CAPITOLO VENTOTTESIMO: L’URLO DEGLI UOMINI.

Con un solo colpo Zeus aveva scheggiato la cotta protettiva di Atlante, lacerandone la pelle al di sotto e strappandogli un grido di dolore, la prima reale sensazione che era tornato a provare dopo secoli trascorsi nell’oblio delle sabbie desertiche. Adesso il Nume Olimpico sostava a mezz’aria, le grandi ali della Veste Divina spalancate, il cosmo color avorio che risplendeva vivido attorno a sé, rischiarando il tardo pomeriggio ateniese e infondendo nuova speranza nell’animo di coloro che a fatica stavano resistendo.

C’è ancora luce! Mormorarono Asher e gli altri Cavalieri di Atena, riuniti alla Prima Casa, allo stremo delle forze, osservando l’eleganza con cui il Nume Supremo degli Olimpi si muoveva. Reda, Salzius, Nemes, i soldati semplici del Grande Tempio rimasero ammutoliti di fronte all’intenso lucore del suo cosmo, che mai avevano percepito. Anche Mur, Virgo,Tiresia e Castalia, che pure lo avevano incontrato in passato, ne furono comunque rinfrancati. Fu quest’ultima a notare un guizzo di energia violacea scattare tra le gambe del titano, un lampo simile ad una lunga e sottile lancia che andò conficcandosi nel polpaccio destro di Atlante, in un punto non protetto dall’armatura.

A quel gesto seguì un urlo furioso del figlio di Giapeto, che iniziò a scalciare con violenza, distruggendo tutto quel che si ergeva attorno a sé, rocce, edifici o persone.

"Presto! Salite a bordo! Non c’è tempo da perdere!" –Esclamò allora una voce maschile, mentre una sagoma scura planava sui devastati gradini che conducevano alla Casa di Ariete.

"Ma tu sei…" –Mormorò Tiresia, riconoscendo il compagno dal lungo crine azzurro. –"Neottolemo del Vascello! Sei dunque tornato?"

Il Nocchiero di Tirinto annuì, prima di rinnovare l’invito ai Cavalieri di Atena e ai vari soldati di montare a bordo, in modo da allontanarli dall’incontrollata furia di Atlante.

"Fate salire prima i feriti e coloro che necessitano di assistenza!" –Esclamò allora Mur, e anche Virgo, al suo fianco, gli dette ragione, mentre Asher e Nemes si prodigavano per aiutare i vari soldati a issarsi a bordo della Nave di Argo. Quindi anche i due Cavalieri raggiunsero Neottolemo, seguiti da Reda, Salzius e Kama, che scambiò qualche parola con il fedele di Eracle, indicandogli un punto, non lontano, dove Kiki e il Cavaliere del Sestante erano andati poco prima, per radunare le sacerdotesse e gli apprendisti.

"Dobbiamo recuperarli in fretta!" –Spiegò, cercando lo sguardo dei Cavalieri d’Oro, che annuirono concordi, prima di incitare il Nocchiero di Tirinto a gonfiare le vele e andarsene.

"Noi restiamo!" –Precisò Mur, di fronte agli sguardi preoccupati e affranti degli altri Cavalieri di Atena. –"Presidiare le Dodici Case e difenderle da qualunque nemico è il compito dei Custodi Dorati e non verremo meno al nostro onore adesso! Ti preghiamo, nobile Timoniere di Eracle, di condurre i nostri compagni in salvo! Li affidiamo a te!"

Neottolemo del Vascello rispose con un cenno del capo, prima di espandere il suo cosmo e iniziare a far sollevare la nave, allontanandola dallo scontro in atto, che era ripreso con violenza.

Un lampo di luce adamantina aveva appena squassato il tramonto di Atene, anticipando il nuovo assalto del Sommo Zeus, che stava dirigendo le proprie folgori contro il volto di Atlante, sia per ferirlo che per stordirlo con continui e casuali lampi di luce. Al tempo stesso, dal basso, un’agile figura, avvolta in un cosmo violetto, balzellava da una gamba all’altra, piantando una lunga asta di energia nei punti non coperti dall’armatura. Di certo, per il titano, erano punture d’insetto, ma generarono in lui un fastidio crescente, soprattutto perché quello scattante combattente sembrava sapere dove colpire, laddove passavano i tendini dei muscoli.

