CAPITOLO TRENTOTTESIMO: LE LACRIME DI ERCOLE

Era una bella giornata di sole quella che accompagnò il risveglio di Ercole, disteso sul morbido letto di piume della sua casa in Tessaglia. Il canto degli uccellini, sui rami degli alberi in giardino, richiamò la sua attenzione, obbligandolo a voltarsi e poi a sollevarsi, ancora assonnato, proprio mentre la sua dolce sposa entrava in camera senza fare troppo rumore. La donna depose un vassoio pieno di prelibatezze sul mobile accanto al letto e sedette vicino all’uomo di cui era innamorata. Era il suo eroe, prima ancora che di Euristeo e dei ricchi anfitrioni greci che spesso ardivano offrirgli qualche ricompensa per i suoi servigi. Lei era Deianira, figlia di Oineo, Re di Calidone, una città sul Golfo di Corinto. Ed era la sposa di Ercole, la sposa più felice che avesse mai incontrato.

I due innamorati trascorsero l’intera giornata sulle rive del fiume vicino, mangiando sui prati attorno e riposandosi sull’erba fresca, cullati dal vento. Distesi sul morbido velluto verde, Ercole stringeva Deianira a sé, la testa poggiata sul robusto petto scolpito, i capelli di lei che odoravano di fresche fragranze, capaci di inebriare i sensi e accendere la passione nello sposo. Sorrisero, scambiandosi baci e carezze, mentre Deianira felice ricordava l’eroica impresa con cui Ercole l’aveva conquistata. L’aveva vista un giorno passeggiare per le strade dell’acropoli di Calidone e subito l’aveva chiesta in sposa a Re Oineo, il quale aveva acconsentito a patto che Ercole sconfiggesse il Dio fluviale Acheloo, anch’egli promesso sposo alla principessa Deianira. Ercole sconfisse il Dio, che, vinto, gli cedette il diritto di sposare Deianira, donandogli un corno della capra Amaltea, ossia la cornucopia, simbolo di abbondanza.

Così Ercole l’aveva conquistata, strappandola ad un Dio animalesco per cingerla in un caldo abbraccio, tra le sue braccia robuste, che molti nemici avevano vinto e che sicurezza e protezione avrebbero potuto darle. Felice, Deianira aveva sorriso alla sua nuova vita, trasferendosi in Tessaglia col novello sposo e dandogli due figli: Abia e Illo. Adesso erano trascorsi vent’anni, durante i quali i due erano rimasti insieme, nella casa vicino al fiume, e i figli erano cresciuti ed erano andati a vivere nelle città del sud, Abia come Sacerdotessa della Dea Atena e Illo come guerriero nell’esercito di Atene. Ma loro erano ancora lì, uguali ad allora, identici al primo giorno in cui si erano incontrati, per le affollate vie dell’acropoli di Calidone, come se il tempo non li avesse scalfiti, come se il tempo per loro si fosse fermato, inquadrandoli in un momento della loro vita e lasciando che durasse per sempre.

Sdraiata sul petto di Ercole, Deianira osservava le nubi portate dal vento, bianche e leggere, e si divertiva nell’individuare le loro forme, vedendovi talvolta una farfalla, talvolta un cavallo, talvolta il viso di una persona conosciuta. Ercole sorrideva, carezzandole i capelli e lasciandosi inebriare dal suo profumo di donna, amandola come l’aveva amata per tutti quegli anni. D’un tratto, volse lo sguardo al cielo e lasciò che il vento lo cullasse, mentre le nuvole correvano via lontano. Nuvole bianche, nuvole leggere, nuvole improvvisamente rosse di sangue.

"Che succede?!" –Domandò Deianira, mentre Ercole si sollevava di scatto, ansimando a fatica e scansando la sposa. –"Ercole, mio adorato, cosa ti turba?!"

"Io..." –Balbettò per un momento l’uomo, incapace di trovare le parole per rispondere, incapace di spiegare qualcosa che neppure lui aveva ben chiaro cosa fosse. Come poteva mostrare alla donna che amava di aver visto una nuvola tinta di rosso nel cielo bianco di quel giorno? Una nuvola che somigliava ad un centauro. –"Sto bene!" –Mormorò, mentre Deianira lo abbracciava preoccupata. –"Sto bene! Si è trattato soltanto di un errore della vista, uno scherzo del sole!" –Sorrise, distendendosi nuovamente a fianco della sua donna.

I due continuarono ad osservare le nuvole per un’oretta, cullati dal vento e dal sole, prima che Deianira si addormentasse ed Ercole rimanesse da solo, con tutti i suoi pensieri. Per un momento provò la spiacevole sensazione di voltare lo sguardo e di non fissare più il cielo, impaurito da cosa avrebbe potuto trovarvi. Ma poi vinse tale repulsione, sollevando nuovamente gli occhi e trovandola ancora lì, quella maledetta nuvola rossa, quella maledetta nuvola tinta di sangue. Ercole tremò, rabbrividendo al sole, mentre la nuvola mutava forma, diventando un immenso centauro, un essere metà uomo e metà cavallo, che trottava su un fiume, molestando tutti coloro che tentavano di attraversarlo. Per un attimo, Ercole credette che il centauro si fosse voltato verso di lui e gli avesse sorriso, digrignando i lunghi denti sporchi, prima di correre via e lasciare che l’immagine cambiasse nuovamente, divenendo un fuoco, un’alta pira di fiamme, le cui cime parevano lambire il cielo. Vi fu un lampo e l’immagine svanì.

