CAPITOLO TRENTATREESIMO: COLORI DI SPERANZA

Tiresia dell’Altare, Hero della Sesta Legione, e Pasifae del Cancro, Sacerdotessa della Terza Legione, erano appena comparsi all’interno del verde campo illusorio creato da Iris, Messaggera degli Dei, salvando i compagni della Seconda Legione. Grazie ai loro poteri mistici infatti, non fu difficile per entrambi comprendere la natura del luogo ove Neottolemo e gli altri erano precipitati, uno spaziotempo distorto, così simile al mondo esterno, ma al tempo stesso così diverso e lontano: un paesaggio identico all’ultimo che si era presentato di fronte agli occhi degli Heroes ma che non sarebbe mai cambiato, neppure se fossero sfrecciati via, correndo per miglia e miglia, ritrovandosi sempre nello stesso punto.

"Chi siete voi che avete osato penetrare nel mio verde campo?" –Tuonò Iris.

"Tiresia dell’Altare!" –Si presentò l’uomo dai lunghi capelli blu, tenendo gli occhi chiusi. –"Pasifae del Cancro!" –Aggiunse la ragazza, dal volto coperto da una maschera di oro bianco. Erano rimasti indietro rispetto ai loro compagni, poiché Pasifae era stata travolta dalla bomba di energia scagliata da Era e scaraventata contro gli scogli della spiaggia, battendo la testa e perdendo i sensi. Tiresia era rimasto al suo fianco, accudendo la Sacerdotessa con il suo cosmo finché non si era sentita nuovamente in forze per procedere. Avevano alleviato anche i dolori di Antioco del Quetzal, trovandolo lungo la loro strada. Ma per Adone e Deianira non vi era stato niente da fare.

"Altare e Cancro?!" –Sbuffò Iris, denigrando gli Heroes. –"Ercole non ha saputo scegliere simboli migliori per i suoi guerrieri, ricopiando in così palese maniera le costellazioni dei Cavalieri della sua cara Atena?!"

"Sei in errore, Messaggera degli Dei!" –Rispose Pasifae con voce calma. –"Tutti i simboli degli Heroes sono da Ercole stati ben studiati, poiché si riferiscono a personaggi o creature a cui egli stesso è legato! E tu, che ad Era sei molto legata, dovresti ben conoscere l’origine del simbolo che mi è proprio: il cancro! Il suo nome deriva dal greco "gambero" e rappresenta il mostro che nel Mondo Antico la tua Regina inviò contro Ercole, per attaccarlo alle spalle, mentre questi era impegnato a lottare contro l’Idra nella palude di Lerna! Per questo suo modesto contributo, Era lo elevò a costellazione ed Ercole, nello scegliere i simboli dei suoi Heroes, lo inserì nell’elenco, poiché anch’esso faceva parte delle imprese che avevano segnato la sua vita!"

"Che storia commovente!" –La derise Iris, non trovando niente di interessante nelle parole di Pasifae. –"Un modo come un altro per avere sempre sotto mano i trofei e i simboli delle sue vittorie?! Lo trovo un gesto pieno di egocentrismo e tronfia superbia, simbolo di un eccesso di lode e di autocompiacimento!"

"Forse non hai prestato ascolto alle mie parole, Messaggera degli Dei, o forse non sono stata in grado di esprimermi nel modo migliore! In tal caso ti chiedo perdono!" –Commentò Pasifae, con la sua naturale calma. –"Ma Ercole non ha scelto i simboli degli Eroi perché esaltino le sue vittorie, ma perché fanno parte delle sue imprese, delle sue esperienze, della lunga vita che ha vissuto fino ad oggi! Ogni esperienza si lega all’altra e ognuna insegna qualcosa alla successiva, unendosi in un’immensa tela che diventa sempre più solida con il passare del tempo! Ercole è un uomo che sa imparare, sia da se stesso che dagli altri, e sa fare tesoro delle esperienze accumulate! Per questo ha scelto questi simboli, poiché rappresentano lui stesso e la sua intera vita, dispiegata attorno a sé a formare sei legioni di Eroi, sei legioni di fratelli!"

"Ercole ha dimenticato di insegnarvi una cosa, che neppure lui ha mai ben compreso! Che non esiste vittoria quando si affronta un Dio, un essere il cui potere è infinitamente superiore a quello di un mortale!" –Tuonò Iris, sollevando il braccio destro al cielo e caricandolo del suo cosmo. –"Viola di lama!" –Aggiunse, liberando un violento fendente energetico, che sfrecciò verso i due Heroes.

"Attenti!!! Si dividerà!" –Gridò Neottolemo, avvertendo i compagni. Ed infatti il fendente, a pochi metri da Pasifae e Tiresia, si divise in due fendenti minori, che sfrecciarono verso ciascuno degli Heroes. Senza però riuscire a raggiungerli. Tiresia infatti evocò una barriera difensiva di forma sferica, su cui l’attacco si infranse, mentre Pasifae sollevò le braccia, generando un mantello protettivo di energia cosmica, lo stesso che aveva calato su Neottolemo e gli altri poco prima.

"Quale affronto!" –Esclamò Iris, indignata, prima di espandere il proprio cosmo. Ma la voce decisa di Tiresia la colpì improvvisamente.

