CAPITOLO QUINDICESIMO: INGANNO FRATRICIDA.

Dopo aver lasciato Andromeda alle prese con Artemisia della Dionea Assassina, Phoenix aveva aiutato Pentesilea a radunare le Amazzoni e il gruppo di profughi, dirigendosi in tutta fretta verso la piana di Themiskyra. Vi si era già recato una volta, dopo la conclusione della Grande Guerra contro Ares, per partecipare al rito funebre in onore di Ippolita, la più grande regina delle Amazzoni, che riposava adesso assieme alle matriarche che l’avevano preceduta, nella città ove le donne guerriere avevano a lungo dimorato nel Mondo Antico, prima che cadesse in rovina.

Troppo deboli per riconquistarla, era stato Ares a donarla loro di nuovo, sollevandola dalle macerie del tempo e ricostruendone le mura, in cambio della loro alleanza nel conflitto che avrebbe scatenato a breve per prendere possesso dell’Olimpo. All’epoca molte avevano accettato di buon grado il rinsaldarsi di un antico legame, avendo sempre apprezzato lo stile di vita del Dio della Guerra, focoso e battagliero, che aveva anche messo al mondo alcune di loro. La stessa Pentesilea era stata tra coloro che avevano esercitato pressione sull’allora regina affinché suggellasse l’accordo; del resto, la prospettiva di tornare a Themiskyra, ridandole l’antico splendore, era bastata a far dimenticare a molte Amazzoni le barbarie cui Ares era solito abbandonarsi in guerra.

Poi c’era stata la corsa attraverso i Templi dell’Ira, la caduta di molte compagne e la morte di Ippolita, il cui lascito pesava su tutte coloro che le erano sopravvissute. Esiste anche l’amore, non solo la guerra; quello era ciò che la fiera regina aveva voluto dire loro, un concetto che, ben sapeva, sarebbe stato accettato a fatica dal popolo di indomite guerriere. Ed ecco che di nuovo Phoenix tornava, l’uomo che aveva scardinato equilibri di secoli, aprendo una breccia nell’animo di una di loro, della loro sovrana per di più.

Ancora adesso, a mesi di distanza e con riprovate occasioni per dimostrare loro la sua fiducia, Pentesilea continuava a chiedersi se avesse fatto la scelta giusta, quel giorno, a permettergli di varcare le mura della capitale, per presenziare al rito funebre per Ippolita. Per quanto adesso fossero alleati, nella guerra contro l’ombra nascente, quel dissidio interiore in lei non si era placato.

"Scansati!!!" –Le gridò il Cavaliere di Atena in quel momento, rubando la donna ai suoi pensieri e costringendola a gettarsi di lato, rotolando nel terreno fangoso, per evitare la carica del suo nemico. Un nuovo bizzarro avversario che di forza bruta non faceva affatto difetto.

Convinti che il pericolo provenisse dalle loro spalle, Phoenix e le Amazzoni avevano corso fino alla piana del Termodonte, nel Ponto, vicino alla cui foce sorgeva la rinata Themiskyra. Ma per quanto la pioggia sferzante li avesse incalzati, rendendo più lenti i loro movimenti, nessuno li aveva attaccati. Il nemico, del resto, li stava aspettando fuori dalla loro città.

Alto e robusto, con ampie spalle larghe e braccia possenti, un uomo rivestito da una corazza rossa, striata di nero, si ergeva fiero di fronte al portone di ingresso. L’aura del suo cosmo era apparsa così vasta da opporsi come muraglia all’avanzata della compagnia, osteggiando un chiaro atteggiamento di sfida. Sfida che aveva dichiarato nel momento stesso in cui aveva portato entrambe le braccia avanti, liberando un improvviso attacco.