Fu proprio quel nuovo arrivato ad attirare l’attenzione di Castalia, rimasta alla Prima Casa assieme a Tiresia e ai due Cavalieri d’Oro. Facendo attenzione a non essere colpita dallo scalciare furioso della progenie di Giapeto, la Sacerdotessa dell’Aquila si avvicinò circospetta, osservando colui che lievi ma prolungate sofferenze stava infliggendo al gigantesco avversario, stupendosi nello scoprire che si trattava di un uomo. Un Cavaliere Celeste, a giudicare dall’armatura che indossava.

Simile alle corazze di Nikolaos e degli altri difensori dell’Olimpo, aveva decorazioni color indaco ed era meno coprente di quelle dei suoi defunti compagni, dando un’idea di leggiadria, velocità e freschezza. Il guerriero sconosciuto aveva un fisico snello, all’apparenza non troppo allenato, e un folto ciuffo di capelli castani, tendenti al rossiccio, ma il viso, quello Castalia non poté vederlo, riparato da una maschera che contornava i suoi occhi. Stranita, la donna si chiese chi fosse quell’ardimentoso personaggio, che mai aveva incontrato finora, non ritenendo che vi fossero altri Cavalieri Celesti sopravvissuti, oltre all’Eridano e alla Coppa Celesti.

Quasi avesse sentito il suo sguardo su di lui, il giovane seguace di Zeus si voltò, notandola subito dietro una roccia, ma non ebbe alcuna reazione, se non quella di caricare di nuovo la lunga lancia energetica nel braccio destro e lanciarsi di nuovo all’assalto. Quella donna dal volto ricoperto da un’argentea maschera integrale per lui non significava niente.

***

"Nuovi rinforzi, fallace Atena? Soltanto ulteriori ritardi nel porre fine alla tua infausta e rovinosa esistenza!" –Esclamò Etere, osservando i tre appena giunti in aiuto della Dea di Grecia. Un uomo nerboruto, dalla danneggiata corazza scura, un giovane snello ed elegante, rivestito da una celeste armatura dalle aggraziate forme, ed un terzo ragazzo, dai mossi capelli scuri e dall’acceso sguardo, che subito si era posto a difesa di Atena, il pugno ricolmo di un’energia sfavillante che, il Nume Ancestrale dovette ammettere, ribolliva come ben poche. Uno sfavillio di certo superiore a quello dei cosmi che avevano fino a quel momento tentato di frenare l’avanzata di Atlante. Chi era quel giovane dal così lucente cosmo? Lucente e intenso, persino superiore a quello della Dea che ardiva a difendere. Possibile?

Fu la delicata mano della sorella a porre fine ai suoi dubbi, sfiorandogli una guancia e sorridendogli, ricordandogli chi erano loro. La luce più alta, il cielo più elevato, negati agli umani che di nient’altro erano degni se non di sprofondare nella tenebra stessa che, con le loro azioni sconsiderate, avevano creato. Incapaci di rifuggirla completamente, avevano lasciato che divorasse i loro cuori, non meritando quindi alcuna pietà. Su questo, Etere ed Emera erano concordi, sulla necessità di un nuovo inizio, per il pianeta e per coloro che lo abitavano.

"La vostra razza impura e imperfetta cesserà di esistere quest’oggi! Voi sarete i primi, ardimentosi giovani, se lo desiderate!"

"Ma chi si crede di essere questo?!" –Bofonchiò Pegasus, prima che Atena gli intimasse di fare attenzione.

"Il suo nome è Etere ed è uno dei figli di Nyx, Divinità la cui potenza ben ricorderai, Cavaliere, non è così?!" –Mormorò allarmata, strappando un moto di sorpresa, e forse recondita paura, al suo paladino, prima che questi riacquistasse la sua solita apparenza spavalda.

"Bene, pare che oggi sia destinato a incontrare tutti i parenti della Dea della Notte! Prima il suo compagno, adesso i suoi figli! Ha anche dei nipoti da presentarci?!" –Ironizzò, avanzando, il cosmo azzurro che sfolgorava attorno a sé.

