CAPITOLO DODICESIMO: CACCIA FURIOSA.

"Umpf! Parassiti!" –Mormorò scocciato Amon Ra, liberando un’onda di cocente energia che annientò le migliaia di pipistrelli energetici che stavano ronzando sopra l’esercito del Sole. Qualcuno era già riuscito ad affondare i denti nella pelle di qualche soldato e un paio di Amazzoni giacevano stramazzate a terra, i corpi in preda a violente convulsioni, marcati di striature violacee che convergevano dove le bestie avevano morso.

Marins aveva capito subito quel che stavano facendo, notando quanto, a ogni nuova succhiata, Eogan recuperasse il vigore perduto combattendo. Le strigi non si limitavano a portar via l’energia della vittima ma la trasferivano al Nefario.

"Acuto!" –Esclamò questi, evitando l’affondo del Tridente dei Mari Azzurri, balzando in alto e correndoci sopra, quasi senza sfiorarlo, tanto leggeri erano i suoi passi e aggraziati i movimenti. Pareva quasi che l’aria stessa si spostasse per lasciarlo passare.

Infastidito, Marins mosse l’arma, ponendola a difesa del viso, mentre Eogan cercava di raggiungerlo con un calcio deciso, fallendo e sfruttando poi lo slancio per fare una capriola completa e atterrare a piedi uniti a pochi passi dal ragazzo.

"Ti diverti?" –Borbottò il Cavaliere delle Stelle.

"Molto!" –Sogghignò il Nefario, umettandosi le labbra con un rapido colpo di lingua. Da qualche parte, nello sterminato campo di battaglia che si apriva di fronte alla Porta del Giorno, le strigi stavano ancora mietendo vittime.

Era impossibile, per Amon come per chiunque altro, riuscire a distruggerle tutte senza ferire anche i propri compagni. Inoltre, a giudicare dalla bestia immonda che lo aveva appena caricato, il Sole d’Egitto aveva trovato un degno avversario.

Inorridendo, Marins ricordò di aver visto una rappresentazione di quel demone nella Piramide di Karnak, quindici anni addietro, tra i progetti a cui quel bastardo di Anhar stava lavorando. Rivederla adesso, con quel corpo tozzo e le lunghe fauci dentate, lo fece rabbrividire, rammentandogli il nome.

"Ammit. La Divoratrice." –Commentò Eogan, intuendo i suoi pensieri. –"Non sono venuto solo, se è questo che stavi pensando. La divina Emera ancora non si accinge ad abbandonare il bastione da dietro il quale ha eretto la barriera che vi impedisce di avanzare, ma non ha avuto da ridire se le preziose creature nate dal Caos si fanno avanti. In verità, sospetto che niente la turbi. L’ho vista solo di sfuggita, un’ombra bianca in un oceano di tenebra, ma credo che sia proprio così. Eterea e sfuggente, indifferente alle questioni del mondo. Di certo ben diversa da me."

"Oh lo vedo bene, a te piace divertirti, Eogan, non è vero?"

"Esatto. A me piace godere!" –Ridacchiò il Nefario, espandendo per la prima volta il cosmo e obbligando Marins a fare altrettanto. –"Mi piace assaporare fino in fondo i sapori di questo mondo, finché esiste. Mi mancherete, voi Cavalieri e le stupide Divinità che servite, quando tutto questo sarà finito e cesserete di esistere. Il vostro sangue, lo ammetto, è buono. Troppo dolce, a volte, stucchevole persino, ma pregno di vita."

"Sei disgustoso!" –Avvampò Marins, tentando un affondo con il Tridente dei Mari Azzurri, che Eogan prontamente evitò balzando indietro, atterrando compostamente e poi scivolando all’indietro con una gamba, mentre il corpo si fletteva in avanti e le mani artigliavano il suolo.

"Tutt’altro." –Ghignò lui. –"Sono un tipo piacente. E tu, Mano d’Argento, non mi piaci!"