Migliaia di bufali di energia oscura avevano caricato le Amazzoni, piombando su di loro con le corna tese, furibondi, indemoniati, famelici, obbligando le donne guerriere a sfoderare gli archi e le asce bipenne per fronteggiarli. A nulla però erano valse tali armi, inutili contro quelle manifestazioni di cosmo, e quando già avevano imbracciato gli scudi per difendersi dall’onda d’urto, ecco che una barriera di energia psichica si era levata a loro difesa.

"Kaan!!!" –Avevano gridato i santoni indiani da loro salvati, levitando a mezz’aria, avvolti da un sottile strato di bianco cosmo.

Phoenix aveva sgranato gli occhi nel sentir quella parola che un tempo gli era stata ostile, ma Pentesilea gli aveva tolto subito il dubbio, spiegando che quegli uomini erano stati addestrati da Pavit e Tirtha all’uso del cosmo. Dopo il loro rientro ad Angkor, mesi addietro, i discepoli di Virgo avevano preso l’abitudine di riunirsi assieme a santoni e ad asceti che costellavano le verdeggianti regioni del Sud-Est Asiatico per pregare assieme, trovando nella meditazione una via per espandere la loro energia interiore, ancora ben lontani dal padroneggiarla pienamente.

Poco dopo la furia della tempesta che li inseguiva era aumentata, con nuovi scrosci d’acqua improvvisi, che avevano infastidito il Cavaliere di Phoenix, portandolo a scrutare tra le nubi nere, alla ricerca della fonte di quella seccatura.

"Eccoti!" –Aveva mormorato, prima di portare il pugno destro avanti e liberare un globo di energia infuocata, che aveva incendiato il cielo per poi abbattersi su un nemico celato, precipitandolo a terra.

Con un ghigno sprezzante , il ragazzo si era avvicinato, trovandosi di fronte un’altra donna, come era destino in buona parte degli scontri sostenuti nell’ultimo anno. A differenza di Artemisia, questa era ben più orribile a vedersi, rivestita di una corazza di color celeste sporco, che si confondeva facilmente con le pozzanghere fangose che costellavano la riva del Termodonte. Le forme dell’armatura erano sgraziate, ornata in più punti di artigli e spuntoni, e di una lunga coda retrattile che partiva dal retro dell’elmo, che a Phoenix aveva ricordato quello dello Scorpione d’Oro.

"Vritra del Serpente Malevolo!" –Si era presentata la donna, prima di schizzare avanti, il braccio destro teso e gli artigli volti al viso del ragazzo, dando inizio al loro scontro, che era durato ben poco, per la verità. I pochi minuti di cui Phoenix aveva avuto bisogno per aver ragione delle sue tecniche, basate sul controllo delle nubi d’acqua, e sbatterla a terra, avvolta in un turbinare di fiamme.

"Come può un serpentello impensierire una fenice?" –L’aveva derisa, facendole perdere i sensi.

Proprio in quel momento il gigantesco uomo aveva caricato Pentesilea.

Stanca per la lunga marcia, fiaccata dalle strette delle drosere , la donna aveva evitato l’assalto solo all’ultimo, venendo comunque ferita di striscio ad una coscia. Prima ancora di riuscire a rimettersi in piedi, il nemico torreggiava già su di lei, stupendola per la velocità che stava dimostrando, nonostante la sua mole massiccia.

"Aaargh!!!" –Rantolò la Regina delle Amazzoni, mentre le mani dell’uomo le stringevano il collo con forza, decise a spezzarglielo all’istante. Alcune guerriere si lanciarono contro di lui, con le asce in pugno, ma questi le respinse semplicemente muovendo un braccio e volgendo loro contro il palmo aperto della mano, da cui una carica di bufali energetici scaturì furiosa, travolgendo all’istante le donne e lasciandole agonizzanti a terra.

Altre, da lontano, incoccarono le frecce, sperando di avere maggior fortuna, ma tutti i dardi vennero annientanti da un’onda di energia che l’uomo aveva appena scatenato nella loro direzione.

