CAPITOLO TRENTAQUATTRESIMO: NESSUN RIPOSO.

La scomparsa dei cosmi di Ioria e di Virgo, e quello di Erebo, venne avvertita ovunque sul campo di battaglia. La sentì Reis che, nella piana di fronte alla Porta della Notte, menava fendenti con la Spada di Luce in ogni direzione, per tenere a bada la marea di Guerrieri del Caos che, nonostante la morte di Nyx, continuava a uscire dal Santuario delle Origini. La sentì e per un momento vacillò, e per poco una lancia non le tagliò la testa se Jonathan non l’avesse intercettata con lo Scettro d’Oro.

"Reis!" –Le gridò, facendosi spazio e portandosi di fronte a lei. –"Matt! Elanor! Chiudete il cerchio!" –E i due ragazzi, dall’altro lato, si strinsero a lui, fino a generare una sfera unica di cosmo, che poteva, all’occorrenza, espandersi in ogni direzione.

Asterios ne era la punta, con il cosmo che, pur fiaccato da Nyx, si abbatteva sull’Armata delle Tenebre, come una corrente oceanica, tenendola indietro; Matthew, Elanor, Jonathan e Reis lo affiancavano su un lato, mentre sull’altro resistevano Hubal, Avatea e gli Areoi, proteggendo Tirtha, i santoni indiani feriti e gli ultimi guerrieri inca che riposavano al centro del cerchio. Tutto attorno vi era solo oscurità.

L’Arconte Verde aveva percepito, nelle ultime ore, tutti gli scombussolamenti in atto, tremando, quasi piegato in due dal dolore, quando aveva sentito scomparire i cosmi di Andrei e di Asterios. Così, all’improvviso, come se fosse stata tagliata loro la testa. Poi, con grande sforzo (che aveva quasi rischiato di deconcentrarlo dagli scontri attorno), si era reso conto che i fratelli erano ancora vivi. Deboli, feriti, forse anche svenuti, ma vivi. E questo gli era bastato per rinvigorire i propri attacchi.

Ma l’Armata delle Tenebre non aveva smesso di fuoriuscire dalla Corte della Notte, impedendogli di correre in aiuto degli altri Angeli. Del resto, era così che avevano deciso di procedere, ognuno alla propria Porta, ognuno con il proprio obiettivo.

Se Avalon fosse qua, se fosse tra noi, forse avremmo già preso questo Santuario! Rifletté, realizzando di sentire, per la prima volta, la mancanza del fratello maggiore. Lui era il primo nato, tra loro, ma era anche il più saggio e previdente, colui che aveva destinato l’intera sua esistenza al realizzarsi di uno scopo e, per farlo, si era servito anche di loro. A volte, in passato, Asterios non aveva capito tutta la sua dedizione, eppure, di fronte agli orrori di quel giorno, fu fiero di averlo avuto come fratello e guida di tutti loro, anche del più scettico. O disinteressato, come a volte Andrei lo aveva definito.

Sorridendo, l’Arconte Verde radunò il cosmo, levando alto il braccio destro e scatenando la furia delle correnti oceaniche. –"Trionfo d’Acqua! Avalon, questo colpo è per te!" –E disperse l’Armata delle Tenebre, permettendo ai compagni di rifiatare. E di onorare i caduti.

Mi hai mentito! Mormorò Reis, fissando il cielo, quasi sperando di vedere le stelle del Leone oltre la cappa nera. Mi avevi promesso che ci saremmo ritrovati, come ci siamo sempre ritrovati, in Egitto o in Tessaglia, nel cuore di una battaglia. Eppure stavolta te ne sei andato, in silenzio, senza neppure avermi detto addio. Jonathan, in quel momento, le mise una mano su una spalla, accennando un sorriso che, stancamente, lei ricambiò. Forse avremo modo di dircelo, e di dirci molte altre cose, quanto prima! Nell’attesa veglia su di noi! E proteggici con le tue zanne dorate!

***

Di fronte alla Porta del Giorno, Amon Ra si era appena rimesso in piedi. La splendida Veste Divina era danneggiata e sporca, ben diversa dalla luminosità del Sole d’Egitto, ma la sua maggiore resistenza e il non averla utilizzata per secoli gli aveva permesso di sopravvivere. Lo stesso non poteva dirsi dei soldati che l’avevano accompagnato.

