CAPITOLO TRENTASETTESIMO: LA REGINA DEGLI DEI

Quando Ercole varcò la porta dell’ultima cella, abbandonando nuovamente i suoi Heroes in battaglia, una strana sensazione si impadronì di lui. Un senso di colpa per aver condannato a morte gli uomini che aveva istruito e addestrato negli anni precedenti, alla vita, prima ancora che alla guerra. Il suo cosmo ascoltò le lacrime degli eroi che aveva condotto al tramonto. In quel momento, Chirone del Centauro caricava furiosamente Argo, mentre nella cella precedente Alcione e la Legione del Mare affrontavano la Regina Didone e, poche decine di metri fuori dall’Heraion, Neottolemo del Vascello e Pasifae del Cancro guidavano l’ultimo assalto contro la Messaggera degli Dei. Quanti cosmi sono rimasti? Si chiese il Dio, spalancando con forza l’ultima porta, gettando via quei foschi pensieri e trovandosi di fronte alla causa di tutto quel dolore immeritato.

Era, Regina dell’Olimpo, Grande Dea Madre e Signora dell’Isola di Samo, sedeva sul trono in cima ad una lunga scalinata di marmo sporco, tranquilla e rilassata, come una perfetta padrona di casa in attesa dell’ospite. Senza troppi convenevoli, Ercole richiuse sbattendo l’enorme portone alle sue spalle, incamminandosi al centro dell’ampia cella, lasciando che il rumore dei suoi passi risuonasse tra le quattro mura. Quando fu di fronte ad Era, di fronte al disprezzo che la Dea aveva accumulato per secoli, schiava di un’invidia di cui non era mai riuscita a liberarsi, il Dio dell’Onestà comprese che il tempo per loro non era mai passato e che ancora, nella seconda metà di quello che in Europa veniva chiamato diciottesimo secolo, il loro scontro era nel pieno della sua furia devastante, come lo era stato nel Mondo Antico. Iniziato quasi per scherzo, quando la Dea aveva tentato di impedire ad Alcmena, madre di Ercole, il parto del figlio, facendole annodare le gambe della puerpera. Da quel momento in poi, per Ercole non vi era mai stata pace, continuamente costretto a difendersi da Era, sposa del Padre che lo aveva concepito e sua mortale nemica.

"Ben arrivato, eroe!" –Esclamò la Regina di Samo, con voce ironica. –"Quanti guerrieri hai dovuto sacrificare? Quante anime hai condannato all’oblio dell’Inferno per arrivare fin qua? Per specchiarti ancora una volta nei miei occhi e sentirti colpevole di tradimento nei confronti degli Dei Olimpici?!"

"Nei tuoi occhi vedo soltanto l’odio che provi per tutto il genere umano, Era! Lo stesso che covi da secoli, da quando, incapace di accettare il tradimento del tuo sposo, hai esternato il rancore per il fallimento del tuo amore su tutto il genere umano, divenendo una Divinità crudele e vendicativa, dedita soltanto alla distruzione!" –Commentò Ercole, per niente intimidito.

Solo allora, volgendo lo sguardo verso sinistra, Ercole si accorse di tre figure, vestite di abiti neri, che filavano in silenzio, ognuna sul suo sgabello, sotto un arazzo ormai in decomposizione. Il Dio dell’Onestà trasalì, riconoscendo le tre donne, e in quel momento Atropo tagliò con lucide cesoie un filo che teneva tra le mani. Ercole, terrorizzato, sollevò lo sguardo sull’arazzo, che si sfaldò ulteriormente, lasciando soltanto una ventina di simboli disposti disordinatamente attorno ad un emblema che il Dio conosceva bene, essendo quello che aveva adottato secoli addietro: una clava cinta da una corona d’alloro, simbolo di forza e di vittoria. I simboli che rimanevano, che ancora potevano essere osservati, erano la Renna, il Camoscio, il Serpente, l’Orso, la Strega, la Piovra, il Calamaro, il Cancro, la Razza, lo Scoiattolo, il Pesce Rombo, lo Specchio, la Spada, la Nave di Argo, il Ciclope, il Centauro, la Balestra, il Pittore e Anteus, affiancati da quelli del Quetzal, della Rosa e del Pesce Soldato, che parevano disgregarsi da un momento all’altro.

"Cosa stai facendo?!" –Gridò Ercole, fulminando Era con uno sguardo di fuoco.

"Assisto alla fine del mondo che hai creduto di creare!" –Rispose la Dea, sollevandosi in piedi, in cima alla scalinata, ricoperta dalla sua Veste Divina. –"Tu non sei un Dio, Ercole! Hai rinunciato ad esserlo molti secoli fa, prima ancora di lasciare l’Olimpo e vagare solitario per le selve della Tessaglia alla ricerca di chissà quale verità! No! Tu non lo sei mai stato, per quanto il sangue del mio fratello e sposo scorra dentro di te, e quindi non possiedi il diritto della creazione che è insito nella natura divina!"

