CAPITOLO QUINDICESIMO: VENDETTA.

Dei sette Cavalieri delle Stelle, Matthew era quello che maggiormente si trovava a suo agio in quella mischia. Avendo ricevuto l’investitura da poco, al termine di un lungo e burrascoso periodo di addestramento, minato da ripensamenti e accuse verso se stesso, aveva avuto modo di affrontare solo pochi avversari, tutti dichiaratamente ostili: Flegias, quando ancora si serviva dell’identità del figlio di Ares, le Makhai e infine Nyx; per cui non conosceva la quasi totalità delle ombre che lo circondavano.

Per lui erano ombre e basta. E forse era uno dei pochi ad avere quel privilegio.

Aveva visto, poc’anzi, il possente Squalo Bianco tentennare di fronte ad alcuni avversari, a uno in particolare, un guerriero alto e snello con una lancia di energia in mano, che quasi gliel’aveva piantata nel petto. E anche Pegasus, il Primo Cavaliere di Atena, che non aveva esitato a fronteggiare gli Dei, incurante del peccato di hybris, avrebbe volentieri frenato il pugno se fosse esistita un’altra soluzione, una qualsiasi, per non dover combattere, e uccidere, i compagni d’arme di un tempo.

Ma soluzioni, per adesso, non ve ne erano. Potevano solo continuare a menar pugni, e in quello Matthew non se la cavava male. Con quell’ampia scelta di avversari, poteva concedersi il lusso di sparare nel mucchio, dirigendo i raggi del suo arcobaleno in ogni direzione, senza pensare chi fossero (state) quelle oscure marionette. Triste, ma pratico. Si disse, evitando che due dischi affilati gli mozzassero la testa, prima di contrattaccare con un diretto dal basso, su quella che, in un uomo, avrebbe dovuto essere la mandibola, ma che, in quel caso, non produsse schiocco alcuno. Solo un disperdersi di vapore nero.

Cacciando via dubbi e disgusto, il Cavaliere di Avalon sfiorò il cristallo giallo sulla sua cintura, liberando un fascio di luce che dilaniò l’avversario, e quelli dietro di lui.

Una parte di sé avrebbe voluto sapere chi fossero quei guerrieri. Quando la Porta della Notte si era aperta, Reis aveva detto che si trattava dei caduti nelle Guerre Sacre di tutti i tempi, per cui dovevano appartenere a ogni ordine gli Dei avessero istituito per difendere i loro santuari. Di certo erano stati grandi eroi, cantati dai loro discendenti e onorati con statue, poemi o tombe sontuose. Qualche donna aveva dato nome ai figli pensando a loro e questi erano cresciuti con l’idea, la speranza, persino l’ambizione, di divenire come i paladini a cui tutto dovevano, anche la vita stessa.

A lui non era capitato così. Suo padre era figlio di un pescatore e lui avrebbe dovuto seguire il mestiere di famiglia, non fosse stato troppo sfaticato persino per quello; così, dopo la morte della madre, era scappato di casa, ritrovandosi ad Atene a inseguire sogni di gloria, svaniti quando la guerra tra la Grecia e l’Egitto era scoppiata e l’uomo che gli aveva fatto da mentore era divenuto un traditore, un assassino e il nuovo Sacerdote. Era dunque quello il volere degli Dei?

Ricordava di averlo pensato il giorno in cui aveva abbandonato il Grande Tempio, un dubbio che, a distanza di anni, non si era ancora fugato. Del resto, era proprio contro i genitori di tutti gli Dei che stavano combattendo.

La lancia di un guerriero nero lo colpì di striscio sul braccio destro, riportandolo nella mischia, prima che la gliela strappasse di mano e la usasse per colpirlo. Una volta, due, al terzo affondo il nemico esplose e la nera evanescenza svanì.

Ecco come finiscono gli eroi cantati dai poemi! Rifletté, trovando poca soddisfazione nel pensare che, non avesse trovato un motivo per reagire, anch’egli, forse, sarebbe finito dall’altra parte della barricata. C’era stata Miha, certo, a ricordargli di vivere, e Avalon, che aveva terminato il suo addestramento, aiutandolo a concentrarsi. Ma era da quando aveva incontrato Elanor che poteva dire di vivere davvero.

