CAPITOLO VENTOTTESIMO: INTERLUDIO.

Era l’ora del tramonto, quando il sole scivolava al di là delle montagne occidentali e le prime ombre della sera si allungavano sulla piana di Tirinto, quando l’assedio della fortezza ebbe termine. Dopo aver impegnato le Legioni di Ercole per dodici ore. E averle numericamente dimezzate.

"Cos’è rimasto?" – Si chiese Marcantonio dello Specchio, il Comandante della Seconda Legione di Heroes, osservando lo sfacelo attorno a lui. –"Molto si miete in guerra, ma il raccolto è sempre scarsissimo!" –Commentò, citando Omero.

La piana di Tirinto era completamente devastata, solcata da enormi crateri e fenditure nel terreno, ove giacevano alberi abbattuti, frammenti di corazze o corpi ammassati e sanguinanti. Il Ponte Principale era stato abbattuto e parte delle mura anteriori gravemente danneggiate dagli assalti dei Kouroi, franando all’interno e abbattendo altri edifici che sorgevano al riparo di esse. La città di Argo era stata distrutta e la sua popolazione decimata, piegata in ginocchio da piogge alluvionali che avevano raso al suolo ogni edificio, falciando vite e speranze di innocenti. Tebe era stata messa a ferro e fuoco da Argo e dal Gigante Panoptes e l’antica residenza di Ercole era stata violata. Soltanto Micene era stata risparmiata, più per un capriccio di Iris, Messaggera di Era, che aveva voluto vanagloriarsi davanti alla Regina di Samo di aver catturato due Heroes del suo mortale nemico: Nestore dell’Orso, il Comandante della Quarta Legione, e Giasone del Cavallo, dopo averne massacrati altri due.

Ma al di là dello sfacelo fisico, delle città da ricostruire, ciò che maggiormente aveva turbato Ercole e coloro che ancora lottavano al suo fianco era la stanchezza che gravava sul loro animo, per la perdita dei compagni, degli amici con cui erano cresciuti. Poiché quella lunga giornata non aveva risparmiato alcuna legione, non facendo sconti a nessuno. Uomini o donne, compagni storici di Ercole o novizi, anziani o cadetti, la guerra non aveva guardato in faccia nessuno, lasciando che le Moire recidessero il filo della vita della maggior parte degli Heroes del Dio dell’Onestà, mentre Era, seduta sull’alto trono intarsiato di Samo, osservava i simboli corrispondenti disfarsi sullo splendido arazzo appeso al muro. Un arazzo il cui colore andava macchiandosi ulteriormente di sangue.

Ne erano morti cinquanta, di Heroes di Ercole, ed Era poteva dirsi soddisfatta, poiché quella prima fase della guerra l’aveva vista vincitrice, per quanto avesse subito due perdite che un po’ la infastidivano. Kyros del Pavone, discepolo di Argo e candidato a prendere il posto del maestro come Oracolo di Era, era stato inaspettatamente sconfitto da Alcione della Piovra, fallendo la missione di recuperare la Lama degli Spiriti, e Boopis, la Grande Vacca, che Era tanto aveva in considerazione per la sua intima connessione con la natura, non aveva saputo fare di meglio, venendo uccisa proprio sotto il suo stesso palazzo. Dei tre Emissari di Era, ne rimaneva soltanto uno, Partenope del Melograno, di cui però aveva perso le tracce.

"Mia Signora!" –Le aveva detto Argo poco prima, inginocchiato di fronte al trono assieme a Didone, la Regina Fenicia, quando aveva percepito spegnersi il cosmo di Boopis.

"Ho sentito!" –Aveva risposto Era un po’ scocciata, prima di concentrare al massimo i suoi sensi, per vedere ciò che ai suoi occhi era al momento celato. Così, sfruttando i suoi enormi poteri, la Dea aveva mostrato il suo lato di Grande Madre, ascoltando i fremiti e i sussulti della natura, che tutto le avevano narrato, dalla liberazione di Giasone e Nestore alla caduta di Boopis lungo il crinale interno della collina di Samo.

