CAPITOLO TRENTAQUATTRESIMO: DELL’AMORE PERDUTO.

Nesso del Pesce Soldato, Hero di Ercole della Terza Legione, stava avanzando carponi lungo il versante più esterno della collina di Samo. Dopo essere scampato per miracolo alla violenza di Partenope del Melograno, grazie all’intervento degli Heroes della Quarta Legione, il ragazzo era rimasto per una mezz’ora sdraiato in una rientranza del terreno, riparato dallo sguardo ostile di Era proveniente dall’alto trono di Samo. Aveva approfittato di quel momento per recuperare le forze, per tentare di lenire quella stanchezza che lo andava sopraffacendo minuto dopo minuto, portandogli via la vita oltre che la sicurezza in se stesso. Sorrise, per un momento, ricordando le spettacolari acrobazie che aveva compiuto il giorno prima, arrampicandosi lungo i pendii ghiacciati del Karakoram, volando sul dorso delle grandi aquile, cavalcando gli amici delfini con cui molto amava conversare. Adesso, tutti quei momenti emozionanti gli sembravano caduti in un lontano passato, di cui era rimasto soltanto un ricordo annebbiato. Come la vista che pareva spegnersi ogni momento un po’ di più.

Facendosi forza, Nesso si rimise in piedi, udendo il clangore della battaglia combattuta poco lontano, e seguì un sentiero laterale lungo il versante esterno, nascosto tra cespugli e vigneti, fino a portarsi proprio davanti all’entrata del Tempio di Era. Penelope del Serpente, studiosa di arte e di architettura classica, aveva spiegato agli Heroes la composizione dell’Heraion, che immaginava rimasta immutata dall’antica struttura eretta due millenni addietro. Il Tempio era di tipo dittero, circondato cioè da una doppia fila di colonne, con un profondo pronao a tetto quadrato e una vasta cella interna dietro di esso, entrambi divisi in tre spazi uguali, occupati i primi due dagli Oracoli e il terzo da Era stessa.

Nesso scivolò come un’ombra tra la doppia fila di colonne esterne, prestando la massima attenzione, senza però trovare nessun soldato di guardia all’edificio. E questo lo insospettì, spingendolo ad essere ancora più prudente. Raggiunse il portone principale, che permetteva l’accesso alla prima cella, e lo trovò leggermente aperto, non molto, ma quanto bastava per permettere a un po’ di luce di filtrare all’interno. E al ragazzo di scivolarvi coraggiosamente in mezzo, senza doverlo aprire del tutto.

L’interno della prima cella si rivelò un ampio stanzone, dai soffitti alti e non troppo luminoso, dove l’aria circolava con difficoltà, a causa delle scarse aperture laterali. Non vi erano mobili né alcun tipo di arredamento, eccezion fatta per un baule collocato sul fondo della stanza, vicino ad una cassapanca su cui erano poggiate una brocca d’acqua e della frutta. Nesso sgranò gli occhi, un po’ sorpreso da tale inusitata austerità, avendo immaginato un interno lussuoso e ben decorato. Persino la mia stanza sull’Isola del Mar Tirreno era arredata in miglior modo! Ironizzò, scivolando tra le ombre delle colonne laterali, nel tentativo di dirigersi verso il portone d’uscita e accedere così alla seconda cella.

"Vuoi già andartene?!" –Esclamò improvvisamente una voce di donna, fermando i movimenti di Nesso, che subito si voltò verso l’interno della cella, cercando con lo sguardo colei che aveva parlato.

"Chi sei?!" –Domandò, sudando freddo.

"Una donna sola!" –Rispose la voce, mentre una sagoma dai contorni indistinti prendeva forma di fronte a Nesso, tra le ombre dell’altro lato del salone. –"Cerco soltanto un po’ di compagnia! Vuoi già andartene?!"