Gliel’aveva vista nello sguardo, durante il loro primo burrascoso incontro al Cerchio di Giove, quella voglia di vivere intensamente e scoprire i misteri del mondo, stufa della gabbia dorata in cui era costretta a vivere. Una gabbia dorata per cui, fino a pochi mesi prima, Matthew avrebbe invece dato il sangue. E forse era per questo che le piaceva tanto, perché era impicciona e sognatrice e anelava al movimento mentre tutto quel che lui avrebbe voluto era una casetta sul mare, anche da ristrutturare, e un pezzo di terra da coltivare. Un giardino in cui avrebbe saputo essere felice.

Sorrise, mulinando la lancia di metallo nero e respingendo l’assalto di un paio di guerrieri, prima di caricarla di energia e liberare una raffica di strali che abbatterono e distrussero i suoi avversari. Chissà come avrebbe reagito Elanor se, alla fine di tutto quel caos in cui erano immersi, gliel’avesse proposto?

"Elanor…" –Mormorò, guardandosi attorno, senza trovarla.

Scagliò la lancia nell’occhio di un guerriero nero, evitò l’affondo di un altro e travolse i loro compari con un tappeto di energia colorata, prima di sollevare quello stesso tappeto per avere una visuale maggiore. Avalon gliel’aveva detto subito, che lui aveva ottimi riflessi, sebbene fosse troppo pigro per farne uso. Ripensarci gli strappò una fitta allo stomaco, al ricordo del (secondo) maestro perduto, il secondo a credere in lui. Anche una ragazza gli era già stata strappata via; cosa voleva il destino? Ripetersi anche in questo caso?


"Dove diavolo si è cacciata?" –Mormorò, abbracciando con lo sguardo l’intero campo di battaglia. Senza accorgersene, travolto dalla concitazione dello scontro, si era allontanato dal nucleo della formazione, dove Pegasus e Asterios stavano combattendo. Vide le loro auree cosmiche scintillare e squarciare il cielo con fulmini azzurri e verdi, diretti, nel primo caso, contro tre robusti guerrieri, alti ben più di due metri, e nel secondo caso contro una schiera di demoni dal volto dipinto. Maori, a giudicare dai tratti del viso.

Jonathan, invece, stava fronteggiando una nuova carica dei Lestrigoni che, radunatisi tra loro, avanzavano in formazione serrata, formando una vera e propria muraglia. Imponenti e rivestiti da cotte integrali di metallo nero (mithril modificato da Anhar, forse?), che non permettevano nemmeno di intravedere la pelle al di sotto (se mai, della pelle, ci fosse stata!), parevano fregarsene dei raggi di energia con cui il Cavaliere dei Sogni li stava tempestando. Matthew avrebbe voluto urlargli di fare attenzione, e magari unirsi a lui, quando una cascata di fiamme si riversò sui Lestrigoni, così intense che le loro corazze iniziarono a fondere. Strizzando gli occhi, Matthew vide un ragazzo dai folti capelli blu camminare a qualche metro dal suolo, fissare gli avversari con sguardo corrucciato, prima di muovere l’indice davanti al volto, quasi li stesse sgridando. Anche se non poté udire le sue parole, immaginò che non fossero accondiscendenti.

Del resto Sin degli Accadi, in battaglia, non lo era mai.

Qualcuno lo afferrò per una caviglia all’improvviso, tirandolo giù e facendolo ruzzolare sul terreno; schivò lance e picche, finché non riuscì ad aggrapparsi a una di esse e a sollevarsi, con il cosmo che già scintillava sulle sette pietre.


"Arcobaleno incandescente!" –Esclamò, liberando una spirale di energia colorata che travolse tutti gli scagnozzi di Caos.

Proprio in quel momento Asterios e Pegasus radunarono quanti più membri dell’Alleanza poterono, scattando avanti tutti assieme, avvolti in una miriade di cosmi. Lance e fulmini, spade e scettri, fiamme e onde d’energia acquatica. Tutto quel che gli Dei e i loro Cavalieri furono in grado di produrre lo riversarono contro l’Armata delle Tenebre e la Porta della Notte alle sue spalle.

Matthew si trovava proprio nel mezzo, schiacciato tra le due formazioni che premevano l’una sull’altra, mentre ombre svanivano, guerrieri cadevano e nuovi cadaveri andavano ad aggiungersi ai precedenti. Approfittando della mischia, il ragazzo si gettò a terra, facendosi strada strisciando verso la propaggine orientale del campo di battaglia, quella terra di nessuno che lo separava dalla Porta della Notte.

