CAPITOLO QUARTO: RINASCITA.

Quando Pegasus e i suoi amici raggiunsero l’Etna, scendendo nella profonda e calda fucina, trovarono Efesto intento a lavorare, proprio come la prima volta in cui gli avevano fatto visita, qualche mese addietro, affinché riparasse loro le corazze danneggiate dagli scontri sull’Olimpo. Chino sul tavolo da lavoro, il figlio di Zeus armeggiava con pinze e cesoie, mentre poco distante crepitava l’ardente fornace, collegata al cuore del vulcano tramite un complesso, nonché ingegnoso, sistema di cunicoli ideato dal Nume stesso. Per un momento, ripensando alla tragica fine dell’amata Afrodite, massacrata davanti ai suoi occhi, Andromeda pensò che forse il Dio della Metallurgia non facesse altro, se non dedicarsi con tutto se stesso al lavoro, alle magnifiche opere che, per necessità bellica o per diletto, era solito produrre per gli Dei di Grecia. Un modo per tenersi impegnato e non pensare. Rifletté il ragazzo, entrando nell’ampia caverna sotterranea attrezzata a laboratorio, assieme ai suoi compagni e al Signore dell’Isola Sacra.

Di lato, per non disturbare i movimenti dell’alacre fabbro, tre figure attendevano il loro arrivo. Ermes, il Messaggero degli Dei, che Cristal fu ben lieto di rivedere, Demetra, Dea delle Messi e delle Coltivazioni, che accolse tutti, soprattutto Andromeda, con un cordiale abbraccio, e infine Nettuno, la cui presenza accigliò non poco il Cavaliere di Pegasus.

"Smettila di essere sospettoso!" –Gli sussurrò Sirio. –"Quelle rughe d’ansia non si addicono alla nascitura alleanza di uomini e Dei che stiamo tentando di mettere in piedi. Tanto più che sarebbe follia, per un Dio rimasto solo, privo di un regno e di un esercito, lanciarsi in qualche proposito imperiale adesso, con la grande ombra che ci alita sul collo la fine del mondo!"

"Hai ragione!" –Convenne Pegasus, pur continuando a guardare di sottecchi l’antico rivale.

Fu allora che Efesto si voltò verso di loro, togliendosi una maschera dal viso, che utilizzava per ripararsi dai vapori e dagli effluvi intensi, che spesso emergevano durante la lavorazione di alcuni metalli. Effluvi acri che solo il delicato profumo di Afrodite, quell’essenza di eterna primavera che la sua stessa presenza portava seco, sapeva dissipare.

"Eccovi tutti, molto bene! Avvicinatevi, per favore! Sì, voi tre, disponiamoci in cerchio!" –Esclamò, senza perdersi in troppi convenevoli, rivolto alle Divinità presenti, invitandole a disporsi attorno a quattro scrigni dentro cui erano adagiati chiari pezzi di una lega metallica che riluceva d’azzurro e argento. Colori che fecero sorridere Nettuno, non appena intuì quel che contenessero. –"Ermes mi ha avvisato che Zeus è impegnato a risolvere un’antica questione, ma arriverà presto! Poco male, possiamo iniziare noi il rito della creazione!" –Così, prima ancora di aver terminato di parlare, aveva già sollevato le braccia, stendendo le dita della mano destra parallele all’arto e muovendole di scatto, tagliandosi i polsi dell’altro braccio.

Uno dopo l’altro, Ermes, Demetra e Nettuno fecero altrettanto, lasciando che le preziose gocce di Ichor ruscellassero sopra il materiale lavorato in precedenza da Efesto, mentre i loro cosmi crescevano, riempiendo la stanza e infondendosi, piano piano, anche ai prodotti della loro unione, di fronte allo sguardo attento di Pegasus e dei Cavalieri dello Zodiaco.

