CAPITOLO TERZO: PRIMA DI PARTIRE.

"Volevate vederci, Comandante?" –Esclamò Jonathan, il biondo ciuffo mosso dal gelido vento di Asgard.

Ascanio, di fronte a lui, annuì, spostando lo sguardo sugli altri Cavalieri delle Stelle. Dopo tanti anni trascorsi ad ascoltare Avalon parlare dei Talismani e dei loro mirabolanti poteri, adesso erano finalmente tutti riuniti. C’era curiosità nello sguardo di ognuno di loro, soprattutto da parte dei primi ad aver risvegliato i manufatti. Reis, Jonathan e Marins scrutavano Elanor incuriositi, non avendo mai immaginato che l’ultimo Talismano fosse nascosto proprio sulla Luna. In verità, nessuno di loro aveva visto nemmeno il Calderone dei Misteri, sebbene nessuno avesse mai avuto dubbi sul ruolo di Ascanio.

Egli era il glorioso Comandante dell’ordine scelto da Avalon per fronteggiare la minaccia dei Progenitori e tutti gli tributavano il giusto rispetto. Anche Matthew, che non aveva mai avuto simpatia per le autorità, e la stessa Elanor, appena strappata al Reame Beato in cui aveva sospirato per anni attendendo di vivere intense emozioni, ne avevano subito accettato il ruolo, percependo in lui qualcosa di più.

Non era soltanto dotato di un cosmo vasto e vigoroso, non era solo il discendente dei Pendragon e il custode dei misteri di Albion. Ascanio era l’erede di Avalon, ne aveva le capacità e la flemma necessaria. A volte, scherzando, Jonathan diceva che aveva persino la stessa espressione dell’Arconte Supremo, quella maschera di imperturbabilità che nascondeva una mente dall’attento acume indagatore. Egli, come Avalon, avrebbe fatto di tutto pur di raggiungere il proprio obiettivo.

"Avete fatto medicare le vostre ferite da Eir? La Asinna della Medicina è un’esperta guaritrice, sebbene lo scontro con Erebo l’abbia fiaccata. Ecco, tenete! Ristoratevi con questa!" –Disse Ascanio, allungando una borraccia ai Cavalieri suoi compagni. –"Quando sono stato ad Avalon, poche ore addietro, tutto era in rovina. Dei meli sotto i quali amavano leggere o meditare, non era rimasto niente. Solo tronchi ischeletriti e crateri sparsi, resi fangosi dalle acque che zampillavano dalle profondità sventrate. In mezzo a quella devastazione, un luccicore ha attirato la mia attenzione. Per quanto il Pozzo Sacro sia stato distrutto, ho ricostruito il percorso delle acque sotto la collina, seguendole fino alla sorgente ai piedi del Tor, e lì ho raccolto quest’acqua, di cui conoscete le forti proprietà rigenerative! Sorseggiatela piano, assaporandola con gusto! Lasciate che la sapienza dell’antica Albion fluisca in voi e vi guidi in quest’ora buia!"

Uno dopo l’altro, i Cavalieri delle Stelle bevettero l’acqua di Avalon, sentendo una nuova energia scuotere il loro corpo, un pizzicore che infuse loro determinazione e speranza. Per quanto Alexer avesse detto il vero, nessuno di loro aveva qualcuno da salutare. A differenza dei Cavalieri dello Zodiaco, che avevano amici e parenti che aspettavano il loro ritorno, Jonathan e gli altri erano soli, avendo consacrato l’intera esistenza a prepararsi per quel momento. E le poche persone a cui erano legati sarebbero venute con loro nel Gobi.

Jonathan aveva soltanto il suo mentore, che poc’anzi gli aveva rivolto un veloce discorso di incoraggiamento, e i Guerrieri di Inti, che aveva contribuito ad addestrare e con cui condivideva le origini e i tratti somatici. Ma, a parte questa somiglianza di facciata, il ragazzo non aveva nessuno a Isla del Sol. Soltanto dolorosi ricordi della notte in cui aveva perso sua madre, e del senso di colpa che aveva a lungo dimorato nel suo animo, accusandosi per essere stato troppo debole, troppo inesperto, per poterla salvare. Era stato ad Avalon, meditando e viaggiando dentro le sue debolezze, che era riuscito a superarlo e ad andare avanti.