Era aveva sospirato, dispiacendosi sinceramente per la morte della donna, in cui molto aveva riposto fiducia, prima che Argo le rivolgesse nuovamente parola.

"Volete che lo faccia uccidere? Possiamo eliminarlo adesso, con un solo dito!" –Aveva spiegato il Sacerdote, alludendo a Nestore e alle sue deboli condizioni fisiche.

"No!" –Aveva risposto infine la Dea, mentre al suo orecchio giungevano i sospiri del vento che spirava da Tirinto. Un vento che le annunciava la discesa della Lama degli Spiriti in campo, e la prossima sconfitta dei suoi Kouroi. –"Lascialo andare!"

"Come?! Mia Signora?!" –Aveva balbettato Argo, senza comprendere le intenzioni della sua Regina.

"Lascia che il buon cane torni dal suo padrone, che recuperi le forze e che lo conduca qua!" –Aveva sogghignato Era. –"Sapremo riservare loro un’accoglienza divina! Ah ah ah!" –E aveva riso, dando avvio alla fase finale della guerra, quella in cui Ercole avrebbe condotto gli Heroes a Samo, per estirpare definitivamente la minaccia rappresentata dalla Regina dell’Olimpo. Era questo lo sapeva, ne era certa, e adesso poteva sedere sul trono in placida attesa, lasciando che gli eventi seguissero il loro corso.

Nestore dell’Orso infatti, dopo aver pianto sul corpo esanime di Giasone del Cavallo, e averlo abbracciato un’ultima volta, riluttante ad abbandonarlo, se ne era andato, scendendo in fretta verso la costa. Avrebbe voluto arrampicarsi fino alla cima del colle, abbattere le porte dell’Heraion con un pugno secco ed affrontare Era, vendicando Giasone e gli altri Heroes caduti. Ma sentiva che le forze di cui disponeva erano sufficienti a malapena per permettergli di rimanere in piedi, senza fare uso del suo cosmo, e per questo dovette rinunciare. Raggiunse la riva dell’isola di Samo, recuperando una barca ed iniziando con essa la traversata del Mar Egeo, affidandosi alla fortuna, troppo stanco persino per remare. Probabilmente avrebbe terminato la sua navigazione solitaria su un’isola fuori rotta, se Pasifae del Cancro non avesse avvertito il cuo cosmo.

La Terza Legione stava infatti ritornando da Oriente, a bordo della nave guidata da Alcione della Piovra, a causa della debolezza di Gerione del Calamaro, dovuta al suo scontro con Kyros, e fu la Sacerdotessa del Cancro, i cui poteri di percezione sensoriale erano tra i più elevati tra gli Heroes di Ercole, ad avvertire il debole baluginare del cosmo del Comandante della Quarta Legione. Quando Nestore salì a bordo della nave, non fu troppo sorpreso di vedere la Legione del Mare decimata, poiché anch’essa aveva subito dure perdite.

Galena del Pesce Angelo era morto all’interno del Sentiero del Silenzio, soffocato da una valanga provocata da Lica della Seppia, che Alcione e gli altri immaginavano morto in seguito allo scontro con Dauko di Libra, al di fuori del Sentiero del Silenzio, ignorando il suo successivo scontro con Nesso. Ettore della Gonostoma e Eretteo della Foca erano stati uccisi dal potente Emissario di Era, Kyros del Pavone, mentre Termero del Pesce Picasso era morto durante la slavina provocata da Boopis, la Grande Vacca, spaccandosi il cranio contro uno sperone sporgente di roccia. Escludendo Nesso, che era sfrecciato verso Tirinto portando con sé la Lama degli Spiriti, e Anfitrione del Camoscio e Artemidoro della Renna, che erano rimasti nella città sacra, la Terza Legione poteva adesso contare su soltanto sette componenti, di cui uno, Gerione del Calamaro, ancora debole per le ferite riportate.

