CAPITOLO TRENTACINQUESIMO: L’ULTIMO ADDIO.

Mur era rimasto ad Atene.

A differenza di Virgo, che aveva seguito Euro e Nikolaos in Egitto, il Cavaliere di Ariete aveva scelto di restare. Non solo per la stanchezza che lo dominava, fisica e mentale; non solo perché la sua presenza era necessaria per prendersi cura dei feriti e riparare le loro armature, come Kiki già stava facendo, da solo, alla Prima Casa. Ma anche per sincerarsi di un dubbio che lo aveva invaso nelle ultime fasi del combattimento contro Atlante.

"Dove vai, Mur?" –Gli aveva chiesto Virgo, prima di partire.

"Ci rivedremo presto, amico mio!" –Aveva chiosato il Custode del Primo Tempio, allontanandosi a passo deciso verso la parte orientale del Santuario, una zona poco frequentata, tagliata da una mulattiera accidentata che portava al cimitero dei Cavalieri e, andando oltre, alla Collina delle Stelle. Proprio là, al Cancello Orientale, avrebbero dovuto stazionare i Cavalieri delle Stelle che Avalon aveva affidato ad Atene, eppure, per tutta la durata dello scontro, non erano intervenuti.

Perché? Cos’era successo di così grave da impedire loro di prestare aiuto? Temeva Mur che qualche nemico avesse tentato un’incursione da est, sfruttando il terreno impervio per nascondersi alle vedette, e il cosmo oscuro che aveva percepito poc’anzi sembrava provenire proprio da quell’area. Un cosmo che credeva di aver già affrontato in precedenza.

E se ho ragione, sono l’unico che può fermarlo! A qualunque costo! Si disse, raggiungendo infine le mura orientali, che chiudevano il Grande Tempio di Atena, confluendo in un rozzo portone, molto meno decorato di quello principale. Un ingresso di solito riservato alle truppe o al Sacerdote diretto all’altura sacra, che non ai fedeli o ai visitatori, che tendevano a passare dalle porte occidentali e centrali.

Proprio là, in quella ristretta piazza, Mur vide i corpi delle guardie gettati a terra, dilaniati da affondi decisi che avevano raggiunto subito i loro cuori, con precisione estrema. Chinandosi su un soldato, ne tastò la ferita, notando che il sangue era ancora fresco. Poteva dunque salvarlo? C’era ancora speranza?

No! Fu costretto ad ammettere quando percepì l’incombere di un’ombra alle sue spalle. Fece appena in tempo a voltarsi che una lama di energia violacea si abbatté su di lui, che la evitò con il teletrasporto, trinciando in due macabre metà il corpo della guardia ferita.

"Ancora vivo?!" –Esclamò il Cavaliere d’Oro, che ormai poteva vedere il viso butterato dell’avversario, il massiccio corpo illuminato dalla misera luce proiettata dalle torce affisse alle mura e disseminate lungo il sentiero.

"Potrei dire lo stesso di te, Ariete! Non che mi dispiaccia! In fondo sono venuto solo per te!" –Ghignò l’altro.

"Cosa vuoi dire?!"

"Sei la cagione della mia caduta e del disprezzo che la Dea Notte mi ha mostrato, incolpando me e tutti i figli di Eris del fallimento della missione sul Dhaulagiri!" –Spiegò il guerriero, avanzando verso Mur. –"A causa del tempo perso ad affrontare te e il Drago, le Amphilogie sono state sconfitte e Polemos e Chimera hanno potuto completare la missione che mi era stata affidata, venendo glorificati al posto mio! È un’ironia bastarda quella che mi ha condannato, Ariete! Un’ironia per cui Nyx mi ha accusato di essere venuto meno al giuramento che le avevo fatto, quando le avevo promesso la distruzione della colonia di Mu e un prezioso ostaggio! Capisci?! Io, Horkos, punitore di coloro che violano un giuramento, condannato proprio per tale infamante accusa!!! Non so dove sia quel damerino del Dragone, ma dato che tu sei qua, inizierò con te!"

"Non aspettavo altro! Non è mia abitudine lasciare questioni in sospeso, tanto più con i miei nemici!" –Rispose il Cavaliere d’Oro, espandendo la propria aura cosmica, ben inferiore rispetto a quella che aveva ostentato dentro le profondità del Dhaulagiri.