"Cristal il Cigno!" –Esclamò dunque il Messaggero Olimpico, mentre il biondo allievo del Maestro dei Ghiacci si avvicinava. –"Ricordo quando varcasti la soglia del Tempio dei Mercanti, mesi addietro, fermo nelle tue convinzioni, deciso ad arrivare da Atena, alla Torre del Fulmine. Pianse il mio cuore, quel giorno, al pensiero di dover combattere con così ardenti e impetuosi cuori, sorretti da genuina fede di giustizia e da altrettanta passione, la stessa con cui ti sei fatto strada nelle gelide lande di Asgard, per portare loro un raggio di sole. Io, Ermes, il più celere degli Olimpi, il piede alato in grado di correre più veloce del vento stesso, dono il mio sangue per te, affinché il Cigno possa spalancare ancora le ali e volare sopra il tetto del mondo, portando ovunque quella stessa fede, quella stessa passione che covi nel cuore!" –E, mentre parlava, i pezzi dell’armatura riposti nello scrigno di fronte a lui si sollevarono, componendosi poco dopo nella scintillante sagoma di un magnifico Cigno di pura luce. Un Cigno che pareva essere stato scolpito nelle pareti della Montagna del Ghiaccio Eterno, tanto terso ma resistente appariva.

"Cavaliere di Andromeda!" –Parlò allora Demetra, la cui voce calma e pacata tradiva adesso un nervosismo maggiore, forse perché, da tempo ormai, non adoprava il cosmo per niente più che curare ferite o rinverdire i versanti dell’Olimpo. –"Ho sempre apprezzato la tua natura umana, la tua indole pacifica volta al perdono. Come te, anch’io, nel mio piccolo mondo, ho sempre cercato di proteggere, di conservare, di impedire che qualcosa sfiorisse, profonda sostenitrice di un’ideale di pace, serenità e quiete, ideale che ritrovo nei tuoi occhi, giovane Cavaliere dell’Isola di Andromeda! Per questo dono il mio Ichor, perché questa corazza possa preservare intatta la tua bellezza e la tua natura!" –Spiegò, mentre le varie parti dell’armatura del ragazzo si animavano, unendosi in una raffinata figura umana, interamente circondata da roteanti catene argentee, che parevano tagliare l’aria ad ogni movimento, sprigionando scintille e fulmini rosa.

"Sirio il Dragone!" –Fu adesso Nettuno a parlare, costringendo l’allievo di Libra a farsi più vicino, mentre il sangue del Re dei Mari ancora gocciolava sulla corazza verde smeraldo. –"Una cosa abbiamo in comune! L’elemento dominante! L’acqua! In cui così tanto a tuo agio ti trovi nel combattere, e in cui io a lungo ho riposato, dominato e vissuto! Ricordo quel che mi dicesti quel giorno, quel che dicesti a Julian quando entrasti nel tempio per proteggere Pegasus. "Per salvare un amico, oserei anche di più!". Bene, dunque, che sia lo scorrere eterno dell’amicizia, un fiume che mai potrà andare in secca, a guidarti e a condurre questo ruggente drago alla vittoria, drago cui dono la forza e la sapienza degli abissi oceanici!" –Concluse, mentre una sagoma serpentiforme si sollevava dallo scrigno, scivolando in aria prima di avvolgersi attorno al corpo di Sirio, stringendolo in fatali ma ristoratrici spire.

"Ultimo, il Cavaliere di Phoenix, il Cavaliere della Regina Nera!" –Intervenne allora Efesto, strappando un moto di sorpresa al ragazzo dai capelli blu. –"Sì, conosco la tua storia, ma non devi vergognarti! Tutti abbiamo conosciuto il male, nessuno di noi può dirsi saggio abbastanza da non esserne mai caduto preda. Sei un cuore ardente, Phoenix, un uomo che non rimane, passivo, ad attendere che la vita gli passi davanti; per questo Zeus aveva scelto Era, una Divinità forte ma al tempo stesso vittima delle proprie passioni, per dare la vita alla tua nuova corazza! Ma, in sua assenza, darò io il mio sangue per te, del resto, nelle vene di entrambi ribolle la stessa fiamma, non è così, Fenice? Anche tu, al pari di me, hai visto morire la donna che amavi. O forse, dovrei dire le donne?" –Sorrise, per la prima volta, il Fabbro degli Olimpi, mentre un maestoso uccello di fiamme sgorgava fuori dallo scrigno di fronte a lui, sollevandosi in aria fino a portarsi davanti a Phoenix. –"Che questo mio Ichor ti guidi nella nostra vendetta!" –Sussurrò, espandendo al massimo il proprio cosmo.