Là, poco prima che lo trascinassero a terra, aveva individuato Elanor.

***

Lo scontro con Maru lo aveva fiaccato.

Non tanto nel corpo, quanto nello spirito. Se mai fosse stato possibile fiaccarlo ancora dopo gli orrori a cui aveva assistito negli ultimi giorni. Ma se veder morire gli amici con cui era cresciuto, gli anziani che ammirava, i bambini che avrebbe voluto preparare alla prova per divenire futuri Areoi, e infine veder crollare il proprio mondo non fosse stato abbastanza, Pō l’oscuro aveva pensato di torturarlo ancora, mandandogli contro proprio i suoi vecchi amici.

Sputando sangue e un dente rotto, Toru dello Squalo Bianco controllò lo stato della sua schiera. Una legione di giovani, inesperti, immaturi Areoi che non potevano definirsi soldati, ma che facevano tutto il possibile per non essergli di peso e offrire il loro contributo.

Accennando un sorriso, il discepolo di Afa si avvicinò a Waku della Balenottera, che stava fasciando alla bell’e meglio la gamba della giovane Parò (per cui Toru sospettò avesse sempre avuto una cotta), per tamponare una ferita che comunque non le impedì di rimettersi, zoppicando, in piedi quando udì quell’abbaiare improvviso.

Annusando l’aria, Toru si voltò giusto in tempo per vedere una mandria di grossi cani neri correre loro incontro, ciascuno cavalcato da un Guerriero del Caos. A differenza degli spiriti erranti fronteggiati finora, questi sembravano uomini in carne e ossa, ma di stazza superiore alla media. O forse era solo l’altezza media, piuttosto bassa, del suo popolo a farli apparire come giganti?

Quale fosse la madre che li aveva partoriti, lo Squalo Bianco sapeva che non li avrebbe rivisti, perché lui li avrebbe uccisi tutti. Era una promessa. Aveva resistito fin quando aveva potuto ma l’odore di sangue che impregnava l’aria gli rendeva difficile concentrarsi e, forse, adesso, poteva permettersi di lasciarsi andare.

"Io del Barracuda!" –Esclamò, rivolgendosi a un tipo smilzo con sottili occhi neri. –"Sei il più anziano sul campo. Proteggi i giovani Areoi!"

"Ma… Comandante?! Non capisco…" –Balbettò questi.

"Proteggili! Da qualunque nemico!" –Ripeté Toru, avanzando verso i cani neri avvolto nella sua aura biancastra. Non ne aveva mai visti di quelle dimensioni, sebbene ben poco conoscesse gli animali del mondo di sopra. Solo a volte, da piccolo, il maestro Afa gliene aveva descritti alcuni, a lui e agli altri apprendisti Areoi, stupiti nell’apprendere che fossero dotati di quattro zampe e di ali. Per lui, e per tutti gli abitanti degli Avaiki, gli animali erano i pesci, o al massimo i molluschi e le altre forme di vita che popolavano i fondali oceanici. Immaginare un delfino camminare sulla terraferma lo aveva sempre stranito.

"Ma questi non sono animali." –Scosse la testa, mentre la schiera latrante si avvicinava ed egli poteva notare gli artigli sfoderati, il pelo irsuto e i grossi occhi tondi, iniettati di sangue. No, erano solo bestie figlie di Pō e nell’oscuritą sarebbero tornate. –"Fauci dello Squalo Bianco!" –Tuonò, scaricando il proprio colpo segreto contro un gruppo di cani, dilaniandoli e sventrando anche coloro che li guidavano. Fece per attaccare un’altra mandata quando udì le grida di Waku.

Voltandosi, vide che i giovani Areoi erano già stati circondati, da un’altra mandria di bestie sbucata da sud. Io, Arohirohi e Perè stavano combattendo per tenerli a distanza, mentre Waku trascinava la giovane Parò della Conchiglia fuori dalla ressa. Un cane la agguantò per la gamba già ferita, strappandogliela con forza, tra le grida della ragazza, mentre altri ancora ne stavano arrivando. Stringendo i pugni, Toru capì che se non avesse sfondato adesso la catena, prima che si chiudesse, li avrebbero tagliati fuori dal resto dell’Alleanza.

"Soffio della Balenottera!"

Fu la vocina di Waku a fugare ogni suo dubbio e l’impeto con cui il sedicenne corse contro il cane nero, investendolo con un’onda di energia acquatica. Nel vederlo agire, anche i compagni parvero riaversi, liberando i loro colpi segreti, e Toru fece altrettanto con i cani che li assediavano dal suo lato.