Nesso osservò con attenzione la donna incamminarsi verso di lui a passo lento, priva apparentemente di intenzioni ostili. Era alta e col viso magro, con lunghi capelli verde sporco che le scendevano lungo la schiena, e indossava un mantello color marrone, dentro al quale si stringeva, rendendo difficile distinguere le sue forme. Ma da sotto il mantello a Nesso parve di riuscire a distinguere un verde luccichio.

"Io…" –Balbettò Nesso, preso alla sprovvista da quell’anomala apparizione. –"Chi siete?"

"Dovrei essere io a chiedertelo, giovane Hero, poiché tu sei l’ospite giunto inatteso nella mia casa!" –Commentò la donna, prima di aggiungere con un sospiro. –"Ma la tua venuta non è affatto inattesa! Né posso ammettere decisamente che questa sia la mia casa!" –Aggiunse, notando lo stupore negli occhi di Nesso. –"Non avrai davvero creduto di poter nascondere la tua presenza fin qua, alla prima cella dell’Heraion di Samo? Ti ho osservato fin da quando sei giunto sull’isola, andando incontro al tuo destino a cavallo di un delfino! Ami il mare, anche tu? Lo amavo anch’io! Un tempo!" –Sospirò nuovamente la donna.

"Il mare è il mio elemento naturale! Solo in esso mi sento completamente soddisfatto e pieno di me!" –Commentò Nesso.

"Ottimo! Coltiva questa tua passione, ragazzo, e non permettere a nessuno di portartela via! Gli uomini col tempo diventano cinici e avidi di gloria e potere! Sono soltanto i giovani a possedere un cuore puro, capace di emozionarsi ancora, prima che la monotonia dell’età adulta e i deliri della vecchiaia spazzino via tutti i loro sogni e le passioni che hanno dimenticato, seppellendole sotto polverosi rimpianti!" –Esclamò la donna, con malinconia, prima di scuotersi improvvisamente. –"Ma adesso basta parlare! Dammi la Lama degli Spiriti e vattene! Torna a giocare con i tuo amici delfini e lascia questa battaglia! È l’unico modo che hai per poter coltivare ancora le tue passioni!"

"Non posso! Mi dispiace! Sono un Hero di Ercole ed è mio dovere combattere!" –Esclamò Nesso, con voce decisa.

"Dovere?! Puah, nessun dovere può valere quanto una passione!" –Rispose la donna, alzando il tono di voce, e parlando adesso con disprezzo. –"Dunque sei uguale a tutti gli uomini? Avido di potere e ostinato nei tuoi propositi, pur folli e privi di speranze che siano?"

"La follia maggiore è non avere la forza e la determinazione per perseguire i propri propositi! È in questo modo che le passioni si affievoliscono e gli ideali vengono dimenticati!" –Commentò Nesso, con voce decisa.

"Mi ricordi tanto un uomo che avrei voluto dimenticare… un uomo che non ho mai dimenticato!" –Sospirò la donna, prima di esclamare a gran voce. –"Un uomo che ha meritato l’Inferno!!! Lo stesso a cui egli mi ha destinato!!! Vuoi forse tu, ragazzo, incorrere nella mia ira e conoscere la vendetta di Didone, la grande Regina di Cartagine?!" –Esclamò con enfasi la donna, gettando via il mantello logoro che la rivestiva e rivelando le sue vere fattezze.

Alta e snella, Didone indossava un’Armatura dai colori bianchi e verdi, che le copriva la parte superiore del corpo, dal bacino alle spalle, braccia comprese. Le gambe erano protette da una lunga gonna marrone, che nascondeva probabilmente delle protezioni per i lunghi arti. Sul capo portava una piccola corona intarsiata di gemme, dai luccicanti riflessi verdi e argentati, che parevano fondersi con gli occhi della donna.

"Di... Didone?!" –Mormorò Nesso, ricordando il mito della Regina Fenicia, morta sul rogo in preda alla disperazione per essere stata abbandonata dall’amato Enea, fondatore di Roma. Nesso scosse il capo, ritenendo impossibile che potesse trattarsi dell’antica Regina, vissuta molti secoli addietro e priva di qualsiasi origine divina.

