CAPITOLO TRENTATREESIMO: LA FINE DELL’ALTRA CASTA.

"Dove mi hai portato?" –Ringhiò Erebo, guardandosi attorno e non riconoscendo niente, di quello spazio strano in cui si era ritrovato all’improvviso.

Dominato da un cielo d’acceso color rosa, era un paesaggio brullo, di montagne nere e cadaveri immersi in un oceano di acqua torbida, da cui spuntavano lunghe spine che li trafiggevano di continuo. Erebo osservò la decomposizione di quei corpi, traendone piacere, e l’altrettanto rapida rigenerazione, affinché il processo potesse ricominciare.

"Benvenuto nel primo mondo di Ade, Signore della Tenebra! Il mondo dei traditori! Lo dimorano coloro che sono venuti meno alla parola data. La loro pena è quella di trascorrere l’eternità in un oceano di lacrime amare, versate dalle persone che avevano riposto fiducia in loro e ne sono rimasti traditi."

"Dovrei essere impressionato da questo spettacolo, Cavaliere di Virgo?" –Ridacchiò Erebo. –"Lo trovo suggestivo. E dimmi, anche la divina Emera è tra costoro? Oh, lo sarà presto; non appena avrò terminato con voi, mi sbarazzerò anche di quella traditrice. Ma chi la piangerà, se più nessuno resterà a ricordarla? Nemmeno suo fratello. Ahu ahu ahu!"

Ioria e Virgo si scambiarono un’occhiata ansiosa, prima che il Progenitore riportasse l’attenzione su di loro, avvolgendo il braccio in una spirale di cosmo nero e muovendolo di scatto, liberando una pioggia di strali di tenebra.

"Voglio contribuire a questo bel mondo, magari aggiungendo i vostri corpi a quel mucchio!" –Esclamò, prima di torcere le labbra in una smorfia di fastidio nel vedere che i due Cavalieri d’Oro erano scomparsi e le daghe nere stavano fendendo il vuoto. –"Cosa?" –Ringhiò, mentre un riverbero d’oro lucente esplodeva alle sue spalle, investendolo e gettandolo avanti, contro una montagna di cadaveri in putrefazione. –"Che razza di trucco è mai questo?"

"Nessun trucco." –Parlò calmo il Custode della Porta Eterna, ritto, nel cielo sopra di lui, accanto a Ioria. –"Non dimenticare dove ti trovi, figlio di Nyx! Nel primo dei sei mondi che io controllo. Un mondo su cui non hai potere alcuno!"

"Ahu ahu ahu! Era da tempo che non ridevo così di gusto, Vergine!" –Disse Erebo, rialzandosi e annientando, con la sua venefica emanazione cosmica, i corpi che aveva poc’anzi calpestato. –"Oseresti dunque affermare che sei tu, e non io, non Caos, a controllare questo luogo? Affermazione superiore persino alla tua ben nota superbia!"

"Non vi è superbia nella verità. Solo la semplice constatazione di un dato acquisito."

"Acquisisci questo, allora!" –Avvampò il Nume, scatenando una pioggia di daghe. Ma anche quella volta Ioria e Virgo scomparvero, evitando l’attacco.

Anzi no. Non sono scomparsi. È come se l’ambiente stesso li abbia nascosti, accolti in sé, quasi fossero parte del tutto. Rifletté Erebo, concentrando gli affilati sensi e individuando dove sarebbero riapparsi.

"Può funzionare una volta, ma non due!" –Ringhiò, calando il braccio carico di energia cosmica. E scontrandosi con una cupola di luce dorata.

"Kaan!!!" –Gridò Virgo, riparato al suo interno, concentrato al massimo sul mantenere la barriera.

"Tutta questa presunzione, la spazzerò via! Dies…" –Sibilò Erebo, preparandosi per il suo massimo attacco e notando, soltanto allora, l’assenza del Cavaliere di Leo.

"Zanne del Leone!" –Esclamò questi, da qualche parte alle sue spalle, mentre una miriade di fulmini dorati scaturì dal terreno, investendo il Progenitore e avvinghiandosi, stridendo e contorcendosi come serpi di energia, sulla sua corazza oscura. –"Lightning Fang!"