Ma erano tanti. Troppi. E lui aveva già dimostrato la sua incapacità nel proteggere il suo popolo. Quanti ancora dovevano morire prima che liberasse la furia del predatore dei mari? Se lo chiese mentre afferrava le fauci di un cane, girando la testa disgustato dal fetore, e le spalancava, schiantandole; quindi, con un pugno, maciullò anche la testa del guerriero che lo cavalcava.

Afa lo aveva avvisato dei rischi insiti nell’accedere a un simile potere e lui sapeva di cosa stava parlando.

"Uno squalo non è un pesce da tenere in una vasca." –Gli aveva detto, in una delle ultime lezioni, per completare la sua formazione. –"Uno squalo è la forza primordiale degli oceani. Puoi pretendere tu, giovane Toru, di controllarla? Io no. Eppure i nostri antenati ci riuscirono. Gli aumakuas lo sanno. Non ci avrebbero donato così tanto potere senza la possibilità di imbrigliarlo per qualcosa di buono, non credi?"

"Sì!" –Esclamò deciso Toru, sollevando il pugno, avvolto nel proprio cosmo bianco. –"Lo credo, maestro Afa!"

***

"Che diavolo pensi di fare?" –Esclamò Matthew, raggiungendo Elanor a pochi passi dalla Porta della Notte. Aveva il respiro affaticato, per la corsa e gli scontri continui a cui aveva dovuto abbandonarsi nel seguire la scia di cadaveri e cocci di armature nere che la ragazza si era lasciata dietro.

"Va’ via, Matt!" –Si limitò a rispondere quest’ultima, sollevando lo scudo e parando l’affondo di un ultimo guerriero che, a giudicare dalla corazza, doveva essere stato un Cavaliere di Asgard. Matthew lo travolse con un arcobaleno di energia, schiantandolo contro l’enorme portone, prima di ripeterle la domanda, ottenendo la stessa risposta. –"Ti ho detto di andartene!"

"Dove mai dovrei andare? Siamo in guerra, Elanor. E combattiamo assieme!"

"Non stavolta." –Commentò lei, scansando lo sguardo preoccupato del ragazzo.

"Ah no? E perché? Perché stai andando a cercarla? Cosa credi, che non abbia capito?"

"Matt, ti prego! Vattene! Non posso… non voglio che ti succeda niente di male! Non a te!"

"Qualunque cosa ci succeda, la affronteremo insieme!" –Le disse lui, prendendole le mani tra le proprie.

"Ma che belle parole! Toccanti e proprio adatte al momento!" –Esclamò una voce di donna, distraendoli e portandoli a guardarsi attorno. –"Voi umani mi sorprendete di continuo. Anche adesso, nel pieno dell’ultima guerra che deciderà le sorti del vostro mondo, che cosa fate? Trovate il tempo per una dichiarazione d’amore! O siete stupidi o completamente innamorati. Il che, a pensarci bene, è la stessa cosa." –Ridacchiò, mentre una spirale di energia nera circondava i due Cavalieri delle Stelle, avviluppandoli e separandoli dal resto della battaglia.

Matthew credette di sentire voci che lo chiamavano e cosmi amici che si avvicinavano. Forse Pegasus o Asterios? Chiunque fosse, rimase fuori dalla voluta di cosmo oscuro che, quando si dissipò, si riunì assumendo una sagoma vagamente umana. Quel che era mutato, nel frattempo, era l’ambiente.

Sgranando gli occhi, il Cavaliere dell’Arcobaleno realizzò di non essere più all’esterno del Santuario delle Origini. –"Siamo… dentro…" –Mormorò, osservando lo spiazzo che separava la Porta della Notte dalla vera e propria fortezza, un cortile immenso come dieci arene del Grande Tempio. E proprio di fronte al portone stesso una donna dai lunghi capelli viola li fissava sogghignando, scuotendo il lungo mantello nero che, a ogni movimento, gli ricordava le ali di un enorme rapace. –"Nyx…" –Solo a pronunciarne il nome, un brivido improvviso gli tagliò la schiena in due. –"Niente sciocchezze, Elanor. Possiamo fronteggiarla ins…" –Ma la ragazza non era più accanto a lui. Correva, avvolta nel proprio cosmo, incontro alla Notte.