"Leggo lo stupore nei tuoi occhi, Nesso del Pesce Soldato!" –Esclamò Didone, rivelando per la prima volta il suo cosmo, vasto e potente, superiore persino a quello dei sei Comandanti degli Heroes. Superiore persino a quello di Alcione della Piovra. –"Eppure non ho motivo di mentirti! Didone sono io, con tutti i miei rimpianti!" –Commentò la donna, prima di sollevare il braccio destro e tendere la mano avanti.

Nesso si ritrovò immediatamente sospeso a mezz’aria, con il corpo paralizzato da un potere schiacciante, che sembrava scuoterlo nel profondo, facendo vibrare ogni muscolo e ogni ossa. La Lama degli Spiriti si staccò dalla sua cintura, cadendo con clangore sul pavimento di marmo grigio. E a tale vista, gli occhi di Didone brillarono, come le gemme della sua corona, accendendosi di un forte desiderio di possederla. L’Hero del Pesce Soldato bruciò il cosmo, cercando di reagire alla stretta prigionia di Didone, superando i suoi stessi limiti, fino a portare la sua energia cosmica al punto massimo e lasciarla esplodere. L’onda d’urto scaraventò Nesso contro una colonna del tempio, abbattendola con un gran fracasso, e riuscì persino a spingere Didone indietro di qualche metro, obbligandola a ripararsi il viso con il braccio destro.

"Coraggioso!" –Mormorò la donna, osservando il corpo esausto di Nesso giacere in mezzo a cumuli di pietra e di polvere. –"Ma inutile!" –E si incamminò verso la Lama, caduta poco distante dall’Hero, per afferrarla.

Ma quando fece per chinarsi sull’arma si accorse di non riuscire a raggiungerla, poiché tutto intorno ad essa splendeva una lucente aura azzurra, dalle sfumature simili ad onde di mare. Era il cosmo di Nesso, che stava impedendo a Didone di prendere la Lama degli Spiriti. Stupita, la Regina Fenicia mirò con somma ammirazione l’ardimentoso sforzo del giovane, con l’armatura quasi completamente distrutta, che si trascinava sul freddo pavimento, per tornare a stringere a sé l’arma di cui era, nel bene e nel male, il portatore.

"Così tanto hai legato la tua vita a quella spada?!" –Domandò Didone, con tono chiaramente provocatorio, per nascondere l’ammirazione che invece provava verso il ragazzo. –"Al punto da preferire la morte ad una sconfitta?!"

"Questa lama… la affonderò nella gola di Era!" –Mormorò Nesso, tossendo e tentando di rimettersi in piedi. –"E nessun fantasma di nessuna regina potrà fermare questo mio proposito!"

"Umpf! Fantasma, mi hai definito?!" –Esclamò Didone, sospirando. –"Non sei così distante dalla verità! Poiché è così che mi sento da anni, ormai! Il fantasma di ciò che ero un tempo, della donna capace di mettere tutta se stessa in un amore che l’ha uccisa!"

"Didone…" –Mormorò Nesso, percependo il dolore nelle parole della donna. –"Sei veramente tu?!"

"Dammi la Lama degli Spiriti!!!" –Gridò infine la donna, buttandosi sul ragazzo, ma Nesso fu svelto a rialzarsi e a colpire Didone con centinaia di calci con la sua gamba destra, balzando indietro e atterrando in piedi, poco distante dalla fila di colonne.

La Regina Fenicia venne spinta indietro dall’attacco di Nesso, un attacco multiplo in cui il ragazzo era riuscito a scagliare centinaia di calci contemporaneamente. Anzi no! Si disse Didone, ammettendo i progressi del giovane. Forse migliaia! Decine di migliaia! Il suo colpo era vicino alla velocità della luce! E si tastò il braccio destro, osservando la veste che lo ricopriva prendere fuoco e diventare cenere, a causa dell’onda d’urto generata da Nesso. Sorrise, con soddisfazione, prima di espandere il proprio cosmo, dirigendo uno sguardo tagliente verso l’Hero del Pesce Soldato.