"Dubito che ti piacerebbe conoscerli, Cavaliere! Per cui, accontentati della nostra presenza! Sarà transitoria, comunque!" –Rispose Etere, prima che Pegasus, sorprendendo lo stesso Nume, balzasse in alto, aiutandosi con le ali della sua ricostruita corazza, e si lanciasse su di lui.

"Fulmine di Pegasus!!! Iaiii!!!"

La miriade di meteore luminose riempì lesta l’aria, rubando al Dio Ancestrale un’espressione di puro stupore, pur senza raggiungerlo, riparato da un’invisibile barriera che frenò, parò e infine rimandò indietro tutti i colpi del ragazzo.

"Attento, Pegasus!!!" –Si preoccupò subito Atena, dal basso, ricevendo in cambio un sorriso dal suo Cavaliere, che, aspettandosi quella mossa, tipica di tutti gli Dei affrontati fino ad allora, si era già spostato, con un ulteriore colpo d’ali, portandosi al di sopra dell’onda di ritorno del suo attacco. Quindi, senza indugiare ulteriormente, aveva radunato il cosmo sui pugni, chiudendo le braccia sopra di sé e poi calandole in avanti, liberando un unico devastante attacco.

"Cometa lucenteee!!!" –Gridò, piombando su Etere. Ma anche quell’assalto fu vano, venendo fermato dal cosmo del Nume che, portato un braccio avanti, lo aveva concentrato sul palmo aperto della mano destra, lo stesso che adesso mosse verso il basso, travolgendo il Cavaliere di Atena con un’onda luminosa e scagliandolo a terra, contro il frontone della Tredicesima Casa.

"La sua aura cosmica è spaventosa, pari a quella del Tenebroso che ci ha massacrato sull’Olimpo!" –Analizzò allora Eracle, mentre Nikolaos dell’Eridano Celeste, al suo fianco, annuiva. –"E quella della sorella è vasta altrettanto! Eppure… non percepisco in loro traccia alcuna di oscurità! Privi sono i loro cosmi di qualsivoglia sfumatura violenta o desiderio di morte, quasi come non provassero niente!"

"E così è, figlio di Zeus!" –Intervenne il Signore della Luce del Cielo, planando verso di lui. –"Noi siamo gli Dei perfetti, privi di macchia! Come potremmo covare l’ombra dentro noi? Come Nyx e Erebo rappresentano le tenebre primordiali, del mondo degli uomini e degli Inferi, noi per contrapposizione siamo le prime luci, sorte durante l’alba della Terra!"

"Se avete contribuito a diffondere la luce, perché adesso volete toglierla agli uomini?! Perché combattete con Erebo?!"

"Gli uomini… Umpf! Razza meschina ed errata! Grave dispiacere riempì l’animo dell’Unico quando fu chiaro a tutti, lui per primo, quali nefandezze gli esseri umani erano in grado di compiere! Incapaci di discernere tra bene e male, tra luce e ombra, hanno claudicato per millenni, nutrendosi dell’uno e dell’altra, avvelenandosi il cuore con entrambe le emozioni, senza riuscire a controllarle, privi di equilibrio e raziocinio, quasi fossero bestie! Spettacolo infimo hanno offerto a noi, che sedevamo dall’altra parte del varco, logorandoci senza poter intervenire, senza poter scendere sulla Terra e gridare loro: Non la volete la luce? Non ne siete degni allora! Per tanto ve la toglieremo! Ed è quello che faremo oggi, estirpando una stirpe non degna di esistere e creandone poi una nuova, totalmente bianca! Nel mondo che sorgerà domani non esisteranno più razze imperfette, ma solo esseri puri, totalmente candidi o totalmente oscuri! Le vie di mezzo, quegli strani ibridi che gli umani son divenuti, saranno estirpate!"

"La tua concezione del mondo è una follia, Etere!" –Parlò allora Pegasus, rimettendosi in piedi e avvicinandosi ad Atena e ad Eracle. –"Un mondo come lo concepisci tu, perfetto e immacolato, può esistere solo nei sogni, anzi nei deliri, di una Divinità che non ha mai vissuto!"

"Come osi, infame mortale?!" –Avvampò il Nume, espandendo il proprio cosmo. Ma prima ancora che potesse muovere un braccio, il ragazzo era già scattato avanti, avvolto nello sfavillio di un cosmo forte del Nono Senso, con il braccio teso e il pugno carico di energia. Un pugno che, sebbene non riuscì a crepare le difese del Nume, fu abbastanza forte da spingerlo indietro, oltre i margini del piazzale, lasciandolo sospeso sul baratro generato dalla sorella un’ora addietro.