Sia i Faraoni delle Sabbie che i Guerrieri del Sole erano caduti. Amon Ra li avrebbe sempre ricordati e, se fosse riuscito a tornare a Karnak, avrebbe fatto scrivere i loro nomi sulle mura della Sala Ipostila e avrebbe elevato statue in loro onore. I nomi, del resto, li ricordava tutti, forte di una memoria che l’amico di suo figlio, in una delle loro conversazioni, aveva definito eidetica, un termine che lui non conosceva ma che ben si adattava alla sua capacità di ricercare nella mente, con facilità, immagini del passato. Anche lontano.

Osorkon del Falco, Tutmosis dell’Ibis Reale, persino Ermanubi dello Sciacallo, vittima di un potere più grande di lui, e tutti i loro compagni, assieme a Naveed, Net, Yanara, e a Sekhmet, Osiride e Iside, Duamutef, Hapi, Imset e Qebensuf. Nella nuova Karnak ci sarebbe stato posto anche per loro, per il passato, per ciò che aveva permesso l’esistenza di quel presente.

Udendo i gemiti di dolore di Horus, il Nume d’Egitto si avvicinò al figlio di Osiride, che faticava a rialzarsi, trafitto alla schiena da un colpo di spada che gli aveva spezzato qualche vertebra. Amon si chinò su di lui, sfiorandogli la pelle insanguinata e recitando un antico canto, forse tratto dagli inni in suo onore, infondendogli un po’ di cosmo per chiudere la ferita. Fece altrettanto con Febo, Marins, Phoenix, Bastet, Pentesilea e l’altra Amazzone sopravvissuta, Mirina, dai lineamenti delicati, originaria forse del vicino Oriente. Ma quando si mosse per aiutare Andrei, questi lo prevenne, avvampando in una fiammata ristoratrice e pregandolo di conservare le forze. Si volse verso le mura, chiedendosi cosa fosse accaduto all’interno, prima di incamminarsi in direzione della Porta del Giorno. Senza fiatare, i restanti membri dell’alleanza lo seguirono. Per ultimo, anche Phoenix si mise in cammino.

"Vieni, Cavaliere?" –Lo chiamò Marins, strappandogli un grugnito d’assenso.

Levando lo sguardo verso il cielo nero, a Phoenix parve di vedere due comete dorate falciare le nubi, per mandare loro un ultimo saluto. –"Virgo… Anche tu ci hai lasciato? L’alta casta ha dunque cessato di esistere?" –E ricordò il loro scontro alla Sesta Casa, quanto aveva faticato per vincere la sua resistenza, prima di tutto mentale poi fisica. –"Sei con i tuoi discepoli, alla fine."

Gli parve quasi di sentire una parola portata dal vento, soffiar via la polvere e ricoprire i morti che si lasciavano alle spalle. Una parola soltanto: no.

Annuendo, il Cavaliere di Phoenix seguì Andrei e gli altri, certo che Virgo gli avesse risposto. Il ricordo dei Cavalieri d’Oro non morirà mai e un giorno, alla fine di tutto, ci ritroveremo nel paradiso dei Cavalieri e berremo ambrosia, o chissà cosa Ganimede ci servirà, e ricorderemo i giorni degli scontri, le corse contro il tempo e tutte le volte in cui abbiamo salvato il mondo. Fino a quel momento, io combatterò!

***

Furono i druidi a svegliare Ascanio, aiutandolo a sollevarsi dalla pozza di sangue e morte in cui Erebo l’aveva precipitato. Intontito, il Comandante dei Cavalieri delle Stelle ebbe bisogno di qualche secondo per mettere a fuoco l’immagine dei due anziani che lo tenevano e gli parlavano, per stimolare la sua reazione.

"Owain? Siete ancora vivi? Credevo che…" –Ma il druido gli fece cenno di non affaticarsi, spiegando di essere rimasto indietro, assieme ad alcune sacerdotesse e discendenti dell’isola di Mu. Attempati, stanchi e feriti, non erano riusciti a seguire il resto dell’Alleanza nell’assalto contro la Porta della Luce e, forse, questo aveva permesso loro di non essere travolti da Erebo, che di certo non si era soffermato su un mucchietto di miserabili esseri umani. –"Sono… felice che state bene."

Anche Sirio, poco distante, stava cercando di rimettersi in piedi, la bella armatura divina danneggiata in più punti, lo scudo in frantumi. Non che sia una novità, si disse, trattenendo un sorriso al ricordo di tutte le volte in cui qualche avversario era riuscito a distruggerlo. Magari un giorno qualcuno l’avrebbe fatta davvero una lista del genere. Qualcuno che gli sarebbe succeduto.