"A te che non credevi nella mia natura umana, io farò sentire il mio dolore, io farò udire le alte grida levate dalle ancelle dopo la mia morte sul rogo, io farò provare la disperazione dell’umiliazione! Muori, Nesso, sul Rogo di Didone!!!" –Gridò la donna, dirigendo un turbinante assalto di fiamme mortali contro l’Hero di Ercole, che, privo ormai di forze, non poté far altro che chiudere gli occhi e attendere la fine.

"Specchio delle Stelle!" –Esclamò improvvisamente una voce, mentre una barriera sottile, trasparente come un vetro pregiato, compariva davanti a Nesso, lasciando che l’infuocato assalto si schiantasse su di essa, venendo disperso nella sala attorno.

"Chi interrompe il mio rito funebre?!" –Domandò Didone, stizzita, voltandosi verso l’ingresso, ove le sagome di una dozzina di uomini erano apparse.

Marcantonio dello Specchio entrò per primo all’interno della cella, subito seguito da Alcione della Piovra e dagli Heroes della Legione del Mare: Gerione del Calamaro, Miseno del Pesce Rombo, Scilla di Cariddi, Arsinoe dello Scoiattolo e Proteus della Razza. Dietro di loro giunsero Penelope del Serpente, della Quarta Legione, Chirone del Centauro, Druso di Anteus, Aureliano del Pittore e Diomede della Balestra, della Sesta. E per ultimo entrò Ercole, il Dio dell’Onestà, la cui Glory risplendeva di una scintillante luce che parve per un momento rischiarare l’oscurità e l’abbandono della cella della Regina Fenicia, le cui mura sembrarono al Dio le mura di una prigione.

"Il Sommo Ercole in persona! Quale onore!" –Esclamò Didone, posando lo sguardo sul muscoloso uomo, disinteressandosi completamente del resto dei guerrieri.

"Stai lontana da Nesso, Didone!" –Affermò Ercole con decisione, sollevando la Clava e generando un’onda di energia che si abbatté sulla Regina Fenicia.

"Non è lui che voglio! Ma ciò che porta con sé!" –Commentò Didone, incrociando le mani avanti, per contenere l’impeto del suo attacco, mentre Arsinoe e Proteus correvano dal ragazzo, per verificare le sue condizioni e aiutarlo a rialzarsi.

"Non avrai né l’uno né l’altra!" –Rispose schiettamente Ercole, avanzando verso il centro della sala. Ma la voce di Alcione lo richiamò, obbligandolo a voltarsi.

"No! Ci occuperemo noi della Sacerdotessa di Era!" –Commentò il Comandante. –"Questo scontro è stato iniziato da un Hero della Legione del Mare e sarà un Hero di tale Legione a concluderlo!"

"Come preferisci!" –Si limitò a rispondere Ercole, con tono preoccupato, ma accondiscendente. Quindi avanzò nella sala, dirigendosi verso il portone di collegamento con la seconda cella, seguito da Marcantonio e dagli Heroes della Quarta e Sesta Legione. Ma Didone, a tale vista, espanse il proprio cosmo, dirigendo un violento assalto infuocato contro di loro, nel tentativo di fermarli.

"Ercole!!! Non passerai!!! Brucerai anche tu sul Rogo di Didone!!!" –Ma la violenza devastante del fuoco non raggiunse il Dio dell’Onestà, schiantandosi sul corpo di uno degli Heroes della Legione del Mare, Scilla di Cariddi, che si pose di fronte a Ercole e ai suoi compagni, per proteggerli, venendo arso in un solo istante, inghiottito da quel rogo di fiamme amare e di odiati rimpianti.

"Scilla!" –Mormorò Alcione, con le lacrime agli occhi, sentendosi nuovamente colpevole, nuovamente inutile. Da quando era iniziata quella guerra aveva assistito impotente alla morte di sei guerrieri della sua Legione ed ogni volta si era ripromessa di essere più forte, di diventare più determinata, di sconfiggere il crudele gioco del destino che mirava a colpirla dove era più debole. Negli affetti. Ma fino a quel momento aveva continuamente fallito.

