CAPITOLO DICIOTTESIMO: VERSO L’ALTROVE.

Neottolemo del Vascello era stato incarico da Alcione di mettere in salvo gli abitanti di Tirinto ancora all’interno della cittadella. Non erano moltissimi, avendo gli Heroes già pensato, nei giorni precedenti, ad evacuarne una buona parte, nascondendoli nelle caverne dei monti alle spalle della fortezza. Si trattava di allievi di Marcantonio o Nestore, e di artigiani, che avevano deciso di rimanere fino all’ultimo per aiutare Ercole e i suoi accoliti ad organizzare la difesa della città. Un centinaio di persone che l’Hero della Seconda Legione stava terminando di imbarcare sulla Nave di Argo, pronta per mollare gli ormeggi, sperando di non essere individuata da alcun avversario. A questo scopo Neottolemo aveva sollevato un velo di nebbia sul retro della corte, tenue ma sufficiente per nascondere i loro preparativi.

"Nefertem, carica gli ultimi sacchi di pane e le coperte! Potreste averne bisogno in quelle fredde caverne!"

"Sì, Comandante!" –Rispose il ragazzo, a cui molto piaceva aiutare Neottolemo a trafficare sulla nave, per quanto le sue conoscenze marittime fossero minime.

"Con gli stallieri che stanno salendo adesso, siamo a centodue!" –Esclamò una ragazza dai capelli violacei, che indossava una maschera da Sacerdotessa, per quanto ancora non avesse terminato il suo addestramento. –"Restano fuori soltanto gli arcieri e i soldati semplici, e gli altri Heroes ovviamente!"

"Bel lavoro, Nausicaa! I conti sono perfetti! Possiamo salpare!" –Disse Neottolemo, facendo cenno ai due aiutanti di imbarcarsi. Si voltò un’ultima volta verso la fortezza, percependo violente energie scontrarsi sull’altro lato di Tirinto, e sospirò, dispiaciuto per non poter essere a fianco dei suoi compagni. Aveva sentito i cosmi di Artemidoro, Anfitrione e Penelope spegnersi, uno dopo l’altro, e quelli di Nestore e degli altri indebolirsi. Confidava però che quei nuovi cosmi, accesisi all’improvviso sul campo di battaglia, potessero aiutare gli amici anche al posto suo.

Si incamminò sul ponte di legno, mentre i suoi aiutanti prendevano posizione per condurre il vascello al meglio, e anche per tranquillizzare la popolazione. Ma non riuscì a salire a bordo che venne atterrito da un suono orribile, simile quasi ad un belato, che risuonò nella nebbia. Anche Nefertem, Nausicaa e le altre persone presenti sulla nave crollarono a terra, tenendosi la testa con entrambe le mani, vittime di quell’attacco acustico così grossolano, così rozzo, ma anche così stordente.

L’Hero del Vascello sollevò lo sguardo a fatica verso le nebbie che nascondevano il cortile, credendo che qualche Menade o qualche satiro vi si fosse nascosto, per quanto il suono che adesso lo stava prostrando a terra fosse diverso dalla cacofonia che li aveva quasi fatti impazzire di fronte alle mura di Tirinto. Era un rumore più intenso, gutturale a tratti, che aveva ben poco di festoso e scanzonato.

Sembra il verso di un animale. Mormorò Neottolemo, cercando di rimettersi in piedi, per quanto fitte alla testa lo prostrassero a terra di frequente.

Fu allora che sentì una vibrazione. La percepì un attimo prima che l’onda energetica si schiantasse contro il vascello, scuotendolo e facendolo barcollare, fino a sbatterlo contro le mura perimetrali retrostanti. L’Hero rovinò a terra, come pure molte persone che erano sul ponte, tra grida spaventate e sguardi attoniti. Nefertem e Nausicaa cercarono di evitare il panico, soccorrendo subito i primi feriti, aiutati anche da alcuni uomini fedeli ad Ercole.