"Ryuho…" –Mormorò, al pensiero di Fiore di Luna che lo aspettava, del caldo abbraccio a cui si sarebbero abbandonati, dell’odore fresco dei suoi capelli.

"Sirio! Ascanio! Venite qua!" –Li chiamò allora Alexer che, nel frattempo, si era portato davanti alla Porta della Luce, raggiunto da uno zoppicante Vidharr. Di Idunn nessuna traccia, di certo anch’ella caduta nell’assalto di Erebo.

Ascanio sentì il figlio di Odino mormorare qualcosa, forse una preghiera in norreno, realizzando che adesso era rimasto l’ultimo Ase ancora vivo. L’ultimo di una stirpe di Divinità vissute oltre i confini di quel mondo. E capì cosa provasse, un sentimento non dissimile da quello che l’aveva invaso dopo la rivelazione sulla cima dell’Isola Sacra, quando aveva visto suo padre per la prima volta. Il suo vero padre. E che, solo qualche ora prima (impossibile definire quante), gli era passato davanti, splendido sul suo stallone bianco e la lama argentata in mano. Chissà se era stata la prima Caliburn, quella che Arthur aveva stretto in mano, quand’era piombato sulle Morrigan?

"Dobbiamo andare!" –Esclamò l’Angelo Azzurro, prima di voltarsi verso il portone e sfiorarlo, spingendolo indietro con una corrente d’aria, senza incontrare resistenza.

Con cautela, guardandosi attorno temendo un attacco, i superstiti al massacro di Erebo avanzarono nella Corte della Luce, che era semplicemente un altro pezzo di deserto circondato a ovest dalla muraglia, in parte distrutta, che correva verso la Porta della Notte, e a est da quella che correva verso la Porta del Giorno, dove in realtà non c’era più niente. Pareva che la residenza di Emera, se di essa si trattava, fosse collassata su se stessa, costellando la spianata desertica di pezzi di roccia e macerie.

Nella Corte della Luce non incontrarono nessuno e non percepirono alcuna presenza. Insospettito, Alexer espanse i propri sensi, lasciandoli scivolare sulla polvere, sulla roccia, sull’intera struttura del Primo Santuario, ma non trovò niente. Sembrava che quel luogo fosse avvolto nel nulla.

"Se ci sono dei nemici, sanno nascondersi piuttosto bene!" –Commentò, trovando Vidharr, Sirio e Ascanio concordi. –"Le uniche tracce che percepisco provengono dalla nostra destra." –Aggiunse, voltandosi verso le mura che portavano alla Porta del Giorno, in fondo alle quali un gruppetto di note figure stava avanzando.

"Febo! Marins!" –Esclamò Ascanio, riconoscendoli. –"E c’è anche Phoenix!" –Disse Sirio. –"E Andrei e gli Dei d’Egitto!" –Concluse Alexer, riconoscendo Amon Ra, Horus e Bastet. Ma poi, a parte due malconce e silenziose Amazzoni, non c’era nessun’altro con loro. E a quella vista l’Angelo d’Aria si rattristò.

"Sono lieto di vederti ancora vivo, fratello!" –Disse Andrei, avvicinandosi.

"Lo stesso vale per me. Sebbene troppi siano caduti, per permetterci di arrivare fin qua!" –Commentò Alexer, ricordando Idunn e Eir, e tutti i druidi, gli apprendisti, le sacerdotesse dell’Isola Sacra e gli abitanti della Montagna Bianca che non era riuscito a proteggere.

"Nessuno di loro sarà caduto invano, Arconte Azzurro! Io, Sole d’Egitto, posso assicurartelo!" –Declamò Amon Ra, strappando un sorriso stanco a tutti i presenti.

"Come procediamo, adesso? Questo posto sembra più deserto del deserto!" –Disse allora Marins.

"Cautela, giovane yankee! Caos potrebbe avere ancora molte frecce al suo arco! Anzi, per la verità, io credo che disponga di una faretra inesauribile!" –Disse Amon Ra. –"Pur tuttavia mi chiedo…" –E anche Alexer e Andrei si scambiarono un’occhiata veloce. –"Cosa sta aspettando?"