Anche Horkos parve accorgersene, allungando le labbra in un perfido sogghigno, prima di scattare avanti, il braccio destro intriso di energia violacea, che diresse lesto verso il cuore di Mur sotto forma di una rozza mannaia.

"Sturmjan!!!" –Tuonò il figlio di Eris.

Il Cavaliere di nuovo evitò l’affondo spostandosi a destra del guerriero, la mano già levata in alto, carica di energia cosmica pronta a detonare. –"Rivoluzione di stelle!!!" –Esclamò, liberando il colpo segreto appreso da Shin.

"Ridicolo!!! Una pioggerellina di luce dovrebbe intimorirmi, forse?!" –Ringhiò Horkos, lanciandosi in mezzo a quella miriade di stelle cadenti, incurante dei danni che producevano alla sua già danneggiata Veste Divina o al suo corpo, ustionandolo in vari punti, compresa la testa. –"Ferite ben più consistenti ho sopportato! E tu, che hai ammirato il mio viso da vicino, puoi testimoniarlo, Ariete! Ora fammi un favore, muori!!!" –Di nuovo caricò con il braccio destro teso avanti a sé, l’enorme mannaia di energia violacea che rilucette tetra nella sera di Atene. Di nuovo Mur evitò tale affondo teletrasportandosi alle sue spalle, osservando con orrore, e con il respiro affannato, il Dio schiantarsi contro il muro di confine e danneggiarlo, prima di voltarsi e fissarlo con rabbia.

"Non puoi scappare per sempre, bel montone! Prima o poi ti mozzerò le corna!"

Dice il vero! Rifletté il Cavaliere di Ariete, già provato per gli scontri precedenti e per aver riparato le armature di Ioria e degli altri. Tentò di elaborare una strategia, nei pochi attimi che Horkos gli concedeva tra una carica e l’altra, ammettendo di non avere strumenti con cui contrastarlo. Aveva già provato con la psicocinesi, fallendo miseramente, e anche i suoi colpi segreti sembravano inefficaci. Forse l’Onda di Luce Stellare avrebbe potuto spazzarlo via, ma da quella distanza il figlio di Eris l’avrebbe evitata prima che lo raggiungesse. Era un Dio, in fondo, questo Mur non doveva dimenticarlo se voleva vincere.

Vincere? Prospettiva che mai come in quel momento gli apparve lontana anni luce, ben più dell’intermundi in cui Caos aveva dimorato in famelica attesa.

"Sturmjan!!!" –Gridò Horkos di nuovo, piombando su di lui, costringendo Mur a un gesto disperato.

"Muro di Cristallo!!!"

"È inutile, Ariete!" –Ringhiò il Dio, distruggendo l’effimera protezione con un paio di decisi affondi. –"L’efficacia e la resistenza della tua tecnica di difesa dipendono dal tuo cosmo, e con un cosmo ridotto al lumicino cosa pretendi di fare? Di certo non puoi trattenere la tempesta insita nel mio attacco!!!"

Ha… ragione… Mormorò il Cavaliere di Atena, venendo spinto indietro, tra i frammenti di luce del suo stesso muro, fino a schiantarsi contro un mucchio di rocce alle sue spalle, con l’armatura scheggiata in più punti. L’unica armatura, tra tutte quelle cui aveva lavorato, che non era riuscito a riparare, per essersi prima dedicato agli altri.

"Muori, caprone!!!" –Avvampò Horkos, calando il braccio rivestito di energia cosmica su Mur, che tentò di rallentarne la corsa con i suoi poteri mentali. Per un momento il Dio parve risentirne e il suo arto rimase bloccato a mezz’aria, un infimo lasso di tempo di cui Horkos ebbe bisogno per spezzare la concentrazione del Cavaliere e tornare a muoverlo, distruggendo il muro di roccia, davanti al quale Mur non c’era già più.

Lesto, si era gettato di lato, ruzzolando per qualche metro sul selciato, per poi tirarsi su, lasciando una mano a sfiorare il suolo, infondendovi ogni stilla del suo cosmo.