Deianira si svegliò poco dopo, incitando Ercole a seguirla fino a casa, dove iniziarono i preparativi per il pasto serale. Ma in tutto quel tempo, per quanto distratto dall’amore e dalla spensieratezza di Deianira, che spesso ad Ercole appariva ancora la stessa ragazzina di quando l’aveva incontrata la prima volta, l’uomo non riuscì a togliersi dalla mente l’immagine di quella nuvola. Stanco infine di pensarci, aiutò la compagna a preparare la cena, uscendo nel cortile a spaccare legna e gettandola poi nel fuoco. Non appena la legna iniziò ad ardere una sinuosa lingua di fuoco si allungò nell’intera stanza, spingendo Ercole indietro, di fronte agli occhi inorriditi di Deianira, che iniziò a urlare, mentre le fiamme volteggiavano attorno al corpo del marito.

"Aaah!!! Ercole!! Cosa succede? Cosa sono queste fiamme?!" –Strillò la donna, mentre Ercole, quasi incantato da quell’arcano rito, sembrava impassibile, incapace di muoversi. D’un tratto, veloci come erano apparse, le fiamme scomparvero, senza lasciare traccia alcuna, calando semplicemente di intensità. –"Cosa sta succedendo, Ercole? Quale maleficio tiene le redini di quest’agitazione?" –Ma l’uomo non seppe risponderle, limitandosi a baciarla in fronte e ad uscire dalla casa. Là, fuori dal felice nido d’amore in cui aveva vissuto per vent’anni, in cui si era cullato lontano dai problemi del mondo, dagli intrighi degli uomini e degli Dei, apparve una sagoma di donna, leggera ed eterea, quasi fosse composta di nebbia. Ercole rimase immobile, sulla soglia di casa, ad osservare la donna dai lunghi capelli arancioni avvicinarsi senza proferire parola. Quando gli fu vicino, la osservò togliersi la maschera di oro bianco che le copriva il volto e rivelarlo a lui, a cui voleva rivolgersi, senza riuscire però a raggiungerlo. Ercole inorridì, facendo un passo indietro, quando ritrovò, nel volto della sconosciuta, il viso che aveva fissato negli ultimi vent’anni. Quello della sua amata Deianira.

D’un tratto la scena cambiò e la donna, la casa, il paesaggio a lui noto vennero spazzati via, da un vento violento, carico di fiamme nere, prima che una pira di legna comparisse di fronte a lui. Una catasta sulla cima di un colle, che Ercole, guardandosi intorno, parve riconoscere come la sommità del monte Eta. Di fronte ad essa, alla pira che sembrava attendere l’agnello da offrire in sacrificio, due giovani piangevano lacrime amare, incapaci di trattenere i singhiozzi che mozzavano il loro cuore. Ercole, a passo lento, si avvicinò e non poté trattenere un grido nel riconoscere il suo amato figlio, Illo, e il nipote Iolao. Immediatamente Ercole fu su di loro, li chiamò, li scosse, ma questi sembravano non percepire assolutamente la sua presenza, quasi fosse fatua evanescenza, limitandosi a piangere, a continuare a piangere, incapaci di accendere quel rogo. E allora, in quel momento, mentre un fulmine si schiantava sulla catasta di legna, iniziando a bruciarla, Ercole comprese che non vi sarebbe stato alcun agnello da offrire in sacrificio. Soltanto un uomo. Lui.

A tratti, immagini confuse della sua vita iniziarono a scorrergli davanti, mentre si incamminava verso il fuoco che divorava ormai la pira di legna, immagini della vita che aveva vissuto in quei vent’anni con Deianira e immagini di una vita che non aveva vissuto, per quanto egli ne fosse stato il protagonista. Confuso, tenendosi la testa e gridando, lasciando che il suo ruggito risuonasse per tutta la vallata del monte Eta, Ercole salì sul rogo, mentre Illo e Iolao intonavano i lamenti funebri e Deianira apparve correndo nella nebbia, in lacrime, diretta verso di lui, per fermarlo.

"Ercoleeee!!!" –Gridava la donna, disperandosi per non poterlo raggiungere, poiché più correva più il destino pareva alimentare le fiamme che glielo avrebbero portato via. Le fiamme della realtà. –"Resta con me!!! Resta con me, Ercole!!!"