Taciturno, rapido e potente. Tutte qualità che in un guerriero di sesso maschile Pentesilea avrebbe apprezzato. In un altro momento. Non adesso, che stava per perdere sensibilità al collo, e morire, per mano di un uomo di cui neppure conosceva il nome. Un uomo che la stava fissando con ardenti occhi di brace, fiero della crudezza delle sue azioni. Un uomo che, d’un tratto, dovette voltare lo sguardo e togliere una mano dal collo della donna, per controllare cosa lo avesse appena trafitto sul retro del suo elmo bicornuto.

"Uh?!" –Mormorò infine, ritrovandosi in mano una piuma metallica.

Anche Pentesilea la vide e comprese, radunando tutte le forze per piegarsi all’indietro e liberarsi, prima che la piuma, assieme a quelle rimaste conficcate nell’armatura del gigante, esplodesse. Nonostante la sorpresa e il dolore, nonostante il guanto della corazza e il relativo copricapo fossero andati in frantumi, ustionando anche la pelle e bruciando i capelli al di sotto, il colosso si ergeva ancora, più instabile di prima, ma in grado di mantenere la sua presa su Pentesilea, con un solo braccio. L’altro dovette usarlo per fronteggiare l’assalto del suo nuovo avversario, piombato su di lui con spalancate ali di fiamma.

"Pugno infuocato!!!" –Gridò Phoenix, mirando al cuore dell’uomo, che fu lesto a parare l’affondo con il palmo della mano, realizzando troppo tardi l’errore.

"Aaargh!!!" –Il fuoco della fenice divampò lungo tutto il suo arto, espandendosi dalla mano scoperta e ferita poc’anzi, distruggendo l’armatura in più punti e costringendolo infine a poggiare a terra un ginocchio. Ma non a cedere la preda, ancora stretta tra le dita della mano sana.

"Resistente!" –Ironizzò Phoenix, prima di colpirlo con un calcio dal basso, spingendolo indietro, obbligandolo infine ad abbandonare la presa.

Pentesilea subito rotolò di lato, portandosi a distanza di sicurezza, ansimando per il dolore e la mancanza di ossigeno. Mirina e altre Amazzoni la raggiunsero, aiutandola a rimettersi in piedi, mentre Phoenix vociava loro di ripiegare all’interno di Themiskyra. Nell’udire quella parola, il gigantesco guerriero si rialzò, bruciando il cosmo e portando di nuovo entrambe le braccia avanti, investendo da vicino il Cavaliere di Atena con una carica di bufali energetici.

Sballottato, pestato e persino con qualche graffio sull’Armatura Divina, Phoenix non poté intervenire quando sentì Mirina gridare alle sue spalle e il rumore di un nuovo scontro in atto, causato di certo da qualche compagno del corpulento nemico. Deciso a farla finita al più presto, il ragazzo si preparò ad eseguire il suo massimo attacco, ma fu sorpreso dalla reazione del gigante che, alla velocità della luce, lo caricò, a testa bassa, tentando di abbatterlo con una spallata.

Il Cavaliere fu lesto a balzare in alto, aiutato dalle ali della corazza, evitando il taglio del corno posto sul coprispalla e afferrando poi lo stesso sperone per roteare su se stesso, ancora in aria, e colpire il nemico alla schiena con una sventagliata di calci. L’ultimo gli spaccò in due la placca della rossastra armatura, gettandolo a terra vinto, con sangue e frammenti metallici sparsi sulla sua schiena.

Solo allora Phoenix poté concentrarsi su quel che stava accadendo alle porte di Themiskyra, osservando le Amazzoni cadere una dopo l’altra, travolte, forse trafitte, da quelli che parevano essere strali di energia argentea. Strizzando gli occhi, per vedere meglio, il giovane inorridì nel riconoscere le guizzanti catene di suo fratello massacrare le guerriere del Ponto, e Andromeda stesso ergersi poco distante, il braccio destro teso avanti a sé, a guidare la macabra danza delle sue armi.