"Cosa vuoi che m’importi Era della natura divina o dell’essere un Dio! Non ho mai chiesto di esserlo!" –Tuonò Ercole, reggendo lo sguardo della Dea. –"Che ti piaccia o meno, che tu voglia accettarlo oppure dimenticarlo, io sono figlio di Zeus! Figlio del Dio che ha scelto il grembo di mia madre per generarmi! Ercole, figlio di Zeus e Alcmena, e Dio dell’Onestà!"

A tali parole la Dea volse il palmo della mano destra verso Ercole, furibonda nell’udire la verità che tanto detestava e che mai avrebbe accettato, e liberò una violenta onda di energia, per schiacciare il Dio a terra, senza comunque riuscire a piegarlo. Le gambe ben salde sul pavimento e la determinazione che lo sorreggeva, alimentata dallo spirito dei compagni e dei fratelli caduti, permise ad Ercole di resistere, ergendosi ancora in piedi, con la clava in mano, pronto a dare battaglia. Ma prima che potesse rispondere, un’evanescente figura comparve di fronte a lui, dandogli le spalle e incamminandosi verso la scalinata di marmo, alla fine della quale si inginocchiò. Ercole sgranò gli occhi, riconoscendo Penelope del Serpente, la sua fida Consigliera. Per un attimo si chiese come avesse potuto restare nascosta al suo fianco per tutto quel tempo, senza che egli se ne accorgesse, o forse senza che neppure Era se ne rendesse conto, a giudicare dalla faccia sorpresa a cui si abbandonò. Ma poi il Dio ricordò che era nei poteri di Penelope divenire così evanescente, così fatua, come polvere nel vento, da risultare impercettibile.

"Divina Era, Signora dell’Olimpo!" –Esordì Penelope, in ginocchio ai piedi della scalinata. –"Vengo da voi per chiedervi un favore, un’opera che voi soltanto, Grande Dea Madre, potete compiere!" –Esclamò, stupendo sia Era che Ercole, preoccupato per una possibile ritorsione da parte della Dea. –"Divina Era, rinunciate a questa guerra! Rinunciate a combattere contro il mio Signore, che da secoli torturate invano, impedendo a lui e anche a voi di godere pienamente della felicità della vita!"

"Come osi?!" –Tuonò Era, sollevando il braccio carico di energia cosmica. Ma Penelope non si arrese, alzando lo sguardo verso di lei e togliendosi la maschera d’oro bianco che le copriva il volto, rivelando due occhi color nocciola, due occhi che parevano scaturire dal cuore della terra.

"Non vorreste poter vivere in pace, senza guerre né invidie logoranti che inquinano la vostra anima? Non vorreste un’epoca in cui gli uomini possano finalmente sorridere, alzando lo sguardo verso il cielo e ringraziare gli Dei per i favori che hanno loro concesso, anziché maledirli per le privazioni o le mancanze, o per le devastazioni che hanno operato, sia in prima persona, sia per mezzo delle forze della natura che gli Dei controllano?!" –Continuò Penelope, con voce flemmatica. –"Io so che voi potete farlo, perché in fondo al cuore lo desiderate realmente!" –Aggiunse, stupendo la Dea per tale affermazione, che, in tutta risposta, la travolse con una potente onda di energia, scaraventandola a terra e spaccandole la maschera.

Ercole fu subito su di lei, per aiutarla a rialzarsi, ma la donna lo allontanò con un gesto garbato, continuando a dirigere ad Era le sue preghiere, incurante del dolore e del disinteresse apparente della Dea.

"Ascoltatemi, Divina Era! So che potete contribuire ad un mondo di tale sorta, poiché è nella vostra natura, buona e misericordiosa! Io non credo che voi siate una Dea malvagia e crudele, ma soltanto una donna che tanto ha sofferto!" –Affermò Penelope, con candida sincerità. –"Una Divinità che sovrintende alle forze della natura, che ha il potere di far spuntare orgogliose messi e rendere fertili i terreni, che è venerata da popoli in tutto il Mediterraneo, come Dea degli Armenti, come Signora della Fertilità, come Dea dalle bianche braccia o dagli splendidi capelli, non può essere malvagia!"

"Quel tempo a cui fai riferimento, Hero del Serpente, è ormai trascorso! Gli uomini, che nel Mondo Antico mi avevano tanto lodato, caricandomi di encomi e di epiteti che inneggiavano alle mie doti e alle attenzioni di cui li ricoprivo, mi hanno dimenticato, sostituendomi con nuove Divinità inferiori o locali e cancellando il ricordo dei frutti che avevo donato loro!" –Rispose la Dea, con una stretta di malinconia nel cuore.

"Gli uomini tendono sempre a dimenticare chi non si prende cura di loro, mia Signora!" –Esclamò Penelope, con decisione. –"Ma sono altrettanto propensi a ricordare chi li aiuta e cammina al loro fianco, come uno di loro!"