"Non hai ancora capito, Messaggera degli Dei?" –Domandò l’uomo con gli occhi chiusi. –"Non puoi trattenerci in questo spazio distorto, nel quale siamo giunti di nostra spontanea volontà! Hai perso le chiavi della vittoria e adesso libereremo i nostri compagni! Ohm!!!" –Aggiunse Tiresia, concentrando il cosmo tra le mani e poi rilasciandolo, in modo da generare un’accecante esplosione di luce, che abbagliò tutti i presenti. Quando la luce calò d’intensità, Iris e gli altri si accorsero di essere tornati al di fuori dell’Heraion, ove avevano combattuto fino a poco tempo fa, fuori da quello spazio distorto in cui Iris li aveva confinati. –"Occupati di Polifemo! Le sue condizioni sono preoccupanti!" –Commentò l’Hero, rivolgendosi a Pasifae e muovendo un passo avanti, in segno di sfida verso Iris.

"Non esagerare, Tiresia! Le tue condizioni, dopo lo scontro con Zefiro, sono sempre preoccupanti! Non chiedere troppo a te stesso!" –Rispose lei, con voce vellutata, prima di correre da Tersite, chino sul corpo di Polifemo.

Chiedo a me stesso ciò che ognuno di noi dovrebbe domandare per la riuscita di questa impresa! Commentò Tiresia, perfezionista come sempre. E se la morte dovrà cogliermi in questa battaglia, come ha raggiunto il mio maestro Asmita, durante la Guerra Sacra, io non scapperò ma la affronterò a testa alta, come ogni guerriero devoto alla sua Divinità dovrebbe fare!

"Se il giallo, il viola e il verde hanno fallito, su di te scatenerò il più ruggente dei miei attacchi! Il Rosso di fuoco!!!" –Esclamò Iris, espandendo al massimo il proprio cosmo, avvolgendo se stessa in ruggenti fiamme che diresse subito contro Tiresia e gli Heroes intorno a lui.

"Kaan!!!" –Gridò Tiresia, ricreando la sua cupola di energia, che avvolse anche Leonida, Odysseus e Neottolemo, proteggendoli dalla furia devastante della Messaggera degli Dei, che parve riversare tutto il suo cosmo in quei potenti globi di fiamma che dirigeva contro di loro. Immensi, si schiantavano contro la cupola dorata che attorniava Tiresia, senza che egli muovesse un muscolo, intento nella sua meditazione silenziosa, con la quale riusciva a mantenere la barriera protettiva.

Neottolemo e gli altri si guardarono sconvolti, mentre l’inferno pareva essere emerso dagli abissi della terra, riversando tutte le sue fiamme intorno a loro, intorno alla cupola che li separava da quel fuoco devastante. Anche il corpo di Temistocle del Pentagono venne travolto, arso sul colpo dal rosso incendiario di Iris, che raggiunse anche Pasifae, Polifemo e Tersite, ad una decina di metri di distanza, obbligando la Sacerdotessa del Cancro a ricreare il mantello di energia per proteggerli. Non resisteranno a lungo! Mormorò Neottolemo, stringendo i denti e desideroso di intervenire, per togliere ai loro compagni il peso di quello scontro che a dura prova metteva la loro resistenza fisica. Glielo devo! A Tiresia! Aggiunse, ricordando che era stato proprio l’intervento dell’Hero dell’Altare, che aveva attirato su di sé l’attenzione di Eolo e di Zefiro, a permettere alla Nave di Argo di atterrare all’interno di Tirinto, il giorno precedente. Stufo di aspettare, Neottolemo fece per muoversi, ma Tiresia lo afferrò per un braccio, parlando al suo cosmo e chiedendogli di avere fiducia in lui. Quindi giunse le mani, in segno di preghiera, e liberò il cosmo accumulato fino a quel momento, che travolse le fiamme all’esterno, inghiottendole nella sua luce accecante.

"Abbandono dell’Oriente!!!" –Tuonò Tiresia, mentre l’abbraccio del suo colpo segreto estingueva la maggior parte delle fiamme che avevano distrutto il terreno attorno a loro, spingendo persino Iris indietro di qualche metro, a causa dell’onda d’urto. Quindi, indebolito anche per lo scontro del giorno prima, nel quale aveva dovuto dare fondo a tutte le sue risorse, Tiresia dovette appoggiare un ginocchio a terra, storcendo le labbra per la sua debolezza. Ma a Neottolemo quel gesto segnò la fine delle sue esitazioni. Nel vedere Iris che concentrava nuovamente il rosso del fuoco tra le mani, pronta per liberare un secondo incendio, l’Hero del Vascello trasalì, espandendo il suo cosmo oltre ogni limite, fino a generare una violenta bufera di nuvole, acqua e vento, che diresse istantaneamente contro Iris.

"Ali del Mito!!!" –Gridò l’eroico timoniere della Nave di Argo, mentre il devastante assalto obbligava Iris ad una risposta frettolosa, con bombe di fuoco che vennero spente dalla fresca energia evocata da Neottolemo, simile alle bufere che scuotono le navi in mare aperto durante i giorni di burrasca. –"Forze della natura, che trovate origine nell’unione del mare e del cielo, che trovate potenza nel soffio delle tempeste e nei marosi che imperversano negli sterminati oceani al di là delle colonne d’Ercole, abbattetevi impetuose contro la cinica Dea e dimostratele che al mondo esistono poteri ben più grandi dei miseri e frustranti limiti che la sua Regina vorrebbe imporre! Dimostratele cos’è la libertà e quale distruttiva forza è insita in essa!!!"