"Il sentimento è recipro…" –Bofonchiò il Cavaliere, prima di essere costretto a mulinare il Talismano per difendersi dall’attacco improvviso del Nefario, che era scattato su di lui, artigli in bella mostra e zanne sporgenti. Con un colpo a spazzare, gli impedì di morderlo al collo, ma Eogan sgusciò via con agilità, gettandosi a terra e scivolando di schiena tra le gambe di Marins, superandole e portandosi alle sue spalle. Prima ancora di riuscire a voltarsi, il Cavaliere delle Stelle venne colpito in basso con un calcio secco, che lo portò a piegare le gambe all’interno, mentre Eogan, da dietro, lo mitragliava con una pletora di calci, scaraventandolo avanti, faccia a terra, facendogli perdere la presa sul Talismano.

Rantolando, Marins cercò di rialzarsi, allungando la mano verso il Tridente, ma il Nefario gliela calpestò e, non fosse stato per la protezione dell'Armatura delle Stelle e del metallo della protesi, gli avrebbe spezzato un paio di dita. Con un balzo, Eogan fu su di lui, avvinghiandosi attorno al suo corpo, abbracciando, strusciandosi e stringendo, mentre l'americano si agitava per toglierselo di dosso, senza successo, scoprendo che la corazza del nemico disponeva di qualche strana ventosa che le permetteva di appiccicarsi su superfici lisce.

"Piantala di dimenarti, non siamo in una sala da ballo!" –Ironizzò Eogan, avvicinando la testa al suo orecchio. Gli spostò i capelli castani e scrutò il collo con attenzione, finché, soddisfatto, non vide una bella vena pulsante, su cui si avventò.

A quel punto Marins urlò, concentrando in quel grido tutta la disperazione che non aveva mai provato, rendendolo, di fatto, un dolore molto più forte di quel che era.

Ovunque, i suoi compagni, sentirono il suo cosmo vacillare e tutti avrebbero voluto correre in suo aiuto, sebbene nessuno poté liberarsi del proprio avversario. Febo, il più vicino, era anche il più angosciato di tutti, ma la Divinità della Vendetta che gli aveva sbarrato il passo era decisa a fare a pezzi Horus e tutta la sua stirpe, per vendicare le Erinni sterminate da Osiride. Anche Reis e Jonathan udirono il grido di dolore dell'amico, per quanto si trovassero dall'altro lato del Primo Santuario, di fronte all'opposta porta, intenti a contenere l'ultima avanzata dei Lestrigoni, e certo anche Matthew se ne accorse, nonostante le sue attenzioni, in quel momento, fossero volte a ritrovare l'irrequieta Elanor.

Soltanto Ascanio poté fermarsi un momento, rivolgere una preghiera al Cavaliere dei Mari Azzurri, incitandolo a non mollare, a non lasciare che il passato lo soverchiasse, prima che la Morrigan lo richiamasse alla realtà della guerra.

Se anche Marins la udì, la voce del Comandante dovette perdersi nel turbinio di pensieri che lo aveva invaso fin da quando Eogan lo aveva morso. Li aveva sentiti, tutti, affastellarsi uno ad uno nella sua mente, mentre il sangue si muoveva, in balia del desiderio del Nefario, che non aveva smesso di compiacersi della prelibatezza di quella materia prima.

"Il sangue è vita, e dove c'è vita c'è un cosmo. E il tuo, amico mio, è fresco e dissetante." –Aveva bofonchiato, prima di affondare di nuovo i sottili canini e ristorarsi.

E non era la sua presenza opprimente sulla schiena, né la perdita del fluido corporeo a preoccuparlo, quanto quel che accompagnava il prosciugarsi della sua energia. Pareva che, assieme alla vita, se ne stessero andando i suoi ricordi.

"Ethan! Ethan! Ma non hai ancora finito i compiti?"

"Corri, Ethan! Corri più veloce o non la prenderai!"

"Oggi andiamo a caccia, figliolo!"

"Papà? Dove sei!"

Uno sparo.

Uno stadio.

Un uomo con il berretto dei Mets che gli sorride.