Ercole e gli altri Heroes continuarono ad avanzare nella cella, scomparendo al di là del portone, sull’altro lato della stanza, senza mai voltarsi indietro. Se lo avessero fatto avrebbero pianto per i loro compagni caduti e per quelli da cui erano costretti a separarsi. E la missione sarebbe fallita. Leggera, come un sussulto, Alcione udì la voce di Marcantonio dello Specchio raggiungerla tramite il cosmo, prima di scomparire all’interno della seconda cella.

"Fai attenzione!" –Le disse il Comandante della Legione d’Onore. Nient’altro.

"Bene!" –Esclamò Gerione del Calamaro, liberando le sue fruste e schioccandole a terra, con un suono acuto, deciso ad iniziare il combattimento, ardito e impulsivo come sempre. –"Vediamo di cosa è capace, questa donna!" –Aggiunse, lanciandosi avanti, con il cosmo acceso di riflessi verde smeraldo. –"Frusta del Tuono!" –E liberò le sue fruste, che saettarono a zig zag, avvolte in luccicanti fulmini che incendiarono l’aria, fino a fermarsi di fronte al volto imperturbabile di Didone. –"Co... cosa?!?"

Didone girò la testa verso Gerione, osservando lo stupore dipingersi sul volto dell’Hero del Calamaro, alla vista delle Fruste del Tuono fermatesi di scatto di fronte al viso della Regina Fenicia. E lo stupore andò aumentando quando la donna mosse il braccio sinistro, afferrando con la mano le Fruste e spostandole verso il basso, con un gesto che trasudava una palese superiorità.

"Non stupirti mai! C’è sempre qualcosa di superiore rispetto a tutto ciò che conosciamo!" –Esclamò la donna, con voce tranquilla, prima di espandere il suo cosmo e caricarvi le Fruste di Gerione.

"Incredibile!!! Non soltanto non prova alcun danno dallo stringere in mano le mie Fruste, cariche di fulmini guizzanti, ma riesce persino ad invertire la direzione del mio assalto, rivolgendolo contro di me! Contro di meee!!!" –Gridò Gerione, il corpo percorso da folgori distruttrici, che come zanne stavano massacrando le sue difese, schiantando la sua corazza e la sua pelle.

"Non potrai mai recarmi danno alcuno, Hero del Calamaro! Né tu né nessun altro nemico che si parerà davanti al mio cammino!" –Commentò Didone, liberando, dal palmo della mano sinistra, una violenta esplosione di luce infuocata, che disintegrò le Fruste di Gerione, abbattendosi quindi sull’Hero del Calamaro e scaraventandolo indietro, fino a schiantarsi contro il muro laterale.

"Gerioneee!!" –Gridò Proteus della Razza, osservando l’amico cadere rovinosamente a terra, con l’armatura distrutta in più punti e macchiata di sangue. –"Bastarda! Prova con me, adesso! Grande Razza!!!" –E le scagliò il suo attacco energetico, dalla sagoma simile a quella di una razza oceanica.

"Ghiande Esplosive!" –Gli andò dietro Arsinoe dello Scoiattolo, dirigendo migliaia di piccole bombe di luce contro la Regina Fenicia, la quale, per evitare entrambi i colpi, si nascose all’interno di un mucchio di fiamme, che divennero una specie di muro invalicabile dentro il quale si schiantarono gli assalti nemici. Per quanto Arsinoe e Proteus potessero insistere, i loro colpi non riuscirono a superare né ad estinguere il tenebroso rogo, all’interno del quale la Regina Didone continuava ad ergersi, senza rimanerne minimamente scottata. Stufa infine di perdere tempo con i pesci piccoli, come li definì con disprezzo, Didone sollevò le braccia al cielo, trasformando il rogo in una turbinante spirale di fuoco, che roteò attorno al suo corpo come un guizzante serpente, prima di dirigersi verso i suoi nemici.