"Muori, strega!!!" –Gridò. –"Croci di luna!!!"

"Ahr ahr!" –I fasci di energia sfrecciarono attorno a Nyx senza sfiorarla, troppo deboli e lenti di fronte all’oscurità soverchiante del suo cosmo, che subito si levò, sotto forma di un uccello nero, divorando l’attacco luminoso e piombando sul Cavaliere della Luna, stramazzandola al suolo.

"Elanor!!!" –Esclamò Matthew, su cui Nyx posò lo sguardo poco dopo, smuovendo la gigantesca ombra del suo cosmo. –"Corona di luce!" –Gridò, generando una cupola di energia attorno a sé, a cui l’uccello nero si avvinghiò, piantandovi le unghie delle zampe e prendendola a beccate. Ne bastarono due per mandarla in frantumi e prostrare il ragazzo in ginocchio, e una terza per ferirlo alla spalla, penetrando l’armatura di mithril e inondandola di sangue. Agonizzando, Matthew crollò al suolo.

"Ecco fatto. I due sventurati amanti uniti nello stesso tragico destino." –Disse Nyx, ritirando il cosmo e ammirando compiaciuta la veloce conclusione di uno scontro deciso a priori. –"Quale ironia. Non è forse allo stesso modo che i tuoi genitori sono morti, Principessa della Luna? Pensavi forse che non ti avessi riconosciuta?"

"Non… sono… una principessa!" –Rantolò Elanor, sforzandosi di rialzarsi.

"Non ne hai lo spirito, in effetti. Una principessa è beneducata, pulita e soprattutto caritatevole con i suoi sudditi. Tu, proprio, non lo sei. Guarda là, hai condannato il tuo ragazzo a morte certa!"

Elanor avrebbe voluto rispondere ma bastò che Nyx sollevasse una mano per schiacciarla a terra con la pressione del suo cosmo oscuro, mentre le passava accanto e si accostava al corpo inerme di Matthew.

"Che… fai? Lascialo stare!!!"

"Credevo che voleste stare insieme per l’eternità. Oh beh, per quel tanto che l’eternità durerà ancora." –Ridacchiò Nyx, afferrando il ragazzo per i capelli e tirandolo su, mentre famelico il rapace d’ombra piantava il becco nella sua ferita aperta, facendolo strillare. –"Onestamente? A me non piace. È biondo, magro e debole. E per i deboli non c’è futuro nel mondo che Caos sta forgiando!" –Chiarì, scaraventandolo in aria, sospinto da ali di tenebra. Quindi fece apparire il tridente, impugnandolo e mirando all’indifesa sagoma, martoriata dal suo cosmo, che stava precipitando a terra.

"Noo!!!" –Gridò Elanor, rialzandosi con un veloce scatto e balzando in alto, di fronte a Matthew, con lo Scudo di Luna davanti a sé. L’impatto con l’arma la scagliò indietro, assieme al ragazzo, facendoli ruzzolare per una decina di metri, fino a sbattere contro il portone, mentre, per tutto quel tempo, Nyx non smetteva di ridere.

Elanor odiava la sua risata. Aveva riso anche quando aveva massacrato suo padre, povero martire, che non aveva commesso un solo peccato in tutta la sua vita immortale, se non forse quello di dare sempre ragione a Selene? Quel pensiero la fece bruciare dentro, spingendola a rimettersi in piedi, incurante dei lividi e del sangue che le imbrattava il viso. Niente, a confronto della lesione alla spalla di Matt, che continuava a sanguinare da sotto l’armatura. Come? Elanor non seppe spiegarselo, ma ritenne dipendesse dal cosmo di Nyx, per cui, sconfitta lei, anche Matt sarebbe stato salvo.

Glielo doveva, in fondo. A causa sua era stato ferito, di nuovo. Perché l’aveva seguita, anche quella volta, come sulla Luna. Avrebbe dovuto perdere anche lui?

"No!" –Avvampò nel suo cosmo adamantino, tirando una rapida occhiata oltre Nyx. Oltre il Primo Santuario. Oltre il Gobi. Da qualche parte, in cielo, la luna li fissava ancora, ricordandole la sua vita passata e gli affetti perduti. Per un momento, le sembrò che un raggio di luce trapassasse la cortina di tenebre, baciandole la fronte, come quando sua madre le pettinava i capelli e suo padre leggeva poemi del Mondo Antico e le sue sorelle ridevano, cantavano e danzavano al suono della cetra di Asterios. L’aveva disgustata così tanto quel mondo da volerlo a ogni costo lasciare? –"No!" –Ripeté, mentre il cosmo le turbinava attorno, sempre più velocemente, sempre più ribollente. Di rabbia, di odio verso Nyx, di sogni di vendetta.