Mentre Ercole cominciava a bruciare, un tuono scosse l’intera valle e la lucente sagoma di Zeus, Dio del Fulmine, squarciò le nubi, posando il suo sguardo sul figlio che aveva avuto anni addietro da una mortale. Allungò una mano e lo trasse in salvo, conducendolo sull’Olimpo e elevandolo al rango di Divinità. Così, tra le grida di Deianira e i pianti del figlio, Ercole ascese all’Olimpo per la seconda volta. Accecato da tale bagliore, il Dio chiuse gli occhi e quando li riaprì si accorse di essere sulla sommità del colle dell’Isola di Samo, nel luogo ove fino a poco prima sorgeva il ricostruito Heraion di Era. Stordito, il Dio cercò di mettersi in piedi, ma una pacata voce di donna lo pregò di non affaticarsi, poiché era ancora troppo debole. Ercole si voltò e trovò il viso che le era parso di scambiare per la sua amata Deianira, il volto di Penelope del Serpente, Sacerdotessa della Quarta Legione.

"Bentornato, mio Signore!" –Sorrise Penelope, visibilmente affaticata. –"Non è stato facile richiamarvi dal mondo fatuo in cui Era aveva precipitato la vostra anima! Ho dovuto faticare parecchio per superare le difese del tempo e trovare l’isola felice in cui eravate precipitato!"

"L’isola felice?!" –Mormorò Ercole, cercando di rialzarsi. –"Il tuo volto?! Erano i tuoi segnali?!"

"Era voleva distruggere il vostro passato, facendone cenere con il suo potere e impedendovi di assurgere all’Olimpo come Divinità! In tal modo, continuando a vivere felice con Deianira, avreste dimenticato Zeus e gli uomini, non avreste mai fondato Tirinto e le Legioni di Heroes non sarebbero mai state costituite!" –Spiegò Penelope, pallida in volto. –"Raggiungervi è stato molto difficile… ho provato ad inviarvi qualche segnale, qualche riferimento a come la vostra vera vita avrebbe dovuto essere... Ho dovuto sforzarmi per superare le resistenze del vostro animo! Le resistenze di un uomo che, forse, avrebbe realmente voluto che la sua vita fosse stata diversa… magari migliore!" –Mormorò, prima di accasciarsi tra le braccia del Dio, che, sorridendo, la depose a terra con cura.

Perdonami, Penelope, se ti ho fatto penare! Commentò questi. E perdonatemi voi tutti, Heroes, per avervi lasciato da soli per così tanto tempo, ad affrontare un nemico infinitamente superiore! Ma ho avuto bisogno di un momento per me stesso! Il dono che mi hai fatto, Era, il dono con cui volevi togliermi dal presente e relegarmi in un angolo di passato fuori dai destini del mondo, sinceramente l’ho apprezzato! Perché per una volta ho potuto vedere la vita che mi sarebbe spettata se molte cose fossero andate diversamente, se non avessi mai combattuto con Nesso, o se Deianira non avesse accettato la pelle avvelenata del centauro, impaurita dalla prospettiva di perdermi per un’altra donna! Per una volta ho provato a vivere uno dei tanti "se" che mi hanno segnato la vita, assaporandolo veramente, come fosse il mio vero presente! Non cadrò nel tuo inganno! No, non rimpiangerò la vita che avrei potuto avere! Ma ti ringrazio per avermi dato la possibilità di prenderne parte, anche solo in un sogno! Si disse, incamminandosi verso l’esterno del crollato Heraion, ove i cosmi dei suoi Heroes e quello di Era si stavano scontrando apertamente.

Annientato Chirone del Centauro, il terzo Comandante a cadere dopo Tereo di Amanita e Adone dell’Uccello del Paradiso, Era aveva rivolto la sua ira celeste contro Nestore dell’Orso, travolgendolo con le sue devastanti onde di energia. In aiuto del Comandante della Quarta Legione però erano apparsi alti flutti spumeggianti, carichi di frizzante energia cosmica, che lo avevano sollevato, prima di abbattersi con vigore contro la Regina degli Dei, spazzandola momentaneamente via. Sopra di essi, Alcione della Piovra aveva sorriso al compagno, affiancata da Marcantonio dello Specchio e dalla Nave di Argo, guidata da Neottolemo del Vascello, che ospitava i corpi stanchi di Pasifae del Cancro e di Nesso del Pesce Soldato. Tutti gli Heroes erano finalmente riuniti e, per quanto deboli e stanchi fossero, adesso erano insieme.

"Da soli le nostre possibilità sono minime, ma insieme avremo certamente maggiori speranze di colpirla!" –Commentò Marcantonio, circondato da Alcione, Nestore, Neottolemo, Druso di Anteus e Polissena della Strega.

"Speranze?!" –Tuonò la Dea, sollevandosi nel cielo sopra di loro. –"Quali speranze può nutrire un gruppo di guerrieri mortali come voi? Stanchi, sporchi di fango e di vergogna, vi trascinate a fatica su questo sentiero dissestato, così simile alla vostra stessa esistenza! Un altro passo e il baratro dell’Inferno si aprirà sotto di voi e sarò io, Era, Regina dell’Olimpo, a precipitarvici!" –E sghignazzò, espandendo il suo cosmo.

"Così tanto disprezzo verso la razza umana è difficilmente comprensibile da chi ha avuto l’ardire di generare un figlio con un esponente di tale razza!" –Esclamò infine Nestore dell’Orso, avanzando di qualche passo, di fronte allo sguardo stupito di Alcione e degli altri Heroes, Polissena escluso, e a quello ancor più stordito, e decisamente irato, di Era. –"Nessun segreto è tale per l’eternità, Signora dell’Olimpo! Neppure quello che indica in Partenope del Melograno il vostro figlio!"