"Turbinio di fiamme amare!" –Gridò Didone, travolgendo Arsinoe, Proteus, Nesso e Gerione con un gigantesco vortice di fuoco e scaraventandoli contro le colonne, facendole crollare poco dopo. Fatto questo, si scosse le mani e si voltò verso Alcione della Piovra, rimasta ammutolita dalla violenza di quel colpo e dalla facilità con cui Didone aveva evitato gli assalti dei suoi compagni. –"Finalmente posso dedicarmi a te! Perdonami, cara, se ti ho fatto attendere!"

"Attendere?!" –Domandò Alcione, non capendo. –"Vuoi forse dire che fin dall’inizio desideravi combattere con me?!"

"Senza alcun dubbio! Chi, meglio di una donna, può comprendere un’altra donna? E chi, se non una donna, può anche solo pensare di rivaleggiare con me, Didone, Regina di Cartagine?!" –Esclamò la donna, rivelando un certo orgoglio sopito.

"Sembra che tu non abbia una buona considerazione degli uomini!" –Commentò Alcione.

"Li detesto, gli uomini!!!" –Ringhiò Didone, irandosi improvvisamente. –"Sono arroganti, presuntuosi, convinti della loro maschile e patriarcale superiorità! Sono falsi, infidi e ipocriti, disposti a recitare qualsivoglia incantesimo pur di entrare nel letto di una donna e coglierne il fiore più prezioso che tiene, per poi reciderlo e gettarlo via, abbandonandolo alle carogne infami dei rimorsi! Credono di essere saggi ma sono soltanto un mucchio di stolti! Credono di essere grandi, si vantano di poter toccare il cielo con un dito, come Atlante, ma sono soltanto dei minuscoli e insignificanti insetti, che non sarebbero neppure al mondo se non fosse stato per le sofferenze di una donna! Tendono sempre a dimenticare chi li ha portati in grembo per nove mesi!"

"La tua ostilità è eccessiva, Regina Didone!" –Commentò Alcione, con voce pacata. –"C’è verità nelle tue parole, indubbiamente, ma anche tanta tristezza e dolore! Cosa ti ha reso così furiosa? Cosa ha avvelenato il tuo cuore al punto da spingerti a covare così tanto odio e ripudio nei confronti dell’universo maschile?! I libri e le leggende parlano di te come di una sovrana amata e benvoluta dal suo popolo, come di una donna decisa e ferma nelle sue convinzioni, una donna con il coraggio di un uomo!"

"Che tu ci creda o meno… è bastato un uomo! Un uomo soltanto! Ma che ho amato con tutta me stessa!" –Confessò Didone, rattristandosi per un momento, quasi dimentica di essere nel mezzo di un combattimento.

Alcione osservò la Regina Fenicia da lontano, con un misto di preoccupazione e dispiacere, poiché, per quanto fosse una nemica, non riusciva a provare per lei l’ostilità che aveva invece provato per gli Emissari di Era: Kyros e Boopis. Quelli erano degli avversari, intenzionati a sconfiggere, e magari ad uccidere, gli Heroes di Ercole. Didone era invece, agli occhi di Alcione, soltanto una donna sofferente. Eppure, si disse il Comandante della Legione del Mare, i libri e il mito parlano di lei come di un personaggio affascinante, degno di entrare nella leggenda! Cosa è accaduto a questa donna? Cosa l’ha resa così emotiva, caricandola di odio?

Alcione ripensò alle lezioni di storia e mitologia che aveva seguito a casa di Linceo, ricordando che Didone era una donna di una bellezza trionfante, osannata dai potenti e continuamente chiesta in sposa. Regina di Cartagine, fondò una città che nel corso dei secoli sarebbe cresciuta, espandendo la sua influenza sul Mediterraneo e rivaleggiando con le città greche prima e con Roma poi, una città che i greci odiarono e che i romani distrussero. Didone, la "pulcherrima" cantata da Virgilio nell’Eneide, era una donna di potere, forte e decisa, e al tempo stesso astuta e intelligente, capace di mettere gli uomini in riga, compresi i soldati e i riottosi marinai, e da loro farsi rispettare.