Marins accetta e tutto scompare e l'immagine cambia di nuovo e si ritrova in una casa, solo, circondato da mucchi di libri, scatole di puzzle e cibo per gatti. Una donna lo chiama, gli parla della cena che prepareranno insieme, ma lui non ricorda il suo nome, persino il volto, adesso, gli risulta difficile da disegnare. Chi era lei? E soprattutto chi era lui?

Per un interminabile momento non vide niente e temette che Eogan gli avesse già portato via tutti i suoi ricordi, poi, capì, quell'oscurità sfumò e divenne una cortina di nebbia. Così, del resto, aveva sempre visto Avalon. Un'isola verde in un oceano grigio.

"Stanco di correre?" –Gli chiese qualcuno.

"Io sono Reis, lui è Jonathan, e tu? Come ti chiami?"

Già, come mi chiamo? Io sono...

"Ma che razza di nome è Marins? Cosa sei, una sirenetta?"

Faceva fatica a riordinare i ricordi, andavano e venivano e non tornavano più, per quanto tentasse di richiamarli, e questo rendeva ancora più difficile incastrare gli altri, dare loro un ordine e un senso alla propria vita. Se mai l'abbia avuto.

Proprio in quel momento una voce gli invase la mente, una voce melodiosa e senza età, raccontandogli la storia di Tantalo e di tutte le meraviglie che aveva a portata di mano e che non poteva raggiungere. Era forse lui, Tantalo? Era quello il suo nome?

Oppure era Aircetlam, la Mano d'Argento? E perché aveva quella stupida mano di metallo poi? Forse l'intero suo corpo era di metallo?

Pensare alla mano gli diede la spinta per concentrarsi su un evento preciso, indirizzando tutte le sue risorse mentali in un'unica direzione. E alla fine di quel percorso, mentre Eogan continuava a succhiare, ridere e godere sopra di lui, trovò una torma di fiamme scure che parevano cingerlo d'assedio. Ferito, sanguinante e mutilato, era accasciato sul pendio erboso di una collina, reggendosi il moncherino e contando i secondi che lo separavano da morte certa. Di fronte a sé, il suo carnefice avanzava, l'oscura lama di fiamme che mirava al cuore del ragazzo. Ma, anziché sentirla, anziché rivivere il momento del trapasso, vide un giovane dai capelli biondi ergersi in sua difesa, venendo ferito al posto suo e continuando a combattere, fino all'esaurirsi dell'ultima stilla di energia.

"Amici..." –Gli sentì dire, con un sorriso stanco, mentre si accasciava su di lui, moribondo.

Amici.

Strana parola, quella. Voleva dire tutto e niente. Per il biondino, era sufficiente per sacrificarsi. E per lui? Che valore aveva? Lo aveva dimenticato o non lo aveva mai avuto?

"Febo..." –Mormorò, riprendendo a muovere le dita della mano ferita.

"Sì, sì, dopo mi occuperò anche del tuo amichetto. Sono certo che il suo sangue regale sarà un ottimo dessert! Ma ora sta' fermo e lasciami finire! Non che manchi molto ormai, visto lo stato in cui versi!" –Ridacchiò Eogan, ma il ragazzo nemmeno lo ascoltò, limitandosi a chiudere la mano a pugno e a ripetere quell'unica parola.

"Febo! Febooo!" –Gridò, mentre il suo cosmo azzurro divampava, come fiamme sorte dal mare, incendiando l'armatura del Nefario e costringendolo a staccarsi da lui con un balzo improvviso.

Da qualche parte, in quel marasma chiamato guerra, il Cavaliere del Sole dovette rispondergli perché Marins vide un raggio di luce puntare verso il cielo tetro. Durò un attimo ma bastò per ricordargli chi fosse.

Non era Tantalo, non era Aircetlam, non era neppure Ethan. A quel nome aveva detto addio quando suo padre era morto e la vita aveva smesso di avere senso.