L’impetuoso assalto di acqua, nubi ed energia si abbatté su Iris, inghiottendo le fiamme da lei generate, che vennero spente, soffiate via, estinte sul nascere da quel potere così fresco, così virtuoso, carico della resistenza vittoriosa che i marinai e gli eroi del mondo antico avevano dimostrato sulle loro navi, opponendosi alle tempeste e ai marosi. I loro spiriti, come quelli di Ulisse e di Enea, che mari avversi avevano solcato, risuonavano in mezzo a quel devastante sfogo delle forze della natura, al punto che Iris pensò di avere di fronte il mito stesso, deciso ad abbattersi su di lei con inusitata violenza. E capì che il rosso era stato sconfitto, travolto da una tempesta a cui non poteva opporsi. No! Commentò la Dea, espandendo ulteriormente il proprio cosmo e caricandolo di accesi riflessi blu. A queste acque non posso oppormi, ma posso cercare di farle mie! Pensò, lasciandosi trascinare via dalla bufera, fino ad essere sollevata da terra e a portarsi in alto, nel cielo sopra gli Heroes, dove liberò il cosmo divino che aveva accumulato.

"Cosa succede?!" –Domandò Neottolemo, percependo movimenti ambigui nelle correnti. –"Non riesco più ad esercitare alcun controllo sulle forze da me scatenate!" –Esclamò, di fronte agli occhi attoniti dei compagni, mentre Iris torreggiava nuovamente sopra di loro, avvolta da un’accecante luce color blu.

"Il sesto colore! Il Blu di mare!" –Sibilò la Dea, il cui cosmo pareva fondersi con quello delle acque evocate in precedenza da Neottolemo, privandole del controllo dell’Hero e facendole sue. –"Travolgete i mortali uomini che hanno osato sfidare la vostra ira, pretendendo di dominare i mari e le forze che in essi imperversano!" –E scatenò la furia del mare, che travolse la bufera generata da Neottolemo, abbattendosi sugli Heroes e spingendoli via. –"Ah ah ah!" –Rise sonoramente la Dea, osservando dall’alto la distruzione da lei operata. I flussi di acqua investirono in pieno i quattro Heroes, abbattendosi poi su Polifemo, Pasifae e Tersite e spingendoli indietro, facendoli cadere verso il basso, rotolare come fossero burattini nelle sue mani. Quindi, convinta della sua vittoria e fiera della superiorità che aveva dimostrato, Iris spalancò le ali della sua Veste Divina e planò verso il basso, discendendo proprio accanto a Neottolemo del Vascello che tentava di rimettersi in piedi. Gli calpestò il polso con un piede, prima di colpirlo con un calcio in pieno viso e gettarlo indietro, nel fango che si era generato. –"Hai avuto ciò che meritavi! Adesso sguazza nel fango della tua vita! Sei ancora convinto che meriti davvero di essere vissuta?"

"Ne sarò sempre convinto! Anche se restassi da solo e dovessi vivere e morire in solitudine, crederò sempre nella vita e nel futuro! Per me e per tutti coloro che poi verranno, per cui abbiamo il dovere di lottare!" –Esclamò Neottolemo, rialzandosi a fatica.

"Non vi sarà era alcuna su questa terra senza che essa non sia controllata dagli Dei! Loro soltanto, dall’alto della loro eternità, hanno il diritto di discernere la vita e la morte degli esseri viventi, proprio essi che il mondo hanno creato!" –Precisò Iris, prima di concentrare il cosmo sul palmo della mano, pronta per l’ultimo assalto. Ma in quel momento le sembrò di sentire un fischio, un suono indistinto che la avvolse, incapace di distinguere da dove provenisse. D’un tratto, l’acqua stagnante in cui stava camminando iniziò a muoversi, a vorticare su se stessa, avvolgendo la Dea in un abbraccio che pareva farsi sempre più stretto, di fronte agli occhi stupiti di Neottolemo e della stessa Iris. Una melodia iniziò a risuonare lungo il versante distrutto della collina di Samo, una melodia leggiadra e profonda, simile al canto delle sirene che ingannavano i marinai, che incantò l’animo degli Heroes presenti, obbligandoli a sollevare la testa e a rialzarsi, sia pure a fatica, mentre Pasifae del Cancro camminava lungo il sentiero dirigendosi verso Iris, avvolta nel suo cosmo, dal profondo colore blu mare.

"Sinfonia degli abissi!" –Mormorò la Sacerdotessa dalla voce gentile. –"Essa nasce dalle profondità dell’oceano, che gli uomini temono poiché non conoscono! Miti raccontano che esseri mostruosi le popolino e che talvolta tali creature escano dalle grotte e dagli abissi sotterranei ove dimorano per portare distruzione e spavento sul mare e lungo le coste, aggredendo i marinai e le navi di passaggio! Questo è il fascino degli abissi, dei silenziosi abissi ove la nostra Comandante, Alcione della Piovra, ci ha condotto a nuotare molte volte, per mostrarci la bellezza di quei luoghi incontaminati, dove la lunga mano dell’uomo ancora non è giunta! La bellezza di luoghi di cui neppure le Divinità hanno memoria! Dovreste vedere, Messaggera degli Dei, lo splendore e l’eleganza delle conchiglie che costellano il fondo marino, simili a stelle che risplendono nel firmamento! E fermarvi ad ascoltare il mormorare ancestrale del mare, i cui antichi ricordi nessuno può permettersi di vantare!"