"Resta lì, da bravo, non muoverti!" –Ghignò il figlio di Eris, voltandosi verso di lui. Ma non riuscì a fare due passi che sentì qualcosa strattonargli il braccio, una vischiosa sostanza che notò provenire dalla parete di roccia appena abbattuta, scivolando su di lui sotto forma di bianchi filamenti che andavano a congiungersi proprio ai piedi di Mur, dove ancora il suo cosmo brillava. –"Una ragnatela di energia?! Mi hai forse scambiato per una mosca?! Ben più combattiva sono, un’ape al massimo! Un’ape dal sanguigno pungiglione! Ih ih ih!" –Ringhiò, bruciando il proprio cosmo in un’unica vampata di energia che incenerì l’intelaiatura con cui il Cavaliere aveva tentato di fermarlo, allungandosi famelica verso di lui. –"Sturm und Drang!!!" –Esclamò, mulinando il braccio come fosse una lama e creando un poderoso fendente di energia che si sommò alle vampe violacee, sfrecciando verso Mur.

"Cuneo di cristallo!!!" –Commentò questi, che aveva approfittato di quel momento per radunare le ultime forze, concentrandole in un’abbozzata tecnica in grado di combinare difesa con attacco. Un cuneo di energia che si aprì di fronte a sé, come due muri di cristallo uniti in un angolo acuto, tenendo le vampe energetiche a distanza e deviando persino l’assalto di Horkos, abbattendosi infine su di lui e scagliandolo indietro, con una vistosa crepa sul pettorale della Veste Divina.

"Maledetto, montone! Tagliarti le corna non sarà sufficiente!!!" –Ringhiò furioso il Dio punitore. –"Te le pianterò nel cuore, usandole per sventrarti e infilzare ogni singolo organo interno, portandoli poi in dono a tua madre e facendoglieli mangiare!"

"Le tue parole sono blasfeme! Sei un demone immondo!"

"Tutt’altro! Le mie parole sono una promessa, Ariete! La giusta pena in cui colei che ti ha messo al mondo incorrerà presto! Giusto il tempo di ricordarti il tuo posto nell’ordine delle cose!" –Ghignò Horkos, muovendo rapido il braccio e liberando un fendente di energia che scavò nel suolo tra i due contendenti, sollevando un’onda di terriccio e polvere che si abbatté su Mur, distraendolo e coprendogli la visuale.

Il figlio di Eris approfittò di quel momento per scattare avanti, al pari del suo stesso assalto, piombando sul Cavaliere d’Oro e ferendolo al bracciale sinistro con un secco affondo, che gli schiantò l’armatura. Un secondo colpo di mannaia e anche dal ventre schizzò fuori del sangue. Mur tentò allora di spingere il nemico indietro con i suoi poteri psichici ma, a parte un breve solletico, non strappò altro al Dio. Nemmeno riuscì a frenarne il movimento del braccio, quando lo sollevò davanti a lui, tanto debole e privo di forze si sentiva ormai. Poté soltanto afferrargli il polso con entrambe le mani, venendo prostrato a terra dall’impatto, ma riuscendo comunque a tenerlo a distanza dal suo viso.

"Ritardare l’inevitabile mi renderà solo più affamato, Ariete! E quando avrò finito con te andrò a sgozzare tutti i sopravvissuti alla furia di Atlante! Nessuno, in questo Santuario in rovina, vedrà una nuova alba!"

A quelle parole Mur avvampò, bruciando ogni goccia del proprio cosmo, più di quanto avesse mai fatto prima. Ricordò le battaglie sostenute nei quindici anni trascorsi dalla sua investitura, lo scontro con il terribile Giapeto e l’Ecatonchiro al suo servizio, gli intrighi di Arles e i timori di Libra. Ricordò l’attacco degli Spectre al Grande Tempio, la morte che Radamante credeva di aver loro inflitto, quindi la rinascita dal gelido inferno e le battaglie sull’Olimpo, contro Eros, Tifone e Ampelo del Vendemmiatore. Tutte combattute in nome di Atena, per tenere fede al suo ruolo.

Ma adesso Atena se ne era andata, il Santuario era stato distrutto, persino le Dodici Case erano crollate, devastate da poteri superiori a qualunque Divinità avesse fino ad allora tentato di occuparle. C’erano rimasti solo i soldati, i Cavalieri di Bronzo e coloro che nelle Dea credevano, e tra questi c’era suo fratello. Per lui avrebbe combattuto, per dargli un futuro. Per impedire a quell’orco demoniaco di levare la mano su di lui, preservandone l’innocenza.

"Kiki…" –Mormorò Mur, avvolto nella sua dorata aura cosmica, prima di spingere il Dio indietro, schiantandolo a terra, trafitto da una pioggia di stelle.