"Ha potuto così tanto, quell’uomo?!" –Azzardò infine la domanda Alcione.

"Me lo chiedo anch’io da anni! Da secoli ormai!" –Sospirò Didone. –"Da quando Era mi salvò dal rogo a cui io stessa mi condannai, dopo essere stata abbandonata, dopo essere stata defraudata del mio amore e della mia vita!"

"Era ti salvò?!" –Domandò Alcione, iniziando a capire. Didone annuì col capo.

"Distrutta nello spirito, mi lasciai cadere sulla spada appartenuta all’uomo che avevo amato con tutta me stessa, all’uomo che avevo accolto in casa, donandogli ogni bene, aiutando lui e la sua gente nella disperata ricerca di un posto nel mondo ove edificare la nuova Troia! In fiamme, il mio corpo a pezzi venne raccolto più volte da mia sorella, la mia amata sorella Anna, che mi chiamava, urlava il mio nome, straziata dal dolore e dall’impossibilità di raggiungermi! Era, dall’alto dell’Olimpo, impegnata a seguire le imprese dell’uomo che tanto dolore mi aveva recato, condannandomi a morte, ebbe pietà di me e inviò Iris, sua Messaggera, avvolta nell’incanto dei colori dell’arcobaleno, a Cartagine, e la Dea, con la solennità di un atto rituale, recise il mio capello a cui era legata la vita! In quel modo, la mia anima fu libera di sciogliersi dal corpo e dileguarsi nel vento, cullata da esso fino alle porte dell’Olimpo, ove Era mi attendeva per esprimermi tutta la sua comprensione! Tutta la sua compassione! L’amore di una madre per la figlia che non aveva mai avuto!" –Confessò Didone. –"Così rimasi sull’Olimpo, servendo Era per molti secoli come sua ancella, dimenticando Cartagine, mia sorella e il mio popolo, e l’uomo che mi aveva ucciso! Finché un giorno, stufa dei lussuosi fasti del Monte Sacro, chiesi alla Dea il permesso di congedarmi, scendendo sulla terra e rifugiandomi nel kastro di Larissa, ove trascorsi gli anni successivi a leggere e a studiare, documentandomi sull’astronomia, la medicina, la scienza botanica, mettendo in atto ogni marchingegno possibile per distrarre la mia mente! Per non tornare a pensare a lui!"

"Ma ho fallito!!!" –Gridò improvvisamente la Regina, accendendo il suo cosmo di ardenti fiamme scure. –"E il suo ricordo non mi ha mai abbandonato, non mi ha mai lasciato neppure per un istante, continuando a ronzare nella mia mente come un suono fastidioso che non sono in grado di scacciare!"

"Deve essere stato terribile!" –Commentò infine Alcione, comprendendo la sofferenza della Regina Fenicia.

"Non lo è stato! Lo è tuttora!" –Precisò Didone. –"Talvolta penso che Era più che una grazia mi abbia fatto un torto a concedermi questa vita immortale! A concedermi di continuare una vita che realmente avrei voluto concludere tremila anni fa! Ma poi penso all’affetto che la Regina dell’Olimpo mi ha dimostrato per tutto questo tempo, alle cure di cui mi ha fatto oggetto, e mi convinco che l’unico colpevole in questa tragica storia di dolore mai sopito è stato l’uomo che ho amato e che mi ha abbandonato! Enea mi ha ucciso due volte, condannandomi ad un’eterna prigionia tra i miei ricordi! I nostri ricordi!!!" –Gridò furiosa la Regina Fenicia, mentre le fiamme oscure del suo cosmo vorticavano attorno a lei, accendendosi al nome che tanto detestava, il nome che lei stessa si era preclusa per secoli. –"Puoi comprendere Alcione? Puoi capire cosa significhi vivere tremila anni con il dolore nel cuore? Con una spada pronta sempre a ferirti quando meno te lo aspetti, quando credi di stare bene, quando ti illudi che il fantasma dell’amore perduto sia scomparso, svanito nel cielo terso della tua nuova vita, e invece sei obbligata ad ammettere che è ancora là! Onnipresente!!!" –Urlò, dirigendo un turbinoso assalto di fuoco contro Alcione, che fu svelta ad evitarlo, saltando lateralmente, prima di scagliare contro di lei i suoi lunghi e sinuosi tentacoli.