"Il mio nome è Marins, Custode del Talismano di Elmas e Cavaliere dei Mari Azzurri!" –Esclamò, rialzandosi a fatica. –"Puoi anche aver preso i miei ricordi, ma la mia fede non l'hai intaccata, né l'amicizia che mi lega a Febo. Quello è il ricordo più grande che mi sostiene, un ricordo che è un eterno presente che viviamo assieme da quindici anni, e tu, lurida sanguisuga, non sei degno neppure di sfiorarlo!"

"Farneticanti ciance!" –Sghignazzò Eogan, spalancando le braccia e richiamando migliaia di pipistrelli di energia. –"Debole come sei, basteranno pochi morsi per porre fine all'agonia della tua esistenza. Chissà, Caos potrebbe persino premiarmi per aver vinto uno dei Sette, concedendomi qualche Divinità di cui nutrirmi! Ih ih ih! Accorrete, mie adorate creature della notte, e asportate l'ultimo barlume di cosmo che fioco scintilla in quel corpo stanco! Andate, mie strigi adorate!" –Gridò, indirizzando le bestiacce voltanti verso Marins, che, nient'affatto intimorito, si limitò a sollevare un braccio al cielo, aprendo il palmo della mano su cui una sfera di energia azzurra rilucette all'istante, mentre ovunque, attorno a sé, sorgevano colonne d'acqua di mare.

"Maremoto dei Mari Azzurri!!!" –Esclamò, comandando le colonne di convergere sulla sfera, roteando attorno a lui, in una spirale di blu e oro, fino a generare un vortice di energia acquatica che attrasse le strigi, travolgendole, risucchiandole, dilaniandole, liberando infine la strada verso Eogan.

"Maledetto!" –Ringhiò il Nefario, abbassandosi e preparandosi per scattare su Marins come aveva fatto in precedenza, ma quest'ultimo lo anticipò, scatenando la furia del maremoto contro di lui.

Con agilità, e scivolando sul terreno, Eogan riuscì comunque ad evitarlo, osservandolo disperdersi alle sue spalle, contro qualche servitore di Caos di cui poco gli caleva. Si appoggiò al suolo con una mano, per darsi lo slancio per balzare sul Cavaliere, quando riconobbe l'arma dalle tre punte che stava per sfondargli il torace.

Sputò, incredulo, mentre Marins lo trapassava con il Tridente dei Mari e lo inchiodava a terra, appoggiandosi stanco alla lunga asta dorata.

"Mi hai... imbrogliato..." –Rantolò, realizzando che quel poderoso assalto il ragazzo lo aveva scagliato solo per distrarlo, e coprirsi mentre il Talismano tornava nelle sue mani ed egli scattava avanti. –"Vile!" –Aggiunse, prima di spirare.

In quel momento tutte le strigi rimaste si dissolsero in un baluginio fiacco, liberando il cielo della loro mostruosità. Soddisfatto, Marins rimase ancora un minuto, o forse due, appoggiato al Tridente dei Mari, spossato dalla perdita di sangue e cosmo. Avrebbe voluto correre da Febo, per ringraziarlo per l'aiuto indiretto, per avergli rammentato quel che avevano sempre significato l'uno per l'altro. Ricordi che nessuno gli avrebbe mai portato via, poiché facevano parte del suo presente.

"Bel lavoro!" –Esclamò una ruvida voce, mentre una pacca sulle spalle lo fece sobbalzare, trovandosi di fronte il Sole d'Egitto.

"Mio Signore... state bene? Ammit, la divoratrice...?"

"Oh, lei è morta." –Commentò Amon, scuotendosi le mani impolverate. E, notò Marins, anche macchiate di sangue. –"Di nuovo. Pensavo di andare a vedere come se la cava Febo contro quell'Alastore, ma immagino voglia occupartene tu."

Sorridendo, Marins annuì. Estrasse il Tridente dal cadavere di Eogan e si avviò in direzione di Febo e Horus, salvo essere distratto da uno sbatter d'ali. Quando si voltò, vide il Messaggero Olimpico discendere dal cielo e inginocchiarsi di fronte ad Amon.

"Quali nuove dal fronte settentrionale?" –Chiese subito il Signore di Karnak.