"Ah ah ah! Non è il tempo propizio per i viaggi fuori città! Tutta questa nebbia, e questo vento forte che fa ondeggiare il mare! Converrebbe allora che rimaneste qua, di modo che io possa uccidervi tutti assieme, dandovi uno dopo l’altro in pasto alle mie bestie!" –Esclamò la voce di un uomo apparendo nella foschia. –"Offerti a Dioniso in sacrificio! Questa sarà la vostra fine! Gustosa e succulenta, come, sono certo, piacerebbe al mio Dio! Molto meglio ardere come agnelli sacrificali che precipitare dall’alto con quel rudere, non credete?!"

"Chi… sei?!" –Mormorò Neottolemo rialzandosi e incrociando lo sguardo di un uomo dai mossi capelli blu, rivestito da un’armatura verde e marrone.

"Glauco del Fauno, Satiro delle tre Bestie Sacre! E ti assicuro che, se soltanto osate fuggire, vi trascinerò con quella carcassa di legno giù fino all’Inferno!"

"Nessuno sta fuggendo!" –Replicò l’Hero, stizzito. –"Stiamo mettendo in salvo uomini innocenti che non meritano di essere coinvolti dalla follia del tuo Dio!"

"Errore! Meritano eccome di essere puniti, proprio come te, sciocco! Credi forse che il fatto che non possiedano alcun potere li renda diversi? Che li renda indegni di combattere per il loro Signore? Tutt’altro! Come adoratori di Ercole, creperanno al par suo!" –Esclamò Glauco, con voce decisa, prima di voltarsi verso il vascello e vedere che Nefertem e Nausicaa stavano terminando di aiutare i civili a riprendere i loro posti. –"E ascoltatemi quando vi parlo, zoticoni! O, se preferite, udite il Canto del Capro!" –Aggiunse, portando avanti entrambe le braccia e rilasciando quella che sembrava una corrente energetica ma che si palesò in realtà come un belato continuo.

Un belato prolungato e sfiancante che rimbombava nelle orecchie di Neottolemo, dei suoi aiutanti e delle persone a bordo della Nave di Argo, prostrandoli e portandoli a battere pugni in terra per liberarsi di quel suono cupo e grave.

"Maledizione…" –Mormorò Neottolemo, che mal sopportava gli attacchi acustici.

"Sei in difficoltà, bel capellone?!" –Ironizzò Glauco, avvicinandosi e colpendo l’Hero con un calcio al mento, che lo schiantò contro una fiancata della nave, facendola oscillare ulteriormente. –"Come?! Non partecipi alla gloria del Dio del Vino?! È questo infatti il canto con cui, nelle feste in suo onore, viene accompagnato il sacrificio del capro! Ed oggi sarai tu il bel caprone da sgozzare! Ah ah ah!"

In quel momento Nefertem balzò giù dalla nave, ruzzolando accanto a Neottolemo e passandogli un mucchietto di cera. Stordito, l’Hero inizialmente non comprese, ma le parole del ragazzo gli tolsero ogni dubbio.

"È solo un attacco acustico! Non arriva direttamente alla mente!" –Non riuscì ad aggiungere altro che venne sollevato da Glauco del Fauno, che lo afferrò per la mantella che indossava, fissandolo con uno sguardo di disappunto, prima di sbattergli con forza la faccia contro la fiancata della nave.

"Nefertem!!!" –Gridò Neottolemo, balzando in piedi di scatto. Ma, come se il Satiro Guerriero se lo aspettasse, gli scagliò contro un potente attacco con il solo aprirsi del palmo della mano sinistra. Un muro di energia che lo schiantò molti metri addietro.

"Furia taurina!" –Sibilò Glauco, osservando una macchia di sangue allargarsi sull’abito del ragazzo il cui volto ancora sbatteva contro la nave. –"La seconda bestia sacra a Dioniso! Dopo il capro, il toro, simbolo di fecondità e di forza generatrice, e dotato di incontenibile furia selvaggia!"

"Lascialo andare!!!" –Gridarono Nausicaa e alcuni uomini, lanciandosi dal ponte del vascello con dei bastoni, delle vanghe e altre armi improvvisate. –"Non hai vergogna di te, bieco scagnozzo di Dioniso, ad accanirti contro un ragazzino?!"