"Abbandono dell’Oriente!" –Disse allora Virgo, liberando un ventaglio energetico che travolse Erebo, spingendolo indietro e facendolo ruzzolare di sotto.

Nemmeno si era accorto, il Nume, di essere sul bordo di un rilievo, o forse di un precipizio. Difficile rendersene conto quando il paesaggio attorno a sé continuava a mutare. E lui quel mutamento lo odiava. Odiava non avere il controllo. Così, per farlo intendere anche ai Cavalieri di Atena, liberò una fiammata di cosmo mortifero, che prosciugò l’oceano, squassò le montagne e bruciò fino all’ultimo cadavere di traditori. Virgo fece appena in tempo ad afferrare Ioria, proteggendolo col Kaan, che l’onda nera li investì, distruggendo la barriera e sbalzandoli lontano. Nella tenebra.

***

"Svegliati Ioria!" –Esclamò una voce, prima di colpirlo con un ceffone.

"Uh?" –Balbettò il bambino, tirandosi su e massaggiandosi la guancia indolenzita.

"Devi essere sveglio durante uno scontro! Cosa vuoi, che un nemico ti uccida perché stai dormendo?" –Ringhiò l’uomo di fronte a lui. Sui trent’anni, rivestito da una cotta di rame e cuoio, lo fissava con sguardo torvo, sistemandosi una benda sul (mancante) occhio destro.

Ioria sapeva quando l’aveva perso, in una delle battaglie combattute in Africa, contro un gruppo di Savanas che aveva preso d’assedio la Biblioteca d’Alessandria. Per quanto non fosse competenza di Atene, il Grande Sacerdote aveva inviato due Cavalieri d’Oro a portare aiuto al saggio custode di così tanta cultura, ritenendo che quell’atto ostile aggredisse la saggezza e la sapienza di tutti i regni divini. Ma nessun’altro aveva risposto all’appello, nascondendosi dietro i propri confini, così il glorioso Agamennone e il suo parigrado Tristano avevano dovuto combattere da soli contro la banda del Mamba Nero, e se Agamennone aveva perso solo un occhio a Tristano era andata peggio, morendo là, lontano dai ghiacci della Siberia, sepolto con poca cura ai margini di un’oasi.

"Se tu fossi venuto in Africa con me, quella guerriera ti avrebbe sbranato in un sol boccone! Ai serpenti piace la dolce carne di bambino!" –Gli disse, afferrandolo per la maglietta e tirandolo su.

"Sì padre." –Si limitò a commentare Ioria.

"Adesso in guardia. E cerca di non perdere i sensi di nuovo! Da quanto tempo combattiamo? E ancora non sei in grado di parare un semplice pugno?"

"Lascialo stare! Ha bisogno di riposare, non vedi?" –Intervenne la voce di un ragazzo, attirando l’attenzione di Ioria, che, vedendolo arrivare, subito si illuminò.

"Riposare? I nemici di Atena non riposano mai. Si approfitteranno, un giorno, del suo giovane cuore, e anche del tuo, Micene, se non mostri più disciplina!"

"Come desideri, padre. Sono venuto per portarti un messaggio. Il Primo Ministro desidera parlarti."

"E che vuole quel vecchio? Cosa sei adesso, il suo galoppino? Un Cavaliere d’Oro non dovrebbe abbassarsi a simili lavori!" –Grugnì Agamennone, allontanandosi.

Micene, allora, si voltò verso Ioria, sorridendogli. Gli pulì il sangue che usciva da una ferita allo zigomo e poi gli porse un nastro colorato.

"Che cos’è?" –Gridò subito il bambino, felice.

"La tua fascia di apprendista. Anch’io, alla tua età, ne avevo una."

In tutta risposta, Ioria lo abbracciò, strappando al fratello un sorriso affettuoso. –"Vorrei che fossi tu ad allenarmi. Agamennone è cattivo. Non mi fa mai riposare."

"Ti aiuterò, ma cerca di non disobbedirgli. Sai com’è fatto, a modo suo sta cercando di prepararti. Di preparare tutti noi."

"A cosa?"

"All’oscurità." –Mormorò Micene. –"All’oscurità che sta per calare sulla Terra!"

***

Quando Ioria riaprì gli occhi, vide solo buio. Una tenebra senza fine.