In risposta alla sua domanda, il suolo tremò. Ma non fu semplicemente una scossa, fu un vero e proprio movimento delle zolle terrestri che trasportò gli Angeli e i Cavalieri avanti, facendoli ruzzolare a terra, mentre mura crollavano e altre ne sorgevano, mentre artigli di roccia sbucavano dal terreno e le forze dell’Alleanza finivano a sbatterci dentro, mentre voragini si aprivano e sparavano fuori gas nocivi o rigurgiti di tenebra o fiamme nere, e tutto quel che poterono fare fu continuare a ruzzolare, quasi stessero precipitando in orizzontale. E quando il movimento si placò, e poterono sfiorare il suolo senza che questo gli scappasse via dalle mani, videro che, attorno a loro, c’erano altre figure in armatura, sporche e macchiate di sangue come loro. E allora risero poiché infine si erano ritrovati.

"Pegasus!" –Gridò Sirio. –"Cristal! Andromeda!"

"Fratello!" –Esclamò subito Andromeda, correndo verso Phoenix.

Anche gli Arconti si ritrovarono, e i Cavalieri delle Stelle si riunirono al loro Comandante, i Talismani ancora saldamente nelle loro mani. Intonsi.

Notando Amon Ra, Zeus si avvicinò a passo lento, seguito da Ermes e da Efesto, che si reggevano l’un l’altro, da Nettuno, Demetra e Atena con i suoi sparuti Cavalieri, da Sin degli Accadi, con l’armatura a pezzi, e da Toma, Nikolaos e Shen Gado.

Avatea, stanca e ferita, abbracciò il Capitano dei Seleniti, come una madre avrebbe abbracciato un figlio, mentre Hubal si limitò a poggiargli una mano su una spalla. Toru e gli Areoi rimasero ai margini del gruppo, sentendosi esclusi da tutti quei legami, ma una dama bianco vestita li avvicinò. Per quanto sporca e ferita, Rhiannon era ancora bellissima, o così parve ai giovani Areoi, mentre si chinava su di loro, per esaminare le loro ferite e offrire una stilla del suo cosmo guaritore.

"Fa così con tutti!" –Disse Arawn, presentandosi. –"Non riesce a farne a meno. Puoi dirle "tienilo per te" quante volte vuoi, ma fa sempre di testa sua. È una donna, no?"

"E tu abbai sempre come un cane!" –Lo rimbrottò lei, strappandogli una risata.

"Non farmi pensare ai miei levrieri! Sommersi dalle macerie e svuotati da quella bestia!" –E scosse la testa, mentre Zeus si incontrava con Amon Ra e Vidharr.

"Signore della Folgore!" –Esclamò il figlio di Odino, accennando un inchino. –"Infine ci siamo ritrovati! Sia pur in una compagnia ben più ridotta!"

A quelle parole Zeus annuì, prima di porre la domanda che tutti si stavano chiedendo. –"Cos’è successo? Abbiamo varcato la Porta delle Tenebre e poi il suolo si è sollevato, e abbiamo temuto che una nuova bestia demoniaca sorgesse dagli abissi, e ci ha fatto rotolare fin qua."

"Qualcosa di simile è accaduto a noi." –Spiegò Asterios. –"Una faglia ci ha precipitato nell’oscurità, facendoci scivolare su un tappeto di roccia fino a farci sbucare, non so come, qua."

"E dov’è questo qua?" –Domandò allora Pegasus, guardandosi attorno. Erano ancora nel deserto del Gobi, al centro di un enorme spazio vuoto, circondati da mura lontane che sembravano quasi chiudersi a cerchio.

No! Notò il Cavaliere. C’è uno spazio aperto proprio alle nostre spalle. Minimo ma sufficiente per farci passare tutti. Cos’è? Un invito ad andarcene finché siamo in tempo? Caos ha un perverso senso dell’ironia!

"Temo di avere una spiegazione!" –Intervenne Andrei, indicando il massiccio edificio centrale che era sorto davanti a loro e che gli ricordò alcune costruzioni del continente ove aveva a lungo soggiornato. –"Una ziggurat nera!"

"È immensa!" –Disse Jonathan, pensando al tempio di Isla del Sol, a quanto gli era sembrato grande la prima volta in cui vi era entrato, e quanto adesso, di fronte a tale oscura magnificenza, gli parve l’unghia incarnita del piede di un titano.

Era un grosso quadrato di pietra nera, sopra cui erano innestati altri tre blocchi, via via più piccoli, ma grandi a sufficienza per ridicolizzare l’arena del Grande Tempio o il complesso templare di Karnak. Sulla facciata del quadrato più alto, una lunga scalinata scendeva a picco dall’unica porta che permetteva l’accesso al monolitico santuario fino a una piattaforma centrale, a cinquanta metri dal suolo, dividendosi poi in due gradinate che correvano in diagonale a destra e a manca, fino a terra.