Mentre Pasifae parlava, il suo cosmo invase l’intero spiazzo attorno a sé, cingendo in un caldo abbraccio Neottolemo, Odysseus, Polifemo, Tersite e Tiresia, lenendo le loro ferite, come aveva fatto nello Jamir con Gerione e i suoi compagni della Terza Legione. Le acque stagnanti parvero liberarsi della terra che le aveva sporcate e sollevarsi nuovamente verso il cielo, fino a creare immense barriere di un blu sconfinato che si chiusero attorno a Iris, stringendosi sempre di più. La Dea gridò, impaurita, ma si sorprese nell’ammettere che, per quanto si trovasse in un’immensa vasca di acqua, riusciva ancora a respirare, a non annegare, e che l’acqua era quasi eterea ed intangibile. Ad un cenno di Pasifae, la melodia aumentò d’intensità e le acque penetrarono nel corpo di Iris, superando la sua Veste Divina e crepitando al suo interno, quasi fossero scintille. Iris cacciò un grido, sentendo il suo sangue esplodere, ma le parve di non udire nemmeno la sua voce, poiché l’unica cosa che riusciva a udire, l’unico suono che rimbombava nella sua mente era il canto del mare.

"Sinfonia degli Abissi!" –Ripeté Pasifae, intensificando il suo potente assalto e penetrando ulteriormente il corpo di Iris, che si contorceva dal dolore. Quindi generò un’onda azzurra di energia e scaraventò la Dea contro una parete rocciosa, danneggiando la sua Veste Divina e facendola crollare a terra esanime, tra lo stupore e l’ammirazione degli altri Heroes. –"Come state compagni?" –Domandò Pasifae, rivolgendosi a Neottolemo e agli altri, ma la voce stridula di Iris la costrinse a voltarsi nuovamente verso di lei.

"Preoccupati per la tua salute, poiché presto saranno gli altri a disperarsi per te!" –Esclamò la Dea, rimettendosi in piedi e bruciando il suo cosmo, fino a generare un’accesa fiamma che la avvolse interamente. –"Ma non temere, non avranno molto tempo per piangere, perché ti seguiranno in Ade!"

"Come puoi ergerti ancora dopo aver subito la Sinfonia degli Abissi? È un attacco mortale, per il quale non vi sono difese!" –Esclamò Pasifae, sinceramente sorpresa.

"Hai dimenticato, Sacerdotessa del Cancro, che tra i colori dell’arcobaleno vi è il rosso del fuoco? Esso ha fatto strage della tua leggiadra melodia, ardendo dentro di me e facendo evaporare l’energia acquatica che vi avevi immesso!" –Spiegò la Dea, prima di liberare tutto il suo potere. –"Ma mi hai ferito! E pagherai per questo! Turchese di sogno o di incubo!" –Tuonò, scatenando un potentissimo attacco contro Pasifae, che non riuscì a ricreare il suo mantello protettivo in tempo, venendo investita da un cumulo di fiamme, acqua ed energia allo stato puro e scaraventata indietro, mentre parti dell’armatura del Cancro andavano in frantumi.

"L’elmo, la maschera, i coprispalla!" –Rantolò Pasifae, cercando di rimettersi in piedi, mentre Neottolemo e gli altri correvano da lei. –"Come hai potuto generare un potere così potente da frantumare le corazze che contengono il frammento di Glory?"

"La Glory?!" –Mormorò Iris, non comprendendo.

"Sì! Un frammento della Veste Divina di Ercole, l’armatura totalmente nera che Ercole indossava ai tempi del mito! Egli ne fece dono a Druso il fabbro al momento della forgiatura delle Armature degli Eroi e tale frammento, oltre che rendere scuri i colori di tutte le nostre corazze, conferisce loro una maggiore protezione! Ma se tu, con un solo attacco, sei riuscita ad infrangerla significa che il tuo cosmo ha raggiunto limiti inverosimili!" –Commentò Pasifae, rialzandosi infine.

"Il colpo che ti ha raggiunto infatti è il settimo colore dell’arcobaleno, il turchese, ed è l’unico che racchiude in sé tutti gli altri poteri! Il più terribile, il più inquietante dei miei attacchi, poiché comprende tutti i colori e tutti gli assalti che finora vi ho rivolto contro! Ah ah ah!" –Rise Iris, mentre una vivida fiamma color turchese la circondava interamente. –"Non avrei creduto di giungere ad utilizzarlo, ma grazie ad esso otterrò la vittoria che, in quanto Divinità, mi spetta su voi mortali!"

"Maledetta! Non osare levare ancora la mano su Pasifae!" –Gridò Odysseus dell’Ecatonchiro, lanciandosi avanti. Ma non riuscì a fare neppure quattro passi che venne investito dal devastante assalto della Messaggera degli Dei, la cui potenza fu talmente elevata da polverizzare corpo e corazza dell’Hero in un sol colpo.