Per un paio di interminabili minuti il Cavaliere credette davvero di aver vinto, i sensi ormai offuscati dalla stanchezza e dalla debolezza di un corpo che aveva violentato oltre ogni possibilità. Barcollò, sforzandosi di rimanere cosciente, fino ad avvicinarsi alla parete di roccia e appoggiarsi ad essa, respirando a fatica. Un bagliore attirò la sua attenzione, un luccichio che parve provenire da un’altura distante, che in quel momento non riuscì a identificare, ben sapendo cosa rappresentasse. Il luogo dove il suo maestro era stato ucciso.

Furono quei pensieri a impedirgli di udire il rantolo rabbioso del figlio di Eris, che si era appena rimesso in piedi, l’inveire furibondo contro un avversario tempestato di epiteti dispregiativi e infine la carica verso di lui, il braccio avvolto in una vampa di energia violacea a ricreare una rozza lama. Non udì niente di tutto questo, il discepolo di Shin, soltanto lo schiantarsi dell’armatura d’oro e l’affondare di Horkos nella sua gabbia toracica. Quasi come il corpo non gli appartenesse più, incapace persino di provare dolore, Mur abbassò lo sguardo per un momento, ad osservare l’arto del Dio inzuppato del suo sangue, prima di concedersi un ampio sorriso, così raggiante che persino Horkos lo notò, non comprendendolo.

"Cos’hai da sorridere, stupido? La perdita della vita ti ha reso pazzo?"

"Mai stato più lucido!" –Si limitò a commentare il Custode della Prima Casa. –"Da tempo cercavo un modo per avvicinarmi a te e questo tuo attacco me ne ha offerto l’occasione! Dovrei ringraziarti…"

"Che… stai dicendo?!" –Ringhiò il Dio punitore, tentando di estrarre il braccio e accorgendosi, con stupore, di non riuscire a muoverlo. Neanche esercitando una forza maggiore. –"Ma che pensi di ottenere? Mollalo, idiota!!!"

"Non sono un idiota, figlio di Eris, ma un Cavaliere d’Oro! Sono Mur dell’Ariete, allievo del grande Shin, discendente del popolo di Mu, e questa è la mia luce!!!" –Gridò l’uomo, espandendo al massimo il proprio cosmo, concentrandolo sul palmo della mano destra che premette contro il cuore del nemico. –"Onda di luce stellare!!!"

La straordinaria esplosione di energia scagliò entrambi in aria, in un arcobaleno di bagliori, sangue e cocci di armature, fino a lasciarli ricadere al suolo, nel devastato spiazzo antistante al Cancello Orientale, proprio mentre una piccola sagoma si avvicinava, correndo a perdifiato lungo la mulattiera.

"Mur!!!" –Gridò, raggiungendo il Cavaliere di Atena e chinandosi su di lui, osservando con orrore l’ampia ferita al costato. –"Lascia che ti aiuti! Ti prego!" –Ansimò, poggiandovi la mani sopra e sprigionando un caldo tepore. –"Posso curarti… io… posso curarti, fratello!"

"Non importa, Kiki…" –Mormorò Mur a fatica. –"Va bene così…" –Quindi, voltato lo sguardo verso il cadavere di Horkos, si concesse un ultimo sorriso di fronte al suo corpo crivellato, certo che la sua arma non avrebbe potuto commettere ulteriori stragi per quella notte. –"Ho avuto quel che volevo… Vorrei solo… aver fatto di più… essere riuscito a salvare nostra madre…"

"La salveremo insieme, Mur! Andremo insieme a liberarla!!!" –Pianse il fratellino. –"Coraggio, Mur!!! Devi resistere! Tu devi…" –Ma il Cavaliere d’Oro mosse a malapena un braccio, afferrandogli la mano e guardandolo negli occhi.

"Sii forte! La guerra non è finita e Atena avrà bisogno anche di te! Un giorno, quando questo tempo cosmico sarà giunto alla fine, tu sarai il Cavaliere d’Ariete e allora difenderai il Palazzo del Montone Bianco meglio di me. Addio, fratello mio! Addio, piccolo Kiki!" –Mormorò l’allievo di Shin, prima di spirare.