"Andromedaaa!!!" –Lo chiamò a gran voce, correndo verso di lui, che parve destarsi a quel suono così familiare. Di scatto si voltò verso Phoenix, fissandolo con sguardo vacuo, chiedendosi al qual tempo cosa stesse accadendo. –"Che stai facendo, fratello? Le Amazzoni sono nostre alleate!!!"

"Alleate?!" –Ripeté il Cavaliere dai capelli verdi, di fronte agli occhi straniti del congiunto.

"Proprio così! Possibile che non ricordi?! Che ti succede, Andromeda?!"

Questi non rispose, limitandosi a fissarlo in silenzio, salvo poi scattare su di lui e colpirlo allo sterno con un pugno di energia, che piegò Phoenix in due dal dolore.

"A… Andromeda…" –Rantolò il Cavaliere della Regina Nera, prima che un calcio del fratello lo spingesse indietro. –"Che… stai facendo? Sei impazzito?!"

"Io… io…" –Il ragazzo non seppe replicare, scuotendo la testa confuso, ma nel vedere Phoenix a terra, ferito, qualcosa dentro di sé scattò, portandolo a correre verso di lui, a chiedergli come stesse, ad aiutarlo a rimettersi in piedi, prendendogli le mani nelle proprie. –"Fratello, io… non capisco… io… stavo combattendo contro quella donna… Artemisia… e poi… poi lei è morta! Io l’ho uccisa! L’ho uccisa io???"

Vedendolo così in difficoltà a spiegarsi, così confuso nei pensieri, Phoenix comprese che qualcosa di oscuro doveva essere all’opera. Forse quella guerriera aveva avvelenato la mente di suo fratello con qualche venefica erba? Eppure, per quel che aveva percepito lottando brevemente con lei, non sembrava disporre di un cosmo così pericoloso da preoccuparlo. Pur tuttavia anche avversari con misera forza potevano essere insidiosi da affrontare. Era davvero successo questo a suo fratello? Era davvero stato ricondizionato dal veleno di un’ignota pianta? E, se così era, dove si nascondeva Artemisia? Ancora celata sotto il suolo? Concentrando i sensi, Phoenix fu costretto ad ammettere di non percepire più traccia di quella guerriera, che davvero sembrava essere morta come Andromeda affermava.

In tal caso chi…? Ma non riuscì a terminare i suoi pensieri che fu distratto da urla improvvise, che lo costrinsero a voltarsi verso Themiskyra, fuori dalle cui mura le Amazzoni si erano radunate, archi in pugno, agli ordini della loro regina.

"No! Pentesilea non farlo!!!" –Gridò, mentre le donne incoccavano le frecce.

"Mi dispiace, Phoenix, ma tuo fratello ci ha attaccato, ferendo molte di noi! E chi ci attacca è un nemico! A maggior ragione qua, alle porte della nostra città sacra! E come tale lo tratteremo!" –Incalzò, senza un alito di dubbio nella voce. –"Tirate!!!"

La selva di frecce riempì il cielo nero, piombando lesta su Andromeda, senza riuscire però a raggiungerlo, riparato dietro il vorticante mulinello della sua catena. Quindi, approfittando del tempo di cui ebbero bisogno per ricaricare gli archi, il giovane scatenò la furia della Catena d’Attacco.

"Andromeda, no!!!" –Urlò Phoenix, ma anche quella volta non poté fare niente. Solo assistere impotente al massacro delle Amazzoni, travolte, trafitte e stritolate dalla persona che più amava al mondo. L’uomo che anni addietro lo aveva liberato dall’ombra con le sue lacrime, il suo affetto e il suo spirito di pace. –"Cosa è rimasto di te?!" –Si chiese, prendendo infine la sua decisione. –"Perdonami, fratello! Qualunque cosa sia accaduta, qualunque demone ti stia divorando il cuore, devo fermarti!" –E scatenò la furia delle Ali della Fenice, investendo Andromeda da vicino, sollevandolo e scaraventandolo a venti metri di distanza, facendogli persino perdere l’elmo della corazza.