"Non vi è motivo per cui debba prendermi cura di quei cialtroni, di quella maledetta stirpe di esseri inferiori che mira soltanto al proprio soddisfacimento personale!" –Tuonò Era, infiammandosi. –"Sono atei, sono ignoranti, sono dei traditori! Come il Dio che ti ha addestrato, rinchiudendoti nella sua gabbia dorata per servire ai suoi interessi!"

"Voi sbagliate!" –Esclamò Penelope, avanzando verso la scalinata, ma Era non le diede più possibilità di parlare, travolgendola con una poderosa onda di energia cosmica. Ercole, a tale vista, si gettò su Penelope, proteggendola con il suo corpo e offrendo la schiena all’attacco della Dea, che raggiunse entrambi, scaraventandoli lontano, fino a farli ruzzolare sul freddo pavimento. Subito, Ercole si rimise in piedi, bruciando il proprio cosmo e concentrandolo sulla clava, muovendola con un gesto brusco fino a generare un fendente di energia che scavò il pavimento e la scalinata, abbattendosi in un secondo sul trono della Regina dell’Olimpo, che fu svelta a spostarsi di lato, perdendo soltanto un ciuffo di capelli. Rabbiosa, Era si lanciò in alto, tuffandosi sul Dio, ed Ercole fece altrettanto, scontrandosi a mezz’aria con la Signora di Samo e liberando una violenta esplosione di energia, che scaraventò indietro entrambi, facendoli schiantare a terra.

Dopo quel breve scontro, l’intera cella versava già in uno stato rovinoso, con il pavimento, la scalinata e il muro dietro al trono squassati dall’impeto dei cosmi che si scontravano tra loro. Ercole ed Era si misero nuovamente in piedi, lei in cima alla scalinata distrutta, lui al centro del salone, ma prima che potessero muoversi la voce decisa ma candida di Penelope li interruppe nuovamente, avanzando verso di loro.

"Divina Era! Ascoltatemi!" –Esclamò la Sacerdotessa del Serpente. –"Osservate il mio volto! È il volto di una donna che ha rinunciato alla sua femminilità per entrare a far parte di un mondo prettamente maschile, un mondo di soldati e guerrieri, di cui ho desiderato essere parte per condividere assieme ai miei compagni ideali e speranze. Adesso, faccio dono a voi di questo sentimento, mettendo a nudo la mia anima, e mi inginocchio per chiedervi di fermare questa guerra priva di ogni significato, questa guerra che potrebbe essere evitata se soltanto ci fermassimo a comprenderci maggiormente l’un l’altro!"

"Taci donna! Il tuo blaterale blasfemo offende le mie divine orecchie!" –La zittì Era, pronta per travolgerla ancora. Ma poi, fissando la Sacerdotessa negli occhi, trovò qualcosa in quello sguardo che le sembrava familiare. Qualcosa di suo, che aveva dimenticato anni addietro, chiudendolo in un cassetto della memoria. La fragilità di essere donna. In tutta la sua semplicità.

"Mia madre è stata una Sacerdotessa dedita al culto di Era!" –Confessò infine Penelope, stupendo lo stesso Ercole, che non ne era a conoscenza. –"Ad Argo, ove Didone ha dimorato negli ultimi secoli, è stata la fondatrice di un Tempio a voi dedicato, ove periodicamente venivano offerti doni in vostro onore, Hera Argeia, o Hera eukomos, come adorava chiamarvi, per risaltare lo splendore dei vostri capelli! Mia madre era una donna giusta e devota e non avrebbe mai servito o venerato una Divinità malvagia! Per questo motivo mi riesce difficile di credere che non vi sia purezza né volontà di essere felice nel vostro cuore!"

"Le tue chiacchiere da mercato mi hanno stufato, Sacerdotessa! Questo è stato il tuo ultimo sermone!" –Sentenziò Era, travolgendo Penelope con un violento attacco energetico, che scaraventò la donna indietro, frantumando la sua corazza e lasciandola ricadere a terra in una pozza di sangue. –"Se davvero tua madre era solita offrirmi doni, adesso io ho preso la tua vita, offerta in sacrificio in mio onore, per compensare le colpe del tuo Signore che ha osato offendermi!"

"L’unica persona che ha una colpa, qua tra noi, sei tu, Era! E la tua colpa è quella di non riuscire ad accettare il corso degli eventi, di non essere in grado di percepire il mutare del vento, aggrappata, quasi fossilizzata, alle tue idee e a sentimenti vecchi di secoli!" –Tuonò Ercole, sollevando la Clava e caricandola del suo cosmo Divino. –"Non hai mai perdonato Zeus per avermi generato con un’altra donna e per questo motivo odi l’intero genere umano, che io sempre ho difeso!"