Anche Reis, da piccola, aveva affrontato un percorso simile, rivivendo molte volte il giorno dell’alluvione nel Galles, uscendone presto vincitrice, grazie alla sua forza di volontà e a un carattere forte, che le aveva permesso di risvegliare per prima il Talismano da lei custodito. C’era solo una persona con cui avrebbe voluto stare, per parlargli e dargli un ultimo bacio, ma in quel momento era ad Atene. Sorrise, riflettendo che presto lo avrebbe ritrovato in battaglia, dove lo aveva incontrato la prima volta e dove avevano trascorso la maggior parte del loro tempo insieme. è questo, in fondo, che fanno i guerrieri. Si disse, sospirando e sperando che il vento portasse a Ioria i suoi pensieri.

Marins apriva e chiudeva le dita della mano artificiale, allenandosi a impugnare e a lanciare il Tridente dei Mari Azzurri, realizzando di averne ormai completa padronanza, sebbene a volte rimpiangesse di non aver più quella vera. Concedendosi un sorriso, si chiese cosa avrebbe pensato la zia Susy di lui, vedendolo adesso, vent’anni dopo, con una protesi e cicatrice sparse sul corpo. Sei tutto tuo padre! Probabilmente avrebbe detto così. E non era un pensiero incoraggiante, per un uomo che era morto solo, per un errore umano e dopo essere stato lasciato dalla moglie. Febo gli poggiò una mano sulla spalla in quel momento, rubandolo ai suoi pensieri e costringendolo a voltarsi verso il suo migliore amico. No, si disse Marins scuotendo la testa. A differenza di suo padre, lui non sarebbe morto solo.

La stessa cosa sembrò pensarla il Cavaliere del Sole, il cui animo era ancora turbato dalle parole crude, ma veritiere, di Lissa. Non aveva dovuto faticare molto, la Dea del Furore Cieco, per tramutare la colpevolezza di Febo in pazzia. Aveva soltanto dovuto ripercorrere la sua esistenza e le perdite che essa aveva comportato. Hannah, morta nel darlo alla luce, gli Dei d’Egitto, che avevano abbandonato Amon per aver giaciuto con una sacerdotessa greca, Osiride e Iside, rei di averlo amato troppo. Che a uguale sorte fossero destinati anche suo padre e suo fratello? Quel pensiero lo fece avvampare, portandolo a chiudere le dita a pugno e a giurare a se stesso che mai nessuno più sarebbe dovuto morire a causa sua. Costi quello che costi.

Matthew era forse il più tranquillo, non avendo nessun legame con il mondo per il quale stava per andare a morire. L’unico che sentiva adesso, e che gli solleticava il cuore spingendolo a cercare il suo sguardo e a fissarla anche quando lei gli voltava le spalle, era per la ragazza dagli occhi verdi al cui fianco aveva combattuto sulla Luna. Era strano, dopo Miha, pensare a un’altra. Eppure non si sentiva in colpa, né provava vergogna per quel sentimento nascente, poiché certo che saperlo felice fosse tutto quel che Miha avrebbe voluto per lui.

Elanor, dal canto suo, camminava avanti e indietro nel piazzale retrostante la fortezza di Asgard, dove Ascanio li aveva convocati, le mani giunte di fronte alla bocca, recitando un’antica litania che il Selenite di Giove le aveva insegnato. Una preghiera di pace che rivolse ai suoi genitori, soprattutto a sua madre, una donna che troppo tardi aveva imparato ad ammirare. Troppo tempo aveva passato a volersi allontanare da lei, convinta che fosse soltanto una vigliacca, che aveva abiurato agli impegni che ogni Divinità dovrebbe avere verso i propri fedeli, nascondendosi sull’altra faccia di un mondo lontano da guerre e tempeste. E solo ieri, quando Selene si era eretta di fronte a Nyx, per permettere alla primogenita di mettersi in salvo, aveva compreso quel che la Dea della Luna aveva cercato di fare per tutto quel tempo. Proteggerla e darle la possibilità di vivere. E lei, adesso, quella possibilità non l’avrebbe sprecata.