"Mur!!!" –Gridò il bambino, scuotendo il corpo senza vita del fratello, picchiandolo, prendendolo a schiaffi e infine accasciandosi in lacrime su di lui, incurante del sangue che gli imbrattava il volto. Rimase così, chino su quel che restava della sua famiglia, per qualche minuto, finché un rumore di passi non lo distrasse, portandolo a sollevare lo sguardo verso il sentiero da cui era poc’anzi giunto, dove le figure di Asher, Kama e Castalia erano appena apparse.

In silenzio, osservarono la scena, rispettando il dolore di Kiki, e condividendolo con lui, soprattutto Asher, che fu il primo a farsi avanti. L’armatura danneggiata, il volto tumefatto, un labbro sfregiato, e adesso anche gli occhi lucidi. Si inginocchiò accanto al bambino, senza dirgli niente, limitandosi ad abbracciarlo e a lasciare che continuasse a piangere, che si sfogasse con lui, su di lui, fino ad accasciarsi esausto tra le sue braccia. L’Unicorno gli carezzò i capelli fulvi, prima di sollevarlo e dire qualcosa a Castalia riguardo alle esequie di Mur, ma non ebbe modo di aggiungere altro che un grido di Kama lo raggiunse, mentre la Sacerdotessa lo gettava a terra, schiacciandosi su di lui.

"Ma… cosa?!" –Rantolò Asher, aiutato dalla stessa Kama a rimettersi in piedi, assieme a un frastornato Kiki, spostando poi lo sguardo verso il Cancello Orientale, che era appena stato abbattuto da una trentina di guerrieri armati.

Per quanto le luci delle torce emanassero una lieve luce, questa bastò per permettere ai Cavalieri di Atena di riconoscere forme femminili sotto quelle truci corazze. E le voci che risposero loro poco dopo chiarirono ogni dubbio.

"Fermatevi!" –Le intimò Castalia, facendosi avanti. –"Questo è il Santuario della Dea Atena! Non vi è consentito l’ingresso!"

"Le Amphilogie non abbisognano permessi di alcun genere! Siamo le Dee della Disputa e del Contenzioso e ne abbiamo uno aperto con voi seguaci di Atena!"

"Amphilogie?!" –Rifletté Asher. –"Non sono quelle che hanno attaccato la colonia di Mu? Credevo fossero morte sotto il crollo della Montagna Bianca!"

"Evidentemente qualcuna è sopravvissuta e ha ben pensato di seguire Horkos in questa scorribanda, sperando di approfittare del disordine che il figlio di Eris avrebbe creato! Infide e scorrette, come i loro fratelli e sorelle!"

"Al pari di Horkos, anche noi abbiamo ricevuto il disprezzo della Dea Notte e del Lord Comandante, che non ci ha neppure consentito di partecipare alle operazioni belliche in Egitto! Per questo siamo qua, per recuperare prestigio, e lo faremo conquistando il Santuario e uccidendo voi che ancora resistete! All’attacco sorelle, non fate prigionieri!" –Gridò una di loro, sfoderando la spada che portava con sé e lanciandosi avanti.

"Non credere che la strada verso il Santuario sia sgombra! I Cavalieri di Atena la presiedono!" –Esclamò allora Castalia, bruciando il cosmo e scatenando la Meteora Pungente. Ma le donne guerriere non ebbero problemi ad evitare quei pugni portati alla velocità del suono, avventandosi poi sulla Sacerdotessa con le lame spiegate.

"Corno d’argento!!!" –Tuonò allora Asher, sfrecciando tra loro e spingendone un paio indietro, senza comunque scalfire le loro protezioni. –"Maledizioni! Sono tante e noi siamo stanchi!"

"Asher, attento!!!" –Intervenne Kama, scattando a difesa del ragazzo, mentre una delle Amphilogie mulinava la spada, mirando al suo collo, e finendo per scheggiare l’armatura della Poppa. –"Indietro, indietro! Dobbiamo ripiegare!!!"

"No!!!" –Esclamò allora una voce, stupendo i tre Cavalieri di Atena che, mentre affannavano per tenere lontane le figlie di Eris, scoprirono provenire da Kiki.

Si era infatti rimesso in piedi, il fratello di Mur, e adesso stringeva i pugni, avvolto in una bianca aura di cosmo, fissando con occhi rossi, iniettati di sangue, rabbia e dolore, i nuovi nemici che avevano invaso il Santuario. Il Santuario che suo fratello era morto per proteggere. In nessun caso avrebbero dovuto permettere loro di avanzare, o la morte di Mur sarebbe stata vana.