Si massaggiò le tempie e poi si tirò su, cercando un punto di riferimento. Ma non vide niente, come se niente esistesse attorno. Persino il cosmo di Virgo sembrava lontano, per quanto sentisse che era lì, in quel mondo in cui il compagno aveva pensato di portarli, sperando di sfruttarne le caratteristiche per vincere Erebo.

Quasi lo avesse evocato, due puntini rossastri apparvero di fronte a lui. Due occhi di brace vomitarono una vampata di fiamme che investirono il Cavaliere d’Oro, intaccando la sua armatura. Spinto indietro, Ioria non cadde, né sbatté contro alcun muro o roccia, semplicemente barcollò e faticò per ritrovare una posizione stabile.

"È strano, non è vero?" –Parlò allora Erebo, mentre, nella tenebra di fronte a lui, una sagoma più nera del nero stesso, parve prendere consistenza. –"Anch’io all’inizio ho faticato a comprendere le leggi che regolano questo piccolo universo privato del tuo parigrado. La fisica degli uomini non ha valore, qua. È qualcosa di più vicino al concetto di creazione degli Dei ancestrali."

"Dov’è Virgo? Cosa gli hai fatto?"

"Oh, la Vergine dai bei capelli d’oro è sparita. Sembra che ci abbia lasciato da soli, sacrificando anche il suo compagno. Come ci si sente, Cavaliere di Leo, ad essere traditi? Meriterebbe anche lui, dunque, di stare in questo mondo?"

"Taci! Non infangare il nome di uno dei più valenti Cavalieri di Atena!" –Esclamò Ioria, prima che, muovendo un passo avanti, Erebo si rivelasse del tutto, lasciandolo esterrefatto. Di fronte a lui, rivestito dalla corazza nera del Progenitore, c’era Micene. –"Quale oscuro artificio è in atto?"

"Niente che persino una zucca vuota come te non possa capire." –Ridacchiò il Nume, avvampando nel proprio cosmo oscuro e travolgendo Ioria con un’onda di energia.

L’armatura del Leone andò in frantumi in più parti, aggredita, divorata, persino sciolta, dalla violenza del Progenitore, e per quanto Ioria tentasse di difendersi con i propri pugni luminosi, essi si perdevano all’istante.

"La tenebra che ti circonda è troppo grande." –Commentò Erebo, muovendo le labbra di Micene e ricordando, a Ioria, una vecchia conversazione col fratello. Uno dei tanti ricordi messi da parte dopo il suo presunto tradimento, in un angolo della coscienza che, per tredici anni, si era rifiutato da aprire. –"Cosa può fare la tua misera luce?"

"Brillare!" –Rispose il Cavaliere d’Oro, mentre il suo cosmo cresceva e cresceva ancora, splendendo come una stella. –"Per Atena e per gli uomini! Ruggisci, costellazione del Leone! Per il Sacro Leo!" –E scattò avanti, puntando al Progenitore, a cui bastò muovere un braccio, generando una barriera di energia nera, per parare l’attacco e rimandarglielo indietro.

Fu in quel momento, mentre Ioria veniva massacrato dalle sue zanne, che Virgo apparve alle spalle di Erebo, schioccando le dita. Il paesaggio cambiò all’istante e dove prima c’era tenebra adesso c’era una fitta selva, popolata di mostri e bestie.

"Arguisco che questo sia il mondo dei violenti." –Commentò il Progenitore.

"Per la verità è quello degli ipocriti. La loro pena è quella di essere tramutati in bestie, per aver mostrato un'altra faccia in vita." –Rispose Virgo, zittendosi non appena Erebo si girò.

Ogni volta che lo fissava, a Virgo sembrava di vedere uno dei suoi discepoli. Prima Loto, poi Pavone, poi Ana, infine Tirtha. E di nuovo Dhaval e Ana. Ana, sempre Ana, che tornava a tormentarlo anche a distanza di anni.

"Non funzionerà!" –Disse, con voce troppo debole da non convincere neppure se stesso.