"E per cui adesso morrai!" –Esclamò Era, sollevando le braccia al cielo, recitando un antico rito, mentre tutto il suo cosmo scivolava lungo la terza cella, abbracciando Ercole e impedendogli di muoversi. –"Ceneri del Tempo! A voi affido l’alto incarico di far strage dell’uomo che osò sfidare gli Dei, pretendendo di ergersi al di sopra di essi!" –Gridò, mentre una luccicante polvere di stelle avvolse il Dio dell’Onestà, fermando i suoi movimenti e provocando in lui una profonda sonnolenza. Ercole cercò di reagire, agitando la clava e le braccia per cacciar via quel torpore innaturale che lo stava sopraffacendo. Ma fallì, crollando a terra, lentamente ricoperto dalle ceneri del tempo, dalle ceneri della vita che aveva vissuto fino ad allora. Prima di chiudere gli occhi, tirò uno sguardo verso l’arazzo appeso al muro e vide che i simboli del Calamaro, dello Scoiattolo e della Razza erano scomparsi.

"Mio Signore!" –Singhiozzò Penelope, cercando di rialzarsi. Ma le dolevano così tanto le ossa, da non riuscire neppure ad appoggiarsi sulle braccia. Era, dall’alto della scalinata, decise di mettere fine alla sua agonia, dirigendole contro una violenta onda di luce, che però non la raggiunse, venendo deviata da una barriera di forma sferica, completamente avvolta da ruggenti fiamme. –"Chi siete?!" –Domandò la Dea, alla vista di quattro Heroes appena entrati nella cella per difendere la loro compagna.

"Sono Chirone del Centauro, Comandante della Sesta Legione!" –Si presentò l’uomo, affiancato da Druso di Anteus, Diomede della Balestra e da Aureliano del Pittore. Quindi lanciò uno sguardo verso il Dio disteso in terra, ricoperto da quella polvere luccicante, e intuì che fosse prigioniero di un’illusione generata da Era. Così, mentre Diomede, Druso e Aureliano si lanciavano avanti, dirigendosi verso la Regina dell’Olimpo da tre direzioni diverse, Chirone si chinò su Penelope, pregandola di essere forte e rimettersi in piedi, poiché era l’unica, con i suoi poteri, in grado di sondare l’animo di Ercole per capire cosa Era avesse provocato in lui e per poterlo riportare lì, assieme a loro. –"È tempo che ognuno affronti il suo destino a testa alta!" –Commentò Chirone, rialzandosi e volgendo lo sguardo verso i suoi compagni, tutti e tre respinti nello stesso istante da una violenta onda di energia della Dea. I quattro Heroes avevano lasciato poco prima Marcantonio dello Specchio ad affrontare Argo nella seconda cella, non per codardia, ma per la fiducia che nutrivano nel Comandante della Legione d’Onore e per la necessità di correre in aiuto di Ercole contro Era. Prima di uscire dalla cella infatti Chirone si era voltato un’ultima volta verso il suo parigrado, facendogli un cenno d’intesa. E in quello sguardo complice, forse per la prima volta, i due si erano lasciati un messaggio.

Approfittando di quell’istante, in cui Era abbassò le braccia, dopo aver sbattuto a terra Druso, Diomede e Aureliano, Chirone accese il suo cosmo infuocato, lanciandosi contro la Dea sotto forma di una violenta sfera infuocata, avvolta da turbinanti fiamme di ardore. Ma la Dea, anziché evitarla, lasciò che sfrecciasse contro di lei, fermandola con il suo immenso cosmo a pochi centimetri dal corpo e penetrandola con la sua energia, in modo da sovrastare le fiamme del Centauro e far ardere Chirone nel suo stesso inferno.

"Aaargh!" –Gridò il Comandante della Legione Furiosa, intrappolato nella sua stessa sfera protettiva e stritolato dal divino cosmo di Era. –"Comandante!!!" –Urlarono Druso, Diomede e Aureliano, rimettendosi in piedi e scattando verso la Dea. –"Tu sia maledetta, Era! Frecce di Diomede, trafiggetela!" –Esclamò Diomede, scagliando contro Era una fitta pioggia di dardi incandescenti, che la Dea deviò soltanto volgendo loro il palmo, rimandandole indietro e osservandole con soddisfazione piantarsi nei corpi di Diomede e di Aureliano, distruggendo le loro corazze e prostrandoli a terra, feriti e ansimanti. Soltanto Druso di Anteus, il fabbro di Tirinto, rimase in piedi alla base della scalinata distrutta, ad osservare il proprio Comandante ardere nella sfera di fuoco da lui stesso generata, sospeso, grazie al potere di Era, a pochi metri da terra, di fronte allo sguardo divertito della Dea. Allora, carico di rabbia ma anche di volontà di correre in suo aiuto, Druso sollevò la sua arma da battaglia, un falcetto dalla lama ricurva, e lo lanciò contro Era, moltiplicandolo in centinaia di illusorie copie, sì da disorientarla. Ma la Dea non ebbe problemi a sbarazzarsi di tutte le armi, annientandole con un’abbagliante esplosione di luce, che scaraventò indietro anche il Comandante della Sesta Legione, schiantandolo nel pavimento distrutto della terza cella, poco distante dai suoi due compagni. Soltanto all’ultimo istante, Era si accorse che ne mancava uno, Druso di Anteus, che spuntò proprio di fronte a lei, con un martello di puro cosmo in mano.