"Dunque questo è il Santuario delle Origini…" –Commentò Sirio. –"La sua versione definitiva intendo."

"Definitiva?" –Mormorò Alexer, che aveva compreso l’intuizione del fratello. –"Sì, forse così può definirsi. Vedete le mura che ci circondano? Corrono circolarmente attorno a noi, convergendo proprio alle spalle della ziggurat, fondendosi con essa. Una forma di certo non casuale."

"Principe della Valle di Cristallo, intendete dire…" –Disse Vidharr.

"Se avessi ancora le mie ali, mi alzerei in volo per cercare una conferma ma credo che anche da questa posizione sia piuttosto evidente la forma di questo santuario." –E disegnò un simbolo sul terreno, lo stesso che Avalon aveva rappresentato durante l’assemblea dei regni divini nell’arena di Atene.

Un’Omega.

La fine di tutto.

Proprio in quel momento la porta della ziggurat si dischiuse e dalle tenebre un’alta figura, rivestita di una possente armatura da battaglia, ne uscì. La corazza era viola e nera, ornata di spuntoni, artigli e teschi, e dall’elmo, della stessa fattura, uscivano quattro rozze corna, una per ciascuno dei Progenitori. In mano stringeva una lunga asta con una lama ricurva in cima, simile a una falce, e proprio quell’arma abbassò, puntandola sulle forze dell’Alleanza. Un gesto eloquente per tutti loro.

Caos era arrivato. E voleva combattere.

***

L’Isola del Riposo aveva decisamente perso il diritto ad avere quel nome.

E meno male dovevamo soltanto attendere il risolversi degli eventi! Commentò Cliff O’Kents, riparato dietro un mucchio di rocce. Si affacciò cauto, prese la mira e sparò, centrando alla spalla una di quelle strane bestie che li stavano attaccando.

Sembravano uomini, per quanto avessero il busto e la testa di cavallo, con una lunga criniera nera che sobbalzava a ogni loro movimento. Erano veloci, erano resistenti, erano persino aggraziati nei movimenti, ma quando spalancavano la bocca, Cliff vedeva soltanto la robusta arcata dentaria che poteva chiudersi sui loro corpi e strappar via dalla pelle alle ossa. Come avevano fatto con un malcapitato abitante del villaggio che aveva avuto l’ardire di farsi avanti, con un bastone in mano, per colpirli.

Il tizio in armatura azzurra che li guidava (un ragazzino, all’apparenza, ma ben più tosto dei suoi coetanei. E più bastardo!) li aveva chiamati Each Uisge, e lui, che conosceva il gaelico scozzese, aveva subito capito.

"Cavalli marini! Forti e pericolosi!" –Disse agli altri, ricordando vecchie leggende delle Highlands a cui mai aveva dato ascolto. Eppure, lui che sulla pelle e nell’animo ne portava ancora i segni, avrebbe dovuto sapere che le leggende nascono dalla realtà.

"Come li fermiamo?" –Gridò Dean, riparato dietro una roccia poco distante.

Dopo la prima carica degli Each Uisge, il gruppetto si era asserragliato dietro una sporgenza rocciosa, lungo la strada che dal porto saliva verso il villaggio, nel tentativo di fermarli e proteggere gli isolani. Cliff aveva più volte ordinato al Professore di rintanarsi in qualche casa ma lui non voleva abbandonarli e stava armeggiando per riparare l’armatura d’acciaio di Dean.

Sam e Dean. Li guardò Cliff, non potendo fare a meno di pensare quanto fossero diversi. Il primo alto e magro, con una cesta di capelli mossi dal vento, il secondo, più basso e piazzato, con un volto glabro e ben curato; uno attento e preciso, l’altro irruento e focoso nel colpire. Si erano conosciuti a Nuova Luxor tempo addietro, quando Lady Isabel li aveva convocati per collaborare, una squadra di umani fedeli al Santuario che avrebbero potuto muoversi senza dare troppo nell’occhio e, infatti, per ora le loro missioni erano state di investigazione, recupero e salvataggio. Per la battaglia non erano particolarmente portati.

Ricordò, Cliff, l’attacco di quelle donne letali sulla nave che trasportava la mela d’oro e come si era sentito inutile, qualcosa di non troppo diverso da come si stava sentendo adesso. Lui, in fondo, era soltanto un umano. Cosa poteva fare contro quelle bestie uscite dai tempi del mito?