A passo greve gli si avvicinò, prima che il fratello riuscisse a rialzarsi, e lo inchiodò a terra, poggiando un tacco sopra il suo pettorale. Non aveva di proposito caricato troppo il suo attacco, allo scopo di stordirlo, non di ferirlo, sperando di aver fatto la cosa giusta. Per sé, e per le donne e gli uomini che avrebbe dovuto difendere.

"Cosa ti succede, Andromeda?" –Gli chiese di nuovo, con voce gentile.

"Fratello, io non lo so… io…" –Si agitò il ragazzo, scuotendo la testa e portandosi le mani nei capelli. –"Aiutami… ti prego, aiutami!!!"

Phoenix esitò per un momento, non sapendo più cosa pensare. Che fossero illusioni? Un trucco mentale che qualcuno stava giocando con lui, proprio con lui, che in tale pratica era maestro? Qualunque cosa stesse accadendo, doveva terminare quanto prima, sebbene non avesse affatto chiaro in che modo. A differenza del fratello.

"Aaahhh!!!" –Gridò Andromeda, espandendo il proprio cosmo e sbalzando Phoenix indietro con un’onda di luce. Agile, il Cavaliere della Fenice atterrò a piedi uniti, a qualche metro di distanza, mentre la più nefasta probabilità andava avverandosi di fronte ai suoi occhi, la necessità di combattere contro suo fratello.

"Se non lo farai tu, lo farò io!" –Intervenne una voce di donna, mentre Phoenix, voltandosi, vide la condottiera delle Amazzoni avvicinarsi, l’armatura sporca di sangue e terriccio, l’ascia bipenne in mano. –"Sai che devo!" –Aggiunse, concedendosi un sospiro, prima di lanciarsi verso Andromeda.

Questi evitò l’affondo, scartando di lato, ma Pentesilea stava già roteando su se stessa, agile come una ballerina, mulinando l’arma in orizzontale, poi in diagonale, mirando al volto del ragazzo, la parte non protetta dell’armatura. Mentre calò di nuovo l’ascia, le catene scattarono a difesa del loro padrone, afferrando il braccio della Regina delle Amazzoni e strattonandolo con forza, facendole perdere la presa sull’arma.

Pentesilea urlò, al rumore secco del polso rotto, ma strinse i denti e non cedette, spingendo Andromeda indietro con un calcio al ventre, facendolo cadere a gambe all’aria. In un attimo gli fu dietro, il braccio ancora stretto nelle catene, afferrando le stesse e usandole per bloccare il collo del ragazzo, tenendolo contro di sé.


"Pentesilea, no!!! Lascia la presa!!!" –Le intimò subito Phoenix, precipitandosi avanti. Ma subito un gruppetto di Amazzoni gli sbarrò la strada, gli archi tesi e pronti a scoccare i loro dardi. –"Lasciala subito o sarà la fine!!! La tua fine!!!"

"Mi minacci, Phoenix?! Onori così la tua amata defunta regina? Minacciando la sua succeditrice e portando il fratello a far strage delle sue compagne?!"

"Ma non capisci! Molla la catena!!!" –La avvisò un’ultima volta, prima che una violenta scarica di energia scaturita dall’arma stessa la investisse, facendola tremare, schiantando parti della sua corazza, facendole persino schizzare fuori il sangue dalle ferite già aperte e infine gettandola a terra, lo sguardo vitreo, rivolto al cielo nero.

"Pentesilea!!! Regina!!!" –Gridarono le Amazzoni, voltandosi verso Andromeda, preparandosi a colpirlo. Ma la sua catena corse più in fretta, abbattendosi sulle donne, attorcigliandosi attorno alle loro caviglie e sollevandole all’istante, gettandole in aria, sbattendole a terra, scagliandole contro le mura di Themiskyra, finché non furono troppo deboli anche solo per accennare a rialzarsi.