"Comandante Ascanio?!" –Esclamò infine. –"Potrei far visita alle mie sorelle? Vorrei salutarle prima della partenza!"

Il Cavaliere della Natura annuì, rimanendo ad osservarla mentre la ragazza rientrava dentro il palazzo. Quindi, vedendo che Matthew non le aveva tolto gli occhi di dosso, gli si rivolse a bassa voce. –"Tienila d’occhio! È necessario che impari a obbedire!"

"È un po’ ribelle, è vero! Lo siamo stati tutti i primi tempi, no?" –Ironizzò il Cavaliere dell’Arcobaleno. Ma Ascanio non sorrise affatto.

"La libertà è un lusso che ormai non possiamo permetterci!"

Quei pensieri albergavano anche nella mente di Elanor, che non aveva smesso di sentirsi in colpa nemmeno per un momento per la morte di Mur dell’Ariete. Di fatto, con la sua bravata, non era riuscita a salvare sua madre né a proteggere il Cancello Orientale del Grande Tempio, fallendo sia in ciò che voleva che in ciò che doveva fare. Le si stringeva ancora il cuore al ricordo dell’espressione addolorata di quel bambino, stretto tra le braccia della Sacerdotessa di Atena, che cercava di cullarlo, regolarizzandone il respiro. Era stata colpa sua, c’era poco da fare. Avalon le aveva dato un ordine e lei non lo aveva rispettato e aveva trascinato Matthew con sé.

Per la verità, è stato Matt a portarmi con sé, indicandomi come raggiungere la Luna! Si disse, percorrendo i corridoi della cittadella di Asgard. E lo ha fatto perché

Perché teneva a lei e non voleva che si perdesse. Era quasi morto, per lei, e se fosse accaduto avrebbe avuto sulla coscienza anche la sua vita, oltre che la perdita di un Talismano. Doveva smetterla di comportarsi così, di agire come una bambina ribelle. Era un Cavaliere delle Stelle adesso, insignita dal ricordo di una madre che si era sacrificata per lei. Una madre che sperava adesso fosse in pace, magari con il suo amato Endimione, qualunque posto attendesse le Divinità dopo la morte.

"Siate forti!" –Disse alle sue sorelle, le altre quarantanove figlie che Selene aveva portato sulla Terra per l’assemblea dei regni divini. Con la distruzione del Reame Beato, avevano perso la loro casa e adesso non sapevano dove andare. –"Flare vi ha offerto la sua ospitalità! Rimarrete qua, fino al mio ritorno, e poi decideremo insieme cosa fare!"

"Fa freddo, ad Asgard!" –Commentò Talisa, una delle ragazze più giovani, stringendosi sotto un mantello.

"La Regina di Asgard è stata molto generosa a permetterci di restare qua!" –La rimproverò bonariamente un’altra. –"Cercheremo di essere utili! Tu, piuttosto, vedi di sbrigarti a salvare il mondo! Ci mancherai!" –Aggiunse, abbracciando Elanor, che si ritrovò in breve circondata da una moltitudine di braccia che volevano stringerla a sé.

Quasi senza pensarlo, si ritrovò a salutarle tutte, con le lacrime agli occhi, quelle stesse sorelle che per anni non aveva sopportato, considerandole vanitose, sciocche e superficiali.

"Anche voi! Anche voi!"

Aveva sempre detestato l’immobilismo del Reame Beato, quell’eterna apatia in cui niente sembrava accadere, eppure adesso che lo aveva perso, e con esso i genitori che l’avevano amata, una parte di lei sarebbe voluta tornare indietro. Per dire a sua madre che aveva capito, che quella volontà di isolarsi dal tempo e dal mondo era il suo modo di proteggere tutte loro, la sua famiglia.

"Pregheremo per voi e per i nostri genitori, e il nostro canto infonderà pace e speranza alla genti del nord!"

"Ne avremo tutti bisogno!" –Concluse Elanor, prima di allontanarsi.

***

Non c’era voluto molto, ad Alexer, per radunare le forze di Asgard.