"Qualcun altro?!" –Ironizzò Iris, osservando i volti sconcertati dei guerrieri rimasti, riunitisi tra loro per contrastare i furibondi attacchi della Dea. –"No? Orbene, discenderete insieme i gradini verso l’Ade! Turchese di sogno o di incubo! Diventa per i nemici di Era il più spaventevole degli incubi!" –E scatenò il suo assalto che combinava tutti i colori e i poteri dell’arcobaleno, in un turbine di fuoco, acqua, nettari inebrianti ed energia, a cui gli Heroes cercarono di resistere unendo i loro cosmi a quello di Tiresia dell’Altare, che ricreò nuovamente la sua barriera cosmica, circondando i corpi dei cinque compagni.

Il Kaan resistette soltanto per una manciata di minuti, sottoposto ad indescrivibile pressione da parte del Cosmo Divino di Iris, e quando andò in frantumi Tersite della Mongolfiera fu il primo ad essere scaraventato via, disintegrato letteralmente dalla violenta esplosione che si abbatté su di lui, quarto a cadere dei sette compagni della Legione d’Onore, dopo Crisore di Procuste, Temistocle del Pentagone e Odysseus di Ecatonchirus. In quel momento, gli Heroes superstiti della Seconda Legione unirono i loro cosmi per un attacco congiunto, che combinò l’impetuoso battere delle Ali del Mito di Neottolemo, con il possente Tuono di Eracle, scagliato da Polifemo, e con i raggi energetici di Leonida, permettendo ai tre di contrastare l’assalto dei sette colori di Iris. Ma anche tale combinazione di poteri non fu sufficiente per spegnere l’ardente fiamma che animava l’arcobaleno della Messaggera degli Dei, obbligando Tiresia a portarsi un passo avanti rispetto ai compagni e ad aprire gli occhi.

Il cosmo che aveva celato dentro sé fino a quel momento esplose improvvisamente, aggiungendosi all’energia prodotta dai suoi compagni, divenendo un’immensa onda energetica che travolse Iris, scaraventandola indietro e danneggiando la sua Veste Divina, mentre Neottolemo, Leonida e Polifemo proteggevano Pasifae, anch’essa allo stremo, dietro di loro. Senza aggiungere altro, né volgersi indietro per un ultimo saluto, Tiresia dell’Altare fissò Iris con i suoi occhi blu e per un momento gli parve di ritrovarsi in India, vicino al Tempio del suo maestro Asmita della Vergine, ove egli era cresciuto e ove Asmita lo aveva addestrato ai rudimenti del cosmo, affinando l’incantevole arte della meditazione, una tecnica che poteva essere perseguita soltanto con impegno e dedizione assoluta, da una mente sgombra di pensieri e libera di volare verso cieli nuovi.

"Non raggiungeremo mai la perfezione se continueremo a rimanere legati all’arido materialismo di questo mondo!" –Ripeteva sempre Asmita. –"Se voi possedeste il dono di cui io dispongo, se anche voi foste privi della vista dalla nascita, sareste in grado di ascoltare i lamenti di dolore che scuotono gli animi degli uomini e a cui essi devono tentare di opporsi ogni giorno! Poiché secondo la dottrina buddista l’anima è destinata a reincarnarsi, questo significa che gli uomini saranno dannati a soffrire per l’eternità! Talvolta, allora, mi chiedo se non sia meglio morire, se non sia meglio lasciare che la nostra anima venga cancellata, per ottenere così quel riposo e quella quiete eterna che in vita ci è negata!"

"Lo credete davvero, maestro Asmita?!" –Aveva chiesto un giorno Tiresia, durante la loro meditazione.

"In verità… spero un giorno di arrivare a credere che vi sia anche gioia e felicità nella vita, poiché adesso dubito fortemente che valga davvero la pena viverla!" –Aveva sorriso Asmita, per la prima volta sinceramente.

E adesso, maestro, sono qua, per dimostrarvi che quel giorno che avete a lungo aspettato, quel giorno in cui vi saranno motivi per vivere la vita, è finalmente giunto anche per me, vostro umile discepolo! Assistetemi dal paradiso dei Cavalieri! Esclamò Tiresia, concentrando il cosmo tra le mani. E aspettatemi! Presto ci abbracceremo nuovamente e siederemo assieme, sotto gli alberi di Sala, cullati dal leggero soffio del vento!

"Preparati, Messaggera degli Dei! Tiresia dell’Altare spegnerà i colori del tuo arcobaleno, per non permetterti di utilizzarlo mai più!" –Esclamò l’Hero, espandendo ulteriormente il proprio cosmo, mentre Iris, di fronte a lui, veniva quasi spinta indietro dalla pressione energetica sprigionata dall’uomo.

"Di quali sciocchezze vai cianciando? La paura della morte ti ha reso folle? Tanta pomposa vanteria merita la morte! Risplendi Turchese di sogno o di incubo!!!"