Ma Didone non si fece prendere alla sprovvista, balzando in alto ed evitando tutti i tentacoli che Alcione le dirigeva contro. Erano tantissimi e aumentavano progressivamente, ma Didone era fisicamente scaltra e agile, a dispetto delle sue condizioni interiori, che spingevano a considerarla una vecchia donna che si è arresa alla vita. Atterrò qualche metro indietro, sull’altro lato della stanza, prima di portare le braccia avanti a sé, con i palmi delle mani rivolte verso Alcione, e fermare con il suo cosmo il furioso assalto dei suoi tentacoli.

"Dovrai fare di meglio se vorrai raggiungermi, Alcione della Piovra!" –Esclamò Didone, rimandando indietro i lunghi tentacoli dell’Hero con un solo gesto delle braccia. –"Ma non credere che ti sarà facile recarmi danno! Anzi, ti sarà impossibile!" –Precisò la Regina, con un sorriso malizioso sul volto, che Alcione non seppe interpretare. –"Non esiste arma o colpo segreto che possa ferirmi, perché il mio corpo è morto secoli addietro, arso sul rogo di Cartagine da un amore per cui non sono stata forte abbastanza da resistere, da un amore che forse non è stato forte abbastanza da trattenere l’uomo con cui mi ero unita in una battuta di caccia! Da un amore che probabilmente non valeva quanto un pezzetto di terra sulle rive di un fiume paludoso!" –Ironizzò infine, espandendo il proprio cosmo infuocato.

"È qua che sbagli, Regina Fenicia! È questo che non riesci ad accettare, che il tuo orgoglio di donna ferita continuamente rifiuta!" –Esclamò infine Alcione, facendosi forza. –"Enea ti ha amato, lo sai anche tu, in fondo al cuore! E avrebbe voluto rimanere con te per l’eternità! Ma gli Dei avevano in serbo per lui un destino diverso, una strada che egli non aveva la possibilità di eludere, obbligato a seguire quella rotta pur tra privazioni e sofferenze!"

"Taciii!!!" –Gridò Didone, dirigendo un poderoso assalto infuocato contro Alcione. –"Tu dunque lo difendi?! Non hai onore né dignità, femmina che ha rinunciato alla propria natura per abbracciare il maschilistico campo d’azione della guerra?! Perirai, per l’insulto che mi hai rivolto! Sullo stesso rogo su cui le mie spoglie mortali sono divenute cenere!!! Rogo di Didone!!!"

La Regina Fenicia scatenò il suo possente attacco, una sfera di fuoco che avvolse Alcione, stringendola in un caldo abbraccio, mentre i tentacoli guizzanti del Comandante della Legione del Mare cercavano di spegnere quelle fiamme scure, nel cui baluginare Alcione sembrò percepire lo spettrale riflesso della morte. Con abilità, sollevò i tentacoli che sporgevano dalle sue braccia, iniziando a rotearli attorno a sé, circolarmente, fino a generare un turbine di aria che travolse le fiamme, spargendole per la sala e spegnendo quel rogo mortale. Didone sorrise maliziosamente, ritenendo che il loro scontro fosse appena all’inizio e riconoscendo di aver fatto un’ottima scelta nell’indicarla come avversaria. Lei forse avrebbe potuto lenire le sofferenze che la sua anima provava ormai da molti secoli. Da troppi secoli.