"Cadi! Strega!!!" –Gridò Druso, calando il martello di cosmo su Era, la quale, per niente impressionata, si limitò a scaraventarlo via con un gesto della mano, facendolo schiantare sul muro anteriore della cella e ricadere a terra, con la corazza gravemente danneggiata.

"Di nient’altro siete capaci, stupidi umani? Soltanto di agitare i pugni contro il cielo, per maledire un’eternità a cui non sarete mai in grado di giungere?!" –Li derise Era, osservando la disfatta degli Heroes di fronte a lei. Ma prima che potesse dare loro il colpo di grazia, dovette ammirare Chirone del Centauro, ustionato da profonde ferite, rimettersi in piedi, presto seguito da Diomede e Aureliano, incuranti delle grida di dolore dei loro corpi stanchi.

"Puoi dire di noi ciò che vuoi!" –Esordì Chirone, bruciando il suo cosmo. –"Che siamo dei deboli, che siamo dei mortali, che siamo dei peccatori! Accetteremo ogni infamia di cui vorrai macchiare la nostra anima! Ma non si dica che siamo dei vigliacchi o dei rinunciatari, poiché non è nella nostra natura! Nessun indolente avrebbe mai scalato il colle di Samo! Nessun indolente avrebbe mai avuto il coraggio di marciare con le sue legioni verso una morte certa! Ma noi siamo qua, di fronte a te, a sfidare il destino che vuole farsi beffe di noi!" –Aggiunse Chirone, con un sorriso soddisfatto sulle labbra. –"Un tempo, ostinato e cocciuto, avrei sostenuto che avremmo certamente vinto il destino, che lo avremmo piegato a noi, come i guerrieri sconfitti nelle tante campagne combattute a fianco di mio fratello! Adesso, forse più maturo, forse più realista, ammetto che non sempre la vittoria può arridere in battaglia, soprattutto se si affronta una Divinità che a nient’altro anela se non alla distruzione dell’intero universo degli uomini! Ma questo non significa che ci fermeremo o che arretreremo di un passo! Avanti! Heroes! Per la guerra o per la morte, fino alla fine del mondo!!!" –Ringhiò Chirone, espandendo al massimo il suo cosmo e liberando il suo potere, capace di ricreare la lava colante dai vulcani in eruzione. –"Magma ardente!" –E diresse verso Era fiotti di magma allo stato fuso, che colarono sulla scalinata, zampillando sulle mura attorno, incenerendo tutto ciò che incontravano nel loro cammino.

La Dea cercò di contrastare tale immensa esplosione lavica con il suo cosmo, creando una barriera energetica con cui preservare lo spazio al di sopra della scalinata, dove lei stessa si ergeva, ma ben presto si rese conto che la pressione di quella massa di magma ardente era insopportabile e che la temperatura che era capace di raggiungere superava le sue previsioni. Così abbassò la sua barriera protettiva, chiudendola come un guscio attorno a sé, mentre l’ardente magma di Chirone la travolgeva, invadendo tutto lo spazio del palco e spingendo con forza contro le mura esterne, scuotendole e facendole vibrare, prima di solidificarsi. Con interesse, Chirone osservò la distesa di magma compattato di fronte a sé, simile al versante di un piccolo vulcano, che ancora fumava dalla furia del suo assalto, mentre Diomede e Aureliano aiutavano Druso a rialzarsi. Un rumore improvviso spezzò il silenzio di quel momento, seguito da una violenta esplosione di luce che distrusse il solido strato di magma, rivelando la figura di Era, Regina dell’Olimpo, completamente circondata da una sfera di energia cosmica, il guscio che l’aveva protetta dal magma ardente di Chirone.

"Non ne sono affatto sorpreso!" –Commentò Chirone, avvolgendo il suo corpo in una sfera infuocata e lanciandosi avanti, fino a schiantarsi contro la cupola che proteggeva Era, scaraventando con violenza la Dea contro il muro retrostante. –"Vogliate scusarmi…" –Ironizzò il Comandante. –"Ma io non sono delicato come i miei compagni! No! Quando ho un nemico di fronte, che sia uomo o donna, mortale o Dio, lo affronto comunque, a testa alta! E non esito a riempirlo di pugni!" –Aggiunse, portando il braccio destro avanti, per colpire la Dea con un destro diretto. Ma Era, ripresasi dalla velocità dell’assalto, fermò il pugno dell’Hero del Centauro semplicemente aprendo il palmo della mano e lasciando che la sua energia cosmica lo avvolgesse, prima di scaraventarlo via, facendolo rotolare sul suo stesso magma solidificato. Diomede e Aureliano intervennero immediatamente in soccorso del proprio Comandante, ma l’Hero della Balestra non fece in tempo ad incoccare un paio di frecce che vennero raggiunti da una violenta onda di energia, generata da Era, che li investì in pieno, disintegrando le loro corazze e lasciandoli stramazzare al suolo, privi ormai di vita.