"Tu dici? Persino Zeus ha frenato il suo colpo. È l’indole umana, e degli Dei che dell’asservimento agli uomini hanno fatto il fulcro del loro potere, a essere emotiva, a lasciare che gli affetti dominino, annullando la ragione. Noi Divinità Ancestrali non proviamo simili sentimenti, anzi non proviamo affatto sentimenti. Noi conosciamo solo la vittoria. Quella che adesso mi prenderò!" –E mulinò un affondo col braccio destro, a forma di lama di tenebra, che Virgo tentò di parare con il bracciale dell’armatura d’oro, che subito si schiantò, bruciandogli la pelle al di sotto. –"Fa male? È il dolore che i tuoi discepoli vorrebbero infliggerti, per averli abbandonati e lasciati a morire! Dolore che ti sei più che meritato!"

"Così è." –Disse semplicemente Virgo, prima di espandere il proprio cosmo, molto più di quanto avesse fatto fino ad allora. A Erebo, in quel fugace sguardo che rivolse attorno a sé, sembrò di vedere tutte le bestie del terzo mondo voltarsi a fissarlo con astio, prima che scattassero contro di lui. Lupi e leoni, serpi e rapaci furiosi.

Erebo rise, incurante dei loro artigli, lasciando che si sfogassero per qualche istante, senza provocargli danno alcuno. Poi, quando ritenne si fossero divertiti abbastanza, li annientò con un’esplosione di energia. Anche Virgo, davanti a lui, venne disintegrato dalla detonazione, strappandogli un moto di sorpresa, prima di rendersi conto che si trattava soltanto di un’immagine residua.

In quel momento, due ben note voci urlarono alle sue spalle.

"Per il Sacro Leo! Abbandono dell’Oriente!"

I due attacchi luminosi si strinsero su di lui, ma Erebo, voltandosi, li spezzò in due con una sciabolata del braccio destro, lasciando che il resto si schiantasse sul velo di tenebra che lo rivestiva. Così densa da tenere a distanza qualsiasi forma di luce.

Eppure, mentre sollevava il braccio per liberare l’attacco finale, il Progenitore sentì una fitta improvvisa, simile a quella che l’aveva invaso durante lo scontro con Zeus. Una fitta di luce che lo piegò un momento in avanti, di fronte agli occhi stupiti di Ioria e attenti di Virgo, prima che, con un ruggito d’odio puro, si ritirasse su e scatenasse la furia del suo attacco.

"Dies irae!!!"

La violenta emanazione cosmica distrusse il terzo mondo degli ipocriti, e Virgo glielo lasciò fare, mentre lui e Ioria, pur rimanendo fermi sul posto, si allontanavano, sbiadendo, scomparendo tra i mondi, facendosi sempre più distanti, e solo quando ritenne che l’attacco avesse esaurito la sua carica distruttiva il Cavaliere ricominciò a respirare, fermandosi e accasciandosi esausto. Guardandosi attorno, Ioria vide che si trovavano adesso sulla mano del Buddha, il sesto mondo di cui era guardiano.

L’ultimo.

"Intelligente." –Disse Erebo, che si trovava a poca distanza da loro. –"Ha sacrificato tutti i mondi, lasciando che il Giorno dell’Ira li distruggesse, trasportando lui e te fino qua. Una misura estrema che di certo lo ha consumato, per cui rimani soltanto tu, Ioria del Leone. Sei pronto a raggiungere tuo fratello? E no, non sto parlando di questo ridicolo viso in cui ti specchi? Intendo il fratello che hai abbandonato per anni, lasciandolo marcire da solo, ritenendolo colpevole?"

"Aspetto quel giorno da molto tempo, Erebo! E, se tu avessi mai amato qualcuno, lo sapresti!"

"Oh, ma io ho amato i miei congiunti! Così tanto che li ho voluti con me!" –Ghignò il Progenitore, sfiorandosi il cuore. –"Non te li ho presentati? Coraggio, fatti avanti! Incontra Nyx e Etere! Vieni, leone, mostrami le zanne!"

Guardando Virgo, prostrato ai suoi piedi, debole come non l’aveva mai percepito, forse neppure quando Anhar ne aveva abbandonato il corpo, Ioria strinse la mano destra a pugno, lasciando che le scintille dorate del suo cosmo balenassero.

"Erebo! Preparati, vengo da te!"

"Non aspetto altro!" –Sibilò il Progenitore, sollevando l’aura mefitica.