"Dei dell’Olimpo!!!" –Rantolò Phoenix, mentre il fratello si rimetteva in piedi, le catene che di nuovo si ritraevano, tornando attorno alle sue braccia. Con sguardo confuso e innocente, Andromeda si guardò attorno, stentando persino a riconoscere la città delle Amazzoni, non capendo perché tutte quelle donne giacessero riverse al suolo, in pose innaturali e contorte. Quindi capì, invaso dall’improvvisa consapevolezza di averle ferite, forse uccise. E quella consapevolezza lo prostrò di nuovo a terra, mentre calde lacrime gli rigavano il volto.

"Fratello…" –Lo chiamò Phoenix, avvicinandosi cauto. –"Va tutto bene!"

"No, non va bene!!! Ho ucciso delle persone!!! Io… come ho potuto?!" –Pianse Andromeda, sentendo la propria intimità violata, messa a nudo e arsa tra mille tormenti. –"Sono un mostro… Un assassino!"

"Non lo sei, ti conosco, da anni ormai, e so per certo chi sei! Di certo non un mostro, e se hai ucciso, è sempre stato per Atena, un gesto di violenza prima di tutto verso i tuoi ideali! Questo non sei tu, fratello! Credimi!"

"A… aiutami…" –Singhiozzò, mentre Phoenix si chinava su di lui, abbracciandolo e annuendo alle sue suppliche accorate. Solo allora il Cavaliere della Fenice si ricordò dei monaci, dei santoni indiani e degli apprendisti che le Amazzoni avevano portato via dal bacino del Gange, sottraendoli alla furia dell’ombra. Voltò lo sguardo e li trovò riuniti ai piedi delle mura, stretti gli uni agli altri, incapaci di comprendere cosa stesse accadendo, cosa avesse potuto generare una carneficina come quella, scatenata tra coloro che avrebbero dovuto difenderli. Comprese il loro senso di smarrimento e si mosse per andare a parlare con loro, distraendosi quel tanto che gli fu fatale per non avvedersi dell’insinuarsi di una catena argentea tra le sue gambe. Vi fu un balenio di luce e il ragazzo si trovò a gambe all’aria, stretto in una morsa ferrea dalle armi del fratello.

"Andromeda!!! Ma che stai facendo?!" –Gridò, dimenandosi furioso, mentre l’altro, di fronte a lui, pareva non avere idea di ciò che le sue catene stessero facendo. –"Richiamale immediatamente!!!"

"Io… non posso… non ci riesco, Phoenix!!! Le catene agiscono da sole!!!" –Strillò, mentre scariche di energia percorrevano l’intera lunghezza dell’arma, strappando guaiti doloranti al Cavaliere della Fenice.

"Ri… chiamale!!!" –Ripeté il ragazzo, espandendo il proprio cosmo e preparandosi infine a fare ciò che aveva a lungo temuto. –"Ora!!!"

Andromeda non lo fece, obbligando Phoenix a liberare il fuoco di cui era custode, rendendo le catene incandescenti, deciso a spingersi oltre i suoi stessi limiti, anche a costo di danneggiare le vesti create per loro da Efesto. Anche a costo di ferire il suo stesso fratello, o l’ombra di colui che era stato un tempo.

Fu una donna però a venirgli in aiuto, una donna che, portatasi silenziosa alle spalle di Andromeda, lo afferrò per i capelli, torcendogli la testa all’indietro, puntandogli una lama alla gola.

"Pentesilea!!!" –La riconobbe Phoenix, sebbene della vanagloriosa regina ben poco vi fosse rimasto, sporca di sangue, terra e sconfitta.

"Le mie Amazzoni gridano vendetta!!!" –Sibilò, muovendo la lama per recidergli la giugulare ma ritrovandosi all’improvviso paralizzata. –"Che… su... cede?" –Balbettò, prima di perdere anche la facoltà di parlare.