"Proprio perché sono un mortale capisco com’è bello questo mondo! Un mondo dove tu non hai mai vissuto, Etere! Un mondo che tu non hai mai conosciuto!" –Continuò Pegasus. –"Perché se tu lo avessi fatto, anche solo per un giorno, se tu avessi camminato tra gli uomini che tanto disprezzi per la loro natura arbitraria, ne avresti percepito la forza, la profonda convinzione che li sorregge, l’ansia di vivere ogni attimo dell’esistenza, fieri e consapevoli di disporre di una vita soltanto e di voler, pertanto, goderne appieno, sperimentando ogni piacere, ogni dolore, ogni momento in grado di farli sentire vivi! Luce e ombra, bene e male, in una commistione che non è mancanza di equilibrio bensì la ricerca di una conciliazione personale, interiore, cui ognuno risponde a modo proprio!"


"La tua risposta, Cavaliere di Pegasus, è ben misera, allora!" –Chiosò il Nume, sollevandosi di nuovo in cielo, una bianca e diafana figura contro un cielo plumbeo.

"La mia risposta non l’hai ancora udita!" –Si limitò a commentare il ragazzo, bruciando il proprio cosmo, prima di voltarsi verso Atena e gli improvvisati compagni, quasi a chieder loro se fossero con lui. –"Eccola, Etere! Eccoti il Fulmine di Pegasus, il lampo del destriero alato!!!"

"E solo non sei, mio buon amico!" –Intervenne allora il Luogotenente dell’Olimpo, aprendo le braccia e lasciando che un fiume di celeste energia fluttuasse attorno a sé, prima di avvicinare le mani e radunare il cosmo in un'unica fulgida sfera di luce. –"Gorgo dell’Eridano!!!"

"Eracle è con voi! Un Dio degli uomini e per gli uomini! Fiere del mito, ruggite!!!" –Aggiunse il figlio di Zeus, liberando la foga delle bestie da lui vinte del Mondo Antico, cui presto andò a sommarsi la sfavillante energia generata da Atena, che puntò la Lancia di Nike verso il cielo, passando attraverso i tre attacchi distinti e mirando, al pari di loro, al cuore di Etere.

"Uomini stolti e ignoranti!" –Commentò questi, abbassando gli occhi, quasi un velo di tristezza ne avesse opacizzato l’etereo splendore. Ma bastò quel gesto a fermare il poderoso attacco, che si schiantò di fronte a lui, contro un velo sottile ma resistente, un velo le cui propaggini esterne presto si richiusero, come fossero petali di un fiore, racchiudendo dentro sé la devastante potenza liberata dai quattro compagni. Quella stessa potenza che, semplicemente riaprendo gli occhi, Etere diresse contro di loro.

Fu un boato terribile, che distrasse persino Zeus, intento a lottare con Atlante, quasi permettendo al titano di colpirlo col braccio destro. Alla Prima Casa, Mur e Virgo levarono lo sguardo verso la cima della collina, avvolta in un’improvvisa alba, che esplose poco dopo, scuotendo l’intero rilievo. Faglie si aprirono ovunque, la bianca gradinata andò in frantumi in più punti, mentre lastre di marmo sparivano nelle fenditure del terreno, che accolsero anche molte colonne e architravi di templi costretti ad abiurare al loro antico splendore. La Tredicesima Casa esplose in una miriade di schegge bianche e grigie, assieme al mobilio, agli specchi, ai tendaggi color porpora e allo stesso trono su cui i Grandi Sacerdoti, e Atena stessa, avevano a lungo seduto. La già provata pavimentazione di fronte all’ultimo tempio si sollevò come un’onda di marmo, sbalzando Pegasus, Nikolaos, Atena ed Eracle in cielo, fino a schiantarli tra le macerie pochi interminabili istanti dopo. Pochi istanti in cui il loro mondo, soprattutto quello della Dea della Guerra, era del tutto cambiato.