"No!!!" –Gridò a squarciagola, rompendo le tenebre con un urlo che si accompagnò ad un’improvvisa onda di energia psichica, così potente da spingere indietro la prima linea delle Amphilogie, gettandone alcune a terra, con le corazze scheggiate e le lame spezzate a metà.

Asher e Castalia approfittarono lesti di quel momento, piombando tra le file nemiche e colpendo molte figlie di Eris con i loro colpi segreti. Kama, alle loro spalle, aveva intanto soccorso Kiki che, dopo quell’unico grido, era crollato a terra, in preda a violente convulsioni. Per un istante, per un solo istante, ai Cavalieri di Atena era parso di vedere un maestoso Ariete d’Oro ergersi di fronte a quel ragazzino, lo stesso animale che si era fatto largo tra le Amphilogie, abbattendone una dozzina. Che fosse il suo passato o il suo futuro a difenderlo, aveva permesso loro di rifiatare e di radunarsi, spalla contro spalla.

"Sono comunque troppe!!!" –Esclamò Asher, evitando l’affondo di una spada, a cui Castalia dovette dar ragione, balzando di lato in lato per non essere trafitta allo sterno e venendo comunque colpita lo stesso. –"Atena, proteggici!!!"

Fu un arcobaleno di energia a porsi a difesa dei due Cavalieri, un tappeto di luce colorata che scintillò in mezzo al mucchio di Amphilogie, sollevandone alcune e spingendone altre indietro, prima che sottili fori si aprissero sulle loro corazze, tra grida improvvise di dolore.

"Altri Cavalieri di Atena?!" –Esclamò una delle figlie di Eris, osservando i due nuovi arrivati. Un ragazzo snello dai capelli biondi e dal carnato chiaro e una giovane donna dagli occhi verdi, entrambi rivestiti da luminescenti corazze dalle forme slanciate.

"Non ad Atena siamo devoti, ma al fianco dei suoi paladini combattiamo!" –Parlò la ragazza, espandendo il suo cosmo. –"Elanor, figlia di Selene, Dea della Luna, è il mio nome! E proprio da quel solitario reame discendo per punirvi, ombre maledette!!! Falce di luna calante!!!" –Gridò, liberando un fendente di energia che sfrecciò tra le Amphilogie, abbattendone alcune e gettandone altre a terra, con le corazze danneggiate e sanguinolenti.

"E io sono Matthew, Cavaliere dell’Arcobaleno! Ma che ve lo dico a fare? Proverete adesso il potere dell’iride! La danza dei sette colori! Arcobaleno incandescente!!!" –La seguì l’altro, portando entrambe le braccia avanti e generando un tappeto di energia colorata che travolse in pieno le guerriere a lui di fronte,

"Matthew! Elanor! Lieti di rivedervi! Ma dov’eravate finiti?!" –Disse Asher, liberandosi di alcune Amphilogie, distratte dal rapido attacco dei seguaci di Avalon.

"È una lunga e sfortunata storia, Cavalieri di Atena! Nyx, la torbida e crudele, ha attaccato il Reame della Luna Splendente e siamo corsi ad aiutare Selene e Endimione!" –Rispose Matthew, senz’aggiungere altro. Ma il suo rammaricato sguardo fece capire all’Unicorno che tale missione non dovesse essersi conclusa con successo.

"Abbiamo fallito una volta. Non accadrà di nuovo." –Chiosò Elanor, il cui sguardo deciso nascondeva ferite aperte ancora troppo fresche.

"Uccideteli tutti!!!" –Gridarono le Amphilogie, radunandosi e disponendosi a riccio, le lame rivolte verso l’esterno, come gli aculei dell’animale, in modo da coprire ogni possibile fronte d’attacco. Sia quello interno, verso il Santuario, dove Castalia e Asher si erano ricongiunti con Kiki e Kama, sia quello esterno, di fronte alle mura, dove Matthew ed Elanor erano da poco comparsi.

"Andate!" –Mormorò il Cavaliere dell’Arcobaleno. –"Ci occuperemo noi di loro! Così facendo, ci hanno facilitato il lavoro, in realtà!" –Aggiunse, sorridendo, prima che il suo corpo venisse rivestito di un alone di luce abbagliante, che, quando scemò, permise alle figlie di Eris di vedere che il ragazzo si era replicato in ben sette copie, che andarono circondando il mucchio di nemiche. –"Moltiplicazione!!!"