"Hai visto, Comandante?!" –Esclamò fiera la Regina dell’Olimpo, camminando sul magma solidificato di Chirone. –"Non sarete vigliacchi, forse, ma siete comunque degli sconfitti!" –Aggiunse, sollevando Chirone e Druso con la sola forza del pensiero e portandoli di fronte a sé, pronta per annientarli con un’ultima onda di luce. Ma mentre stava per sollevare un nuovo frangente di energia, sentì un immenso calore liberarsi vicino a lei. Sconvolta, assistette all’esplosione del cosmo del Centauro, che il Comandante della Legione Furiosa portò al suo culmine, riversandolo all’esterno sotto forma di violenti lapilli infuocati, simili a pioggia di lava che dal cielo cadeva, distruggendo e fondendo tutto ciò su cui precipitava.

"Lapilli di lava!" –Gridò Chirone, dirigendo i violenti schizzi di magma contro Era, la quale dovette muoversi all’indietro con enorme rapidità per evitare la fitta pioggia che cadeva su di lei, distruggendo il terreno, sciogliendo il magma solidificato in precedenza e disintegrando le pareti laterali della cella fino a creare una vasta apertura sul muro retrostante. Da essa il magma fondente prese a colare fuori, riversandosi sulla pianura dietro il Tempio di Era e estirpando i bei giardini che la ornavano. –"Magma ardente!!!" –Esclamò il Comandante della Sesta Legione, portando avanti entrambe le braccia, da cui diresse violenti getti di massa lavica contro la Regina degli Dei, che si difese sollevando una cupola di energia, simile alla bolla che l’aveva protetta in precedenza, prima di spingerla con vigore contro Chirone, usandola come scudo per sfondare le difese dell’Hero e spingerlo indietro.

"Così irritante!" –Commentò la Dea, lanciandosi in alto e piombando come un fulmine sul Comandante della Sesta Legione. –"Così irritante e umano appari ai miei occhi, come ho sempre visto Ercole a cui tanto somigli!" –Aggiunse, scatenando la furia del suo assalto su Chirone, che si difese avvolgendo il suo corpo in una sfera incandescente, rannicchiandosi su se stesso e costretto a posare un ginocchio a terra, per sopportare il peso di quell’attacco che veniva dall’alto. Nonostante la violenza e la ferocia che Era stava riversando su di lui, Chirone non poté fare a meno di sorridere, poiché le parole che la Dea gli aveva rivolto erano le stesse che avrebbe sempre voluto sentirsi dire. Forse da Ercole stesso. –"Muori!!!" –Gridò Era, travolgendolo con una devastante onda di energia, che distrusse la sfera infuocata dell’Hero, scaraventandolo a terra e crepando la sua corazza. Quindi Era gli si avvicinò, concentrando il cosmo sul palmo della mano destra, pronta per calarla su di lui e disintegrarlo, ma quando si mosse per colpirlo si accorse di essere paralizzata, di non riuscire più ad abbassare il braccio o ad azionare qualsiasi altro muscolo. –"Che succede?" –Mormorò stizzita la Dea, chiedendosi di quali altri poteri fosse dotato l’Hero del Centauro. Ma quando comprese che non era stato lui a paralizzarla, immobile e sanguinante ai suoi piedi, era già troppo tardi. La cavernosa voce di Nestore dell’Orso l’aveva già raggiunta.

"Ruggito dell’Orso Bruno!" –Tuonò il Comandante della Quarta Legione, investendo in pieno la Dea del Matrimonio e scaraventandola lontano. Nestore fu subito su Chirone, seguito da Polissena della Strega, per aiutarlo a rimettersi in piedi.

"Non avrei mai creduto che un giorno sarei stato contento di vederti, bestione!" –Commentò Chirone, osservando Nestore, in piedi vicino a lui, con l’armatura ammaccata e numerosi tagli sul viso e sul corpo.

"Potrei dire lo stesso di te, Chirone! Ma sono felice che tu sia sano e salvo!" –Affermò Nestore, osservando lo sfacelo attorno a loro. Il Dio dell’Onestà giaceva riverso a terra, sprofondato in un misterioso sonno, guardato a vista da Penelope del Serpente, priva della maschera d’oro bianco e piena di ferite sul corpo, protetti entrambi da una gabbia quasi metallica che li sovrastava, mentre Druso di Anteus ansimava vicino al suo Comandante. Poco distante, i corpi senza vita di Diomede e Aureliano erano stati raggiunti da lapilli infuocati e avevano iniziato ad ardere. Soltanto le Moire erano ancora al loro posto, intente a filare e a disfare l’arazzo con gli emblemi degli Heroes, costellato ormai da soltanto quattordici simboli.

"La gabbia che protegge Ercole e Penelope è opera di Druso, realizzata con il frammento di Glory della sua Armatura! È impenetrabile! È la protezione migliore per difendere entrambi il tempo necessario affinché Penelope riesca a risvegliare Ercole dal sonno innaturale che Era le ha provocato!" –Commentò Chirone, e Nestore annuì con il capo, prima che la strillante voce di Era li richiamasse entrambi.