Come ogni altro regno divino, anche l’ultima propaggine della civiltà del nord aveva sofferto grandi perdite durante l’attacco di Erebo. Un terzo dei Blue Warriors che l’Angelo d’Aria aveva personalmente addestrato era caduto nel crollo del castello, o giaceva ferito in brande da cui difficilmente si sarebbe rialzato. L’Asinna della Medicina aveva fatto il possibile, facendosi aiutare anche da Idunn e dalle sue portentose mele che, sebbene non donassero la giovinezza come gli scaldi avevano cantato nei loro poemi, possedevano preziose virtù curative. Ma anche Eir era stanca, avendo subito la violenza del Tenebroso, e il numero di feriti era così elevato che alla fine, crollando in ginocchio, con le lacrime che le deturpavano il pallido volto, era stata costretta ad ammettere di non essere in grado di salvarli tutti. E quell’ammissione l’aveva ferita più di una daga di Erebo.

Idunn l’aveva aiutata ad alzarsi, mormorandole parole di conforto, e anche Alexer le aveva detto di non sentirsi in colpa, pensando invece a quanti aveva curato, salvandoli dalla morte. Non un grande risultato, si disse, uscendo nell’aria fredda del piazzale retrostante la fortezza, considerando che stiamo tutti andando a morire! E stavolta per davvero! Contro la grande ombra che sorge da est, non vi potrà essere rimedio! Vittoria o morte, per tutti noi. Luce o tenebra. Nessuna sfumatura di grigio.

L’Arconte Azzurro parve intuire i suoi pensieri e le accennò un sorriso, mentre scambiava qualche parola con Asterios e Andrei. Alle loro spalle i Cavalieri delle Stelle attendevano gli ordini degli Angeli, allineati in una riga perfetta di fronte al resto delle truppe: i Blue Warriors ancora in vita e un centinaio di Guerrieri del Nord, armati di asce, lance e archi a lunga gittata. Li accompagnavano Vidharr, Eir, Idunn e il Selenite di Saturno.

Proprio Mani stava parlando con la Regina di Asgard in quel momento, tenendole le mani tra le proprie e ringraziandola per aver accettato di prendersi cura dei suoi figli.

"Bil e Hjúki non le causeranno problemi! Sono irrequieti, è vero, ma sono dolci e giudiziosi! Inoltre potranno aiutarvi nella ricostruzione della cittadella!" –Spiegò il Selenite, prima di arruffare i capelli dei due bambini, pregandoli di comportarsi bene.

"Ma noi vogliamo venire con te! Possiamo combattere, lo sai!" –Esclamò Bil, abbracciando una gamba del padre.

"Con Sǿgr e Símul?! Difficile che qualche nemico si intimorisca di fronte a un secchio e a un bastone!" –Rise Mani, prima di baciare i figli in fronte e invitarli a obbedire agli ordini della Regina di Asgard.

"Sarò lieta di averli al mio fianco!" –Rispose Flare compita, sebbene quei due ragazzetti, così vispi e gagliardi, non poterono che ricordarle un altro giovane andato incontro a un tragico destino.

"Vogliate accettare questo dono, Celebrante di Odino!" –Disse infine il Selenite di Saturno, offrendole un bastone di legno nodoso. –"Non possiedo ricchezze né posso riportare indietro il tempo, a giorni felici! Posso però contribuire a creare un futuro migliore, ed è quello che faremo oggi, dando fondo a tutte le nostre forze! Voi… tenete questo, Regina! È quel che rimane di Yggdrasill, l’Albero Cosmico!"

"Nobile Mani, mi onorate di un grande dono!"

"Un dono per l’umanità e per chi la protegge!" –Rispose lui, prima di voltarsi verso est. –"Ecco, guardate là! Quando vedrete il sole spuntare dietro quella caligine oscura, saprete che avremo vinto e allora pianterete il bastone nel terreno, permettendo al Frassino dell’Universo di germogliare e tornare a crescere! Quel momento, la sconfitta dell’ombra, sancirà l’inizio del nuovo tempo cosmico!"

"Lo farò!" –Annuì Flare decisa, stringendo a sé la preziosa reliquia.