"Estinguerò i colori del tuo iride con l’abbagliante luce dell’Oriente!" –Esclamò Tiresia, lasciando esplodere tutto il cosmo che aveva accumulato. –"Ultima luce dell’Oriente!!!" –Gridò, mentre i due poteri collidevano, spingendo indietro gli Heroes rimasti alle spalle di Tiresia. Quando l’abbagliante luce calò d’intensità, Neottolemo e gli altri riuscirono a vedere Iris scaraventata contro una parete di roccia, con la Veste Divina danneggiata in più punti e per la prima volta opaca, priva di quella brillantezza multicolore che l’aveva sempre caratterizzata, e Tiresia, sospeso in aria, in posizione meditativa, quasi come nulla fosse realmente accaduto. In fretta, Neottolemo, Polifemo, Leonida e Pasifae raggiunsero il compagno, che abbassò lo sguardo su di loro, sorridendo con sincero affetto, prima che la sua immagine iniziasse a dissolversi, spargendosi nel vento come polvere.

"Tiresiaaa!!!" –Gridò Pasifae, gettandosi a terra in lacrime e cercando di afferrare quegli sprazzi di luce che il vento dell’Egeo pareva dispettosamente spazzar via.

"Soltanto la sua anima era rimasta, per rivolgerci l’ultimo sorriso! Un gesto di cui è sempre stato avaro in vita e di cui adesso ha sentito il bisogno!" –Commentò Neottolemo, a testa bassa, reprimendo il dolore. –"Possa la tua anima ricongiungersi con il maestro che tanto hai amato e con cui hai condiviso dubbi e dolori, e possa la tua prossima vita dispensarti maggior felicità di quella di cui ti è stato fatto dono in questo squarcio di secolo!" –I pensieri dei quattro Heroes sopravvissuti furono interrotti dal rumore dei passi di Iris, rimessasi in piedi dopo essersi schiantata contro una parete rocciosa. La Dea, con i capelli bruciati e numerose ferite sul volto e sul corpo, osservò l’opacità della sua Veste Divina, incredula e al tempo stesso tremendamente incollerita per l’affronto che aveva subito. Tiresia dell’Altare aveva spento i colori del suo arcobaleno. E per lei, questo aveva lo stesso significato di ritrovarsi nuda. Con rabbia, bruciò il proprio cosmo, dirigendo un furioso sguardo verso gli Heroes, immobilizzandoli con la sola forza del pensiero.

"Il vostro compagno è morto ma il debito che aveva nei miei confronti voi lo estinguerete!" –Esclamò Iris rabbiosa, prima di generare violente onde di energia. –"Non crediate che priva dei poteri dei sette colori io sia inerme e sconfitta, tutt’altro! Ho ancora la forza, e anche un motivo in più, per eliminarvi tutti! Prigionia dell’Arcobaleno!" –Gridò, mentre le onde di energia scivolavano nell’aria, avvolgendo i quattro Heroes in una morsa stritolatrice. –"Non sarà elegante, ma rimane la tecnica migliore per soffocare un rivale e costringerlo alla resa!"

"Aargh!" –Esclamò Leonida della Spada, mentre la morsa dell’iride si chiudeva sempre più su di lui e sui suoi compagni, crepando le loro corazze e stritolando i loro muscoli e le loro ossa, fino a mozzare il respiro. –"Mi sento cedere! Mi manca il fiato! È come se una montagna intera fosse caduta sul mio stomaco!"

"Resisteteee!!!" –Li incitò Neottolemo, cercando di reagire, bruciando il proprio cosmo, come Polifemo e Pasifae stavano cercando di fare. Ma la morsa di Iris si fece sempre più soffocante, con la Dea decisa ad andare fino in fondo, una volta per tutte.

"C’è battaglia nelle celle di Didone e di Argo!" –Commentò Iris, sollevando lo sguardo verso l’Heraion, che pareva avvolto da cosmi inquieti in atto di scontrarsi tra di loro. –"Devo raggiungere la mia Signora! Non posso più perdere tempo con voi! Morite! Prigionia dell’Arcobaleno!!!" –Gridò, aumentando il potere della stretta.

Vi fu un lampo di luce e i cosmi degli Heroes esplosero improvvisamente, spinti al massimo del loro fulgore. Neottolemo liberò il possente turbinio di venti, nuvole e marosi, che nel mito avevano perseguitato Ulisse ed Enea, con cui distrusse le onde energetiche che lo intrappolavano, mentre Polifemo concentrò il cosmo sulle sue robuste braccia, liberandosi con foga dalla prigionia. Anche Leonida della Spada, bruciando al massimo il proprio cosmo, traforò la morsa di migliaia di raggi energetici, annientandola a sua volta, mentre Pasifae intonava nuovamente la Sinfonia degli Abissi, lasciando che gocce di energia penetrassero all’interno delle onde dell’iride e le annichilissero.

"Ancora resistete?!" –Ringhiò Iris furibonda, dirigendo contro di loro le devastanti onde energetiche dell’arcobaleno, prive ormai del loro acceso bagliore.

"Insieme, Heroes!!!" –Gridò Neottolemo, mentre attorno a sé turbinavano le immense onde del mito, sospinte dai venti del mare in tempesta. –"Ali del Mito!!!"

"Tuono di Eracle!!!" –Gli andò dietro Polifemo del Ciclope, scatenando il suo assalto con entrambe le robuste braccia.

"Lama dell’Onore!" –Esclamò Leonida, dirigendo dall’indice destro un unico grande fascio di energia.