"Non è un semplice sonno!" –Spiegò la Dea, ergendosi in cima alla piccola montagna di magma e detriti. –"È un incubo casomai! Ah ah ah! Sono spiacente ma ho la netta impressione che non sentiremo più parlare di Ercole né degli Heroes, per molto tempo a venire!"

"Cosa gli hai fatto strega?!" –Ringhiò Nestore dell’Orso, ma Chirone lo pregò di controllarsi, poiché la rabbia li avrebbe soltanto resi più vulnerabili.

"Gli ho offerto un’opportunità unica! Qualcosa che nessuno di voi, stupidi mortali, avrebbe mai potuto donargli! La possibilità di cambiare il suo passato, facendo strage di vecchi rimpianti e abbandonandosi ai piaceri della vita, ritrovando l’abbraccio dell’unica donna che il vostro amato Ercole abbia mai amato!" –Spiegò Era.

"Vuoi dire… Deianira?!" –Balbettò Nestore, non capendo il piano della Dea.

"Precisamente! La donna che Ercole tanto amò ma da cui fu involontariamente condannato! Dopo che il vostro amato Dio ebbe indossato la pelle del centauro Nesso, iniziò a sentire violenti dolori che lo condussero alla morte, sul monte Eta! Venne però salvato da Zeus che lo elevò dal rango di uomo mortale a quello di Dio, concedendogli un posto sul Monte Sacro, privilegio fino a quel momento riservato alle creature di origine divina! Dall’alto dell’Olimpo, Ercole ha trascorso secoli a sospirare, ricordando l’amore perduto della bella Deianira! E quando un giorno, voi lo saprete certamente bene, decise di scendere nuovamente sulla Terra, lo fece sapendo che non l’avrebbe mai trovata, poiché la donna era morta secoli prima, versando tutte le sue lacrime sulla Lama degli Spiriti! Perciò…" –Tuonò Era, forte del maleficio a cui si era abbandonata. –"Se Ercole non avesse mai indossato quel mantello, ma fosse rimasto con Deianira, stufo come era a quel tempo di guerre e di imprese, di leggende e di mostri da affrontare, avrebbe vissuto una lunga vita al suo fianco, dimenticandosi dell’Olimpo e degli Dei e concentrandosi soltanto su se stesso! Così facendo non sarebbe mai divenuto una leggenda, né gli uomini avrebbero visto in lui un modello da imitare, poiché nient’altro aveva ottenuto se non una donna e un caldo focolare! La Lama degli Spiriti non sarebbe mai stata forgiata e il presente in cui avete vissuto, riuniti alla corte di Tirinto, non avrebbe mai avuto luogo! Applaudite, stolti, il piano perfetto della Regina dell’Olimpo! È l’ultimo gesto di cui vi lascio padroni prima di cancellare dalla faccia della Terra la vostra ridicola presenza!" –Esclamò Era, bruciando il suo cosmo divino. –"Sarebbe sufficiente aspettare, per vedervi scomparire, cancellati da un futuro che non è mai esistito! Ma per l’ardore che avete dimostrato, per le offese che avete osato recarmi, sarò io stessa a togliervi per sempre dalla storia! Ora!" –Gridò, generando un’immensa onda di energia, che si abbatté con foga contro i quattro Heroes riuniti tra di loro, che cercarono di contrastarla portando le mani avanti e unendo i loro cosmi.

Druso e Polissena vennero scaraventati via poco dopo, schiantandosi contro le pareti retrostanti, tra i frammenti insanguinati delle loro corazze, mentre Chirone e Nestore cercarono di resistere, di opporsi a quel potere devastante che pareva distruggere ogni cosa. Il magma solidificato, la scalinata, i corpi di Diomede e Aureliano, persino il soffitto e le mura laterali vennero inghiottiti all’interno di quell’onda annientatrice. I due Comandanti, che per tanto tempo si erano scherniti a vicenda, gareggiando per entrare nel cuore di Ercole, unirono i loro cosmi, dirigendo contro Era i loro assalti finali. Alle spalle di Nestore apparve l’imponente sagoma di un immenso Orso Kodiak, mentre l’Hero liberava il suo colpo segreto, subito imitato da Chirone, che sollevò le mani verso l’alto, assumendo la forma di un vulcano in procinto di eruttare. Lapilli di lava parvero cadere dal cielo, penetrando l’onda di energia prodotta da Era, traforandola e aprendo la strada alla devastante furia dell’Orso Bruno, che generò una potente esplosione che distrusse l’intero Tempio di Samo.