In quella le catene di Andromeda allentarono la loro presa, permettendo a Phoenix di sgusciarne fuori ed osservare quel che stava accadendo. Una donna, avvolta in abiti bianchi e vermigli, con lunghi capelli marroni intrecciati in una ghirlanda di fiori freschi, stava avanzando verso di loro, con una mano tesa verso Pentesilea. La mosse ancora e la Regina delle Amazzoni venne scaraventata lontano, ruzzolando inerme al suolo e lì restando. Solo quando fu più vicina, Phoenix la riconobbe.


"Demetra! Cosa fate voi qua?!"

"Eh eh eh! Giungo ad istruire il mio allievo, il nuovo membro dello Zodiaco Nero, destinato ad una rapida e gloriosa ascesa e ad un importante ruolo nel futuro ordine del mondo!" –Parlò la Dea, affiancando Andromeda.

"Che state dicendo? Cos’è accaduto a mio fratello?! Cosa gli avete fatto?!"

"A lui personalmente niente, ma la sua armatura è stata infettata con il mio sangue divino, e come tale maledetta! Adesso Andromeda è un mio schiavo ed eseguirà compiaciuto ogni mio ordine, non potendo egli controllare la corazza che indossa!"

"Io… vi sbagliate!" –Tentò di reagire il Cavaliere. –"Non sarò mai un assassino!!!"

"Oh, ma già lo sei! Da anni ormai, sebbene solo oggi tu abbia ricevuto l’investitura ufficiale! Eh eh eh!" –Rise la Divinità, bruciando il proprio cosmo che entrò subito in risonanza con quello emanato dall’armatura rosa che Andromeda indossava.

"Toglitela, Andromeda! Toglila subito!" –Propose Phoenix, venendo subito schernito dalla Dea.

"Impossibile! Non può farlo, l’armatura risponde solo ai miei comandi adesso e rimarrà sul suo corpo per sempre! Tra non molto, in verità, non ci sarà neppure più bisogno di controllarlo, poiché il suo corpo si sarà già assuefatto all’influsso demoniaco presente nella corazza! Tra poco egli sarà completamente succube, anche nell’anima, al maleficio da me generato!"

"Io… no… non voglio!!!" –Gridò Andromeda, lanciandosi sulla Dea, ma bastò che lei schioccasse le dita per fermarlo sul posto, mentre il suo cosmo oscuro prorompeva dalla corazza, avvolgendo il Cavaliere, stordendolo, deciso a privarlo dell’ultimo barlume di coscienza.

"Resistere è inutile al potere dei Numi! Quel che gli Dei vogliono, gli Dei ottengono! Non l’hai ancora capito, ragazzo? Per cui accetta il fato e diventa quel che sei destinato a essere, il comandante supremo dello Zodiaco Nero, di ben più alta levatura rispetto a questi smidollati che Polemos ti ha mandato contro!" –Proferì la Divinità, tirando uno sguardo ai corpi feriti della donna e del gigante furioso. –"Vritra del Serpente Malevolo e Yama del Bufalo Nero! Una debole orfanella che voleva divenire Discepola di Virgo e un ammasso di muscoli che ha abiurato alla sua umanità per non soccombere alla solitudine! Certo, hanno avuto vittoria facile contro i vecchi Asura, Divinità non note per le loro capacità belliche, ma hanno fallito nell’eliminare le Amazzoni! Puah! Tu invece non fallirai, non deluderai la tua creatrice, radendo al suolo quest’empia città e le sue abitanti!" –Commentò, avvicinandosi ad Andromeda e carezzandogli il mento.

"Perché fate questo? Perché tradite Zeus e la vostra famiglia? Voi che così tanto amate questa verde Terra, in tutta la sua complessità, come potete prestarvi alla guerra distruttiva che Caos ha scatenato?!! Siete spregevole, non vi perdonerò!!!" –Ruggì Phoenix, scattando verso la Dea, il cosmo che sfrigolava focoso attorno al suo pugno destro.