Ermes, Demetra e Nettuno fecero altrettanto, mentre i quattro ragazzi entravano in sintonia con l’impronta cosmica delle corazze, che si scomposero, andando a ricoprire i loro atletici corpi. Uno dopo l’altro, Cristal, Andromeda, Sirio e Phoenix vennero rivestiti da nuove protezioni, simili, come fattura, alle precedenti Armature Divine, ma ancora più fresche, corroboranti e coprenti. Una sensazione di rinato vigore li investì, capace di cancellare anni di fatiche e battaglie, una sensazione che da tempo non avvertivano, forse dal giorno in cui, tra le rovine del Palazzo dei Tornei, Atena li aveva abbracciati per la prima volta con il tepore del suo cosmo.

"Incredibile! Sento pulsare un’energia inaudita dentro di me!" –Commentò Cristal, muovendo le braccia a spazzare, per testare la flessibilità della corazza, subito imitato da Sirio.

"Leggere e resistenti al tempo stesso! Efesto la tua maestria è indubbia! Quale arte hai usato questa volta, per farci dono di queste meraviglie?!"

"L’arte dell’amicizia!" –Chiosò il Fabbro, appoggiandosi stanco ad un tavolo da lavoro, prima che Ermes, vicino a lui, spiegasse come quelle armature fossero il frutto, o forse il motivo, dell’alleanza appena nata tra i regni divini.

"È stato il Sommo Avalon a donare il mithril per forgiare le vostre corazze! E Nettuno ha aggiunto l’oricalco conservato nei propri magazzini! Elementi sempre più rari in questo mondo, combinati in modo da rendere quelle vesti più resistenti di qualsiasi altra corazza abbiate mai indossato! Ormai non sono più Armature Divine, no, sono vere e proprie Vesti Divine, sebbene neppure le nostre siano interamente realizzate con mithril!"

"Vuoi dire che… Avalon, hai ceduto il mithril per noi?" –Esclamarono Andromeda e Sirio, prima che Cristal puntualizzasse un’ulteriore questione. –"Non sapevo ve ne fosse ancora, Efesto ci disse che era molto raro!"

"Ed infatti lo è, miei cari!" –Precisò il Signore dell’Isola Sacra. –"Dubito ve ne siano altre scorte al mondo, quello che il Fabbro Olimpico ha usato deriva da un meteorite precipitato sul pianeta quasi cento anni addietro, a Tunguska!"

"In Siberia!" –Affermò subito il Cavaliere del Cigno, ricevendo un cenno d’assenso dall’Angelo di Luce.

"Proprio così! A lungo ho atteso questo momento e mai avrei permesso che vi arrivassimo impreparati! Adesso avete tutto quel che vi serve per confrontarvi con gli Dei Antichi; la forza, la determinazione, la nobiltà d’animo già le avevate di per sé! Il Nono Senso lo avete risvegliato in anni di battaglie e migliorie! Le corazze, permettete agli Dei di offrirvele!"

"Grazie, Sommo Avalon!" –Esclamarono in coro i Cavalieri dello Zodiaco, prima che un rumore sordo, simile a un corpo che cade, li distraesse, facendoli voltare verso il tavolo da lavoro, accanto al quale il Dio della Metallurgia era appena crollato.

"Divino Efesto!" –Gridò Demetra, mentre Ermes corse verso l’amico, muovendosi comunque con una lentezza ben maggiore del solito, condizione che non sfuggì a Cristal e ai paladini di Atena.

