente. Contro Sterope del Fulmine, Ossilo del Teschio Letale, persino contro Lukas, il suo antico compagno di addestramento presso il maestro Regor, infine contro Cariddi. A volte aveva perso, altre volte era riuscito a portare a termine il suo combattimento, imparando ogni volta qualcosa di più. Era tempo di mettere in pratica tutta quella conoscenza, era tempo di crescere ancora! Si disse il giovane Unicorno, mentre un’aura violetta, dalle argentee sfumature, lo avvolgeva, espandendosi tra le dita del titano e avviluppandogli il pugno come una nube.

"Asher!!!" –Realizzò Castalia, ordinando a tutti i soldati un nuovo assalto, per aiutare il compagno a divincolarsi.

"Siamo con te!!!" –Intervennero Reda e Salzius, sebbene non avessero ben chiaro cosa fare e come. Fu il secondo ad avere un’intuizione, spiegandola in fretta all’amico e correndo con lui oltre le mura, portandosi tra i piedi di Atlante, che di certo non stava guardando in basso, quei due moscerini. –"Se non possiamo ferirlo, con le nostre catene, possiamo comunque rallentarlo!" –Spiegò il ragazzo dai capelli blu, srotolando per intero la sua arma e avvolgendola attorno ad un calcagno del gigante, prima di scagliarla in direzione dell’altra gamba. Reda fece altrettanto e in un attimo riuscirono a legare insieme i due arti inferiori di Atlante, che se ne accorse in quel momento, quando tentò di muoversi per avanzare oltre le mura.

Incespicò un istante, il gigantesco figlio di Giapeto, prima che le catene andassero in frantumi, di fronte agli sguardi angustiati dei discepoli di Albione.

"Siamo proprio inutili!" –Commentò Salzius, mentre Reda si buttava su di lui, impedendo ad un grosso masso delle mura in frantumi di cadergli addosso. Frustrati, osservarono impotenti Atlante varcare il confine del sacro regno di Atena, senza che nessuno di loro potesse fermarlo.

"In piedi!" –Una frusta colpì il suolo a pochi passi dai due, sollevando nuvole di polvere e detriti, anticipando la comparsa di una ragazza dai capelli biondi, rivestita da un’armatura che ben conoscevano.

"Nemes!"

"Coraggio, compagni! La prova è perigliosa, ben più di quelle a cui il nostro maestro Albione ci costringeva, ma non rinunceremo solo per questo, non è vero?" –Li apostrofò la Sacerdotessa del Camaleonte, allungando poi una mano verso di loro.

Reda e Salzius si scambiarono un ultimo sguardo, annuendo con decisione, prima di afferrare la mano tesa di Nemes e rimettersi in piedi, rientrando nel Santuario da una breccia aperta nel muro e gettandosi all’inseguimento di Atlante.

"Punta verso le Dodici Case!!!" –Esclamò una voce, mentre ovunque volavano frecce infuocate e lance e giavellotti e mazze ferrate, senza che alcuna arma potesse recargli danno alcuno. –"Verso la residenza della Dea! Dobbiamo fermarlo!!!"

"Volo dell’Aquila!!!" –Esclamò Castalia, balzando in alto, dal tetto di un edificio, e mirando al pugno chiuso di Atlante, dentro cui il cosmo di Asher bruciava ancora. Il titano la colpì in pieno volo, schiaffeggiandola con il dorso della mano ancora libera e schiantandola a terra, contro il tetto di una costruzione, dentro cui la donna precipitò, tra le grida di chi ancora vi dimorava.

"Così… non può andare…" –Mormorò, mentre Atlante le lanciava contro anche Asher, che si schiantò a poca distanza da lei, perdendo l’elmo dell’armatura, con un vistoso ematoma in fronte.

"Pare che si fosse stancato di portarmi a spasso!" –Ironizzò il ragazzo, faticando nel rimettersi in piedi, ancora stordito dalla batosta. Castalia lo aiutò, proprio mentre Kiki appariva vicino a loro, affiancato da Kama e da Yulij, guardandosi attorno sconvolto.

"Atlante sta per arrivare alle Dodici Case! Tra poco incomberà su Atena!!!"

"Dobbiamo far sfollare immediatamente l’intera area degli alloggi! Yulji, Kama! Dovete evacuare tutti i presenti, gli apprendisti, gli inservienti, le ergantine, anche le aspiranti sacerdotesse! Non potrebbero nulla contro Atlante!" –Ordinò il Cavaliere dell’Aquila, prima di correre fuori dall’abbattuto edificio assieme ad Asher, diretti verso la Prima Casa dello Zodiaco. Nemes, Reda e Salzius li raggiunsero in quel momento, e anche Kiki infine si unì loro, stupendoli.