Prima ancora che le donne potessero comprendere la natura illusoria di quella tecnica, Elanor era già scattata avanti, l’indice destro carico di energia cosmica. –"Croci di luna!!!" –Gridò, liberando sottili raggi che trapassarono la gola di molte Amphilogie, balzando poi sui loro cadaveri e dandosi la spinta per saltare in alto, sopra il mucchio di avversarie.

"Ora!!!" –Esclamò ognuna delle sette copie di Matthew, portando avanti le braccia e liberando un arcobaleno di pura energia, che travolse le figlie di Eris, disorientandole ed esponendole all’assalto aereo di Elanor, che ne trafisse altre con i suoi raggi di energia. Atterrando nel mucchio, la primogenita di Selene sollevò lo Scudo di Luna, per difendersi dai colpi di lama mulinati dalle Amphilogie, prima di abbagliarle con un’onda di vivida luce scaturita dal Talismano. Accecate, non s’avvidero di una danza di colori di fronte a loro, una danza che era appena scaturita dalla cintura che ornava l’armatura di Matthew.

"Di sette minuti abbiam avuto bisogno per aver di voi ragione, cagne! Sette come i colori del mio arcobaleno!" –Disse il ragazzo, avvampando nel proprio cosmo. –"E qualora ve li foste dimenticati, eccovi un promemoria! Rosso, come il fuoco!" –Aggiunse, mentre il cristallo del rispettivo colore si accendeva sulla cinta della sua corazza e dal suo pugno divampava una fiamma ardente, in cui bruciarono un paio di Amphilogie, prima che una seconda pietra scintillasse. –"Blu, come il cielo profondo e sconfinato!" –Commentò, sollevando il braccio destro e portando con sé altre figlie di Eris, spinte all’improvviso verso l’alto, esposte al preciso taglio dei raggi di energia di Elanor. –"Giallo come…"

"Non credo ce ne sia bisogno!" –Parlò allora la ragazza, avvicinandosi e chetando il proprio cosmo, permettendo a Matt di accorgersi che ormai tutte le Dee della Disputa erano state sconfitte. Ne era rimasta solo una, esposta all’incrociato attacco di Asher e Castalia, che la colpirono il primo al ventre, con il suo corno d’argento, e la seconda al volto, spingendola indietro, tra i cadaveri delle compagne. E allora tornò il silenzio, rotto solo dal respirare affannoso dei Cavalieri di Atena e di Avalon.

"Kiki…" –Mormorò Elanor, avvicinandosi a passo lento.

Trovò il bambino crollato tra le braccia di Kama, che lottava per non perdere i sensi, sopraffatto da così tante emozioni da non riuscire a distinguerle. La figlia di Selene si inginocchiò accanto alla donna, mettendo una mano tra gli scombinati capelli del fratello di Mur, sforzandosi di trattenere le lacrime, poiché troppe ne aveva versate quel giorno. Tutti lo avevano fatto, e forse, si disse, era stato anche per colpa sua.

Se avesse obbedito agli ordini di Ascanio e di Avalon, se fosse rimasta al suo posto, al Cancello Orientale, anziché fuggire sulla Luna, nel disperato tentativo di salvare una madre che aveva scelto di voltare le spalle all’alleanza, forse Mur non sarebbe morto. Forse lei e Matthew, che aveva trascinato in quella sconsiderata impresa, avrebbero sconfitto Horkos, senza bisogno che altri morissero, senza bisogno che Kiki rimanesse senza un fratello. Sapeva, da ciò che Matt le aveva brevemente raccontato dei Cavalieri di Atena, che aveva appena perso la madre, rapita e di certo già uccisa dai servitori di Caos, per cui ben capiva come si sentisse.

"Mi dispiace…" –Singhiozzò. –"Se fossi rimasta…"

"Se fossimo rimasti…" –Mormorò Matthew, concordando con i dubbi dell’amica.

"Potrai mai perdonarmi?!" –Disse Elanor, stringendo forte la mano del piccolo Kiki e donandogli un po’ del suo cosmo, un po’ del suo tepore, quello stesso calore umano di cui anch’ella aveva bisogno in quel momento.