"Cosa succede, Messaggero Olimpico? Perché state così male?!"

"Non dovete preoccuparvi, Cavalieri dello Zodiaco! Il rito con il quale abbiamo forgiato le vostre armature vi ha anche trasmesso parte del nostro cosmo, per renderle più solide, per garantirvi un ulteriore aiuto nei momenti di difficoltà! Così facendo, impregnandole di una massiccia dosa di Ichor, sarà come se aveste sempre uno di noi a fianco in battaglia!" –Spiegò il Messaggero Olimpico, mentre sorreggeva, assieme ad Avalon, Efesto nel rimettersi in piedi. –"Ciò comunque ci ha indebolito, motivo questo che ha reso necessaria la presenza di Eracle e degli Heroes qua fuori, come nostre guardie del corpo, finché non recupereremo le forze! Ma non temete, accadrà presto, e allora combatteremo davvero assieme contro l’ombra! E tu, Cavaliere di Pegasus, non avere timore, Zeus Tonante sarà qui quanto prima e allora anche la tua corazza sarà pronta!"

"Zeus?! Intendete dire che sarà il Padre degli Dei a donare l’Ichor per la mia armatura?!" –Esclamò sbalordito il Cavaliere di Atena, strappando un genuino sorriso al Dio dei Mercanti e dei Commerci.

"Questa è la sua decisione!"

"Te lo meriti, amico!" –Commentò Sirio, abbracciando il compagno di mille battaglie. Cristal, Andromeda e Phoenix fecero altrettanto, rimanendo per un momento tutti uniti assieme, a guardarsi, a ricordare il passato e a credere nel futuro. Avevano già deciso, nel breve tragitto da Atene alla Sicilia, che si sarebbero separati di nuovo, dirigendosi ognuno verso un diverso fronte di guerra, in modo da portare maggior contributo alla causa; pur tuttavia, adesso che davvero dovevano salutarsi, parevano restii ad abbandonare i fratelli con cui avevano diviso la vita. Fu ancora una volta Avalon a prendere in mano la situazione.

"È ora di andare adesso! Lasciamo gli Olimpi al loro meritato riposo!"

"Dove andremo, mio Signore?" –Chiese allora Dragone, mentre lo sguardo di Avalon pareva assorto in nebulosi pensieri, quasi fosse in grado di penetrare la parete di roccia che li circondava e vedere al di fuori, fin dove fosse necessario spingersi, oltre la linea di qualsiasi orizzonte. Fu in quel momento che le fiamme della fornace si levarono alte, fin quasi a raschiare il soffitto, stupendo tutti i presenti, soprattutto Demetra, che subito strillò, prima che Avalon li invitasse a mantenere la calma. Non vi era pericolo, del resto, nel vivere un mistero.

Rapide come erano sorte, le fiamme si acquietarono e il volto del Principe Supremo degli Angeli tornò a colorarsi del suo enigmatico sorriso, mentre rivelava ai Cavalieri dello Zodiaco quel che aveva appena scorto usando la Vista.

"Pare che i timori di Asterios fossero giustificati! C’è guerra nel mondo sommerso!" –Rivelò, suscitando l’immediata reazione di Nettuno, che incalzò per avere maggiori informazioni. –"Numerosi cosmi inquieti baluginano nelle profondità marine del Pacifico meridionale, laddove le cinque Conchiglie proteggono il popolo libero delle correnti dai predatori del mondo!"

"Presterò loro aiuto immediato! Una grande stima mi lega agli Avaiki oceanici, un rapporto di pacifica coesistenza mai stato violato!" –Esclamò fiero Nettuno, per quanto Avalon ebbe subito a fargli notare che, sebbene la sua aura cosmica fosse più vasta di quelle di Ermes o Efesto, anch’egli era stato indebolito dal rito. –"Non posso rimanere ad attendere gli eventi! Ho già visto, con questi stessi colpevoli occhi divini, un regno oceanico sprofondare negli abissi e non voglio che ciò accada di nuovo! Coloro che vivono dove Mu si adagiò avranno la mia protezione!"