"Partenope?!" –Sgranarono gli occhi gli altri Heroes, completamente stupefatti, mentre Era, col volto acceso di collera, piombava come una saetta su Nestore, obbligando l’Hero a bruciare al massimo il suo cosmo per opporsi a quel violento assalto, che lo spinse comunque indietro di qualche metro, prima che un attacco congiunto degli altri compagni respingesse Era.

"Cosa ne sai tu, uomo, della mia vita privata?" –Domandò infine la Dea, atterrando a pochi metri di distanza dal gruppo.

"Tutto ciò che avete sempre cercato di tenere celato! Partenope, sotto l’effetto delle onde psichiche di Polissena, ci ha raccontato la vostra storia, Dea dell’Olimpo, il vostro recondito desiderio di voler conoscere un mondo, quello degli uomini, che avete per millenni disprezzato, trovandovi infine serenità e piacere!" –Rispose Nestore.

"Così tanto piacere da essere gettata via come un oggetto!" –Commentò amaramente Era. –"Come Zeus aveva fatto per tanti secoli sull’Olimpo, così, quel giorno di trent’anni fa, accadde di nuovo! E cosa mi ha insegnato questo? A odiare ulteriormente il vostro mondo, desiderandone ardentemente la distruzione! Sarà il divino fuoco purificatore del mio cosmo a portare una nuova epoca sulla vostra Terra! Un fuoco che farà strage di tutti i vostri errori!"

"Può accadere…" –Intervenne Alcione, facendosi avanti coraggiosamente e affiancando Nestore. –"Che gli uomini sbaglino! Come ha indubbiamente errato l’uomo che vi abbandonò, incinta di vostro figlio! Ma rientra nell’imperfezione del genere umano la possibilità di sbagliare, per imparare dagli errori commessi e spingersi a non ripeterli più!"

"L’uomo è troppo lento ad imparare! Anzi, io credo che l’uomo non sappia imparare! Tutt’altro! L’uomo è portato a ripetere i suoi errori, a perseverare diabolicamente negli sbagli e nel dolore esistenziale di cui il suo animo trabocca!" –Rispose Era, bruciando il suo cosmo. –"Ma guardatevi! Siete il residuo delle Legioni di Ercole, e pretendete di insegnare a me, la Regina dell’Olimpo, Grande Dea Madre, come comportarsi nei confronti di una razza che non merita sguardo alcuno se non lo sguardo che porrà termine al suo inutile barcamenarsi su quest’angolo di universo?! Patetici siete, e patetici morirete!!!" –Gridò Era, espandendo il proprio cosmo e generando un’immensa onda di luce, che diresse contro gli Heroes.

Marcantonio tentò subito di creare lo Specchio delle Stelle, ma la pressione del cosmo divino di Era lo mandò immediatamente in frantumi, mentre Nestore afferrava Alcione per portarla fuori dal distruttivo raggio di azione dell’attacco e Neottolemo riusciva a balzare indietro, assieme a Druso. Polissena, indebolito dall’enorme utilizzo dei suoi poteri mentali contro Partenope, non riuscì a schivarlo in tempo, venendo disintegrato sul colpo, di fronte agli occhi carichi di dolore e di lacrime degli altri compagni. Riuniti tra di loro, i cinque Heroes sopravvissuti bruciarono al massimo i loro cosmi, unendoli in un unico attacco.

Druso di Anteus, fabbro di Tirinto, utilizzò il potere del frammento di Glory, da lui custodito, per creare una gabbia protettiva, che calò sugli Heroes, sì da difenderli dal prossimo assalto della Dea. Una gabbia la cui resistenza era pari a quella della Veste Divina di Ercole. Nestore, Alcione, Marcantonio e Neottolemo diressero i loro colpi segreti verso Era, che dovette impegnarsi notevolmente per non essere spinta indietro da quella straordinaria offensiva, la cui impetuosa matrice era rinchiusa nell’amicizia che legava quegli uomini, nella volontà di difendere il loro Signore e tutto ciò che egli rappresentava, tutto ciò in cui loro stessi credevano e a cui avevano consacrato la loro esistenza: la speranza di un futuro. Qualcosa che Era non riusciva a comprendere, considerandola una bassezza, un sacrilego atto di offesa verso l’immutabilità dei destini umani fissati dagli Dei.

Lo scontro tra i due poteri spinse Era indietro di parecchi metri, finché la Dea non riuscì a respingere l’assalto, rivolgendolo contro gli stessi Heroes, protetti dalla gabbia di Glory, in cui Druso stava riversando tutto il suo potere. Imbestialita, con il volto straziato dall’offesa che sentiva essere recata alla sua persona, la Dea scatenò l’assalto più potente fino ad allora, scardinando le difese degli Heroes e spazzando via persino la gabbia costruita con il frammento di Glory, assieme ai cinque compagni che si schiantarono malamente a terra. Anche Era accusò comunque il colpo, pur senza barcollare né cadere al suolo, ansimando a fatica, e prima che potesse attaccare nuovamente, approfittando della momentanea debolezza degli Heroes, si trovò bloccata da lunghi e sinuosi rovi che sorsero improvvisamente dal terreno attorno a lei. Allungati fusti di spine, aridi e polverosi, si chiusero su Era, attorcigliandosi al suo corpo, per dilaniarne le membra e bere del suo sangue, come lei aveva goduto che il sangue degli Heroes venisse versato.