"Mantello protettivo!" –Aggiunse Pasifae, ricoprendo i corpi dei tre compagni di un luccicante mantello, composto da polvere di stelle, per proteggerli dal devastante assalto di Iris, che non si fece attendere troppo, schiantandosi contro di loro e spingendoli indietro di parecchi metri. L’attacco congiunto raggiunse Iris in pieno petto, sfondando la sua Veste Divina e dilaniando la carne al di sotto di essa, scaraventando indietro la sua carcassa fino a farla ruzzolare sul suolo, in una macchia di sangue, che tinse gli splendidi colori della sua veste di un unico rosso, un rosso di sangue.

L’esplosione dei cosmi di Partenope prima e di Iris poi fu avvertita sull’intera isola di Samo, sia da Ercole, che in quel momento varcava la soglia della terza cella, sia dalla stessa Regina dell’Olimpo, che ancora sedeva sull’alto trono del Tempio. Distratta, Era tirava ogni tanto lo sguardo verso l’arazzo appeso al muro, ove i simboli degli Heroes di Ercole andavano dissolvendosi uno dopo l’altro, come era stato suo desiderio fin dall’inizio. Ai suoi piedi, le Moire continuavano a filare, a svolgere i fili della vita e quindi a reciderli. Più che sconfiggere Ercole fisicamente, della cui certezza la Regina degli Dei sapeva di non poter disporre, Era voleva vincerlo sul piano dei sentimenti, abbattendo la sua sicurezza, ferendolo dove sapeva fosse più debole, facendo strage di quel branco di uomini che il Dio amava al punto da considerarli come suoi fratelli.

Colpito al cuore, qualsiasi uomo, anche il più forte, è costretto a cedere, vinto dal potere più grande che abbia mai sorretto il mondo. L’amore! Rifletté Era. Quel potere che, suo malgrado, la stessa Era aveva avuto occasione di sperimentare, con effetti distruttivi. Quel potere che le aveva permesso di procreare Partenope.

Non pensava spesso a Partenope come suo figlio, e quando accadeva si riprometteva di cacciare quei pensieri che tanto la disturbavano, che tanto la facevano sentire debole e umana. Partenope, per lei, era semplicemente uno dei suoi servitori, un fedelissimo, quanto lo era Argo, o forse anche più dell’Oracolo, legato a doppio filo alla Regina dell’Olimpo. Dei tre Emissari era indubbiamente il più fedele ed era l’unico che agiva non soltanto per dovere, non soltanto per obbligo gerarchico verso la Divinità che serviva, ma perché spinto da motivazioni personali, da una profonda volontà di emergere. Era non aveva mai compreso cosa Partenope avesse di così importante da dimostrarle, non aveva mai capito quanto radicate fossero in lui le convinzioni di cui voleva farsi portatore, credendo che l’uomo cercasse soltanto potere e gloria, sopraffacendo esseri inferiori come gli uomini, senza scrupoli nell’usarli come burattini, ambendo al trono di Oracolo della Dea in quanto titolo e riconoscimento onorifico. E neppure in quel momento, quando avvertì scomparire il cosmo di Partenope, inghiottito da un oceano di luce, Era riuscì a comprendere. Che il suo unico desiderio, per tutti quei trent’anni vissuti soffrendo, con il veleno nel cuore, infetto da una colpa che gli era stata tramandata come sua, era stato quello di ricevere l’affetto della madre, lo sguardo tenero e pieno di amore che una madre avrebbe dovuto dedicare ai propri figli.

Era sospirò, brontolando per la nuova perdita del suo esercito che riduceva i suoi servitori a due soltanto, per quanto fossero i migliori e indubbiamente i più potenti. Per superare gli Oracoli, Didone e Argo, e raggiungere il trono di Era, Ercole infatti avrebbe dovuto assistere alla morte di tutti i suoi Heroes, alla morte di tutti i suoi fratelli. Un’unica cosa infastidiva la Regina dell’Olimpo: la defezione di Eolo, che, da ciò che Iris le aveva raccontato il giorno prima, aveva abbandonato il campo di battaglia, dopo un breve scontro con Neottolemo del Vascello, senza neppure avere il coraggio di presentarsi di fronte a lei, tradendo l’antico patto di riconoscenza che lo legava ad Era.

Ho altre cose di cui occuparmi adesso, Signore dei Venti! Ma stai pur certo che la mia vendetta raggiungerà presto anche te! Commentò Era, mentre i suoi occhi brillarono di un’accesa luce rossastra, un fulmine che squarciò il cielo sopra Samo.

In quello stesso momento, Eolo, Dio dei Venti, sentì un brivido corrergli lungo la schiena, facendolo tremare. Inghiottendo a fatica, il Domatore dei Venti crollò a terra, sul pavimento di marmo bianco, ansimando per riprendersi dallo spavento. Forse era soltanto la sua impressione, forse era solo il timore di una possibile rappresaglia, ma per un momento Eolo si convinse che quel fulmine fosse di cattivo auspicio e che Era avrebbe condannato la sua defezione, punendolo severamente. Esitò un attimo, di fronte all’immenso portone d’oro rifinito di gemme e di avorio, prima di udire dei passi decisi dall’altro lato. E allora si convinse di non avere più tempo per cambiare idea. Austro, Zefiro, Euro e Borea, suoi figli adottivi, erano caduti tutti e quattro, in un conflitto che, ricordando le parole di Iris, quando la mattina precedente li aveva raggiunti a Lipari, avrebbe dovuto portare loro gloria e onori, assurgendoli a difensori supremi dell’Olimpo, e che invece aveva soltanto aperto loro le porte di Ade.