"Giù!" –Un grido lo distrasse, mentre Dean si gettava su di lui, per coprirlo, e Sam sparava nuovi dardi di energia contro un gruppetto di Each Uisge che si era fatto avanti. –"Non possiamo continuare così, passivi e inermi in difesa! Dobbiamo attaccarli! Professore, qualche arma che possiamo usare?" –Ma Rigel scosse la testa; tutte le sue ricerche e i suoi segreti si erano ormai inabissati.

"Siamo noi l’arma!" –Disse allora Kiki, quel ragazzino foruncoloso con i capelli rossicci che tutto sembrava meno che una fonte di apprensione per un nemico. Eppure, di fronte ai loro sguardi straniti, si fece avanti, incurante dei loro richiami, fino a portarsi in mezzo alla battaglia, attirando anche l’attenzione di colui che guidava l’assalto. –"Sei un Forcide, vero? Riconosco la tua armatura!"

"Come fai a saperlo? Dubito tu abbia già incontrato uno di noi o saresti morto!"

"Mio fratello era il riparatore di armature; conosceva composizione e fattura di ogni corazza esistente al mondo. Sopra e sotto il mondo." –Parlò fiero, con gli occhi che, al solo ricordo di Mur, si inumidirono. –"Stando al suo fianco, aiutandolo come apprendista, ho imparato molte cose e altre avrei potuto apprenderne se non mi fosse stato portato via. Da mostri come voi!"

"Umpf! Hai del coraggio, bambino!"

"Non sono un bambino, ma un apprendista Cavaliere di Atena, fratello del Grande Mur dell’Ariete. Il mio nome è Kiki, e il tuo qual è? Presentati, invasore!"

Cliff, Sam, Dean e Rigel, alle sue spalle, rimasero colpiti dal tono autoritario con cui si rivolse al guerriero azzurro, scambiandosi uno sguardo insicuro, quasi a chiedersi cosa ci facessero loro, ben più grandi di lui, ancora nascosti dietro una roccia.

"Io sono Kelpie di Abderdeen, Settimo Forcide dell’Imperatore dei Mari, nonché ultimo rimasto. Pare che persino Tiamat l’Invincibile sia caduto. Questo significa che la mia vittoria contro di voi mi darà accesso al più ambito titolo, quello di Primo Forcide. Riconoscendo i miei meriti, Caos potrebbe persino pormi sul Trono dei Mari per iniziare la mia propria dinastia. Una stirpe di Cavalli Marini, adatti sia a vivere nel mare che sulla terraferma."

"Stirpe che mai vedrà la luce." –Disse Kiki, espandendo il cosmo e strappando, al qual tempo, una risata al Settimo Forcide.

"Sei divertente, bambino, ma ho passato da tempo l’età dei giochi. Uccidetelo!" –Ordinò agli Each Uisge, che scattarono avanti in gruppo.

"Kiki!" –Gridò Rigel alle sue spalle, ma il bambino nemmeno lo ascoltava, gli occhi socchiusi, la mente lasciata libera di fluire oltre, di andare all’indietro, ricordando gli insegnamenti di suo fratello sull’uso del cosmo e tutto l’affetto che non gli aveva mai fatto mancare. Pur essendo un Cavaliere di Atena, uno dei più fedeli, e sempre impegnato a riparare corazze, Mur aveva anche trovato il tempo di fargli da maestro, e per onorarlo adesso Kiki avrebbe combattuto.

"Guardami, Mur!" –Esclamò, spalancando gli occhi, mentre un cosmo bianco e argento brillava attorno al suo corpicino. –"Guardami e sii fiero di me! Onda di Luce Stellare!" –Urlò, portando avanti le braccia e liberando un’onda di pura energia che travolse i primi Cavalli Marini, scaraventandoli indietro, gli uni sugli altri, e giù di sotto dalla scogliera. Una crepa si aprì nella grande terrazza e alcuni Each Uisge ci precipitarono dentro, schiacciati dal rapido richiudersi della breccia. Durò pochi secondi, quel breve attacco, il tempo di cui Kelpie abbisognò per schivarlo, saltando di roccia in roccia, e piombare su di lui, a tacco teso.

"Non così in fretta!" –Gridò Sam, uscendo da dietro il riparo e sparando un dardo di energia contro la gamba del Forcide, investendolo e scagliandolo indietro, fino a farlo ruzzolare tra i corpi feriti e storditi del suo piccolo esercito.