"È strano che tu parli di perdono, Cavaliere di Phoenix, tu che hai ucciso mia madre, proprio adesso che, priva della prigionia della cometa Lepar, poteva riunirsi ai suoi figli! Di certo ben ricompensata sarò da Lord Caos per i miei preziosi servigi, che forse gli faranno dimenticare il fallimento dei miei fratelli e sorelle sulla Luna!" –Si limitò a rispondere la Divinità, fermando il volo della Fenice e muovendo il braccio a spazzare, scaraventando il ragazzo contro le mura esterne di Themiskyra, facendole crollare su di lui.

"Tua madre?! La cometa Lepar?! Dunque tu… non sei Demetra… ma allora chi sei?!" –Rifletté Phoenix, faticando nel rimettersi in piedi, tra le macerie.

"Una ben più spietata Dea!" –Sogghignò, mentre il suo viso mutava, al pari del cosmo, rivelando un volto scaltro e maligno, quello di una donna con maliziosi occhi viola e lunghi capelli rosa, che scivolavano lisci sulla sua schiena. –"Ate è il mio nome, Consigliera dell’Inganno!"


"Ate!!! Ma certo, ora ricordo! Sei una delle figlie di Discordia, di cui lei stessa mi parlò nel nostro scontro sulla Luna! Dea dell’inganno, della rovina e della dissennatezza, la cui crudeltà è degna di tua madre! Strega!!!"

"E non sai ancora quanto!" –Sibilò lei, mentre l’aura cosmica da lei sprigionata investiva completamente Andromeda, lasciandolo per un momento in uno stato di trance. Quando si riscosse, il colore dei suoi capelli era cambiato, in un verde molto più scuro, e il suo sguardo timido e cortese aveva lasciato il posto ad un ghigno serafico, lo stesso che Phoenix gli aveva già visto una volta addosso. Quando Ade si era impossessato di lui. –"La storia si ripete, Cavaliere, ma stavolta non c’è Atena a riportare indietro tuo fratello dalla prigionia oscura cui l’ho destinato! Il suo corpo ormai è perduto, da quando ha indossato quella corazza ha assorbito lentamente il mio ichor, mutandosi in un assassino incosciente ma letale. E adesso, con la mia vicinanza, con il mio apporto diretto, la possessione sarà totale! Pochi attimi ancora, pochi secondi, e del fratello che amasti un tempo, sempre pronto a sacrificare la propria vita pur di non ferire gli altri, non rimarrà niente! Uccidilo, Andromeda! Uccidi il Cavaliere della Fenice!"

Il ragazzo non disse alcunché, limitandosi ad avanzare verso Phoenix, mentre le catene striavano d’argento il cielo plumbeo del Ponto. Una dopo l’altra, in un’infinita sequela, sfrecciarono verso il Cavaliere della Regina Nera, obbligandolo a spostarsi di continuo, in una corsa che presto divenne fuga, incalzato da una pioggia di perigliosi strali che infine lo raggiunsero ad un tallone, facendolo cadere a terra. Subito le catene di Andromeda si chiusero su di lui, stringendolo in un gelido abbraccio, mentre lampi di energia stridevano con forza sulla riforgiata armatura della Fenice, graffiandola, scalfendola, a tratti scheggiandola da tanta potenza Andromeda stava riversando sul fratello.


"Hai qualcosa da dire, Phoenix? Un ultimo discorso prima di abbandonare questo mondo terreno e raggiungere il profondo Tartaro ove precipiteremo tutti i giovani Dei e i loro paladini?!"

"Solo una cosa…" –Mormorò il ragazzo, prima di placare il proprio cosmo, di fronte allo sguardo stupito di Ate e a quello inespressivo di Andromeda. –"Fratello, guardami in faccia! Voglio vedere i tuoi occhi un’ultima volta! Ai tuoi occhi parlo, così puri da non essere degni neppure di varcare le porte dell’Inferno, e a loro avanzo la mia richiesta! Uccidimi, Andromeda! Uccidimi, se la mia morte può ridarti la pace!"