Quando la Legione del Mare giunse a Tirinto, quella notte di dolore, Alcione dovette arrendersi all’evidenza e ritenersi fortunata, poiché alle Legioni dei suoi compagni era toccata sorte peggiore. La Quinta Legione, di stanza a Tebe, era stata completamente massacrata, e persino il suo Comandante, Tereo di Amanita, aveva incontrato la morte. Soltanto tre guerrieri si erano salvati, grazie all’intervento fortuito di Neottolemo, e adesso servivano l’Hero del Vascello quasi fosse il loro nuovo Comandante, in parte per riconoscenza e in parte per lenire la loro solitudine. Erano il coraggioso Circe della Mandragola, il narcisista Paride della Rosa e l’emotivo Morfeus del Papavero.

Alcione aveva chinato il capo, trattenendo rabbia e lacrime, nell’apprendere che il responsabile della caduta di Tebe, e di tutti i tradimenti perpetuati dall’interno delle Legioni dagli Heroes ribattezzati Eroi dell’Ombra, era un loro compagno, un uomo a cui Ercole aveva dato grande fiducia, Partenope del Melograno. Un uomo che altro non era se non un assassino.

Chirone del Centauro raccontò ad Ercole e agli altri Comandanti del suo scontro con l’Hero del Melograno, e dei nobili sacrifici di Argo del Cane e di Gleno di Regula, due amici che, Chirone ne era certo, si sarebbero finalmente riuniti nell’aldilà, ricordandoli con onore, poiché doveva loro la vita. Come la doveva al fratello, Mistagogo di Tifone, ucciso da Partenope, a cui forse avrebbe voluto concedere una carezza in più, senza riservarla al momento dell’addio. Anche la Sesta Legione infatti era stata decimata e il Comandante non poté nascondere l’odio che covava nei confronti di Ificle della Clava e dei suoi tre compagni, che avevano massacrato gli altri Heroe della Legione Furiosa, i cinque ragazzi che avevano cercato di affrontare Ificle per aprire nuovamente il portale dimensionale e permettere a Chirone, Mistagogo, Diomede e Aureliano di ritornare nella radura ove stavano affrontando i Kouroi: Lino di Orfeo, privato barbaramente della vita, Lisitea del Pesce Vampiro, Mentore della Stella Marina, Tespio dello Scudo e Perseo della Testa di Medusa. Considerando anche Tiresia dell’Altare e Druso di Anteus, il fabbro di corte, rimasti quel giorno a Tirinto, la Sesta Legione poteva contare adesso soltanto su cinque guerrieri, compreso il Comandante Chirone.

L’Hero dell’Altare era stato tra i combattenti più arditi della giornata, impegnandosi in prima persona per permettere a Neottolemo del Vascello di liberarsi della stretta morsa del Dio dei Venti e affrontando poi direttamente Zefiro, il Vento dell’Ovest, riuscendo a vincerlo, seppur a fatica. Penelope del Serpente, la Consigliera Privata di Ercole, era subito corsa ad aiutarlo e a prendersi cura di lui, ordinando ad Artemidoro, che oltre ad essere il maggiordomo privato del Dio dell’Onestà era anche un esperto medico, di curare subito le sue ferite.

"Ti prego di fare in fretta, Artemidoro!" –Gli aveva detto Penelope. –"Poiché temo che questa sera l’infermeria sarà piena di guerrieri bisognosi di cure!"

E la Sacerdotessa del Serpente aveva visto giusto, poiché al termine della lunga giornata di combattimenti la fila degli Heroes feriti era notevolmente aumentata, annoverando al suo interno anche il coraggioso Comandante della Prima Legione, il bellissimo cipriota Adone dell’Uccello del Paradiso, sostenuto dall’affascinante Deianira del Lofoforo, le cui condizioni erano assai deboli. La Legione Alata aveva infatti sostenuto una dura prova, scontrandosi contro i Kouroi a nord di Tirinto e fallendo nell’impresa, venendo colpita duramente negli affetti da un tradimento inaspettato, operato da Alexandros del Ramo e di Cerbero, a cui si erano uniti Agelao del Pigmeo, per rivendicare la non subordinazione della sua razza, e Caropo del Pappagallo, per motivi sentimentali. Nello scontro erano morti, oltre ai tre ribelli, anche cinque Heroes: Briseide del Cardinale, Ecuba di Antlia, Icaro della Colomba, Adrastea del Toco e il caro amico di Adone, nonché suo braccio destro, Damaste della Gura, massacrato da Alexandros di fronte ai suoi occhi. Anche Pandaro del Corvo, inviato da Adone a Tirinto per informare Ercole del pericolo, era stato ritrovato morto, con il cranio sfondato da un secco colpo di clava, probabilmente ad opera di Ificle della Clava e dei suoi tre compagni, riducendo a sei il numero di Heroes membri della Prima Legione.