Rialzandosi a fatica, aiutandosi con lo Scettro di Nike, la fanciulla dai capelli viola si guardò intorno con scoramento, mentre la brezza della sera smuoveva i resti del suo palazzo, ormai in rovine. Solo una statua rimaneva, una soltanto rimase impassibile al proprio posto, triste e silente come a Pegasus era sempre apparsa, stoica nel suo permanere a difesa degli uomini. Fu a lei che diresse lo sguardo il Cavaliere Divino quando si rimise in piedi, alla statua d’oro di Atena che ornava la terrazza sul retro della Tredicesima Casa, ove l’onda di energia non era giunta. A testimoniare che, pur in quel mondo destinato a perdersi nel caos primordiale, qualcuno ancora resisteva.

"Noi ancora resistiamo!" –Mormorò il ragazzo, stringendo i pugni, le lacrime che gli rigavano il viso, e voltandosi con rabbia verso Etere. –"Ti professi Dio di luce, ma vedo in te la stessa indole distruttrice di tuo padre, il Tenebroso! In che altro modo giustificheresti quest’immotivata devastazione? Con quali pallide scuse giustifichi il massacro e la morte da te scatenati quest’oggi ad Atene?"

"Non con te devo giustificarmi, essere umano!" –Precisò il Nume, al che Pegasus scosse la testa.

"No, infatti! Devi farlo con te stesso!" –Aggiunse, bruciando ancora il proprio cosmo.

Atena, Eracle e Nikolaos lo avevano attorniato, ma egli era l’unico la cui fiamma rilucesse così intensa da rischiarare il cielo, al pari del cosmo di Zeus ai piedi della Collina della Divinità. Forse era grazie all’ichor del Signore del Fulmine, che pulsava in lui tramite la ricostruita corazza, forse era l’impeto della gioventù, la completa padronanza del Nono Senso, la volontà, quasi la smania, di difendere coloro che amava e dimostrare l’ inspiegabile capacità del genere umano di risollevarsi sempre dalle proprie rovine. Quale che fosse il motivo, il destriero alato galoppò di nuovo verso Etere, spalancando le bianche ali, sorretto dai cosmi di Atena, Eracle e Nikolaos, che gli diedero lo slancio per balzare sempre più in alto, di fronte a uno stupefatto Signore della Luce.

"Non sarà primordiale come la tua, Etere, ma questa è la luce di Pegasus! La luce della speranza! Fulmine di Pegasus!!!"

Nuovamente l’attacco luminoso si schiantò contro la barriera posta a difesa del Nume, la barriera che Etere non doveva neppure evocare, semplicemente esisteva a proteggerlo da tutto ciò che era infimo e inferiore al mondo, tutto ciò che, a differenza di lui e della sorella, era imperfetto. E nuovamente Pegasus fu spinto indietro, schiantandosi tra le rovine, a pochi metri dalla testa mozzata di un pesce di marmo che ancora zampillava acqua.

Il Luogotenente dell’Olimpo si avvicinò per aiutarlo a rialzarsi, ma venne investito da un’onda di smisurata potenza, che lo sollevò e lo scaraventò distante, ai piedi della statua di Atena, stordendolo.

"Giunge infine il tramonto per gli Dei di Grecia! La terza generazione cosmica, e la progenie da essa generata, è destinata a cadere! Ora!" –Commentò Etere, volgendo il palmo della mano su Eracle e Atena.

"Preparati, sorella!" –Esclamò il primo, rifulgendo nel proprio cosmo. –"Sono con te, fratello mio! Per gli uomini e con gli uomini!" –Aggiunse la Dea, citando le parole pronunciate poc’anzi dal Signore di Tirinto. –"Grazie!" –Fu la risposta di Eracle, prima che liberasse una tempesta di energia. –"Fede negli uomini!!!".

Atena unì il proprio cosmo a quello del Vindice dell’Onestà, osservando la grazia con cui Etere parò l’attacco, deviandolo con un solo movimento del braccio, sebbene adesso la sua espressione fosse mutata. Non più il placido candore di un’entità eterea, bensì tratti induriti dal fastidio crescente per uno scontro ancora non conclusosi, per una resistenza che non avrebbe immaginato, per un continuo rialzare il capo da parte di creature che reputava inferiori.