"I bambini di oggi potrebbero essere gli eroi di domani!" –Rise Glauco, osservando il volto sfregiato di Nefertem, ormai una maschera di sangue. –"Meglio risolvere il problema alla radice, non credete?!" –Nel dir questo scagliò il ragazzo proprio contro il gruppo di uomini che lo stava caricando, obbligandoli ad afferrarlo al volo, proprio mentre il Satiro Guerriero volgeva loro il palmo della mano. –"Furia taurina!"

Ma quella volta l’attacco di Glauco non travolse nessuno, schiantandosi contro una corrente azzurrognola che circondò i corpi di Nausicaa e degli uomini. Una corrente che pareva composta di aria e di acqua, di onde schiumose e di strati di nuvole.

Sconcertato, il servitore di Dioniso mosse persino un passo indietro, non avendo mai visto un fenomeno simile. Si voltò verso Neottolemo, ma notò che non era più ove lo aveva scagliato poc’anzi, e quasi gridò di sorpresa quando lo vide apparire a fianco di coloro che stava cercando di proteggere, avvolto da un turbinare di nubi e correnti d’acqua, dentro le quali si era nascosto.

"Cercavi qualcuno?!" –Ironizzò, sebbene la voglia di scherzare fosse poca. Serio di carattere, l’Hero della Nave di Argo difficilmente si abbandonava a momenti di ilarità, che comunque non mancavano a Tirinto, soprattutto nelle serate estive, quando Nestore, Damaste ed altri Heroes si radunavano nella corte, abbandonandosi a ludiche attività di gruppo. Ed in quel momento, dopo aver visto il dolore che quel Satiro aveva inflitto a Nefertem, il suo umore nero superò il livello di guardia.

"Fai poco lo sbruffone! Sei inutile ormai! Il Canto del Capro ti atterrerà un’altra volta!" –Ghignò Glauco, dirigendogli di nuovo contro il suo attacco acustico, ma rimanendo sorpreso nel vedere quanto fosse privo di effetto.

"La cera negli orecchi è un ottimo deterrente per non essere incantati! Non fu così che Ulisse sfuggì alle Sirene?!" –Commentò, espandendo il proprio cosmo. –"E qualora non ricordi la sua avventura, lascia che ti rinfreschi la memoria, facendoti rivivere le gesta di uno dei tanti eroi del Mondo Antico!" –E nel dir questo mosse le nebbie, le nubi e le correnti d’acqua generando un’unica grande massa di color azzurro e grigio, che assunse la forma di due ali spalancate. –"Ali del Mito!"

L’attacco travolse Glauco in pieno, incapace di difendersi in alcun modo da quel maestoso turbinare, schiantandolo contro le mura retrostanti e distruggendo gran parte della sua corazza. Debole, con una spalla slogata a causa dell’urto, ricadde a terra, cercando di rimettersi in piedi.

"Portatelo a bordo!" –Commentò allora Neottolemo, rivolgendosi agli uomini che sostenevano il corpo ferito di Nefertem. –"Lo affido a te!" –Aggiunse, ponendo una mano sulla spalla di Nausicaa, che annuì, seguendo gli altri sulla nave.

"Non è ancora finita… C’è un’altra bestia… sacra a Dioniso! La più potente di tutte!" –Mormorò Glauco, rimettendosi in piedi.

"Si perderà anch’essa, travolta dalle Ali del Mito!" –Disse Neottolemo, sollevando un braccio al cielo, mentre tutto attorno a sé turbinavano strati di nuvole e marosi blu.

"Non… le Pantere del Carro Nuziale!" –Sibilò il Satiro Guerriero, liberando il suo ultimo colpo, in cui infuse tutta la sua forza.

Rapide, due fiere nere dalle affilate zanne, sfrecciarono verso l’Hero, dilaniando la corrente di nebbia e acqua. I loro artigli squarciarono le ali di Neottolemo, fermandone il battito e sfrigolando persino sulla corazza del Vascello, finché l’Hero non invertì il flusso del proprio colpo segreto, dirigendolo verso l’alto. Così facendo le pantere vennero sollevate e si dispersero nel cielo, abbandonandosi a sporadici lampi prima di svanire. Con esse, scomparve anche quel che restava del cosmo di Glauco del Fauno, accasciatosi a terra poco distante.