Una mano le sfiorò un piede, attirando la sua attenzione verso Matthew, che giaceva agonizzante nella polvere di un santuario dove presto sarebbe morto, quasi a dirle che esistevano anche altri motivi per combattere. E allora fu come averli lì, tutti quanti: Selene (non la madre ansiosa che le impediva di scendere sulla Terra a giocare, ma la possente Dea, figlia del Titano Iperione, che aveva contrastato Nyx finché aveva avuto una stilla di cosmo in corpo), Endimione (l’uomo che le aveva insegnato ad amare), le sue sorelle e Matthew. Per loro avrebbe lottato, fino alla fine.

"In nome tuo, madre! Selenaios Vortex!" –Il gigantesco turbinio di cosmo, sabbia e luce divorò lesto il terreno che la separava dalla Prima Dea, che, meravigliata, sollevò un sopracciglio, prima di torcere le labbra in un ghigno di sfida.

"Tale madre, tale figlia. E tale sorte vi accomunerà!" –Aggiunse, spalancando le braccia e sollevando un muro di tenebra così fitta che Elanor non riuscì a vedere altro alle sue spalle. Solo il mulinare imperterrito del Vortice Lunare che cercava di sfondare quella mastodontica linea di difesa. –"Nocturniae Tenebrae!" –Parlò infine Nyx, spingendo in avanti la muraglia di ombre e disperdendo l’attacco della ragazza, che fu travolta da una forza impressionante, sradicata da terra e schiantata contro la Porta delle Tenebre, assieme a Matthew, sottoposti a una pressione indicibile, che fece tremare la stessa struttura difensiva.

"È… un potere soverchiante… Pe… Perdonami, Matt! Non riesco a contrastarlo!" –Pianse il Cavaliere della Luna, ma la violenza del muro d’ombra era tale da impedire persino alle lacrime di scivolarle sulle guance.

"Non… non devi…" –Mormorò l’allievo di Gemini. Una voce persino più bassa dello scricchiolare sinistro delle loro corazze. –"Non devi affrontarla da sola. Tu… non sei sola. Non l’hai ancora capito?" –Aggiunse, riuscendo ad afferrarle una mano.

Anche senza vederlo, Elanor fu certa che il ragazzo stesse sorridendo. Lei fece altrettanto ed entrambi bruciarono i loro cosmi, nel nome di tutto quel che di bello era rimasto nelle loro vite spezzate.

"Talismani!!!" –Gridarono, mentre sette fasci di luce colorata trapassavano la cortina di tenebra e uno scudo di energia argentea sorgeva a proteggerli, respingendo quella marea nera, quel tanto che bastò loro per scivolare giù lungo il portone e atterrare al suolo. Zoppicando, Mattew si aggrappò a Elanor per non cadere, si scambiarono uno sguardo d’intesa e rinnovarono il loro attacco. –"Arcobaleno incandescente, risplendi! Selenaios Vortex, travolgila!"

"Stolti! Che siate uno, due o tutti e sette, incontrerete qui la fine del vostro lungo penare, la meta finale del vostro viaggio! La morte! Addio! Marea d’ombra!" –Esclamò Nyx, spalancando le braccia e liberando una devastante fiumana di tenebra che si abbatté sull’assalto congiunto, fagocitandolo e impedendogli di proseguire, decisa a estirpare ogni stilla di luce.

"Dobbiamo… resistere…" –Disse Matthew, a denti stretti. –"Per i nostri compagni! Per gli uomini!"

"Gli uni e gli altri perir dovranno sotto il manto oscuro della notte. Nessuno più uscirà a riveder le stelle! Ahr ahr!" –Ghignò Nyx, travolgendo i Cavalieri delle Stelle e schiantandoli contro la porta occidentale, incrinando le loro corazze, distruggendo gli elmi e piegando i loro arti in posizioni innaturali. Un’ultima pressione e…

"Ora basta!" –Tuonò una voce imperiosa, distraendo la Primogenita.