"Dobbiamo riprovare, unendo tutte le nostre forze!" –Esclamò allora Pegasus, avvicinandosi alle due Divinità nate da Zeus. Aveva perso l’elmo della corazza e una ferita gli trinciava a metà la guancia destra, ma di certo non aveva perso la determinazione che gli era propria. Sorridendo, Atena pensò che per lui, più che per ogni altro amico, Nike dovesse avere una simpatia particolare. E non era l’unica, in fondo.

Si sorprese però nell’udire la proposta del ragazzo, non tanto per il timore dell’infamia che aveva colpito chi, in passato, aveva utilizzato tale tecnica, quanto perché il fatto che fosse un Cavaliere ad unire il proprio cosmo a quello di due Dei rimarcava quanto fosse cresciuto, sia lui che l’energia cosmica che portava dentro.

"Non abbiamo scelta!" –Continuò, trovando Eracle d’accordo con lui. Sospirando, anche Atena accettò, consapevole che quell’attacco combinato avrebbe avuto una sola sicura conseguenza. La fine del mondo di pace cui a lungo aveva agognato. La fine di un ordine che lei stessa aveva imposto a chi viveva nel suo regno. Se persino la Dea che l’aveva vietato, si costringeva ad usare il colpo proibito, il tempo era davvero finito. –"E sia!" –Ammise infine, inchinandosi tra i due uomini, che si disposero di lato a lei, entrambi con le braccia rivolte in avanti, ricreando la Postura della Triade e la sincronia necessaria per fondere i loro cosmi in uno soltanto.

Così sarebbe stato il loro assalto, forte e vigoroso come il campione di Tirinto era stato nel Mondo Antico, vincendo molteplici fatiche; lucente come una cometa, sostenuto dallo sfavillio delle tredici stelle del destriero alato, destinato, fin dalla nascita, ad andare oltre, a volare sempre più in alto; infine retto e giusto, dovuto alla necessità di salvaguardare coloro che erano preposti a difendere, gli uomini, di cui erano i tre massimi protettori.

"Per loro!!! Per gli uomini!!!" –Gridò Pegasus, espandendo il proprio cosmo ancora di più, in uno scintillio che sormontò la Collina della Divinità, quasi fosse un’aurora improvvisa. Ma prima che potesse gridare il nome della tecnica proibita, Atena lo interruppe, precisando che ormai non era più il suo colpo. Ormai quel colpo non era più niente, solo un retaggio del passato, e non a quello dovevano guardare.

"Bensì al futuro di questo splendido pianeta che abbiamo imparato ad amare! Insieme, compagni! Urlo degli uomini!!!" –Esclamò la Dea, liberando l’energia cosmica raccolta in quei brevi minuti.

"Urlo degli uomini!!!" –Le fecero eco Pegasus ed Eracle, sommando il loro cosmo a quello di Atena e dirigendolo, come un maestoso uccello dalle ali bianche, verso il Nume Ancestrale.

"Quale potenza!" –Commentò quest’ultimo, sentendosi per un momento paralizzato, persino incredulo di fronte a tale devastante potere. Certo, si disse, per ritrovar coraggio, se anche lo avesse investito in pieno, senza difesa alcuna, non sarebbe bastato a vincerlo, ma di certo lo avrebbe strapazzato, facendogli rimpiangere l’immobilità cui era stato costretto nell’intermundi. Eventualità che Etere non voleva neppure prospettare.

"Luce del cielo!!!" –Imperò, spalancando le braccia di lato e contrastando l’assalto congiunto con un accecante bagliore biancastro, di un bianco così nitido come doveva essere all’alba dei tempi, prima che i colori venissero creati. Un chiarore che si scontrò con l’Urlo degli Uomini, generando presto un’enorme massa di energia che andò aumentando sempre più, in maniera esponenziale, di fronte agli occhi terrorizzati di tutti coloro che ancora restavano nel Santuario.

Persino Neottolemo, Kama e gli altri Cavalieri di Bronzo, che si erano allontanati fino a portarsi in cima ad un promontorio, da cui avrebbero potuto facilmente prendere il mare, rimasero atterriti di fronte a quel sole improvviso che pareva squarciare la sera ateniese. Un sole i cui raggi parevano pronti a ghermire e distruggere tutto ciò che stava loro attorno.