"Ed anche la mia!" –Intervenne Sirio, strappando un cenno d’assenso al Principe degli Angeli, che vide in lui il più adatto a tale missione.

"Io scenderò in Egitto!" –Esclamò allora Phoenix, mentre anche Andromeda si offriva per accompagnarlo, non senza però che Avalon chiedesse loro di effettuare una piccola deviazione.

"Fermatevi sul Mar Nero, a Themyskira, per aiutare le Amazzoni a mettere in salvo i profughi dei regni divini minori su cui di certo l’ombra si è già abbattuta! Poi dirigetevi tutti verso sud, per prestare aiuto ad Amon Ra! Alexer aveva già contattato le donne guerriere, ma pare che la loro miglior combattente, questa Pentesilea, sia piuttosto restia a fidarsi o anche solo ad ascoltare gli uomini!"

"Lo so bene!" –Commentò il Cavaliere della Fenice, prima di incamminarsi verso l’esterno della fornace, seguito da Nettuno, Sirio, Cristal e Pegasus.

Soltanto Andromeda esitò un momento, quasi come volesse approfittare di quel momento per parlare di persona con Avalon. Efesto ed Ermes erano distanti qualche passo e il ragazzo fu certo che il Signore dell’Isola Sacra potesse benissimo trovare il modo di non farsi udire, se avesse voluto. Di cosa volesse discutere, neppure lui lo sapeva bene, magari delle poche parole captate della conversazione tra lui e Asterios o forse di come egli fosse in grado di comprendere lingue finora sconosciute. Ci pensò qualche istante, imbarazzato e colpevole, ma poi sospirò, incapace di affrontare qualsiasi discorso.

Fu Avalon a richiamarlo, afferrandolo per un braccio poco prima che infilasse il tortuoso corridoio che conduceva fuori dall’Etna, e a sorridergli, quasi come a cacciar via quell’imbarazzo tra loro. Ma bastò quel contatto, quel solo gesto, a piegare Andromeda a terra, costringendolo a portarsi le mani alla testa, travolta da così intense fitte da non permettergli neppure di respirare.

"Libera la mente!" –Gli disse allora Avalon, inginocchiandosi davanti a lui. –"Ascolta la mia voce e libera la mente!"

Inizialmente il ragazzo non parve capire quel che l’Angelo gli stesse dicendo, ma poi, piano piano, iniziò a sentire un cosmo caldo confortarlo e cacciar via le fitte di dolore, per quanto non riuscisse a vedere niente di ciò che aveva di fronte. Vide invece immagini di guerra turbinargli davanti agli occhi, immagini in cui lui stesso combatteva a fianco del fratello. No, contro il fratello! Com’era possibile? No! Non era possibile. Erano ricordi? Tristi ricordi? E sopra di loro una tenebra immensa, una nube nera ostruiva il cielo, togliendo spazio alle stelle. E Avalon… lui era…

Il Cavaliere di Atena riaprì gli occhi di scatto, scuotendo la testa indolenzita, mentre il Signore dell’Isola Sacra lo aiutava a rimettersi in piedi. –"Tutto bene, Andromeda? Credo che la tua mente non sia ancora pronta ad usare la Vista!"

"Co… come?!" –Balbettò questi, sgranando gli occhi.

"Biliku, quel giorno nella caverna delle Andamane, ti ha fatto un grande dono, forse ha compreso la tua sofferenza, il desiderio di pace senza guerra, che albergava nel tuo animo e, consapevole che il suo tempo cosmico, al pari del nostro, stesse per giungere a conclusione, ha voluto affidare a te un patrimonio di utili conoscenze. E la conoscenza è potere, Andromeda. La conoscenza del passato, che si manifesta in ricordi, anche altrui, e permette di comprendere qualunque lingua, anche antica o in disuso; del presente, che ti permette di udire suoni, voci o invocazioni anche distanti, come ti è successo quando avvertisti il richiamo di Odino il giorno di Ragnarök; e infine del futuro, che si esplica tramite la Vista. Siamo in pochi, ormai, a possedere quel dono, uno dei più preziosi, ma anche dei più difficili da gestire. Siine consapevole, non abusarne mai e non cercare di forzarlo, potrebbe ucciderti!"