"Voglio combattere! Io posso combattere!" –Precisò, non ricevendo risposta se non un cenno col capo da Castalia e Asher.

Sfrecciando lungo la via principale, cercando di radunare quanti più soldati riuscirono a trovare, raggiunsero l’ampio spiazzo di fronte alla Casa di Ariete, pochi attimi prima che anche Atlante vi giungesse, demolendo, con i suoi enormi passi, le costruzioni vicine, riservate agli alloggi dei soldati e all’armeria.

"Quanta distruzione!" –Mormorò Nemes, ricordando lo sfacelo sull’Isola di Andromeda, quando Scorpio l’aveva devastata con una tempesta di energia. –"Avrà mai fine?!"

"È la nostra ultima freccia, Cavalieri! Bruciate tutto il vostro cosmo, bruciate la vostra vita!!! Per Atena!!!" –Gridò Asher a gran voce, avvolto nella sua aura violetta.

"Per Atena!!!" –Risposero gli altri combattenti, liberando la loro energia. Una dopo l’altra, cinque figure composte di stelle galopparono verso Atlante, raggiungendolo nell’interno coscia della gamba sinistra, dove mancava la protezione dell’armatura. Fu un attacco di media potenza, per cui poterono sentirsi soddisfatti, ma anch’esso non produsse danno alcuno, sebbene un’aura luminosa luccicasse ancora per qualche istante nel punto dell’impatto, prima di dissolversi, di fronte agli occhi sgranati di Asher, Castalia e dei discepoli di Albione.

L’unica conseguenza diretta fu che Atlante per la prima volta li notò, chinandosi infastidito su di loro e sbattendo il palmo della mano sul suolo, generando un’onda di pressione così devastante da crepare il terreno e sollevare polvere e rocce. Kiki aprì le braccia, cercando di proteggere gli amici con la tecnica che gli aveva insegnato Mur, sostenuto anche dal potere di Asher e Castalia, ma bastò che il titano battesse di nuovo il pugno sul terreno per scaraventarli tutti indietro, contro la parete rocciosa che costellava la rampa di scale che conduceva alla Prima Casa.

"Abbiamo… fallito…" –Mormorò l’Unicorno, crollando sulle ginocchia, il sangue che gli colava da una ferita alla tempia. –"Isabel! Atena! No, nooo!!!" –Incapace di accettare quella prospettiva, Asher si rialzò, le gambe tremanti e il passo malfermo, muovendosi lungo la gradinata di marmo, per intercettare il titano prima che poggiasse il suo enorme piede sulla stessa.

"Asher!!! Non farlo!!!" –Gridò Castalia, ancora a terra, assieme agli allievi di Cefeo.

"Devo! Atena deve essere protetta! Sempre!" –Aggiunse il ragazzo, tirandole un ultimo sguardo, prima di portare il proprio cosmo al parossismo e lanciarsi contro Atlante, un unicorno di vivida luce, con la punta rivolta verso il nemico.

Quella volta il titano lo vide e mosse subito il braccio nella sua direzione, per colpirlo con un poderoso manrovescio, ma inaspettatamente qualcosa lo frenò, interponendosi tra i due contendenti. Una cupola di energia dorata, sottile ma estesa, parve avvolgere l’intera Collina della Divinità, impedendo al figlio di Giapeto di avanzare oltre, prima che una sola parola echeggiasse tra le rupi scoscese.

"Kaan!!!"

Castalia e i Cavalieri di Bronzo sollevarono lo sguardo al cielo, laddove una figura ammantata d’oro era appena apparsa. Il volto calmo, gli occhi chiusi, i lunghi capelli biondi che gli coprivano la schiena, un’enorme energia che brillava tra le sue mani. Il Cavaliere di Virgo era appena giunto sul campo di battaglia.

Anche Asher lo osservò ammirato, atterrando su un costone roccioso, proprio mentre una seconda figura rivestita d’oro usciva dal pronao della Prima Casa, affiancando il parigrado. –"Non da solo combatterai quest’ultima battaglia, Shaka di Virgo! Mur dell’Ariete è con te! E se cader dobbiamo, che sia per Atena!"

Il Custode della Porta Eterna annuì, accennando un breve ma sentito sorriso, mentre Atlante sollevava il braccio per calarlo di nuovo su di loro.