Eumene della Mosca e Antioco del Quetzal, di origini centroamericane, erano riusciti a salvarsi, aiutandosi l’un l’altro e sorreggendosi a fatica nel lungo scontro, e adesso erano al capezzale del loro Comandante, per il quale provavano una sconfinata ammirazione. La stessa che aveva animato per anni il cuore di Argo del Cane e di Gleno di Regula, dirigendola verso il valoroso Agamennone del Leone, il secondo ufficiale della Quarta Legione, le cui gesta avevano tanto sentito cantare. Gesta che corrispondevano alla realtà, poiché Agamennone non aveva esitato a scendere in campo in prima linea, affrontando il Kouros di Argo e vincendolo con il manufatto divino che albergava nel suo braccio destro, l’Artiglio del Leone di Nemea, e poi scontrandosi con Borea, il freddo Vento del Nord. Ma adesso Agamennone era morto, e il suo corpo era stato ricondotto a Tirinto dalla Legione del Mare, assieme a quello febbricitante di Niobe del Falco, la Sacerdotessa che aveva provato a dare la vita per il suo capitano, per l’uomo che aveva segretamente amato per anni, fallendo nel progetto. Le sue condizioni fisiche non erano peggiori di altri Heroes, ma la sua anima era il riflesso pallido di ciò che Niobe era stata un tempo.

"Sta morendo!" –Disse Artemidoro a Penelope, che sedeva sul letto al fianco dell’amica. –"La sua anima si sta dissolvendo, tra mille rimorsi e rimpianti! Sembra che abbia perso la voglia di vivere!" –Mormorò l’Hero della Renna, a bassa voce, mentre Penelope cercava di reprimere i singhiozzi che le dilaniavano il cuore.

"Se fosse possibile…" –Mormorò la Sacerdotessa del Serpente, avvicinando il viso a quello dell’amica, adesso priva della maschera. –"Chiederei al tempo di tornare indietro! E ti porterei con me, a cavallo fino a Tebe, per farti vedere un’ultima volta i fratelli che tanto amavi, e che per anni ti sei colpevolizzata di aver ucciso! E poi ti porterei oltre, fino a inoltrarci nei verdi boschi della Tessaglia, inseguendo Agamennone in una delle sue audaci cacce, rischiando la vita con lui, sulle tracce di un’agile fiera, per entrare nel mito ed essere cantati nelle leggende! Ma tu, Niobe, amica mia, sei ormai già parte del mito, come lo sono tutti gli Heroes caduti in questa lunga giornata! Il sole è tramontato su Tirinto, ma la luce della vostra anima risplenderà sempre all’interno di queste mura!" –Singhiozzò Penelope, prima di ritirare il viso, e scoprire che Niobe era spirata proprio in quel momento.

Assieme alla Sacerdotessa del Falco, durante gli scontri ad Argo erano caduti anche Neleo del Dorado e Tindaro del Cigno Nero, che, sommati ad Agamennone, Argo e Gleno, a Priamo della Lucertola e ad Asterione della Giraffa, caduti a Micene, a Giasone del Cavallo, ucciso a Samo, e a Opi della Lepre, Hero traditrice morta nella corte sul retro di Tirinto, riducevano il numero dei membri della Quarta Legione a cinque: il Comandante Nestore dell’Orso, Penelope del Serpente, Teseo del Camaleonte, Polissena della Strega e lo Shadow Hero redento, Dione del Toro.