Andromeda rimase in silenzio per qualche istante, immagazzinando le informazioni ricevute dal misterioso e affascinante alleato, prima di ripensare a ciò a cui aveva assistito poc’anzi. Erano scene confuse, di guerra e d’azione, scene che forse poteva anche aver male interpretato. Ma di una cosa era certo, una cosa gli era parsa chiara fin dall’inizio.

Avrebbe voluto dirglielo, avrebbe voluto spiegargli il perché delle lacrime che improvvisamente gli riempirono gli occhi, ma qualcosa, nel comprensivo sguardo del Principe degli Angeli, gli fece capire che non ce n’era bisogno, poiché egli già lo sapeva. E le sue parole di poco dopo gli tolsero ogni dubbio.


"Tutti dobbiamo morire, Andromeda. Persino gli Dei. E se questo sarà il nostro destino, non ci tireremo indietro, bensì lo affronteremo." –Gli sorrise Avalon, prima di fargli cenno di procedere lungo il sentiero che presto li condusse sulla sommità del vulcano italico, dove Sirio, Cristal, Pegasus, Phoenix e Nettuno li aspettavano.

Una fresca brezza soffiava da oriente, un vento che, tutti loro immaginarono, pareva accompagnare l’avanzata della marea d’ombra sull’intero pianeta. Scossero la testa per non pensarci, scambiandosi un’ultima occhiata, promettendosi di ritrovarsi a breve, nel bel mezzo di un campo di battaglia. Come nella loro migliore tradizione.

Andromeda e Phoenix sorrisero, prima di espandere i loro cosmi e scattare nel cielo verso la penisola balcanica, mentre Sirio e Nettuno facevano altrettanto, dirigendosi verso sud-est. Rimasero solo Cristal e Pegasus, il secondo decisamente smanioso di passare all’azione. Fu l’amico a mettergli una mano su una spalla, incitandolo a trattenere la sua foga e a liberarla solo per difendere la loro Dea, che da lui avrebbe ricevuto la miglior protezione possibile. Avalon affiancò il Cigno, prendendolo per mano, e sollevandosi in una cometa di luce argentata, che subito sfrecciò nel meriggio di quel giorno.

"Buona fortuna, amici!" –Mormorò Pegasus, conservando nella mente l’immagine unita dei cinque compagni, cinque dita della stretta mano tesa verso il futuro.

Quando rientrò nella fucina, per chiedere quando Zeus sarebbe giunto, notò che Efesto si era già rimesso a lavoro, preciso e taciturno, sebbene i suoi movimenti fossero più lenti del solito, incapace di lasciar passare anche solo un minuto senza fare qualcosa. Ermes, invece, sedeva poco distante, inspirando ad occhi chiusi, per rilassare il corpo e recuperare in fretta le forze. Demetra, al contrario, era scomparsa.

***

Quando Nyx udì quelle notizie esplose in una risata soddisfatta, che ai guerrieri riuniti attorno a lei parve più il latrato di una bestia affamata.

"Un’ottima scelta!" –Commentò, sorseggiando una coppa piena di liquido rossastro, assisa su un vetusto scranno nel Santuario delle Origini.

"Lo credi davvero, mia Signora e Padrona?!" –Le rispose una voce atona, parlando direttamente al suo cosmo.

"Dubiti di me?"

"Non mi permetterei! Intendo dire che… dei Cavalieri dello Zodiaco, Andromeda è il meno incline alla battaglia, colui che trattiene i pugni, sperando sempre di trovare un’altra via, che non preveda lo scontro o la morte dell’avversario. Forse sarebbe stato opportuno scegliere un altro dei cinque, magari il suo burbero fratello o il prode Pegasus, ben più dominati da istinti e passioni?"