"Rovi di Spine!" –Esclamò Paride della Rosa, unico sopravvissuto della Legione dei Fiori, emergendo tra le macerie dell’Heraion, con l’Armatura danneggiata e numerosi lividi sul corpo. Era bruciò il proprio cosmo, liberandosi con una fiammata di quella miserabile prigionia, quindi sollevò il braccio destro, raccogliendovi l’energia cosmica per spazzar via quel ragazzetto dalla faccia della Terra, ma vicino al polso, nelle giunture della sua Veste Divina, si insinuò di colpo una manciata di piume, lunghe e affusolate, che presero istantaneamente fuoco, stridendo sulla sua corazza. Antioco del Quetzal balzò agilmente di fronte alla Regina dell’Olimpo, concentrando il cosmo ardente sulle braccia e liberando un attacco dalla forma simile a quella di un serpente di piume, avvolto dalle fiamme.

"Fuoco del Serpente Piumato!" –Gridò Antioco, mentre Era spostava le braccia di fronte a sé, volgendo il palmo avanti, per creare una barriera cosmica su cui si infranse l’assalto di Antioco, rimandandolo indietro e travolgendo il ragazzo. Ma proprio mentre la Signora di Samo mosse un passo avanti, per raggiungere l’Hero del Quetzal, un nugolo di frecce cariche di energia acquatica si piantò nel terreno di fronte a lei, obbligandola ad un balzo indietro, mentre il suolo esplodeva e Nesso del Pesce Soldato avanzava a fatica tra le macerie, avvicinandosi ai due giovani compagni.

"Cotanto giovanile ardore sarà sradicato sul nascere!" –Tuonò Era, volgendo il palmo della mano contro Paride, Antioco e Nesso e travolgendoli con un poderoso attacco energetico che distrusse quel che restava delle loro corazze, scaraventandoli a terra, pieni di tagli e ferite.

"Nesso!!!" –Gridò Alcione, alla vista del proprio compagno crollare al suolo inerme. Ma Marcantonio la trattenne per un braccio, pregandola di non perdere il controllo della situazione. Ciò che Era voleva infatti, che aveva sempre voluto, era ferirli nei sentimenti, al punto da logorare la loro calma e la loro coscienza in battaglia e renderli vulnerabili e sconfitti. Fu in quel momento che apparve nuovamente Ercole, sollevando la Clava e generando un fendente di energia che squarciò il terreno di magma solidificato, abbattendosi su Era e spingendola indietro, fino ad obbligarla a poggiare un ginocchio a terra per contenere la violenta pressione esercitata su di lei.

"Se i giochi sono ancora aperti, vorrei partecipare!" –Esclamò il Dio dell’Onestà, avvicinandosi ai suoi Heroes e ringraziandoli per tutto ciò che avevano fatto. Anche combattere per lui. –"Ho cercato di evitare fin troppo questa guerra, perché ogni volta in cui pensavo a lottare con te, Era, venivo rapito dai fantasmi del mio passato e trascinato addietro, in un’epoca in cui tanto male mi hai inferto, ostacolando continuamente ogni mia missione, cercando di rovinare ogni singolo momento di felicità che la vita pareva offrirmi! Quando mio Padre mi salvò dal rogo del Monte Eta, facendomi salire sull’Olimpo, credetti davvero che le nostre divergenze avessero termine! Ma mi sbagliai, continuando ad osservare il modo malfidato con cui mi guardavi, come fossi l’errore più grave che il tempo non riusciva a cancellare! Non mi hai mai offerto amore né comprensione, né mai ti sei sforzata di provarlo, accusando me per una colpa commessa da Zeus o da te, che non hai saputo dargli abbastanza amore per tenerlo a sé!"

"Taci, bifolco!" –Tuonò Era, ferita da quelle parole più che dal taglio di una lama. –"Tu rappresenti un errore! Ma non soltanto quello di Zeus, bensì l’errore di un’intera razza, la tua, che ha perso ogni diritto di vivere! Ade e mio figlio Ares, in questi millenni in cui hanno cercato di dominare la Terra, per sottometterla al loro dominio, non avevano poi motivazioni così sbagliate! Dopo tutto, non vi sono motivi per cui una razza così debole ed insignificante abbia il diritto di esistere!"

"Lo credi davvero? E allora perché hai dato un figlio proprio ad uno di loro? E perché provavi così tanta soddisfazione, quando, nel Mondo Antico, gli uomini di Samo e di Argo ti offrivano doni e sacrifici, per onorarti? Forse che quei doni non erani figli di una razza inutile e bastarda, inutili a loro volta? O forse la verità è un’altra, ed è la più semplice! Che la tua frustrata esistenza sull’Olimpo, di Dea e donna dimenticata, ha generato in te un così tanto odio, un’invidia così grande da voler l’annientamento di Tirinto, dei miei Heroes e di quel mondo di amore e felicità che sono riuscito a costruire negli anni, quel mondo che tu hai sempre anelato e mai ottenuto?!"