Cinque grosse lance di cosmo spuntarono dal portone, facendolo poi saltare in aria. L’esplosione disperse la marea di tenebra, forzando Nyx a coprirsi gli occhi e ad abbassarsi, per evitare l’enorme pezzo della porta da lei difesa che le sfrecciò sopra la testa, rischiando di mozzargliela. Quando si rialzò, vide una magnifica armatura intarsiata farsi avanti nella nube di polvere, brillando di un intenso bagliore verde acqua, quasi fosse composta di scaglie di oceano.

"Correggimi se sbaglio, ma abbiamo iniziato uno scontro sulla Luna; credo sia l’ora di terminarlo, non credi?"

Riconoscendolo, l’espressione della Dea oscillò tra sorpresa e fastidio, stabilizzandosi poi in un ghigno divertito. –"Morto il fratello, se ne fa avanti un altro!"

"In suo nome combatto!" –Esclamò Asterios, mentre altri due uomini, alle sue spalle, si facevano avanti. Uno corse a sincerarsi delle condizioni dei Cavalieri delle Stelle, l’altro, rimasto al suo fianco, tirò un’occhiata alle snelle sagome che stavano scivolando giù lungo i bastioni e le mura del Santuario delle Origini al silenzioso comando della loro Signora. Ne contò otto, tra quelle visibili, ma furono almeno una decina quelle che si inginocchiarono ai piedi di Nyx.

"Nogitsune! Tu e le tue volpi occupatevi dei Seleniti. Ma l’Angelo è mio!" –Sentenziò la Dea. Le Volpi Nere annuirono, schizzando avanti, mentre già Mani aveva espanso il suo cosmo glaciale e Shen Gado, poco distante, spalancava le ali.

***

Gli Areoi stavano combattendo bene, ma la furia dei cani neri era inarrestabile e loro erano pochi e stanchi, e i compagni dell’Alleanza lontani, separati da un fiume nero di ombre e bestie che in breve li circondò, lasciando loro uno spazio ovale ove si raggrupparono. Toru, a occidente, cercava di contrastare l’ondata maggiore, grondando sangue da numerose ferite, mentre, alle sue spalle, Io, Perè, Arohirohi, Atanea e Aitu, disposti a ventaglio, faticavano a fare altrettanto, con Waku che singhiozzava in ginocchio sul cadavere di Parò.

"Sterminateli!" –Esclamò allora una voce cavernosa. –"Ho voglia di pesce stasera!"

Toru vide i cani fare spazio a una bestia più grossa delle altre, simile ai cetacei perigliosi che popolavano l’oceano, ma con quattro zampe e occhi demoniaci, cavalcata da un guerriero alto e robusto rivestito da una corazza rossastra. Il primo tocco di colore nelle schiere del Caos. O forse un macabro tentativo di ironia nel richiamare il colore del sangue.

Sangue. Mugugnò Toru, piantandosi le dita nel palmo della mano per restare concentrato.

"Chi sei, cane?"

"Non un cane, ma un bufalo." –Esclamò il nuovo arrivato, fermandosi al limitare dello spazio che gli Areoi avevano tenuto combattendo con i denti. –"Yama del Bufalo Nero, Nefario del Caos."

"E io sono Toru dello Squalo Bianco, Comandante degli Areoi."

"So chi sei, per questo sono qua. Mi interessava uno scontro tra noi, uno scontro tra bestie!" –Quindi, senz’altro aggiungere, abbaiò alla schiera di avanzare. Alcuni cani balzarono sugli Areoi, che tentarono di respingerli con fasci di luce, spire e onde d’energia acquatica. Aitu venne gettato a terra, con una ferita sul fianco, e Io evitò a stento che una bestia gli portasse via una mano. Toru avrebbe voluto correre in loro aiuto ma Yama lo caricò in quel momento, forzandolo a dirigere l’assalto su di lui.

Le Fauci dello Squalo Bianco divorarono il cane che cavalcava ma, quasi lo avesse previsto, il Nefario si era già lanciato in alto e adesso stava piombando, a gamba tesa, su Toru, che non ebbe il tempo di muoversi. Poté solo alzare le braccia, caricandole di cosmo, e prepararsi all’impatto, che fu più violento di quanto si aspettasse, al punto da scaraventare entrambi indietro, lui con i bracciali crepati, l’altro con un piede che fumava, ma, a parte ciò, il Nefario non sembrava affatto impensierito.

Guardandolo meglio, Toru vide che la sua corazza aveva già subito dei danni, forse in scontri precedenti, e questo lo consolò, convincendolo che non era invincibile. Ma quanto avrebbe impiegato a vincerlo? Ogni secondo di ritardo era una ferita in più ai danni dei suoi compagni.