"Un colpo pericoloso!" –Commentò Neottolemo. –"Se fosse stato nel pieno delle sue forze sarebbe stato difficile controbatt…" –Ma non riuscì a finire la frase che dovette voltarsi di scatto, verso la fortezza di Tirinto, nel campo di fronte alla quale era appena apparso un cosmo così vasto e rabbioso che l’Hero non ricordava di averlo incontrato mai in alcun uomo. Un cosmo che, per quanto gli apparisse strano, gli rammentava quello del Sommo Ercole.

***

Aniceto spaccò la testa di Irieo dell’Euripiga con un colpo solo, come fosse una noce, quindi abbatté Oreste di Blemma, Strimone della Locusta, Nonio del Barbaro, Procri della Gatta e tutti gli Heroes che tentarono di fermarlo. Soltanto due non si mossero, ancora intenti a confrontarsi con Mida, l’Elegante, a una ventina di metri da loro.

Rimase solamente Nesso del Pesce Soldato di fronte a lui, un po’ stordito dal rapido succedersi degli eventi. In un turbine di luce, quest’uomo dall’armatura scura era apparso in mezzo a loro, proprio adesso che, con la morte di Pan, credevano che la guerra stesse per finire, e aveva spazzato via tutti, compresi Nestore e il Comandante Alcione. Neanche fossero burattini. Non ebbe tempo per pensare a niente che l’uomo si lanciò su di lui, con il pugno carico di energia cosmica.

Nesso fu svelto a balzare indietro, facendo una capriola in volo, ma quando atterrò si accorse di non aver evitato completamente l’affondo nemico, che gli aveva distrutto la parte destra della cintura della corazza. Una nuova carica del suo avversario lo spinse indietro, mentre le squame sul coprispalla sinistro andavano in frantumi, raggiunte dall’onda d’urto dello spostamento.

Era inutile. Non poteva pensare alcunché. Poteva soltanto combattere per la sua vita.

"Frecce del Mare!" –Tuonò, liberando migliaia di dardi di energia acquatica e infondendo al suo colpo più energia possibile, senza risparmiarsi affatto, come invece aveva fatto con Dafoineo del Fauno. Ma, con suo grande stupore, il nemico, anziché muoversi per evitare quell’incessante pioggia, rimase al suo posto, con le gambe ben piantate, e iniziò a colpirle tutte con i pugni. Uno dopo l’altro, alternando destro e sinistro con una sincronia perfetta, senza lasciar passare neppure una freccia.

Stupefatto da qualcosa che mai aveva visto prima, Nesso fermò il suo attacco, restando con il braccio destro teso avanti a sé e l’energia del cosmo che ancora lo avvolgeva.

"Bel colpo! Feroce e determinato! Ma non credo te l’abbia insegnato mio padre, non è così? Non mi sembra il suo stile!" –Commentò l’uomo, osservando una nuova espressione di stupore dipingersi sul volto dell’Hero del Pesce Soldato.

"Mio padre… questo significa che tu sei…?!"

"Io sono Aniceto, l’Invincibile, figlio di Ebe, Dea della Gioventù, e di Ercole, Dio di mai provata Onestà!" –Si presentò, avvampando nel suo cosmo rossastro. –"E tu chi sei, ragazzino? Uno dei tanti orfani privi di speranza alcuna che mio padre ha illuso nel corso della vita, promettendogli un nuovo Eldorado e una vita di meraviglie?!"

"Il mio nome è Nesso del Pesce Soldato, Hero della Legione dei Mari con funzione di Esploratore! E, per tua informazione, non sono né orfano né mai stato illuso da Ercole riguardo ad alcunché! Il tuo nobile Padre mi ha invece offerto molte occasioni in vita, permettendomi di interpretare ruoli riversi, come un attore a teatro, che non avrei mai sperimentato continuando a vivere con i miei genitori, nell’isola di Egina, nel Golfo Saronico, e lavorando come pescatore!"

"Umpf, non definirlo nobile mio padre, perché non lo è! Né di status, né di carattere! Anzi è un bastardo, che ha disseminato per il mondo nugoli di bastardi par suo, con così tante donne che neppure si ricorda il nome della metà di loro!" –Ringhiò Aniceto, scocciato dalle parole oneste di Nesso. –"Solo con le figlie del Re Tespio ne ebbe cinquanta!"