"Resistete!!!" –Gridò Pegasus, mentre la pressione generata spingeva i tre compagni indietro, facendo scavar loro solchi nel devastato piazzale. –"Non possiamo cedere ora!!!" –Li rincuorò Eracle. –"Tutta quest’energia o investirà Etere o noi, e con noi sarà spazzato via l’intero Grande Tempio!"

Quella nefasta prospettiva diede a Pegasus l’impeto per bruciare tutto quel che restava della sua vita, dei suoi ideali e dei suoi sogni per il futuro, riuscendo a stabilizzare di nuovo la grande sfera energetica, stupendo lo stesso Signore del Cielo per la tenacia con cui contrastavano il loro volere. Deciso a spazzarli via, Etere portò allora entrambe le braccia avanti, sfiorando l’enorme massa di energia, pronto per scaraventarla contro gli avversari, quando percepì una variazione nell’armonia.

Qualcuno aveva spezzato l’equilibrio di forze in campo.

"Emera!" –Mormorò, riconoscendo il tocco familiare della sorella, che gli aveva appena afferrato un braccio. Guardandola in volto, Etere ne fu turbato perché per un momento le parve di non riconoscerla, di non capire quel che la gemella provava.

Dal canto suo la taciturna Dea del Giorno si limitò a scuotere la testa, prima di espandere la propria aura, avvolgere l’enorme massa energetica e spingerla verso l’alto.

"Ma… cosa?!" –Balbettò Etere, non comprendendo le sue intenzioni.

Con un ultimo gesto, Emera spinse via tutta quell’energia, lasciando che detonasse nell’alto cielo sopra Atene, un’esplosione così potente da spazzar via tutte le nuvole e rivelare, sia pure per poco, un pezzo di cielo libero, immerso nella silenziosa ma naturale oscurità della sera.

"Sorella, perché?!"

Emera non disse niente, come non aveva parlato per tutta la durata dello scontro tra il fratello e i protettori degli uomini, limitandosi ad osservare, allo stesso modo in cui aveva osservato i pallidi tentativi dei soldati di Atena e dei suoi Cavalieri di opporsi alla progenie di Giapeto. Aveva visto molte cose, alcune che ben si aspettava, un atteggiamento di bellica resistenza innato nell’animo umano; ma aveva visto anche altro, gesti che l’avevano stupita. Solidarietà, fratellanza, generosità d’animo, una luce che non credeva gli umani possedessero. E una voce che aleggiava parlando al suo animo, una voce che, a chiunque appartenesse, pareva avere ragione.

Solo poco prima, quando aveva espanso il cosmo per intervenire in aiuto di Etere, quelle parole avevano lasciato il segno.

"Non farlo, madre! So che non vuoi farlo!"

Madre… Mormorò, prima di mettere da parte quei pensieri e rivolgersi al fratello, che la osservava stranito.

"Sei sporco!" –Si limitò a dirgli, indicandogli la veste inzaccherata dalla polvere. –"Non è da te. E cos’è questo volto tirato? Emerge ansia in te, fratello mio. Sei tutto scarmigliato, il tuo volto è imperlato di sudore e la tua chioma, oh, rideresti da quant’è buffa se tu potessi vederla!" –Gli sorrise, carezzandogli i capelli color avorio, salvo poi tornare seria poco dopo. –"Che ne è della nostra perfezione? Percepisco rabbia nel tuo cuore mentre il dubbio alberga in me, incertezze che desidero condividere con te, l’unico che possa comprenderli. Perciò ti prego, Etere, fratello mio, andiamocene! Ci penserà Atlante a distruggere quel che resta di questo devastato santuario. Non sporchiamoci ulteriormente le mani! Non diventiamo come loro!"

Etere soppesò le parole della sorella per qualche istante, spostando lo sguardo da lei ai tre che affannavano ai suoi piedi, crollati sulle ginocchia, feriti e sudati per il prolungato sforzo. A guardarli, il Nume capì che non voleva essere così, non voleva apparire come loro e il solo pensarlo lo infastidì.

"Hai ragione!" –Esclamò infine, rilassando il volto e quietando il proprio cosmo. Quindi afferrò la mano di Emera, sorridendole dolcemente e incamminandosi verso l’alto cielo, quasi stessero passeggiando su un sentiero di stelle. Non udirono altro, neppure la voce di Pegasus che gli stava chiedendo dove stessero andando.