Quasi intuendo le sue preoccupazioni, Yama sogghignò, portando le braccia avanti e liberando una carica di bufali di energia, che si abbatterono su Toru con una forza simile a quella delle bestie che avevano tentato di abbattere la Conchiglia. Non gli restò altro che contrattaccare con il suo colpo segreto, frenandone l’avanzata e rimanendo in una situazione di stallo, entrambi decisi a sopraffare l’avversario.

"Aaah!" –Gridò una giovane voce, che Toru riconobbe come quella di Aitu. –"Maledizione, resistete! Perè, attenta a destra!" –Questo, invece, era Io. Grande nuotatore, forse persino più veloce di lui, ma carente nel corpo a corpo; del resto, nei fondali oceanini, con chi mai dovevano guerreggiare? Un’altra colpa che doveva assumersi per non averli martellati con allenamenti più pesanti. –"Waku, vieni via da lì! Waku!!!" –Lo strillo di Perè quasi lo fece vacillare e Yama ne approfittò per ordinare a un gruppo di cani di sbranarli.

Toru temette che, da un momento all’altro, il sangue degli amici gli sarebbe piovuto addosso, invece l’unica cosa che lo raggiunse fu un raggio di sole. E una voce di donna.

"Flashing sword!"

Girandosi quel tanto che poté, per non perdere la concentrazione, vide un’agile figura schizzare tra le fila dei cani, mulinando una scintillante spada che pareva composta di pura luce. Trapassò le bestie, le falciò, e tagliò pure qualche testa, prima di atterrare a piedi uniti di fronte agli Areoi sopravvissuti, la lama stretta nella mano destra e rivolta verso i cani che, pur ringhiando, sembravano meno desiderosi di avanzare.

"Brucia vero? Voi Gytrash non siete abituati alla luce delle stelle, solo alle ombre dell’oltretomba in cui vi ricaccerò!" –Esclamò fiera, prima di voltarsi verso Toru e dirgli di non preoccuparsi. –"I tuoi compagni sono in buone mani."

Il Comandante annuì, mentre il Cavaliere di Luce si lanciava di nuovo verso i cani. Lui fece altrettanto e lo Squalo Bianco azzannò un paio di bufali, prima di farsi strada verso un fianco di Yama. Fu lesto quest’ultimo a bloccargli il polso un attimo prima che gli sfondasse l’armatura, con una presa ferrea, e torcerglielo fino a schiantargli l’osso. Non contento, il Nefario lo capovolse, sbattendolo a terra e montandogli sopra, le mani che affannavano alla ricerca del suo collo.

Lo sfrigolare dei loro cosmi annerì e scheggiò le corazze, con Toru che si dimenava per liberarsi, faticando con un solo braccio. Riuscì ad afferrargli un corno del coprispalla, esercitandovi una decisa pressione e lottando per non perdere i sensi mentre Yama lo strangolava; lo schiantò e glielo piantò nel ventre, sfruttando una crepa già esistente nell’armatura.

Il Nefario barcollò ma non mollò la presa, costringendo Toru a conficcargli il corno in profondità, facendolo sussultare e sputare sangue e bava. Lesto, il Comandante rotolò di lato, abbandonandosi a affannati respiri che aumentarono d’intensità quando l’odore del sangue nemico giunse alle sue narici. Lo fissò, con occhi che dovettero spaventarlo se Toru lo vide muovere un malfermo passo indietro, prima di avventarsi su di lui, il pugno carico di energia cosmica, e sfondargli la cassa toracica.

Restò a guardarlo mentre crollava a terra, il sangue e i liquidi interni che colavano dal suo braccio destro. Avesse ascoltato la fame, si sarebbe avventato sulla carcassa e nutrito, ma Afa lo aveva messo in guardia sullo spirito del predatore che, a volte, non riusciva a distinguere chi fossero gli amici e chi fossero le prede. Quasi immaginasse di sentire una mano poggiarsi su una spalla, Toru si voltò e sorrise. Anche se l’ombra l’aveva invaso e ne aveva inquinato le fattezze, il suo mentore non l’avrebbe mai abbandonato e un giorno, molto presto, si sarebbero ritrovati, assieme a Maru, Tara e a tutti i compagni perduti. Un giorno, nell’Avaiki oltre la fine del mondo.