"Per il Sacro Leo!" –Gridò il Cavaliere d’Oro, scattando avanti. E in quel reticolato di luce, che si chiuse su Erebo, dilaniando la cortina di tenebra, mise tutto se stesso, tutta la sua vita, tutti i ricordi che lo avevano fatto sorridere e piangere, e l’avevano reso quello che era. Ci fu posto, in quel breve lampo di luce, in quella frazione di vita, per tutti coloro che aveva amato. Lythos e Galan, suo padre, il valoroso Agamennone, Micene suo maestro, Micene il traditore, Micene il fratello che non aveva capito, Capricorn, Virgo, Castalia, Pegasus, Atena. E Reis, dolce Reis, a cui aveva promesso che si sarebbero rivisti, nel cuore della battaglia, per dirsi un’ultima volta addio.

Una promessa che non avrebbe mantenuto.

Con un semplice movimento del braccio, Erebo falciò via la ragnatela luminosa, conficcando la lama dello spadone di tenebra nel ventre di Ioria, impalandolo così, di fronte agli occhi silenziosi di Buddha. Poi lo gettò via, accanto all’inerme Virgo, mentre la grande statua sopra di loro piangeva la loro sconfitta.

"È stato divertente! Ma adesso devo tornare al Primo Santuario! Ho altri Dei da uccidere e voi, senza offesa, non siete alla mia altezza! Per cui…" –Disse Erebo, sollevando il braccio destro, avvolto da una spirale di cosmo nero, ma quando fece per calarlo una crepa si aprì sul pettorale della sua armatura. Una vistosa crepa da cui fuoriuscì una luce biancastra. –"Ma… cosa? Non è possibile!"

Virgo, nel sentirlo urlare, risollevò lo sguardo, scuotendo il parigrado e aiutandolo a rialzarsi, entrambi sconcertati da quell’improvviso miracolo.

"Ioria… L’hai colpito?"

"No…" –Rantolò il Cavaliere di Leo. –"Non l’ho nemmeno raggiunto."

"E allora chi?"

Proprio in quel momento una seconda crepa, ancora più ampia, trinciò in due il pettorale dell’armatura delle tenebre, all’altezza del cuore, distruggendo la scritta in caratteri rossastri e lasciando che una fiamma bianca ne uscisse.

"Aaargh! Maledizione! Cos’è questo dolore improvviso? Cos’è questa… luce?" –Disse Erebo, incredulo, prima di iniziare a comprendere. –"Non può essere! Etere?"

E una voce gli rispose, una voce che parve provenire dalla luce stessa.

"Non essere sorpreso, padre! Il tuo destino, in fondo, non sarà diverso da quello di altri tiranni. Urano, Crono, non sono tutti caduti per mano dei loro figli?"

"Maledetto bastardo! Come osi rivolgerti a me in questo modo? Tu sei morto! Io ti ho assorbito! Io ti ho fatto mio!"

"Sì, lo hai fatto e, nel farlo, ti sei assicurato la mia sopravvivenza! Credevi davvero che, per quanto oscura e enorme, la tua tenebra potesse estinguere del tutto la Luce del Cielo più Alto? La Luce di uno dei quattro Progenitori?" –Parlò Etere, la cui sagoma, chiara ed evanescente, sembrò fluttuare di fronte al Tenebroso per qualche istante, voltandosi verso i due Cavalieri di Atena e sorridendo loro. –"C’eri quasi riuscito, devo dire. Ma una scintilla, una soltanto, è rimasta sopita dentro di te, aspettando il momento giusto per liberarsi. E questi giovani Cavalieri, dal cuore pieno d’amore, devoti ai loro ideali e pronti a dare la vita affinché pace, giustizia e libertà trionfino, l’hanno risvegliata!"

"È troppo tardi! Io vincerò! Io sono il dominatore delle tenebre, l’uccisore di Nyx, il divoratore della luce, il figlio che Caos metterà sul trono dei mondi!" –Gridò Erebo, espandendo al massimo la propria aura di tenebra, che sormontò persino il Buddha, mandandolo in frantumi.