Nestore aveva stretto i pugni, trattenendo a stento le lacrime, nell’apprendere da Penelope della morte di Agamennone e di tutti gli altri cinque Heroes che aveva inviato ad Argo. Aveva ricordato lo sguardo orgoglioso e sorridente di Agamennone, quando quella mattina lo aveva incaricato di guidare i ragazzi in missione contro i Kouroi, e i timori che lo avevano assalito. E che adesso erano diventati tremenda realtà. L’ho mandato a morire! Aveva pensato con rabbia, tirando un forte pugno in un muro, spaccandolo all’istante, mentre il suo cuore era in preda a forti tumulti, divorato da carogne onnivore chiamate rimpianti.

"Non sentirti in colpa!" –Gli disse Penelope, di fronte alla salma di Agamennone. –"Né per lui, né per Niobe! Né per nessun altro! Non li hai uccisi tu, ma la guerra! Un’immensa onda di odio e di sangue che tutto travolge!"

"Forse non li ho uccisi io…" –Rispose Nestore, allontanandosi. –"Ma avrei potuto salvarli, se fossi stato presente, come un Comandante avrebbe dovuto fare!"

Anche Dione del Toro aveva cercato di avvicinare Nestore, ma Penelope lo aveva consigliato di rimandare, poiché la tristezza e il nervosismo del loro Comandante lo spingevano a voler rimanere da solo, nel disperato tentativo di sfogarsi un po’.

"Vorrei solo che riuscisse a perdonarmi!" –Mormorò Dione, il cui ripensamento aveva permesso a Leonida della Spada di sconfiggere Euristeo del Reticulum, poiché altrimenti l’Hero della Seconda Legione avrebbe dovuto combattere anche contro Dione, come era nei piani di Opi e di Euristeo.

Leonida infatti aveva affrontato sia Opi, che Euristeo e i suoi compagni, Telemaco del Telescopio e Entelide del Microscopio, riuscendo ad impedire che aprissero un passaggio laterale per permettere a Ificle e agli altri di accedere all’interno di Tirinto. La Seconda Legione, rimasta nella fortezza per difenderla, per tutta la lunga giornata di sangue, rimaneva, assieme alla Terza, la più numericamente consistente, annoverando ben otto guerrieri tra le proprie fila: oltre al Comandante, Maracantonio dello Specchio, ancora in splendida forma, e al suo primo ufficiale, il generoso Polifemo del Ciclope, la Legione d’Onore poteva contare su Leonida della Spada, anche se indebolito dagli scontri, Tersite della Mongolfiera, il possente Neottolemo del Vascello, Odysseus di Ecatonchirus, Crisore di Procuste e Temistocle del Pentagono. I caduti erano stati soltanto quattro, Sidone di Augia e Astrea di Lolofilax, uccisi da Euristeo, e Aiace del Gladiatore e Arcadio della Corona Reale, uccisi da un assalto di Iris di fronte alle porte di Tirinto, ma ciò non faceva sentire Marcantonio meglio di nessun altro dei sei Comandanti di Ercole.

Nessuno infatti sentiva di aver vinto. Nemmeno Nesso del Pesce Soldato, l’eroe di quella giornata interminabile, portato in trionfo da Marcantonio e dagli altri Heroes sopravvissuti, per aver abbattuto i Kouroi, tenendo fede alla promessa che aveva fatto ad Ercole quella mattina, ed elogiato da Chirone di fronte al Dio dell’Onestà, senza risparmiare i meritati encomi per le acrobazie che aveva visto eseguire al ragazzo, che li aveva liberati dalla prigionia del quadro di Aureliano. Anzi, forse proprio Nesso accusava la stanchezza più di tutti gli altri Heroes suoi compagni, una fiacchezza che non era soltanto fisica, ma soprattutto spirituale. La Lama degli Spiriti, come il Vecchio Saggio del Jamir aveva riferito ad Alcione, era un’arma a doppio taglio e stava prosciugando la sua anima.

"Ti ho dato la vittoria e la gloria! Adesso pagherai questo trionfo con la vita!" –Sembrava che la Lama dicesse al corpo stanco di Nesso, adagiato su un letto poco distante da Niobe del Falco.