Il primo a liberarsi dai detriti che erano crollati su di lui fu Nestore dell’Orso, il quale, tossendo per la polvere e lo sforzo, si fece strada tra le macerie dell’Heraion, guardando lo sfacelo attorno a lui. Della terza cella restavano soltanto pezzi del muro settentrionale, ai piedi del quale le Moire continuavano imperterrite a filare i fili della vita, e di quello occidentale, mentre a oriente tutto era crollato, rivelando una pianeggiante distesa, un tempo coperta di fiori di giglio, e un cielo plumbeo che sovrastava tutti loro in un rigoroso silenzio, rotto soltanto dai rumori provocati dai superstiti che cercavano di emergere dalle macerie crollate. Chirone del Centauro apparve poco distante, con l’armatura crepata e un occhio che perdeva sangue, mentre Druso e Polissena, ansimando, riuscirono a liberarsi dai detriti franati su di loro. Di Era, apparentemente, non vi era alcuna traccia. Ma sia Nestore che Chirone convennero che gioire avrebbe significato soltanto un’apparente facile vittoria. Un attimo più tardi infatti, una bomba di luce esplose una decina di metri avanti, scagliando via mucchi di pietra e di magma solidificato e rivelando la snella sagoma di Era ergersi dirimpetto a loro, con determinazione e senso di superiorità negli occhi.

"Avete provato ma avete fallito!" –Commentò la Dea, osservando con dispiacere il tempio che aveva ricostruito soltanto il giorno prima. –"Userò il vostro sangue per lucidare le colonne del nuovo Heraion!" –Aggiunse, volgendo il palmo della mano verso di loro e schiacciandoli a terra, con una forte pressione psichica. Nestore e Chirone crollarono sul terreno, boccheggiando a fatica, quasi come sentissero l’aria venire meno, pressati al suolo da un potere che faceva scricchiolare tutte le loro ossa.

"Questa pressione… è allucinante!" –Gridò Nestore, mentre la sua corazza si schiantava in più punti.

"Resisti, stupido bestione!" –Commentò Chirone, bruciando il proprio cosmo. –"Non vorrai farti uccidere proprio adesso, che sei ad un punto dall’aiutare Ercole e combattere al suo fianco come hai sempre desiderato!"

"Quel desiderio dovrebbe essere anche il tuo, Chirone, come Hero di Ercole!" –Brontolò Nestore, stringendo i denti e bruciando il proprio cosmo.

"Credo che in fondo tu lo meriti più di me!" –Esclamò Chirone, abbandonandosi per la prima volta ad un sorriso, che sorprese Nestore, lasciandolo in silenzio ad osservare gli sforzi del Comandante della Sesta Legione che, con molta fatica, riuscì a risollevarsi in piedi, prima poggiando un ginocchio e poi alzandosi completamente, avvolto nel suo cosmo incandescente. –"È strano! Non avrei mai pensato di dover morire fianco a fianco con l’uomo che ho detestato più di ogni altro in questi anni di permanenza a Tirinto! Ma forse, tutta quest’invidia che provavo per te, era nata solo dal fatto che eravamo simili, provavamo lo stesso ardore, lo stesso desiderio di servire Ercole, sia pure con modalità diverse! Io, da sempre, sono stato un individualista, un uomo solo, cresciuto con i valori che mio padre, un soldato figlio di una generazione di soldati, è stato capace di trasmettermi! Valori come l’onore, la tenacia, la determinazione a non arrendersi anche a costo di camminare nel fango, valori di uomini soli, di individui, i cui unici legami erano legami di cameratismo, di unione militare! Soltanto adesso, dopo anni trascorsi a Tirinto, dopo anni in cui ho logorato me stesso per impormi di essere sempre migliore e sempre all’altezza della situazione, per conquistare le onorificenze di Ercole, mi accorgo che quel legame che ti ha sempre unito ai tuoi compagni della Quarta Legione, e agli altri Heroes, era ben diverso da quello che legava me e i miei guerrieri! Il nostro era cameratismo, il tuo era amicizia!" –Spiegò Chirone, espandendo al massimo il cosmo e concentrandolo sulle mani, sotto forma di lava incandescente. –"È stato un onore per me combattere e morire a fianco di un compagno! A fianco di un amico, Comandante Nestore!" –Esclamò l’Hero del Centauro, liberando tutto il suo potere. –"Magma ardente!!!"

Era venne raggiunta dai caldi getti di lava del guerriero, che le cementificarono i piedi al terreno, iniziando a ricoprirla, ma prima che fosse interamente rivestita riuscì a sollevare le braccia al cielo e ad avvolgere Chirone con le sue pericolose ceneri. –"Ceneri del Tempo!" –Gridò la Dea, mentre l’Hero veniva sommerso dalla scintillante polvere. –"A te non darò la possibilità di tornare indietro, per poter rimediare a qualche errore commesso, per poter cambiare in meglio il futuro che hai avuto l’onore di vivere! Tutt’altro! Le Ceneri del Tempo porteranno via il tuo futuro, estirpandolo alla radice, facendo strage del tuo passato!" –Aggiunse Era, osservando con un ghigno sul volto le polveri che si posavano su Chirone, divorando la sua corazza e il suo corpo, che lentamente parve farsi sempre più evanescente, di fronte agli occhi sconvolti di Nestore dell’Orso.

"Chirone!!! Nooo!!!" –Gridò, e il suo ruggito risuonò sull’intera isola di Samo, tra le lacrime che gli scendevano sul viso. Quando si placò, crollando a terra sulle ginocchia, ormai libero dal potere di Era, notò con orrore che Chirone era scomparso, cancellato dalla storia come se mai fosse esistito.