Era non rispose, concentrando il cosmo in un’immensa sfera energetica che diresse contro Ercole, il quale fu abile a colpirla con la Clava e a deviarla, venendo però spinto indietro dal violento contraccolpo. Fu un attimo, ma Era fu subito su di lui, scendendo dall’alto con le mani, a guisa di artigli, cariche della sua energia cosmica strapiena di rancore e di invidia. Afferrò il collo di Ercole, per soffocarlo, ma questi la spinse via con una ginocchiata in pieno petto, che fece ruzzolare la Dea sul terreno distrutto, prima che questa si rialzasse e fissasse l’eroe con occhi di bracia.

"Non sono riuscita a cambiare il tuo passato e forse mi merito questo fallimento! Perché sono stata troppo buona con te! Troppo accondiscendente! Darti la possibilità di vivere la vita che avresti voluto, anche se questo significava togliere dalla scena Tirinto e gli Heroes, sarebbe stato un premio anziché un tormento!" –Tuonò Era, evocando nuovamente le Ceneri del Tempo. –"Adesso, anziché cambiarlo, estirperò il tuo maledetto passato, riducendolo in cenereee!!!" –Gridò, dirigendo le lucenti polveri verso Ercole. Ma con un agile balzo Marcantonio si interpose tra il Dio e la Regina dell’Olimpo, aprendo le braccia e creando lo Specchio delle Stelle, su cui si depositarono le Ceneri del Tempo, venendo annientate sul momento da una violenta esplosione di luce. Quelle che si salvarono vennero travolte dagli alti flutti spumeggianti evocati da Alcione e poi diretti contro Era da Neottolemo del Vascello, che vi unì le proprie nubi, sì da creare due immense Ali del Mito che investirono in pieno la Dea. Per opporsi a tale pressione, Era generò una barriera cosmica, spingendo via l’immensa massa di acqua, aria ed energia, ma nel farlo offrì il lato sinistro a Nestore, che era già di fronte a lei, torreggiando come un orso sulla preda, pronto per travolgerla con il Ruggito dell’Orso Bruno.

Il colpo raggiunse Era su un fianco, spingendola indietro e facendola ruzzolare a terra, fino a perdere il polos, il copricapo che portava in testa. Quando si rialzò, la Dea fissò Nestore con ira e rancore, paralizzandolo con lo sguardo, prima di colpirlo con una sfera energetica che esplose su di lui, sollevandolo da terra e facendolo schiantare al suolo, con la corazza distrutta. Prima che Era potesse dargli il colpo di grazia, Ercole scattò avanti, roteando la Clava tra le mani e portandosi di fronte alla Dea, colpendola con un affondo diretto sul fianco già ferito da Nestore e scaraventandola indietro. Nuovamente a terra, nuovamente con la faccia sul suolo sporco. Rialzandosi, Era notò che la Veste Divina era crepata e sangue sgorgava dalla ferita che si era aperta sul suo corpo. Lo tastò, imbrattandosi le mani con il suo stesso Ichor, prima di sogghignare, accendendolo del suo cosmo. L’intero corpo di Era parve bruciare in un’unica fiammata e quando la luce calò d’intensità, Ercole poté notare che la Veste Divina, che oltre al fianco aveva subito crepe in altri punti del corpo, era nuovamente integra, pulita come se fosse stata appena forgiata.

"Il potere degli Dei è qualcosa che voi stupidi mortali non giungerete mai a comprendere! Il nostro Ichor, il sangue divino, ci permette di forgiare nuovamente le corazze da noi indossate, rendendo impossibile a chiunque, che non sia un Dio nostro pari, sconfiggerci!" –Spiegò la Dea, camminando a passo deciso verso Ercole, e rimarcando la sua espressione finale, per sottolineare ciò che aveva sempre sostenuto: che Ercole fosse un uomo, ma non un Dio. –"E per dartene una prova, ti ucciderò adesso, figlio di Alcmena, dandoti la possibilità di rivedere tua madre e la tua adorata sposa! Addio, Ercole! Giudizio divino!!!" –Tuonò Era, abbattendo sul Dio dell’Onestà una tempesta di folgori strazianti e di massa di energia cosmica, che turbinarono sul corpo dell’eroe, prima di scaraventarlo indietro, privo dell’elmo e della Clava e con la Veste danneggiata in più punti. –"Efesto le ha forgiate entrambe, e forse, bruciando al massimo il tuo cosmo, potresti ripararla tu stesso, con il tuo proprio sangue, in virtù del cosmo di Zeus! Ma essendo Dio soltanto per metà, e avendo rifiutato quella metà da secoli ormai, sei destinato alla sconfitta!"