"Comprendo la tua rabbia, ma è accaduto molto tempo fa! Ercole non era ancora l’eroe che sarebbe divenuto in seguito! Era solo un ragazzo che lottava per inseguire un sogno e affermarsi agli occhi di un padre per cui non era un figlio abbastanza divino!"

"Che sia accaduto ieri o mille anni fa, cosa cambia?! Niente!!!" –Gridò Aniceto, portando avanti il pugno destro, sfrigolante di energia, e obbligando Nesso ad un rapido scatto laterale, che non gli permise comunque di evitare che il coprispalla destro venisse distrutto in un sol colpo. –"E non ti permetto di giustificarlo!"

"Non voglio farlo, solo difendere l’integrità di un uomo che per me ha fatto tanto, facendomi crescere e aiutandomi a trovare la mia strada!" –Disse Nesso, tastandosi la spalla ferita e accorgendosi che Aniceto lo stava caricando nuovamente. Mosse allora il braccio sinistro più veloce che poté, lanciando l’arpione verso le gambe del figlio di Ercole e, arrotolato il cavo attorno ad esse, lo strattonò, facendolo inciampare.

"Quale inganno!" –Esclamò Aniceto, facendo risplendere il suo cosmo rossastro, incendiando cavo e arpione, mentre si rimetteva in piedi. Ma Nesso aveva approfittato di quei pochi secondi per portarsi indietro di qualche passo e sollevare il braccio destro, caricando nuovamente le Frecce del Mare.

La pioggia di dardi azzurri si abbatté su Aniceto, che la respinse a suon di pugni, come aveva fatto poco prima, ma imprimendo in essi una foga sempre maggiore, al punto che Nesso si trovò ad osservare attonito e impotente il figlio di Ercole avvicinarsi sempre di più, incurante dei suoi attacchi. Con un ultimo violento pugno, Aniceto generò un’onda d’urto che spinse l’Hero indietro, mentre il suo pugno lo raggiungeva allo sterno, facendolo ondeggiare in avanti e sputare sangue.

Stringendo i denti, il ragazzo cercò di liberare altre frecce di energia ma già Aniceto era su di lui, e lo afferrò per il collo, sollevandolo da terra e stringendolo con forza. Lo guardò negli occhi, con determinazione e rabbia, desideroso di sentirlo urlare mentre gli avrebbe tolto la vita. Forse in questo modo proverò anch’io quel che mio Padre si è tanto vantato di aver provato da giovane, quando strangolò le bestie che sarebbero entrate con lui nel mito. I serpenti che Era li mise in culla, il leone di Nemea, il Gigante Anteo figlio di Gea. Forse riuscirò a capire cos’è che lo ha inebriato a tal punto da spingerlo a ricercare una vita così folle e sanguinaria, fondando una nuova città, circondandosi di nuovi giovani da considerare come figli, forse anche più importanti dei suoi veri figli, e abbandonando nostra Madre?!

I suoi pensieri furono interrotti da un rapido movimento di Nesso che, aprendo i rampini nascosti nel bracciale destro della sua corazza, li aveva piantati con forza all’interno del braccio di Aniceto, in un punto non coperto dalla sua Veste Divina, facendolo urlare dal dolore e obbligandolo a lasciare la presa. Nesso rotolò al suolo, annaspando nella polvere per allontanarsi, ma il figlio di Ercole gli si lanciò sopra, ruggendo come una fiera, costringendo il ragazzo a raccogliere le gambe a sé e a usarle per spingerlo via.

"Sei agile!" –Commentò Aniceto, rialzandosi dopo aver ruzzolato per qualche metro. –"E mi diverto a lottare con te, sebbene poche sorprese ci attendano! Del resto sai bene chi hai di fronte! L’unione della vigoria fisica e della prestanza di Ercole con la giovinezza di Ebe! Quale miglior risultato?"

"Odi tuo padre, ma ti glori dei suoi doni!" –Mormorò Nesso, ansimando a fatica. –"Quello che sei, Aniceto, lo devi anche a lui! Che ti piaccia ammetterlo o no!"