"Bel colpo!" –Si complimentò Dean, mentre Cliff, ormai con il caricatore scarico, gettava via la pistola, correndo su Kiki, che nel frattempo si era accasciato, esausto per l’enorme sforzo. Lo sollevò, evitando il balzo di un Cavallo Marino e colpendolo con un pugno, prima di scattare verso i compagni. –"Che diavolo facciamo adesso? Dobbiamo tenerli lontani dalle ragazze!"

Il Professor Rigel si guardò intorno, si arruffò i capelli, cercò qualche soluzione ma prima che riuscisse a parlare una corrente di energia acquatica lambì i loro piedi, spumeggiando e liberando continue bolle simili a sapone.

"Cosa fate? Voi morite, cos’altro? Non siamo venuti per fare prigionieri!" –Disse Kelpie, rimessosi in piedi. –"Gli ordini del Gran Maestro del Caos sono stati precisi. Atena deve essere punita e si dà il caso che qui vi sia un’arma di distruzione di massa che nessuno di voi, una volta innescata, potrà fermare!"

Cliff e gli altri si guardarono con sospetto, senza capire le sue parole, prima che Kelpie desse ordine ai Cavalli Marini di attaccare. Soltanto allora, tirando uno sguardo al vulcano che incombeva sul villaggio, il Professor Rigel capì.

"Volete scatenare un’eruzione?"

Il Forcide sghignazzò, aumentando l’intensità della sua corrente, che falciò le gambe dei quattro combattenti, facendoli strillare dal dolore e impedendo loro ogni mossa. Sam mosse il braccio per liberare nuovi dardi di energia ma una colonna d’acqua si sollevò dalla corrente azzurra, mutando in liane di energia che si avvinghiarono al suo arto, strattonandolo e distruggendo la corazza d’acciaio.

"Protezioni buone nel corpo a corpo, ma inutili contro un guerriero dotato di cosmo. Addio, giovani eroi! Primi a cadere per mano di Kelpie sarete!" –E portò entrambe le braccia avanti, caricandole di flutti spumeggianti. –"Bäckahästen!" –Gridò, liberando una mandria di imbizzarriti cavalli di cosmo.

Sam e Dean si misero di fronte a Cliff e a Rigel, per proteggerli, subendo in pieno l’assalto e assistendo, impotenti, al disintegrarsi delle loro armature. Bruciarono il cosmo, come il Professore aveva loro insegnato, ma tutto quel che riuscirono a produrre fu una fiammella bianca che venne presto ingoiata dai furibondi cavalli di energia scatenati da Kelpie. Così, con le braccia aperte di lato, per fare da scudo ai compagni, i fratelli d’acciaio credettero che avrebbero fatto la fine delle loro corazze, quando notarono un’agile figura balzare davanti a loro e sentirono l’assalto defluire ai lati. Tutto ciò che videro, prima di crollare esausti sulle ginocchia, fu una lunga chioma color nocciola scendere lungo la schiena di una fanciulla in armatura.

"Yulij!" –Gridò Cliff, riconoscendo il Cavaliere del Sestante. –"Non dovevi restare con Fiore di Luna e le altre?"

"Se non li fermiamo, moriremo tutti. Tanto vale provarci." –Disse la Sacerdotessa, bruciando il cosmo e generando una barriera protettiva a forma di maschera, che si aprì attorno a lei, disperdendo l’attacco del Forcide.

"Provare non serve a nulla se non avete le forze." –Ironizzò Kelpie, puntando il dito contro la ragazza e spingendola indietro con un solo raggio di energia, che le trapassò il ventre, gettandola addosso al Professor Rigel, che subito si agitò, pensando a come tamponare l’emorragia, a cosa fare per proteggerli, a come onorare la fiducia che Atena gli aveva rinnovato e che lui continuava a non meritare. –"Andate!" –Intimò il Forcide, rivolgendosi agli Each Uisge, che scattarono avanti, superando il gruppo di indeboliti difensori e dirigendosi verso il vulcano. –"Pare che, secoli addietro, il Gran Maestro del Caos abbia distrutto un intero arcipelago facendo esplodere un vulcano. Forse l’effetto di questa eruzione non sarà tale da raggiungere la Grecia, ma chissà, sono curioso di verificarlo! Voi no?"

"Sei un pazzo! Quante vite spazzerai via? Ci sono donne e bambini su quest’isola e su tutte quelle attorno, e le navi, le città sulla costa…" –Esclamò Rigel, mentre Kelpie si avvicinava loro.