"Sì, lo sei. Ma non dimenticare chi sono io. Colui che, già una volta, ha posto fine alle tue ambizioni. Emera, la mia dolce sorella, me lo ha ricordato." –Ammise Etere, prima di rivolgersi ai paladini di Atena. –"Cavalieri d’Oro! Perdonatemi, non ci hanno formalmente introdotti! Io sono Etere, Signore della Luce del Cielo! Nacqui da Nyx e da Erebo per bilanciare la loro oscurità, dando vita a quell’equilibrio perfetto che avrebbe dovuto regolare la vita sulla Terra secondo Caos. Ma poi, quando i miei genitori avvelenarono l’animo del Generatore di Mondi facendone un tiranno e la Prima Guerra scoppiò, persi il mio candore, dovendo scendere in guerra. A volte, per un ideale, si compiono atti imbarazzanti, l’ho imparato anch’io, sporcandomi. Ma se ne vale la pena, ben venga anche la sporcizia. Aiutatemi, Cavalieri di Atena! Aiutate Etere, fratello di Emera e uccisore di Erebo, a tener fede al suo epiteto!"

"Maledettooo!!!" –Gridò il Signore delle Tenebre, spalancando le braccia e liberando una devastante ondata di energia oscura, a cui Etere tentò di opporsi, con la poca luce che ancora gli restava.

"Adesso, Virgo!" –Esclamò Ioria, espandendo al massimo il cosmo, memore degli scontri con i possenti Titani nel Labirinto di Crono. –"Non avremo un’altra possibilità! La Terra non l’avrà!" – Al suo fianco il Custode della Porta Eterna annuì. –"Ceo! Iperione! Che il vostro cosmo retto guidi il mio pugno per l’ultima volta! Che le mie stelle si carichino del Keraunos e del vostro ichor, per risplendere più fulgide che mai! Photon Burst!" –Gridò, liberando una pioggia di astri che investì Erebo da ogni direzione, trapassando la cortina di tenebra e piantandosi nel suo corpo, aprendo nuovi buchi sulla sua corazza. Buchi da cui la luce di Etere continuava a traboccare fuori.

"Ana, e voi tutti discepoli di Virgo! Ascoltate la mia preghiera di pace e sostenete il vostro maestro nell’ora del tramonto!" –Parlò Virgo, il cui cosmo rilucette in un ventaglio d’energia dorata che si chiuse su Erebo, facendolo strillare. –"Ultima luce dell’Oriente!" –Urlò, e per un momento gli sembrò di sentire tutti i suoi discepoli con lui. Ana, Loto, Pavone, Dhaval, Pavit, Tirtha, Virnam, Arnav, Mahendra.

"Voi… siete… tutti… folli!" –Ringhiò Erebo, stravolto dall’ira e dal dolore che la fiamma bianca di Etere gli stava causando nel cuore. –"Morite, maledetti! Scomparite, voi e questo mondo! Dies Irae!"

L’assalto si abbatté sui Cavalieri d’Oro, distruggendone le corazze e i corpi e lasciando soltanto un mucchietto di polvere di stelle. Ma in quel momento i protoni di Ioria, sostenuti dal cosmo di Virgo e dalla luce di Etere, dilaniarono Erebo dall’interno, in un’esplosione che disintegrò quel che restava della statua di Buddha e del sesto mondo. Poi tutto finì.

***

Quando Erebo, Virgo e Ioria erano scomparsi davanti ai suoi occhi, Zeus era rimasto per un momento a fissare il vuoto, come se, per la prima volta in una millenaria vita, non sapesse cosa fare. Spostò lo sguardo sul cadavere di Eracle, a cui non aveva avuto neppure il tempo di chiudere gli occhi, sui corpi massacrati di Ermes ed Efesto, su quelli dei Cavalieri Celesti che lo avevano seguito in quella dannata impresa, infine su Atena, che stava cercando di rialzarsi, aiutandosi con lo Scettro di Nike. Da qualche parte, il vento aveva disperso anche i resti di Ganimede, degli Heroes e della coraggiosa Titis che forse, depositandosi, avrebbero ricordato agli uomini quanto la fede nella propria missione potesse essere giusta e nobile. Chiuse la mano destra a pugno, lasciando scintillare l’energia che ancora aveva dentro, e si voltò. Verso le devastate mura perimetrali del Santuario delle Origini. Verso quel che si celava al suo interno e che aveva scatenato quella carneficina.

Fu allora che vide le comete d’oro.

Lassù, alte, nel cielo d’occidente, due sottili scie luminose fendettero la cappa di tenebra, prima di svanire. E al tempo stesso Zeus sentì venir meno un’oppressione sul cuore, un’oppressione che l’aveva invaso fin dal primo scontro con Erebo ad Asgard.