"Taciii!!!" –Gridò il figlio di Ercole, scagliando un pugno di energia avanti a sé, che raggiunse Nesso in pieno petto, spingendolo indietro, con il pettorale della corazza crepato in più punti, e mozzandogli ulteriormente il respiro. –"Ben poco mi ha donato quel cane, se non la vita e il dolore di viverla! Ma cosa ne sai tu che non sopporti ogni giorno gli sguardi tristi di mia madre che non smette di fissare l’androne di casa, sperando che l’uomo a cui si concesse un tempo torni a dare un senso alla sua esistenza?!"

"Dev’essere stato difficile accettare la solitudine!" –Commentò Nesso. –"Ma spesso, nel vuoto che ci circonda, si riesce a trovare la forza per reagire, nuovi stimoli che ci mandino avanti! Per amare la luce non bisogna forse conoscere l’oscurità dell’ombra?!"

Quelle parole fermarono per un momento Aniceto dal colpire Nesso con un pugno di energia. Le aveva già sentite, seppur in forma diversa, da sua madre, poche ore prima, dopo averla trovata febbricitante e colpevole per aver aiutato Ercole a tornare dall’Ade. Cosa aveva voluto dire la Coppiera degli Dei? Che i suoi figli dovessero provare entrambe, la luce e l’ombra, la gioia e il dolore, passandovi in mezzo, proprio come Ercole aveva fatto nel corso della vita?

E in quel momento si ricordò di un episodio di molti secoli addietro, quando ancora era giovane e sedeva sulle ginocchia di suo padre assieme al fratello, raccontando le perigliose imprese che avevano affrontato in giardino, nel tentativo di emulare il genitore. Di fronte agli sguardi sorridenti di Ercole e Ebe. Una famiglia quasi felice.

"Hai davvero compiuto tutte quelle fatiche per cui sei cantato, Padre?!" –Gli chiedeva spesso incuriosito. E anche molto attratto dalle sue storie.

"Tutte. E molte altre!"

"Anche quelle più brutte?! Anche scendere all’Inferno?!"

"Anch’esse! Perché vedete, figli miei, la vita non è soltanto onore e trionfi, ma anche perdite e lacrime! Nessuno è immortale davvero, neppure gli Dei, e quel che abbiamo oggi potrebbe essere la polvere che stringeremo domani, osservando il vento spazzarla via! Godete del presente, di tutto quello che vi offre, siano luci, siano ombre! Ve lo dice un uomo che ha sperimentato vittoria e prigionia, trionfo e umiliazione, propri dell’umanità, prima di ascendere all’Olimpo! E non ha nessun rimpianto!"

Nessun rimpianto. Ripeté Aniceto, con il pugno teso, di fronte alle mura di Tirinto, chiedendosi se quello valesse anche per lui.

"Figlio di Ercole, te ne prego, deponi le armi… Combattere contro di te, contro la prole del mio Signore, è per me fonte di dolore atroce!" –Esclamò Nesso.

"Dolore atroce, dici, guerriero? E cosa dirai della sofferenza che ti causerò adesso?!" –Tuonò Aniceto, avvampando nel suo cosmo, che si espanse attorno a sé come lingue di fuoco che parevano salire a lambire il cielo. Nesso sollevò le braccia di fronte al viso, per coprirsi dall’onda d’urto, mentre faville incandescenti stridevano sulla sua corazza. –"Mira qual è il massimo dono che da Ercole ho ricevuto! Una delle tre armi che era solito adoperare nel Mondo Antico, prima che la clava assurgesse a simbolo della sua furiosa bestialità!" –E nel dir questo il suo cosmo turbinò attorno a sé, avvolgendosi attorno ad un’asta invisibile, prima di esplodere e rivelare una lancia di puro cosmo. Lunga e snella, con una punta affilata che pareva eccitarsi all’idea di bere del sangue, fu afferrata da Aniceto, che la sfoderò orgoglioso.