"Cosa vuoi che mi importi della vita sulla Terra? È stata condannata nel momento in cui Caos ha fatto ritorno. Ciò che posso salvare, e portare a un nuovo futuro, è la vita nei mari, di cui diverrò reggente o magari imperatore. Non c’era un proverbio umano, gli ultimi diverranno i primi?" –Ridacchiò, espandendo il proprio cosmo e preparandosi a colpire da distanza ravvicinata. Per prima cosa liberò la corrente d’energia acquatica con cui li immobilizzò, poi avvolse le braccia nel suo cosmo azzurro, godendo l’espressione sgomenta dei suoi nemici. Sgomenta e impotente.

Ma quando le calò, liberando la furia dei cavalli energetici, si stupì nel vedere che quegli stupidi umani avevano creato una barriera con i loro cosmi. Una protezione misera, invero, nata dalla disperazione, e che con un secondo assalto spazzò via.


"Aaahhh!!!" –Gridarono Sam, Dean, Cliff, Kiki, Yulij e il Professor Rigel, travolti dalla furia del Bäckahästen e scaraventati indietro, giù di sotto dalla terrazza, fino a ritrovarsi tra le macerie del devastato porto. Relitti sopra altri relitti.

Stirando le labbra in un sorriso divertito, Kelpie si incamminò lungo la strada che portava al villaggio, chiedendosi se i Cavalli Marini fossero già giunti al vulcano. Levò lo sguardo verso la cima e non s’avvide di un globo di energia che lo colpì sulla schiena, sbilanciandolo e gettandolo a terra. Subito si rialzò, furioso, soltanto per vedere che quel bambino dai ricci fulvi si era rimesso in piedi, ferito, sanguinante e più simile a uno straccione che a un apprendista Cavaliere, e che aveva giunto le mani, ancora intrise dell’ultimo sfavillio di un cosmo grezzo.

"Il tuo canto del cigno, bambino? Credevo di averti insegnato a stare al tuo posto!"

"Il mio posto è accanto ai Cavalieri miei compagni nella lotta contro Caos!"

"Kiki…" –Mormorarono Yulji, Sam, Dean e Cliff, riversi al suolo attorno a lui. –"Tu sei un vero Cavaliere… mentre noi…" –Disse lo scozzese. –"Indossiamo patacche di latta per fingerci grandi…" –Continuò Dean. –"E crederci dei Cavalieri…" –Gli fecò eco il fratello. –"Eppure lo siamo! Dobbiamo ricordarlo, amici, noi lo siamo! La benedizione di Atena è su tutti noi!" –Chiosò Yulij. –"E allora alziamoci!" –Disse Cliff, muovendo a malapena le dita, chiudendole a pugno e facendo forza. –"Sì, alziamoci!" –Ripeterono i fratelli d’acciaio. E tutti, in quel momento, bruciarono la loro vita, fino all’ultima stilla di energia che riuscirono a produrre. –"Per Atenaaa!!!"

"E per Atena morirete!" –Gridò Kelpie, mentre migliaia di spumeggianti cavalli di energia acquatica sorgevano attorno a sé. –"Che il potere dei mari vi travolga e vi trascini nell’oblio! Bäckahästen!" –E liberò il potente assalto che i compagni tentarono di contenere unendo di nuovo i loro cosmi, mentre la vita li abbandonava.

"Vela Bianca!" –Esclamò allora una voce squillante, prendendo tutti alla sprovvista. Kiki e gli altri subito sentirono scomparire la pressione che finora li aveva schiacciati a terra, riaprendo gli occhi e osservando un ragazzetto, di poco più grande di Kiki, in armatura bianca, che si ergeva di fronte a loro, con uno strano scudo triangolare sul braccio con cui stava deviando l’attacco di Kelpie.

"E tu chi sei? Un altro disperato paladino di Atena?" –Lo apostrofò il Forcide.


"Non ad Atena sono devoto, per quanto i suoi Cavalieri abbiano combattuto per difendere il mio mondo, mondo che tu e i tuoi simili avete distrutto!" –Disse il giovane dagli occhi neri. –"Sono qui per riscuotere il mio credito! E tu, Forcide, sei pronto a pagare il fio?"

"E cosa mai dovrei pagarti?"

"Il mio Avaiki!" –Esclamò Kohu dell’Istioforo. –"Il mio mondo. Taglio delle Onde!" –Aggiunse, liberando il suo attacco.