"È ora di andare, dunque!" –Esclamò il Principe Alexer. –"Amon Ra, Zeus e Atena stanno per muoversi anche loro! Appariremo ai margini meridionali della vasta piana dove sorge il Santuario delle Origini! Stando ai resoconti di Horus, il cosmo di Caos rende impossibile arrivare a ridosso delle mura della fortezza, per cui ci incontreremo sui Monti Kunlun con i nostri alleati, valutando la consistenza di quest’eventuale barriera d’ombra e come penetrarla!"

"I Monti Kunlun, eh?!" –Mormorò Andrei, strusciandosi la barbetta incolta. –"Per i taoisti, sono il paradiso! Speriamo che per noi non siano l’inferno!"

Asterios non disse alcunché, limitandosi a espandere il proprio cosmo, al pari dei fratelli, avvolgendo l’intero piazzale e tutti i suoi occupanti. Vi fu un lampo di luce, che obbligò Flare e i figli di Mani a tapparsi gli occhi, e poi tutto fu deserto. Erano rimasti soli.

***

Tra le rovine dell’anfiteatro era riunito quel che restava dell’esercito di Atena.

Su ordine di Ioria e Tisifone, tutti i soldati, gli apprendisti e i fedeli della Dea erano accorsi all’ultima assemblea che quel tempo cosmico avrebbe visto. In settecentododici si erano presentati, una cifra che l’Unicorno giudicò enorme, alla luce delle forti perdite subite nel corso dell’ultimo anno, ma che, come tutti ben sapevano, era a malapena sufficiente per spingere il portone d’accesso al Santuario delle Origini. Di fronte a tutti, con l’armatura danneggiata e una fasciatura al braccio sinistro, Patrizio fissava Atena con onore, fiero di essere lì, a offrirle i suoi servigi, come i suoi avi avevano fatto da tempi immemori, forse dall’Età Classica.

Atena ricambiò il suo sguardo, e quello di tutti gli uomini mortali che le avevano affidato la vita. Giovani e giovanissimi, sacerdotesse e apprendisti Cavalieri, persino le arrefore e le ergastine, tutti avevano risposto al richiamo della Dea e adesso ascoltavano attenti le parole di Tisifone, che, in piedi sui gradoni spaccati, stava illustrando loro quel che sarebbe accaduto.

"Marceremo contro il Primo Santuario, ove Caos e i Progenitori dimorano, tentando di infliggere un colpo mortale alle loro ambizioni! È un’impresa disperata, forse persa in partenza, un’impresa per cui resistere a un drago fiammeggiante o a un gigantesco guerriero è stata una bagatella! Ma lo faremo senza esitare, perché da quest’impresa dipende il nostro futuro e quello di tutti gli abitanti della Terra!"

Asher, al suo fianco, annuì, prima di voltarsi verso il palco dove si ergeva Atena, circondata dai Cavalieri dello Zodiaco. Di fronte a lui, ai piedi della gradinata distrutta, aspettavano Ioria e Virgo, mentre, poco sotto, mescolati ai soldati e al popolo di fedeli, l’Unicorno scorse i volti preoccupati di Reda e Salzius e quelli inespressivi delle Sacerdotesse: Castalia, Nemes, Yulij e Kama. Non ebbe bisogno di toglier loro la maschera per notarne l’espressione inquieta, gli bastò soffermarsi sul battito accelerato del proprio cuore, e inghiottire in silenzio.

"Miei Cavalieri, miei fedeli! Le parole del Serpentario sono crude ma vere! Questo è quanto si prospetta all’umanità, e a noi che ne siamo i difensori! Accettare l’ombra o combatterla, e poiché alla fine ne saremmo comunque sopraffatti allora io decido di oppormi ad essa, e lo farò con la luce del mio cosmo, resa ancora più grande dall’amore e dalla fede di chi crede in me e nei miei ideali! Non vi obbligherò, sappiatelo, nessuno di voi deve sentirsi obbligato a seguirci né temere il marchio dell’infamia! Comprendo le vostre paure, le reticenze nel fronteggiare questo pericolo, e benedirò chi decida di rimanere! Ma se qualcuno tra voi volesse lottare per dare un futuro all’umanità, io sarò onorata di averlo al mio fianco!"