"Invero mio Padre era forte, anche solo con le braccia, ma in battaglia faceva spesso uso di tre armi che, dopo aver sposato mia Madre, decise di abbandonare, donandole a noi, suoi figli, come strumenti di puro cosmo! Le frecce, guarnite di piume d’aquila, riposte in una capiente faretra, furono cedute a mia sorella Alessiroe! Lo scudo, realizzato da Efesto e mai danneggiato dai colpi nemici, raffigurava scene di lotta e figure allegoriche e fu offerto a mio fratello, ben più adatto di me a portarlo! Ed io, l’Invincibile guerriero, ebbi in dono l’arma della vittoria! La lancia capace di trafiggere ogni nemico! Assaggiane la punta, Eroe di Tirinto, e dimmi se mio Padre merita ancora di essere considerato nobile!" –Detto questo, caricò la lancia di energia, sfrecciando contro Nesso e trafiggendolo al basso ventre, distruggendo quel che restava della cintura del Pesce Soldato. –"Eraclèus Dòru!"

"Aaah…" –Balbettò il ragazzo, attraversato da violente scariche energetiche, che lo fecero tremare per qualche secondo, quasi facendogli perdere i sensi.

Sogghignando soddisfatto, Aniceto fece per ritirare la lama ma si accorse che Nesso l’aveva afferrata con il braccio destro, per quanto il solo contatto gli incendiasse la mano e il guanto dell’armatura.

"Mollala!!! Che fai, stupido?! Vuoi ucciderti da solo?!"

Nesso non rispose alcunché, limitandosi a spostare il braccio sinistro avanti con una rapidità che sorprese lo stesso Aniceto e a poggiargli la mano su un fianco, liberando tutto il suo cosmo. Un unico dardo di energia azzurra scaraventò il figlio di Ercole lontano, scheggiando la sua Veste Divina e gettandolo a gambe all’aria, mentre la lancia di puro cosmo si disperdeva nel vento, venendo meno la concentrazione per mantenerla. Quando si rialzò, ringhiando furioso, vide che Nesso si era accasciato a terra, tenendosi il ventre squarciato e bagnato di sangue.

"Quante frecce hai ancora nel tuo arco, ragazzo?!" –Mormorò l’Invincibile, perdendo la sicurezza che lo aveva dominato fino a quel momento. O forse era soltanto la rabbia che mi aveva invaso, accecando il mio animo e la mia ragione, e spingendomi ad agire come una bestia furiosa? Che, dopo tanto odiarlo, sia divenuto anch’io un fantasma, lo spettro di una fiera contro cui mio Padre combatté nel Mondo Antico?! Che forse, in questo modo, abbia pensato di poter venir da lui notato?!

Non ebbe il tempo di ulteriori riflessioni che dovette per la prima volta affrontare un attacco diretto del suo avversario, che si era rialzato a fatica ed aveva espanso il suo cosmo, azzurro e profondo come il mare, saturando l’aria di una corrente energetica.

"Prima ti ho detto che tuo Padre mi ha permesso di interpretare molti ruoli, ed infatti, per quanto giovane sia, posso dire di aver giocato un ruolo fondamentale in questa guerra! Sia come informatore, quando lavoravo come garzone nella caverna di Eolo, sia come Portatore della Lama degli Spiriti! Ed è proprio al Dio del Vento che devo il mio secondo attacco, finora mai utilizzato!" –Esclamò Nesso, liberando una brezza violenta, capace di increspare il mare e generare una tempesta. –"Che questo soffio sia per te la boccata di una nuova vita, oh Invincibile figlio di Ercole, ove tu possa liberarti di tutta la rabbia che ti divora il cuore! Sospiro nel vento!"

Aniceto aveva appena sollevato le braccia e caricato i pugni di energia, per vanificare il suo attacco diretto, ma quando la folata lo raggiunse dal basso, sollevandolo e scaraventandolo in alto, rimase attonito e vittima della stessa. Cercò di stabilizzarsi all’interno della tempesta, senza troppo successo poiché le correnti erano molteplici e parevano aggredirlo da ogni direzione, scheggiando con frequenti scariche di energia la sua Veste Divina. Quando quasi vi era riuscito, il vento calò d’improvviso, scomparendo rapido com’era giunto, lasciando precipitare il figlio di Ercole al suolo.