"Il possente Zeus vi prega di attaccare in massa la Porta del Giorno. Noi, alla Porta delle Tenebre, faremo altrettanto e così accadrà a ogni angolo del Primo Santuario!"

"Stringere la presa. Lo farei volentieri, se avessi un esercito più numeroso e queste canaglie dall'animo oscuro non risorgessero in ogni momento."

"Proprio per scongiurare questo secondo punto, il diversivo è necessario." –Esclamò Ermes, alzandosi in piedi. –"Quanto al primo punto... sembra che un vecchio amico sia giunto ad aiutarci. Lo conosci, immagino, Cavaliere." –Aggiunse, voltandosi verso Marins e strizzandogli un occhio, prima di spalancare di nuovo le ali e volare via.

Solo in quel momento il ragazzo si accorse della confusione che regnava sul campo di battaglia. L'intera area di fronte alla porta del Giorno, dove finora si erano ammassate le ombre dei guerrieri caduti nelle Guerre Sacre, era in pieno scompiglio, dilaniata in ogni direzione da scie bianche, verdi e marroni, che correvano, tornavano indietro e... latravano.

Incuriosito, anche Amon si avvicinò, rilassando poi il volto nel riconoscere i nuovi arrivati. Migliaia di levrieri bardati scorrazzavano tra le linee nemiche, creando scompiglio e azzannando chiunque tentasse di accalappiarli, incitati da un uomo basso, con ricciuti capelli castani, rivestito di pelli di animale, che sedeva su un cane più grande degli altri. Al suo fianco una donna bellissima, con indosso un broccato di seta d'oro, cavalcava un magnifico stallone, seguiti da una schiera di cavalieri in bianche armature sopra destrieri color panna. Tutto, in loro, sembrava trasudare luce e purezza, persino la postura e il loro approccio calmo e metodico alla carneficina.

Solo quando si avvicinarono, Marins notò l'aura che li avvolgeva, intuendo che si trattasse di anime erranti, vincolate a un giuramento fatto in vita.

"Ci rivediamo, giovane yankee!" –Esclamò una voce ben nota, anticipando l'arrivo di Arawn in groppa al levriero più grosso.

"Lieto di rivederti, guardiano dell'oltretomba celtico!" –Lo salutò Marins, cui l'altro rispose con un lieve inchino.

"E questa è mia moglie, la splendida Rhiannon! Spero non vi dispiaccia se ci uniamo alla festa! Avevo un vecchio debito da scontare con il Signore dell'Isola Sacra e non lo considererò assolto finché non l'avrò pagato. Ho pensato fosse l'occasione per far correre i miei levrieri. Sapete, non c'è molta carne viva da azzannare negli inferi!" –Ridacchiò, prima di piantare i talloni nei fianchi del levriero e lanciarsi di nuovo alla carica. –"Cwn Annwn!" –Gridò, e la schiera furiosa lo seguì.

Solo quando l'ultimo dei Bianchi Cavalieri di Glastonbury si fu allontanato, Marins si chiese se, tra loro, non vi fosse anche il leggendario antenato di Ascanio: Arthur Pendragon.

***

Non appena Nesso varcò la soglia percepì di non essere entrato in una nube di nebbia, ma in un’altra dimensione. Lo spostamento lo fece vacillare per un momento, prima che la presa di Iro lo agguantasse, intimandolo di stare su.

Attorno a loro non c’era niente, solo un’oscurità più fitta persino del cielo che stava ricoprendo il Gobi, e in quell’oscurità brillava un’unica luce adamantina, proveniente dal Sommo Zeus, che li aspettava pochi passi più avanti, affiancato dal Cavaliere d’Oro della Vergine e da uno dei suoi Cavalieri Celesti.

"Dove siamo?" –Chiese Nesso, guardandosi attorno incuriosito.

"In uno dei sei mondi di cui sono guardiano." –Rispose la voce calma del Cavaliere di Atena. –"Ma ti prego di non chiedere altro, abbiamo poco tempo e dobbiamo usarlo nel migliore dei modi."