"È proprio la sua indole che gioca a nostro favore!" –Ghignò Nyx. –"Immagina la sua anima, i tormenti che proverà quando capirà di stare servendo la nostra causa, senza potersi opporre! Una psicomachia completa avverrà dentro di lui, una battaglia per l’anima che lo porterà alla disperazione, alla pazzia e infine alla morte. Sarà lui stesso a togliersi la vita, invocando la fine della sua dannata esistenza, e prima di farlo, trascinerà i compagni nell’abisso con sé. Non sarebbero capaci, del resto, di lasciarlo affogare da solo!"

"E se fosse la parte buona e speranzosa a vincere? La parte che ha ardito persino contrastare il Dio che l’aveva posseduto?!" –Congetturò la voce atona, rivelando una punta di incertezza cui la Dea della Notte rispose con un ghigno, distruggendo la coppa che stringeva tra le mani e macchiandosi la veste con il sangue colà contenuto.

"In tal caso… abbiamo ancora un’arma dalla nostra parte! Non dimenticare di chi è stato il ricettacolo, quel giovane Cavaliere. Un’ombra che sarà lieta di schierarsi dalla parte giusta! Dalla parte dei vincitori! Ah ah ah!"

"Sì, Signora della Notte!" –Commentò la voce che stava parlando al suo cosmo, prima di svanire, lasciando Nyx ai suoi pensieri.

Era soddisfatta, la Prima Dea, di quanto l’ombra trovasse terreno facile per avanzare, germogliando persino nei cuori più puri. Del resto Anhar glielo aveva detto, quel giorno, quando l’aveva trovata nelle montagne della Morea; le aveva detto quel che sarebbe stato in grado di fare, qualcosa per cui non era necessario neppure spendere troppo tempo e risorse. Distruggere i regni divini. E lo avrebbe fatto nel modo più semplice, facendoli scontrare tra di loro, annientandone le forze d’attacco, livellando le loro difese e lasciandoli infine soli e nudi ad attendere la punizione finale, quella che li avrebbe colpiti il giorno del secondo avvento.

Pur con qualche insuccesso, l’Angelo Oscuro aveva avuto ragione. I Cavalieri di Atena e di Zeus erano stati decimati da guerre che non avevano idea del perché fossero combattute, ed eguale sorte avevano incontrato i seguaci di Odino, Nettuno e delle altre Divinità Olimpiche, i cui eserciti erano stati cancellati dalla storia. Persino Amon Ra era rimasto vittima dei suoi trucchi e proprio quando gli altri Dei lo avevano abbandonato, incapaci di comprendere quanto importante per lui fosse il figlio avuto da una Sacerdotessa greca, lui fu l’unico a consolarlo, a spingerlo ad andare avanti, a perseverare in quella politica di chiusura che lo avrebbe poi condannato a un volontario esilio.

Ed eccoli adesso! In quanti resistono ancora al vento nero che soffia dal Gobi? Ben pochi ormai! Enumerabili sulle dita di un Centimane! Ironizzò Nyx. Peccato che non ne esistano più! Caduti, anch’essi, sotto il fuoco letale di Tifone durante la Grande Guerra scatenata da Ares!

"Ridi e pasteggi senza coinvolgermi nel tuo piacere, madre e sposa?!" –La interruppe allora una tetra voce, mentre una figura di pura ombra le si avvicinava, camminando a passo deciso tra i silenziosi guerrieri inginocchiati di fronte al trono. Guerrieri che, Nyx ben lo sapeva, avrebbero combattuto, ucciso e massacrato ad un suo semplice gesto, ma che, in quel preciso momento, tremarono, scossi nel profondo dell’anima da un gelo mai percepito prima. Un soffio di morte che parve insinuarsi sotto le loro armature, scardinando cotte e difese, e solleticare le loro pallide schiene, ricordando loro di essere creature mortali. E, per tal motivo, spezzabili.