Brontolando, e maledicendosi per non aver ucciso subito quel ragazzino pericoloso, Aniceto si rimise in piedi, solo per notare che Nesso era accasciato a terra a sua volta, in una pozza vermiglia. La ferita all’addome si era riaperta, per quanto l’avesse medicata alla buona con un po’ di cosmo, piegando il ragazzo e costringendolo ad interrompere un vittorioso attacco.

"Pare che tu non abbia più forze! Non posso dire che mi dispiaccia!" –Commentò acido l’Invincibile, bruciando il proprio cosmo scarlatto e evocando nuovamente la lancia ereditata da Ercole. Quando la strinse, per caricare il ragazzo inerme, un brivido gli attraversò il corpo, percorrendolo dalla testa ai piedi. E non era per la vigliaccata di cui avrebbe voluto macchiarsi, ma per le parole di Nesso che ancora risuonavano dentro di sé.

"Odi tuo padre, ma ti glori dei suoi doni! Quello che sei lo devi anche a lui! Che ti piaccia ammetterlo o no!"

Parole che gli ricordarono suo fratello Alessiare, l’eterno innocente, convinto che Ercole avesse una spiegazione a tutto. Anche all’abbandono e alla vita di solitudine a cui li aveva condannati.

"Hai sempre cercato di apparire migliore di nostro padre, persino di me, solo per mascherare il dolore che la sua perdita ti ha inflitto! Lo hai odiato per nascondere l’amore che provi per lui, e che detesti di dover ammettere!"

"Io non lo amo! Non l’ho mai amato!" –Si disse, furibondo con se stesso, che stava permettendo a una manciata di ricordi e di stupide frasi di distrarlo quando già avrebbe dovuto riportare vittoria su tutti gli Heroes.

Con disgusto, fece scomparire la lancia di energia, rifiutandosi di usarla ancora. Che Nesso avesse ragione o meno, lo avrebbe vinto senza utilizzare il dono di suo Padre. A cui sentiva di non dover niente.

L’Hero si rialzò in quel momento, con lo sguardo stanco, perso nel ricordo dei giorni felici trascorsi in mare, a parlare con i delfini, ad ascoltare il vento, a percepire segni che alla maggioranza sfuggivano. E in quei giorni, in quelle memorie, basi di quel che era divenuto in seguito, trovò la forza per reagire ed espandere nuovamente il suo cosmo. Così azzurro e luminoso era che Alcione, ripresasi proprio in quel momento dallo stordimento dell’attacco subito da Aniceto, credette di vedere il mare scorrere al posto del cielo grigio che aveva sormontato Tirinto in quei giorni.

"Se davvero credi nel tuo Signore Ercole, affida a lui la tua anima, ragazzo! Ma non farti grosse illusione! Si perderà, come si è perso lui, nei meandri del niente, senza giungere mai!" –Esclamò Aniceto, avvolto nel suo cosmo fiammeggiante.

"Per molte persone, me per primo, l’importante non è arrivare, ma andare! L’importante non è sapere dove giungeremo un giorno, quali risultati otterremo, quali trofei abbelliranno la nostra casa, ma cosa avremo fatto per arrivarci! Questo è il mio altrove!" –Declamò Nesso, liberando il suo colpo segreto. –"Sospiro nel Vento!"

Ma Aniceto, che adesso conosceva tutte le sue tecniche, era pronto a difendersi nel modo adeguato; così diresse il suo cosmo incandescente verso il terreno sotto di sé, smorzando sul nascere la brezza di Nesso e impedendole di divenire impetuosa tempesta. Quindi concentrò l’energia cosmica sul braccio destro, liberandola di scatto e investendo il ragazzo con un’onda di inusitata potenza.

Nesso non indietreggiò, né tentò di fuggire, ma impavido la contrastò con il suo cosmo azzurro, aprendo squarci in essa grazie alle sue frecce di energia azzurra, di fronte agli sguardi atterriti di Alcione e degli altri Heroes che si stavano rialzando.

"Addio fratelli miei! Addio compagni d’arme!" –Gridò, mentre l’onda di energia lo travolgeva, schiantando la sua corazza e il suo corpo.

E fu così che in quel giorno di luglio Nesso del Pesce Soldato morì.