Incurante delle parole della Dea, Ercole si rimise in piedi, ansimando per lo sforzo, mentre gli Heroes correvano al suo fianco, per aiutarlo. Ma questi li allontanò con un gesto, intimando loro di non intromettersi. Il tempo degli Eroi si era concluso. Adesso avrebbe dovuto trovare la forza per entrare nel tempo degli Dei, per quanto in fondo l’idea non lo allettasse. Bruciò il proprio cosmo, scontrandosi a mezz’aria con Era, prima di portare entrambe le braccia avanti, per contenere il nuovo attacco della Regina dell’Olimpo, il cui Giudizio Divino pareva davvero uno spartiacque tra due mondi. Dietro di lui vi erano gli Heroes, Tirinto e tutto ciò che rappresentavano, il futuro ideale che aveva promesso alle libere genti. Davanti a lui si ergeva Era, sposa di suo Padre, Signora dell’Olimpo, determinata a coprire il suo dolore per essere stata abbandonata, ricoprendo il mondo con un velo di rancore. Le braccia tese avanti, per contrastare lo strapotere della Dea, le gambe solidamente piantate nel terreno, lo sguardo fisso su di lei, forse per farle capire che in cuor suo avrebbe voluto evitare di combattere proprio con lei, nella speranza che potesse offrirle un po’ di quell’amore che una madre dovrebbe dare al figlio. Il rinnovato assalto di Era piegò le braccia di Ercole, spingendolo indietro e schiacciandolo a terra, sprofondandolo nel terreno, tra i frammenti della Glory e schizzi di sangue.

"Mio Signore!!!" –Gridò Alcione, lanciandosi avanti e srotolando i suoi tentacoli, per afferrare Era, che si divincolò alla svelta, sgusciando via dalla presa della Piovra e contrattaccando con un’onda di luce, che schiacciò l’Hero a terra, falciando i suoi tentacoli. Identica sorte incontrarono Marcantonio, Nestore e Neottolemo, sorretti ormai soltanto dal fioco baluginare del loro cosmo, privi di ogni forza fisica.

Vedendoli crollare a terra, distesi nel fango e nella terra da cui quegli zotici cialtroni provenivano, Era si abbandonò ad una risata di soddisfazione. Li osservò rantolare al suolo, incapaci di trovare la forza per rimettersi in piedi, incapaci persino di alzare lo sguardo verso il cielo, verso un potere così infinito che li aveva svuotati di ogni forza. Era mosse i suoi occhi al di là di quella pianura distrutta, verso l’unico muro rimasto in piedi dell’Heraion che aveva ricostruito il giorno prima, ai piedi del quale le Moire ancora filavano. L’arazzo sopra di loro era quasi del tutto disfatto, sarebbe bastata la fiamma di una candela per estinguerlo completamente. E di questo Era sorrise. Poco importava se per realizzare quel progetto di sofferenza ordito ai danni di Ercole, altri avevano sofferto per lei. Poco importava se Didone e Argo fossero stati uccisi, o se Partenope fosse morto invocando il nome della madre che non l’aveva mai amato. In fondo, per Era, gli Oracoli e gli Emissari, al pari dei Kouroi e dei soldati semplici e di tutti gli Dei inferiori, erano soltanto pedine da manovrare, come aveva fatto per tutti quegli anni, incapace di provare per loro un sentimento di affetto o un legame maggiore. Sogghignò soddisfatta, prima di volgere lo sguardo verso Ercole.

Il Dio intanto, schiantato nell’arido suolo, stava lentamente perdendo conoscenza, mentre il sangue sgorgava copioso dalle ferite. Travolto dal suo passato, colpevole del futuro che aveva tentato di donare agli uomini e causa della sconfitta e della morte, nel presente, di tutti i suoi Heroes. Ercole li sentiva, i cosmi dei suoi compagni che giacevano attorno a lui, spegnersi lentamente, uno ad uno, come aveva sentito spegnere tutti i cosmi di coloro che avevano combattuto per lui in quella Guerra Sacra. Adone, Damaste, Chirone, Dione, Tereo e la Legione dei Fiori, Agamennone e i giovani Argo e Gleno. Tutti avevano invocato il suo nome, in punto di morte, come se egli potesse impedire ad Atropo di calare le sue forbici sul filo della loro vita. In quel momento provò la stessa sensazione di spaesamento che gli altri avevano dovuto provare in punto di morte, così privi di ogni riferimento. Facendosi forza e raccogliendo il suo cosmo, Ercole iniziò a muovere le dita, poi le braccia, infine le gambe, per tentare di rimettersi in piedi.

"Posso aiutarti, mio vecchio compagno?! Mio buon amico!" –Esclamò una figura, abbagliando l’intero spiazzo in cima alla collina. Ercole sollevò la testa, perdendosi nel fiero sguardo di un uomo anziano, ammantato da un’aura di luce, al punto da sembrare un angelo.

"Tu…" –Mormorò il Dio, accennando un sorriso stanco.

"Il mio venerabile maestro…" –Esclamò Alcione, cercando di rimettersi in piedi. –"Linceo della Piovra!"

"Alzati, Alcione! Alzati e combatti con me!" –Le tese una mano Linceo, incitando l’allieva a dare fondo a tutto il suo cosmo. Alcione sorrise, afferrando la mano dell’Hero della Piovra e venendo bagnata dal suo caldo e confortevole cosmo. Insieme i due si voltarono quindi verso Era, rimasta piuttosto stupita da tale apparizione, pur senza esserne troppo preoccupata.