"Virgo ha ragione, Heroes di Eracle, perdonate questa brusca convocazione ma ho bisogno dei vostri servigi!" –Parlò allora il Signore dell’Olimpo. –"E solo qua posso esporvi i miei piani, qua dove l’ombra di Caos non si è ancora allungata!"

"Lui… non ci percepirà qua dentro?"

"Il tempo scorre in maniera diversa in ogni dimensione, per cui, quando uscirete, saranno trascorsi solo pochi secondi." –Spiegò Virgo.

"E in quei secondi Nettuno, Efesto e Eracle avranno scatenato la furia dell’Olimpo contro la Porta delle Tenebre. Ho dato ordine a tutte le forze dell’Alleanza di attaccare in massa, per distrarre i Progenitori. Ma anche in questo modo il tempo stringe, per cui sarò franco. Mia sorella langue in chissà quale androne di quel santuario bastardo e Caos se ne sta cibando, un pezzo alla volta, sorseggiando il suo ichor e beandosi della sua forza. Non posso più permetterlo! Né posso permettere che questo massacro continui! Il fiume di ombre deve terminare o moriremo prima ancora di aver varcato la soglia della roccaforte!"

"Mio Signore, voi… avete qualche idea di come quest’eterno ritorno dei combattenti delle guerre sacre sia possibile? È un uroboro di puro caos che, se non lo spezziamo…"

"Crediamo sia frutto di qualche esperimento condotto da Anhar!" –Intervenne il Cavaliere Celeste rimasto silente a fianco di Zeus. –"Lo conosciamo bene e sappiamo che ama trafficare con pericolose alchimie. Di certo c’è lui dietro tutto questo."

"Quale ne sia l’origine, quel fiume non deve più scorrere. Per questo servite voi. Eracle mi ha parlato delle vostre capacità!" –Riprese Zeus, fissando entrambi gli Heroes. –"Tu, Nesso del Pesce Soldato, il più abile incursore di Tirinto e tu, Iro di Orione, Primo Comandante, simbolo di forza, tattica e sapienza. Uniti alle doti del mio Luogotenente, siete il tridente perfetto per penetrare nella roccaforte di Caos! Scoprite cosa sta tramando e ponete fine a questo delirio! È una pazzia quella che vi chiediamo, lo so, anzi no è un sacrificio. Eppure… se non interveniamo…"

"Moriremmo tutti." –Concluse Nesso, strappando un cenno d’assenso anche a Iro.

"Noi, in fondo, siamo già morti. Possiamo morire una seconda volta. Ma solo con onore!"

"Vi ringrazio, nobili eroi! Le vostre gesta non saranno dimenticate, permarranno, nella memoria imperitura di coloro che verranno dopo di noi. Gli Dei di domani. Chissà se anche noi Olimpi saremo tra loro?!"

"Non crucciatevi, mio Signore!" –Parlò Nikolaos dell’Eridano Celeste.

"Non lo farò. Fin troppo mi sono crogiolato in se e ma che non ho saputo vincere. Ora è tempo di agire!" –Disse il Nume, aprendo il palmo della mano. Allungò un’unghia e se la piantò in un polpastrello, lasciando che si macchiasse di rosso, quindi versò alcune gocce sul talismano che il Luogotenente gli porse. –"Ecco qua, il dono che ti fece Demetra anni addietro! Mai come adesso vi sarà utile per entrare, non visti, nel Primo Santuario. Bagnato con il mio ichor, vi coprirà agli occhi dei Progenitori. Per quanto? Non so dirvelo! Forse già quando sarete all’interno avrà smesso di funzionare di fronte agli sconfinati poteri di Caos. Eppure… non abbiamo altro."

"Faremo tutto ciò che è in nostro potere per adempiere alla missione!" –Tuonò Iro, battendosi una mano chiusa a pugno sul cuore. –"Non falliremo! Spezzeremo l’uroboro del caos e vi riporteremo vostra sorella!"