"I combattenti del Monte Olimpo il cui nome sarà inciso nelle stelle per aver eliminato colui che agli Dei ha osato ribellarsi!" –Così Iris li aveva eccitati, accendendo le brame di Dei considerati fino a quel momento inferiori, semplici figli di una Divinità dimenticata, quale Eos pareva agli occhi dei Signori Olimpici.

La Dea dell’Aurora infatti, figlia dei Titani Iperione e Teia, aveva trascorso millenni ad annunciare agli uomini l’arrivo del carro del Sole del fratello Elio, sorgendo dal mare su un carro trainato da cavalli bianchi, finché un giorno, per caso, non aveva conosciuto un uomo, Titone, figlio di Laomedonte e fratello di Priamo, re di Troia, che diventò il suo amante, soppiantando Astreo, il padre dei Quattro Venti, nel suo cuore. Con Titone Eos ebbe un figlio, Memnone, che partecipò alla guerra di Troia, e in lui si perse, dimenticando la sua natura divina e giungendo persino a domandare a Zeus l’immortalità dell’uomo, il quale, seppur riluttante, acconsentì. Titone non ottenne però l’eterna giovinezza ed Eos trascorse i lunghi secoli successivi accanto a un vecchio sempre più pallido e con sempre meno forze, finché, comprendendo che tale eterna prigionia non era altro che una sofferenza disperata, non chiese a Zeus di tramutarlo in cicala, liberandolo da quell’infinita agonia. Così lo perse, ma il ricordo di lui rimase per sempre nel suo cuore, ormai il palpitante cuore di una donna, non di una Dea. Stanca e avvilita, Eos abbandonò l’Olimpo, rifugiandosi in Tracia, in una caverna solitaria, ove continuò a vivere tra i ricordi dell’amore perduto, recidendo ogni contatto con il mondo esterno. Prima di partire, Eos affidò i suoi figli ad Eolo, l’unico fidato amico su cui poteva contare tra gli Dei, pregandolo di prendersi cura di loro, come lei non era stata in grado di fare, sacrificando il loro amore per il proprio soddisfacimento personale.

Era, fin da principio, non aveva mai guardato ad Eos con comprensione, ma sempre con gesti di condanna, non riuscendo a capire come una Dea potesse provare attrazione verso un uomo mortale, verso una stirpe così palesemente inferiore. Per questo aveva sempre criticato Zeus e le sue cacce amorose, ritenendo che nessuna delle patetiche sgualdrine che avrebbero potuto accoglierlo in grembo sarebbe mai stata in grado di dargli l’eternità che lei soltanto, Regina dell’Olimpo e Grande Dea Madre, poteva concedergli. Per questo aveva espresso la propria disapprovazione, quando lo sposo aveva accolto la richiesta di immortalità di Titone avanzata da Eos, ritenendo scandaloso che un semplice uomo potesse ambire a respirare l’aria eterna dell’Olimpo, anche se soltanto per un soffio. Ed aveva condannato con disprezzo i comportamenti di Eos, avvilitasi e imbarbaritasi al punto da dire addio alle sontuose sale del Monte Sacro per rinchiudersi in una squallida grotta della Tracia, assieme a tutti i suoi rimpianti.

"Ho fallito!" –Si disse Eolo, rimettendosi in piedi. –"Perdonami Dea dell’Aurora! Non sono stato un buon padre per i tuoi figli, poiché li ho portati in guerra, a morire per qualcosa che nessuno di noi aveva ben chiaro cosa fosse, se non la disperata volontà di raggiungere un soffio di infinito, un abbraccio di eternità a cui il nostro animo aspira continuamente! Non vi saranno canti e odi per Zefiro e per Austro, né i nomi di Borea e di Euro saranno scolpiti nella leggenda, ma risuoneranno tra le grida dei dannati che ammassano le fosse del Tartaro! Perdonami per non aver saputo dare loro una ragione maggiore di vita, per averli coinvolti nel pagamento di un debito che non sono mai stato in grado di estinguere!"

Eolo sospirò, asciugando le lacrime che gli cadevano dagli occhi, proprio mentre i robusti portoni della Sala del Trono della Reggia Olimpica si aprivano ed Ermes, il Messaggero degli Dei, appariva di fronte a lui. Alto e snello, ricoperto dalla sua decorata Veste Divina, Ermes sorrise ad Eolo, con i suoi luccicanti occhi argentati, prima di farsi di lato e indicargli la via.

"Prego! Il Sommo Zeus adesso può riceverti!" –Esclamò Ermes, incamminandosi con Eolo all’interno della Sala del Trono e richiudendo con forza il robusto portone alle loro spalle. In quel momento Eolo comprese di non aver più tempo per i dubbi, soltanto per esporre i fatti al Signore dell’Olimpo, che lo fissava interessato dall’alto del Trono del Fulmine.