E allora capì.

Chiuse gli occhi, lasciando che una lacrima gli scivolasse sulla guancia ferita, prima che i rumori attorno lo distraessero. Forse liberi dall’ombra del Progenitore, gli altri Dei e i Cavalieri stavano, con molta fatica, rimettendosi in piedi.

"Padre…" –Mormorò Atena, avvicinandosi, una mano sul fianco ferito, l’altra che si stringeva alla lancia di Nike.

"Ho un messaggio per te, figlia mia. Un messaggio d’amore." –Le disse, accennando un sorriso, permettendole di comprendere. E di crollare in ginocchio.

"Li ho uccisi io, trascinandoli in questa guerra. Li ho uccisi tutti. Ioria, Virgo, Reda, Salzius, Kama, Nicole, i soldati, le arrefore, le ergastine, persino gli apprendisti." –Singhiozzò Atena. –"E quelli che ancora resistono, quelli che ancora insistono a seguirmi, saranno i prossimi."

"Questo non è vero, e lo sai bene anche tu. Quello che hai fatto, quello che noi Dei facciamo, o dovremmo fare, è dare agli uomini uno scopo, una fede in cui credere, un progetto per cui lottare. E loro lo hanno fatto. Loro lo faranno fino alla fine."

"Zeus ha ragione, milady!" –Intervenne Andromeda, avvicinandosi, sorreggendo Cristal. –"I Cavalieri d’Oro non avrebbero potuto desiderare fine migliore se non sconfiggendo la Tenebra Infernale."

"Loro ci hanno insegnato a credere, a sbagliare, a lottare, senza mai rinunciare." –Disse Cristal, tra le lacrime. –"Ioria, Virgo, e anche Mur, Libra, Scorpio, tutti loro!"

Anche Castalia, stretta tra le braccia del fratello, aveva percepito la scomparsa del cosmo del Leone, e Asher, poco distante, tirato su da un’affaticata Tisifone, aveva appena tirato un pugno per terra.

"Conserva le forze. Ne avrai bisogno. Ne avremo tutti bisogno. Non è ancora finita!" –Disse la Sacerdotessa, prima che il suo pensiero andasse a Titis. –"Addio amica mia. Julian Kevines aspetterà vanamente il tuo ritorno ma tu, pesce o sirena, quel che sarai nella prossima vita, continuerai a vegliare su di lui. Ne sono certa."

"Addio Cavaliere di Leo! Addio valoroso combattente della giustizia!" –Disse Nikolaos, battendosi una mano sul petto e ricordando il loro primo scontro, nel bosco dell’Olimpo, l’inizio di quella strana ma sincera amicizia.

"Ioriaaa!!!" –L’urlo di Pegasus squarciò il silenzio, costringendo tutti a voltarsi verso il Cavaliere che, chino sulle ginocchia, stava piangendo. Per Ioria, per gli Heroes, per tutti i Cavalieri, soldati e Dei che erano caduti dall’inizio della battaglia, per gli altri che ancora sarebbero caduti.

"Pegasus!" –Lo chiamò Andromeda, con voce dolce. –"Alzati, amico mio. La strada prosegue e abbiamo bisogno di te!" –E allungò una mano, per aiutarlo a tirarsi su.

***

Appoggiato alla ringhiera di legno del portile di Santa Monica, un ragazzo dai capelli biondi sospirò. Era mattina, o quanto meno avrebbe dovuto esserlo, sebbene il sole non fosse ancora sbucato, coperto da una cappa di nuvole che Galarian Steiner, fin dall’inizio, aveva sospettato essere innaturale. Non aveva più i sensi affinati come durante l’addestramento, ma sapeva ancora fiutare un pericolo.

"Ioria, amico mio. Hai raggiunto Micene, combattendo anche per noi. Portagli i miei saluti! E presto ci ritroveremo, tutti e tre, come quindici anni fa."

Una ragazza, magra e non troppo alta, con mossi capelli verdi, che facevano l’invidia e la curiosità di chiunque la guardasse, gli si avvicinò, prendendogli una mano.

"Era lui, non è così? Padron Ioria… avete trovato pace alla fine."

Sospirando, Galan annuì.