"Credevo tu stessi ancora riposando, Signore delle Tenebre! Gli Asura e i Jinn di cui Polemos ti ha fatto dono, nella sua sortita notturna, non erano alla tua altezza?!" –Commentò la Prima Dea, nient’affatto intimorita dalla sua presenza. Quindi, mentre questi raccoglieva un frammento del calice insanguinato, portandolo alla bocca ed assaporando il delizioso nettare divino, fece un cenno ai soldati rimasti, che si allontanarono rapidi e ben lieti. Per quanto fossero tutti devoti al loro creatore, accanto a Erebo non volevano, né potevano, restare, consapevoli dell’infausta sorte in cui incorreva chi a lungo la sua stessa aria respirava.

"Ahr ahr ahr! Non è di riposo che ho bisogno, ma di colmare quest’immensa fame che mi porto dentro e ben poco giovamento ho potuto trarre da quegli ammuffiti Dei, così vecchi da sembrare uomini decrepiti! Ben altre voglie necessito di saziare!"

"Sarei ben lieta di condividere ogni piacere con te!"

"Ci sarà tempo per questo! Ora dimmi, Nyx, quando potrò bere dal cranio reciso dei potenti, quanto sconsiderati, Dei che si dichiarano nostri avversari? Quando potrò ubriacarmi del prezioso icore di Zeus Tonante, Nettuno, Atena o di colui con cui ti sei confrontata sulla Luna? Di interessanti poteri, da quel che mi hai raccontato, ha fatto sfoggio! Interessanti e arcani!"

"Temo che dovrai sbrigarti a scendere in guerra, Tenebra Infernale, o ben pochi Dei rimarranno con cui divertirti!" –Ridacchiò Nyx, spostando indietro i suoi lunghi capelli viola. –"Il nuovo Lord Comandante delle Armate delle Tenebre marcia su Karnak, distruggendo templi e città in quella terra desertica che negli ultimi anni ha conosciuto una certa rinascenza. Poco più a nord, i nostri sfavillanti figli stanno conducendo il titano dormiente sulle rive del Mediterraneo a radere al suolo Atene e l’Olimpo. Pare che a noi siano rimasti i due regni più sguarniti!"

"Avalon e Asgard? Umpf, un’isola di sterpi e meleti, racchiusa in perenni nebbie, e una rocca a picco sul mare d’inverno? Buoni per stimolarmi a colazione, ma per pranzo gradirei un piatto ben più sostanzioso! Che ne è del Cronide? Si è rintanato sull’Olimpo assieme ai suoi tirapiedi? O di nuovo lo hanno abbandonato, rintanandosi in Africa, come quando Tifone marciò sul Monte Sacro?"

"Di Zeus non ho notizie. Al momento sembra scomparso." –Commentò la Dea della Notte, incupendosi per un istante. –"O sta celando i suoi spostamenti o è già morto, ma dubito della seconda prospettiva! Gli altri Olimpi invece sono in Sicilia, ho percepito il radunarsi e l’innalzarsi dei loro cosmi poc’anzi, prima di averne conferma dalla Divinità nostra alleata!"

"Non mi fido per nulla! La sua stirpe è fallimentare!" –Precisò Erebo, fissando Nyx con occhi di brace, l’unica nota di colore in un volto completamente nero. E, sebbene lei non potesse esserne certa, parve alla Dea di vedere un ghigno perverso allungarsi sul viso del Progenitore. –"Non sono mai stato in Sicilia, sai? Se il Fabbro Olimpico ha creato nuove armature, sarebbe scortese, da parte mia, non fargli visita e aiutarlo a testare la validità dei suoi lavori! Oh sì, ne verificherò la resistenza quanto prima! Ti unisci a me, madre Notte?"

"La proposta mi aggrada, possente Erebo, ma un altro luogo richiede la mia attenzione!" –Sibilò lei, prima di assumere forma di uccello nero e volare via. –"Su un’altra Divinità cadrà la mia vendetta!"