Chirone e gli altri Heroes credettero che la stanchezza di Nesso fosse squisitamente fisica, ma Alcione, che ben ricordava le parole del Saggio del Jamir, sapeva che non poteva essere soltanto così. Quando la notte calò su Tirinto, e gli ultimi fuochi di bivacco si spensero, l’Hero della Piovra scese nell’infermeria e sedette accanto al suo eroico guerriero, rivolgendogli un sorriso sincero e preoccupato.

"Quella Lama ti sta portando via, Nesso!" –Esclamò tristemente. –"Smetti di usarla, o svanirai nel vento, rimanendo soltanto un ricordo! Uno splendido ma intangibile ricordo!"

"Ho ancora la forza per usarla una volta ancora!" –Mormorò Nesso, con un filo di voce. –"Lo farò domani! In battaglia! Per Ercole e per te, mio Comandante!"

"Ercole non vuole il sacrificio dei suoi Heroes, che disperatamente inseguono la morte in una guerra continua, e nemmeno io lo voglio, né lo vuole nessun’altro Comandante!" –Precisò Alcione, prima di chiedere a Nesso cosa avesse, cosa celasse nel cuore. –"Perché sei così insofferente? Perché sei così inquieto? Cosa devi dimostrare al mondo, Nesso, al punto da non trovare mai pace né riposo?"

"Sto cercando il mio altrove…" –Mormorò Nesso, prima di chiudere gli occhi e scivolare in un meritato sonno.

Alcione rimase a fissarlo ancora per un po’, carezzando il volto stanco del ragazzo, ben diverso dal vivace colorito che l’aveva abbagliata quella mattina, quando aitante e pieno di vita si era presentato a lei, a Spinalonga, con la missiva di Ercole. Adesso Nesso sembrava il fantasma di quel ragazzo, debole e pallido, consumato nel corpo e nello spirito da un potere da cui non riusciva a privarsi. La Lama degli Spiriti sembrava averlo drogato, al punto da spingerlo a non cederla a nessun altro, chiedendo che fosse soltanto lui ad utilizzarla, lui a cui Alcione l’aveva ceduta.

Il Comandante della Terza Legione sospirò, capendo che Nesso, ben prima di chiunque, aveva compreso il pericolo nascosto in quella Lama e aveva scelto, avendola impugnata la prima volta contro Austro, ad Argo, di continuare a stringerla in mano, cosicché essa potesse cibarsi del suo cosmo, senza intaccare quello di altri Heroes, generoso e nobile come Alcione lo aveva sempre considerato. La donna lo salutò con un bacio sulla fronte, prima di raggiungere l’altro ragazzo a cui era molto legata, da un affetto profondo che risaliva a trent’anni prima, quando ancora giocavano bambini, rincorrendosi per le colline erbose di Creta. Gerione del Calamaro, il suo primo ufficiale, nonché carissimo amico e fedele compagno di lotta per la liberazione dell’isola greca dalla dominazione ottomana.

Gerione era stato duramente ferito da Kyros del Pavone, nello Jamir, ma ancora stringeva i denti, lottando contro il dolore, come aveva lottato per tutti quegli anni a Creta, conducendo spedizioni in gran segreto, istigando il popolo alla rivolta, inseguendo un sogno che non lo aveva lasciato un attimo, fin da quando era salito su quella barchetta, trent’anni addietro, in quella notte di fiamme, dove i suoi genitori ed amici erano morti. Per Alcione era stato lo stesso, ma Gerione sembrava avere un motivo in più per riconquistare Creta, portandolo spesso ad azioni impulsive e rischiose, ma che Alcione non riusciva mai a condannare definitivamente perché sapeva che provenivano dal cuore. Un cuore sincero ma ferito.

Il Comandante della Terza Legione si sdraiò sul letto accanto a Gerione, poggiando il viso sul petto dell’amico, rimanendo così finché i primi raggi dell’alba non fecero capolino dalle feritoie dell’infermeria, e l’odore di una nuova battaglia non invase le sue narici, spingendola ad alzarsi. Sospirando, Alcione tirò uno sguardo fuori dalla finestra, incrociando i raggi del sole che sorgeva da Oriente. Lo fissò con forza, ma anziché del solito cerchio giallo quella mattina il Sole le parve tinto di rosso. Quella era un’alba marchiata di sangue.