"Le tue parole vi fanno onore, Primo Comandante, ma mi permetto di offrirvi un altro aiuto." –Disse Zeus, mentre Nikolaos mostrava un oggetto avvolto in un panno rosso. Nel vederlo, persino Virgo trasalì. –"Questa potrebbe esservi utile. L’ha recuperata il mio fido Ermes dalla cripta in cui avete dormito per due secoli!"

***

"Stai andando a combattere?"

La voce cavernosa del suo mentore lo raggiunse mentre varcava la soglia della sala grande, costringendolo a fermarsi.

"Dove altro dovrei andare?"

"So cosa stai facendo, ciò che vai cercando!"

"Oh, davvero?" –Quella frase lo irritò, ma si costrinse a sfoderare un’espressione di sorpresa che, sul suo volto deforme e maciullato dall’odio e dalla guerra, dovette risultare grottesca persino al Maestro di Ombre.

Avesse avuto una faccia, Tiamat l’avrebbe visto annuire e forse avrebbe notato le labbra piegarsi in un ghigno divertito, lo stesso che aveva rimarcato, negli anni, il concretizzarsi dei suoi piani. O forse il fallito concretizzarsi degli stessi.

"È lui che cerchi, non è così? Conosco bene quel sentimento." –Riprese a parlare Anhar. –"La vendetta!"

"Lo credo bene. Me lo hai instillato nel sangue quando mi hai ridato la vita. Io sono te, più di quanto tu creda, e provo quel che hai provato, maestro. Vendetta contro i fratelli. Tu hai avuto i tuoi, gli angeli bastardi che ti hanno abbandonato, io ho avuto il mio. E non avrò pace finché…"

"Pace?! Parola vuota e priva di ogni significato. La pace è un’illusione di cui gli stolti si riempiono la bocca per costringersi a scendere in guerra, troppo ipocriti per ammettere che la guerra è tutto ciò che vogliono. Io lo so bene, io che per averlo ammesso sono stato cacciato dalla gilda degli angeli, bandito da Avalon e confinato sulla Terra in attesa della sua venuta. Agli occhi dei miei fratelli, io sono il Caduto, eppure Caos non ha esitato a porre la mano sulla mia spalla, investendomi dell’onore di essere il suo araldo e invitandomi a rimettermi in piedi."

"C’è una morale, in questo discorso?" –Lo interruppe Tiamat.

"Irriverente e smanioso. Tutto il tuo maestro!" –Sghignazzò Anhar, avvicinandosi e trovandosi a pochi passi da lui. Il Primo Forcide ne scrutò l’inespressiva maschera nera che gli copriva il volto, senza lasciare spazio né agli occhi né alla bocca; come facesse a parlare o anche solo a vederlo era un mistero che non intendeva approfondire, ben conoscendo l’oscura alchimia dell’Angelo Caduto.

"Qualche consiglio prima di salutarci? Eviterei discorsi di incoraggiamento, non ne ho bisogno!"

"Oh, lo so bene. Te lo leggo negli occhi l’ardore bellico che ti domina. È nutriente, sì, corroborante per lo spirito. Ma non sottovalutare il tuo nemico e quel suo maledetto calderone. Io, purtroppo, l’ho fatto."

"Non accadrà!" –Esclamò Tiamat con decisione, muovendosi per allontanarsi, venendo richiamato dopo qualche passo.

"Sei guarito in fretta. Anche la tua corazza. Era messa piuttosto male dopo lo scontro con Ascanio. Chi te l’ha riparata?"

"Nessuno. Ho fatto tutto da me!" –Disse il Forcide, voltandosi e fissando l’Angelo con rinnovata determinazione. –"Ti ho osservato, spesso, anche quando giacevo in silenzio, invaso dai miei pensieri di rabbia, e ho preso da te quel che mi serviva!"

"Ti ho insegnato bene, allora!"

"Molto, e te ne sono grato. Sei e sarai sempre il mio maestro."

"Spero di averti insegnato anche la lezione principale!" –Sogghignò Anhar, prima di andarsene. –"Sopravvivere!"

Oh sì! Commentò Tiamat soddisfatto. È l’insegnamento che ho appreso meglio.