Per una manciata di interminabili secondi nessuno fiatò, nessuno osò spostare lo sguardo, poi Patrizio mosse un passo avanti, carezzandosi la barba grigia e accennando quello che alla Dea parve un sorriso.

"L’onore sarà reciproco, oh Atena Promachos! Guidaci ancora una volta, guidaci nell’ultima guerra!"

"Sì, guidaci!" –Disse una donna sulla trentina, avanzando anch’ella. Tisifone la riconobbe: era stata un’ergantina, una di quelle che aveva tessuto il peplo per le Panatenee volute da Shin quindici anni addietro, ma l’innocenza nei suoi occhi aveva lasciato il posto alla determinazione.

Dopo di che fu una cacofonia di suoni. Tutti i soldati e i fedeli della Dea fecero un passo avanti, chiamando a gran voce il nome di Atena Promachos. I guerrieri sollevarono le spade e le lance, facendole cozzare sugli scudi, le donne agitavano i pepli, gli apprendisti scalpitavano e chiedevano un’armatura, persino le anziane sacerdotesse diedero il loro assenso. Sarebbero venute anche loro nel Gobi, a costo di essere trasportate su un mulo, e il loro canto e le loro preghiere avrebbero rischiarato l’animo dei combattenti al cui fianco sarebbero morte.

"La nostra risposta già la conoscete, Atena!" –Esclamò allora Ioria, trovando Asher e gli altri concordi. –"Noi tutti Cavalieri d’Oro, d’Argento e di Bronzo rimasti vi seguiremo fino alla fine!"

"Grazie!" –Mormorò Atena, con gli occhi lucidi di lacrime, prima di scendere i gradoni dell’arena, aiutata da Pegasus, e raggiungere il suo esercito, mentre Phoenix e Sirio, alle sue spalle, trascinavano una grossa anfora. –"Come voi mi avete donato il vostro amore, lasciate che io faccia altrettanto!" –E sollevò il coperchio della giara, liberando l’acre odore del suo antico sangue divino.

Uno dopo l’altro, in ordinate file, tutti i Cavalieri, di qualunque rango, e i fedeli della Dea vennero bagnati dall’ichor e benedetti della protezione di Atena. Ne bastò una goccia per lenire le loro ferite, donando loro nuove sicurezze e speranze. Ce ne volle più d’una invece per riparare le danneggiate corazze dell’Unicorno, del Serpentario e dell’Aquila, della Poppa e del Camaleonte, del Pastore e di Cassiopea, del Leone e della Vergine, e dei Cavalieri Divini, le cui corazze riforgiate da Efesto già erano state messe a dura prova.

Fu con le ultime gocce rimaste che Atena bagnò la propria Veste Divina, ricordando il sacrificio delle sue amiche, le Dee che credevano in lei e che le avevano affidato la salvezza dell’umanità. L’Egida tornò integro e la Lancia di Nike rilucette nel meriggio ateniese, prima che Atena la impugnasse, guardando dentro l’anfora sacra.

Vuota.

Avevano dato fondo a ogni risorsa. Dovevano vincere, per forza. Ormai si erano spinti troppo oltre e indietro non sarebbe stato possibile tornare più.

"Radunateli in gruppi! L’ora è giunta! Dobbiamo andare!" –Disse, cercando con lo sguardo il Cavaliere della Vergine, che l’avrebbe aiutata nel trasferimento.

"Pegasus!!! Ragazzi!!! Aspettatemi!!!" –La squillante voce di Kiki li raggiunse in quel momento, facendoli voltare verso l’ingresso dell’anfiteatro, da cui il ragazzino arrivò correndo. Aveva indossato un elmo troppo grande e pezzi sparsi di una cotta di rame che doveva aver trovato per la via e adesso stringeva in mano una lancia dal manico spezzato.

"Ehi, piccoletto, dove pensi di andare?!" –Lo chiamò Pegasus, ponendosi di fronte a lui, subito circondato dagli amici.

"Vengo con voi! Al Santuario delle Origini! Voglio combattere… Io… posso farlo!"

"Non ne dubito, Kiki, non ne dubito!" –Commentò il Primo Cavaliere di Atena. –"Ma nel luogo in cui andiamo dimora il male nella sua forma più pura!"