"Cosa dovrei temere? Uno spettro? Uah ah ah!" –Rise beffarda, bruciando il cosmo.

"Parole violenti le tue! Che non rendono onore alla Regina dell’Olimpo! Spettri sono le carogne annidate nel tuo animo! Spettro è il rancore che ti trascini dietro da tutta una vita, come una vecchia in punto di morte incapace di godere ancora della luce del sole che le resta da vedere!" –La zittì Linceo, la cui autorità era tale da far ammutolire persino la Signora degli Dei. –"Io sono puro cosmo! E continuerò a vivere fintantoché il mio cuore continuerà ad ardere!!!" –Gridò Linceo, espandendo il suo cosmo, vasto e profondo, come le distese oceaniche. –"Con me, Alcione!!! Esplosione dei Silenti Abissi!!!" –Esclamò l’uomo, subito seguito da Alcione, che sommò il proprio cosmo a quello del maestro, dirigendo l’assalto contro Era, la quale, per difendersi, dovette portare le mani avanti e volgere loro i palmi, per contrastare quella violenta pressione che pareva spingerla indietro ogni secondo che trascorreva.

"Maledetti!!! Sterminerò la vostra arroganza!" –Tuonò Era, espandendo il proprio cosmo e frenando l’avanzata dei due Heroes. Ma prontamente altri cosmi si unirono a quelli di Alcione e Linceo, aumentando la massa energetica che premeva contro la Regina dell’Olimpo.

"Ruggito dell’Orso Bruno!" –Esclamò Nestore, subito seguito da Marcantonio e Neottolemo. –"Frecce del Mare!!!" –Aggiunse Nesso, rimessosi in piedi per miracolo. –"Fuoco del Serpente Piumato!!!" –Gridò Antioco, che sorreggeva Paride della Rosa. E agli otto cosmi si aggiunsero anche quelli di Druso di Anteus, di Penelope del Serpente e di Pasifae del Cancro, avvicinatisi a passo lento ai loro compagni. –"Insieme, Heroes!!!" –Gridò Marcantonio, mentre i loro cosmi congiunti divenivano un’immensa sfera energetica che puntava su Era, la quale, per difendersi, dovette far esplodere il proprio cosmo, portandolo al suo parossismo.

"Giudizio Divino!!!" –Tuonò la Dea, liberando una tempesta di folgori che squarciarono la sfera, generando un’immensa deflagrazione che risuonò sull’intera isola di Samo, spingendo tutti i contendenti indietro, facendoli schiantare sul terreno e spaccando persino il suolo. Lo spirito di Linceo, apparso per aiutare Ercole ed Alcione, scomparve, dissolvendosi come polvere nel vento, ma le sue parole risuonavano ancora nell’animo del Dio dell’Onestà, che fu l’unico, terminato lo scontro tra Era e i suoi Heroes, a potersi alzare nuovamente. Si guardò intorno, osservando la desolazione di quel paesaggio, i lividi e le ferite sui corpi distrutti dei suoi compagni, e poi bruciò al massimo il suo cosmo, chiamando Era a gran voce.

La Dea apparve tra le rovine, scuotendosi il terriccio dalla Veste Divina, che nuovamente presentava qualche crepa, dovuta all’assalto congiunto degli undici Heroes. Boccheggiò per un momento, non credendo possibile che dei miseri esseri umani, la specie più infima di tutto il creato, potessero tanto. Ma l’espressione determinata sul viso di Ercole le fece capire di non aver tempo per chiedersi altro, neppure per riprendere fiato. Con un balzo il Dio dell’Onestà fu su di lei, muovendo la Clava da sinistra a destra e colpendola su un fianco, prima di muoverla nella direzione opposta e colpirla nuovamente, atterrandola. Prima che potesse rimettersi in piedi, Ercole la schiacciò a terra con un poderoso colpo del piede, sagomando il suolo con la sottile figura della Dea, la quale, adirata per un simile affronto, bruciò il suo cosmo, rilasciandolo in una violenta esplosione, che spinse Ercole indietro, sbattendolo a terra e facendogli perdere la presa della Clava.

"Hai resistito alle Ceneri del Tempo! Hai resistito al Giudizio Divino! Ma non resisterai al potere del mio cosmo!" –Gridò Era, avvolgendo Ercole con la sua energia cosmica. –"Ti sono superiore, Ercole!!! Ammettilo!"

"Non ho mai avuto la pretesa di negarlo! Ma forse sei sempre stata troppo accecata da te stessa e dalla tua frustrata esistenza per notarlo!" –Sibilò il Dio, stretto nel soffocante abbraccio cosmico della Dea, prima di lasciar esplodere l’energia che portava dentro, energia che gli proveniva dal cuore e dall’amore per gli uomini, di cui sentiva di fare parte. –"Fede negli Uomini!!!" –Gridò Ercole, dirigendo la sua immane tempesta contro Era, che contrattaccò con il suo assalto, generando una violenta esplosione che abbagliò la sommità dell’intera Isola di Samo.