"Il mondo è un bel posto,

e per esso vale la pena lottare"

(Ernest Hemingway)

 

PROLOGO

Un’altra notte era trascorsa sull’Olimpo, ma la Regina degli Dei non era riuscita a prendere sonno. Neppure nei sogni riusciva infatti a trovare pace. Solamente ulteriore ansia. Era, sorella e sposa del Sommo Zeus, si aggirava mesta ed errabonda per la grande camera da letto della sua reggia, nella sempiterna città tra le nuvole, quale l’Olimpo appariva agli uomini mortali.

Ancora una notte da sola, aveva giaciuto tra le bianche lenzuola del suo letto di petali di giglio. Ancora una notte trascorsa a contare le ore, a centellinare i minuti, ad attendere l’arrivo del Dio che un tempo si era innamorato di lei, trasformandosi in cuculo e seducendola, promettendole amore eterno, come la loro stessa esistenza. E ci aveva creduto, molto ci aveva creduto Era in quell’amore. Ma in quel momento, sopraffatta dalla rabbia e dal dolore, dall’ennesima delusione del fratello e amante distratto, Era avrebbe chiesto al tempo di tornare indietro, avrebbe risvegliato persino il possente e temuto Crono dalle profondità del Tartaro, per calpestare quel cuculo portatore di sventura e cambiare il suo presente. Perché quello attuale la faceva sembrare un’inquieta vecchia, dall’animo corroso dalla gelosia per le continue infedeltà del marito.

Lo sapeva, Era lo sapeva, che ogni notte Zeus accoglieva le driadi nel suo letto, sollazzandosi con i loro giovani e frizzanti seni, ricevendo doni e carezze, in cambio di una promessa di eternità che il Dio non avrebbe rispettato. E quando le ninfe giacciono con gli ebbri satiri, ubriache sotto i pergolati del Vigneto di Dioniso, c’è Ganimede pronto a bussare alla porta del Re! Pronto a sbattere i suoi occhi vitrei e ricordare a Zeus di non essere soltanto un coppiere, ma il più bello dei mortali, colui che irretì persino un Dio con la sua magnificenza! Mormorò Era, sfiorando la fredda superficie della vetrata meridionale.

L’Olimpo, la cui cima era sempre avvolta da nuvole, volute da Zeus per nascondere il Divino Tempio agli occhi dei mortali, scendeva a picco sotto di lei, tra aguzze sporgenze rocciose e vallate nascoste, dove fauni e ninfe si rincorrevano tra i timidi raggi dell’alba. Sorgeva il sole nell’Egeo, dando inizio ad un nuovo giorno. Ma per Era quel giorno non avrebbe portato niente di nuovo, solamente la stessa triste ed inesorabile malinconia del precedente. E di tutti quelli che verranno! Si disse la Regina degli Dei, strappandosi i bruni capelli con forza.

Tra le lacrime, si gettò sul letto, affondando il viso tra i petali del suo fiore preferito, mentre attorno a sé si accendevano gli incandescenti bagliori del suo cosmo. Di quel cosmo divino che le ricordò di essere ancora una Dea. Nonostante le sue umane sofferenze, le sue angosciate notti di disperazione che la ferivano nell’orgoglio, mostrandole le sue debolezze. Quelle stesse debolezze che aveva sempre disprezzato negli uomini mortali.

Socchiuse gli occhi, ricordando le notizie che aveva ricevuto il giorno precedente da Iris, la sua messaggera, relativamente all’ultima Guerra Sacra conclusasi qualche anno prima in Grecia. Non posava gli occhi sul pianeta circostante da troppo tempo, disinteressata come era sempre stata ai patetici avvenimenti di quegli insulsi mortali che sempre aveva detestato. Forse perché in fondo le ricordavano che il suo corpo, per quanto intriso della Divina Volontà, rimaneva pur sempre quello di una donna.

Athena, Dea della Guerra, e Ades, Imperatore dell’Oltretomba, avevano combattuto una lunga guerra, logorante e terribile, che aveva sfiancato entrambi i contendenti. Il Signore degli Inferi era stato sconfitto e imprigionato insieme alle 108 Costellazioni Demoniache in una grande torre in Asia, costretto a languire in tale limbo per due secoli e mezzo. Ma anche Athena era stata sconfitta, ed aveva lasciato il Grande Tempio di Atene sguarnito, poiché soltanto due Cavalieri d’Oro si erano salvati: Dauko della Libra e Sion dell’Ariete, incaricati rispettivamente di sorvegliare la torre di Ades e di presiedere il Grande Tempio come Grande Sacerdote e Oracolo della Dea.

E Zeus non fa che lodare Athena! Quella patetica verginella che sempre ha amato sporcarsi le mani a difendere quei ridicoli mortali! Sbraitò Era, sollevandosi di scatto sul letto. Cosa avrà di così interessante da suscitare tutte queste attenzioni di Zeus? Attenzioni, aggiunse orgogliosamente, che a me non dedica da troppo tempo! Per un momento la parte più razionale del suo animo la richiamò all’ordine, ricordandole che Ades avrebbe voluto conquistare la Terra, facendone un secondo inferno, e che l’intervento di Athena, e il suo sacrificio, avevano permesso di scongiurare ciò. Ma anche questo non bastò a frenare i suoi primordiali istinti di gelosia. Il suo senso di donna ferita e messa da parte per lodare esseri da lei considerati inferiori.

Gli uomini, Athena, Ganimede, quelle meretrici ninfe dei boschi! È tempo che questo squallore finisca! Disse Era a se stessa, sollevandosi in piedi, ed ergendosi in tutto il suo splendore divino. Sono la Regina dell’Olimpo, figlia dei Titani Crono e Rea, e ho diritto al rispetto degli Dei inferiori e delle umane genti! Anzi, sorrise biecamente, è loro dovere concedermelo! Se davvero Zeus ha così a cuore Athena e gli uomini da lei difesi, cosa farebbe il Signore dell’Olimpo nell’apprendere che la sua sposa dimostra il desiderio di possedere lei stessa il Grande Tempio di Atene? Di toglierlo dalle incompetenti mani di quella vergine guerriera, e stringerlo a me, per farne un nuovo Heraion, una culla dove il mio amore per Zeus tornerà vivido come fiamma ardente! E conosco l’uomo giusto a cui affidare un simile incarico!