"Rimani qua, tieni il Grande Tempio per noi e prepara la festa per il nostro ritorno!" –Intervenne Asher, ma Kiki non lo ascoltò, agitando la lancia infervorato.

"Non trattarmi come un bambino! Sono un soldato come voi!"

"Il tuo valore è indubbio e l’hai provato più volte!" –Parlò allora Andromeda. –"Ma il Gobi non è posto per te!"

"Lo è diventato quando hanno ucciso mio fratello!" –Pianse il ragazzino, piantando la lancia a terra e pulendosi poi gli occhi dalle lacrime.

"Kiki…" –Mormorò Pegasus, mentre la delicata sagoma di Yulij del Sestante si faceva avanti, portandosi quieta alle spalle di Kiki e stringendolo in un tenero abbraccio. Gli disse qualcosa, che i Cavalieri dello Zodiaco non capirono, e sulle prime il fratellino di Mur si agitò, cercando di liberarsi della sua presa, ma poi cedette, ascoltando le parole della Sacerdotessa, quasi rapito da quella che, alle orecchie di tutti, appariva sempre più come una cantilena.

Yulij lo cullò per qualche istante ancora, vincendone la resistenza, mentre la testa del bambino ciondolava di lato e l’elmo gli si sfilava, cadendo a terra e lì rimanendo. In un attimo chiuse gli occhi, sprofondando in un sonno sereno, in cui, ancora bambino, aiutava Mur a riparare le armature dei Cavalieri, imparando i trucchi del mestiere e seguendolo nelle esplorazioni nelle montagne dello Jamir. Non c’era voluto molto, al Cavaliere del Sestante, per capire cosa volesse davvero e a quell’immagine felice si era aggrappata per ricreare il mondo onirico in cui l’aveva precipitato.

"Abbi cura di lui!" –Le disse allora Pegasus, assieme al quale, poco prima, aveva concordato la mossa. Del resto tutti conoscevano la testardaggine del piccolo Ariete e si erano detti certi che avrebbe voluto seguirli anche quella volta, come li aveva seguiti ad Asgard e nel Regno Sottomarino, persino sull’Olimpo.

"Ci sei sempre stato! In tutti i momenti importanti!" –Commentò allora Dragone, scombinando i capelli del bambino e ricordando il loro primo incontro, al palazzo di Mur, quando aveva finto di essere il fratello, divertendosi alle spalle dell’allievo di Libra. –"C’eri ad Asgard, a soffrire lo stesso freddo di Atena! C’eri nel Regno Sottomarino, quando correndo da un pilastro all’altro, portasti l’armatura della Bilancia in nostro aiuto, incurante del pericolo!"

"Incurante anche degli attacchi nemici!" –Intervenne Cristal, che aveva ancora in mente le botte che Kiki aveva preso da Abadir.

"Per noi! Solo per noi, per aiutarci, per restarci accanto! Per dimostrare di essere un Cavaliere anche tu, e non un’appendice!" –Concluse Andromeda, con occhi lucidi.

"Ma tante volte non avresti dovuto esserci! Non avresti dovuto vivere così! Chissà, forse da domani potrai davvero vivere una vita diversa!" –Gli sussurrò Pegasus, baciandolo in fronte e dicendogli addio.

Yuliji si sollevò, tenendo il ragazzetto in braccio e avvolgendolo in un mantello, per tenerlo caldo. Guardò un’ultima volta Pegasus e i Cavalieri dello Zodiaco, augurando loro buona fortuna, e poi si incamminò verso il porto, dove una barca la aspettava per condurla all’Isola del Riposo.

"Noi non torneremo, Kiki! Ma tu vivrai anche per noi!" –Disse Pegasus.

I cosmi di Atena e di Virgo lo raggiunsero in quel momento, invadendo l’intera arena dei combattimenti, avvolgendo tutti i presenti in un abbraccio di luce, che aumentò sempre più di intensità, fino ad esplodere in un lampo abbagliante. Yulij, che correva verso il mare, non ebbe bisogno di voltarsi indietro per capire che al Grande Tempio non era rimasto più nessuno.