SOTTO IL SEGNO DEL DESTINO

CAPITOLO 1: Le diverse trame di un destino comune



Atene, 28 aprile 1793


Il cielo terso e incontaminato faceva da sfondo al magnifico spettacolo delle costellazioni; il Sacerdote chiedeva mentalmente aiuto a loro, simboli della Grecia e dei guerrieri di Atena. Ma l’anziano uomo era troppo esperto e disincantato per credere che le stelle potessero aiutarlo: ciononostante, sarebbe stato bello poter credere che l’aiuto risolutore giungesse dal cielo, senza che gli uomini dovessero penare per cercarlo. In ogni caso, questi erano pensieri inutili, buoni per chi avesse tempo da perdere: e il Sacerdote era fin troppo occupato. Ciò che aveva visto all’Altura delle Stelle due giorni prima lo aveva enormemente preoccupato: il ritorno di Ade era una minaccia che non si sentiva in grado di affrontare. Ma solo lui poteva frapporsi fra il dio e il mondo inerme: benché non lo volesse, sapeva che quello era il compito per cui era venuto al mondo, e non poteva sottrarvisi. Tuttavia, ciò non gli dava la certezza di poter riuscire nel suo compito: i terribili errori da lui commessi nel passato gli ricordavano costantemente che anche lui, l’uomo più potente e venerato di tutta la Grecia, poteva fallire. Proprio per questo era deciso a muoversi più in fretta del nemico: i cavalieri, ovvero l’armata di Atena, dovevano prepararsi alla battaglia e, se necessario, al supremo sacrificio. Ma il Sacerdote sapeva bene che, se un uomo non avesse appoggiato la sua causa, tutto sarebbe stato vano: e quest’uomo era il suo peggiore nemico…

Improvvisamente, il Sacerdote avvertì un debolissimo cosmo, che avrebbe potuto paragonare alla moribonda fiammella di una piccolissima candela;. ma sapendo a chi appartenesse quel potere quasi insignificante, il Sacerdote si affrettò a raggiungere le stanze della dea Atena.


Jamir, 28 aprile 1793


Finalmente. Al rumore della roccia che franava, Sion si rilassò. Aveva scommesso con se stesso, parecchi mesi prima, che terminato il suo addestramento sarebbe riuscito a spaccare la grande roccia di fronte al monastero con un solo pugno. E ci era riuscito. L’aria fresca e mattutina rendeva più guizzanti i suoi muscoli, che un qualsiasi normale diciottenne non avrebbe mai potuto ottenere, senza l’addestramento che Sion aveva dovuto svolgere per sei lunghi anni, addestramento che l’aveva reso un cavaliere di Atena, anzi un cavaliere d’oro, uno dei dodici uomini più vicini alla dea. L’orgoglio provato il giorno prima, quando nello sperduto monastero era arrivato il plico contenente l’annuncio della sua investitura a cavaliere, e l’ordine di presentarsi ad Atene il più presto possibile, per ricevere la sua Sacra Armatura, non lo aveva ancora abbandonato del tutto.

Sion si sentiva soddisfatto e sicuro di sé come mai lo era stato: per tutti quegli anni aveva temprato il suo corpo e il suo spirito, e ora aveva finalmente raggiunto la meta che si era prefissato sei anni prima. Per anni i monaci del tempio, buddisti ma alleati di Atena, lo avevano costretto a lunghe meditazioni, e lo avevano allenato con marce e scalate interminabili. Aveva appreso i segreti del Cosmo, e aveva conosciuto i colpi segreti della sua costellazione, l’Ariete, la cui descrizione era contenuta era contenuta nella Sacra Pergamena proveniente dal Santuario, che Sion aveva diligentemente studiato.

Il giovane prese a camminare tranquillamente sull’angusto sentiero che portava al tempio, un percorso che qualsiasi uomo normale avrebbe attraversato con molte difficoltà: difficoltà che non esistevano per il giovane Sion. Il ragazzo stava allontanandosi dal monastero, deciso a provare qualcosa che sentiva il bisogno di vedere con i propri occhi, pur conoscendone la pericolosità. Giunto in un punto più largo del sentiero, che dava su un profondissimo crepaccio, prese di mira una roccia sporgente che si trovava dall’altra parte del precipizio. Infine, cominciò ad espandere il proprio Cosmo. I lunghi capelli violetti del giovane presero ad agitarsi, sebbene non vi fosse neppure un alito di vento.

Sion sentì finalmente quella sensazione; gli sembrava che il suo spirito, prima piccolo e insignificante, si spandesse ora nell’infinità dello spazio; e poi vi fu l’esplosione dentro di lui. Il giovane pensava che bruciare il proprio cosmo fosse la cosa più bella del mondo: il senso di potere che provava in quel momento era ineguagliabile. Resosi conto di non poter più trattenere il suo potere, il giovane lo liberò con un urlo. "STARLIGHT EXTINCTION". Un uomo normale avrebbe visto solo un raggio di luce dorata partire dal braccio del giovane, per andare a disintegrare la pietra dall’altra parte del crepaccio, a oltre 20 metri di distanza. In realtà, Son aveva simulato l’atto di tirare un pugno, vibrando alla velocità della luce una serie di colpi esplosivi, simili a minuscole stelle che esplodevano. Guardando ciò che rimaneva della grande pietra, Sion potè considerarsi soddisfatto.

In quel momento, una voce anziana ma decisa risuonò alle sue spalle: "Sapevo che un giovanotto irruente come te un giorno ci avrebbe provato; e così, Messer Cavaliere d’Oro, ora usi le nostre montagne come bersaglio, eh?". Nonostante le parole, non c’era astio nella voce del vecchio. Sion si girò di scatto, contemplando la figura familiare dell’anziano monaco dalla lunga barba fluente, privo di capelli come voleva la sua religione. "Venerabile Dhama" disse Sion, "scusate, o Venerabile, ma io.. sentivo il bisogno di mettermi alla prova; ora so di poter eseguire efficacemente uno dei leggendari colpi appartenenti alla costellazione dell’Ariete." "Vedo, ragazzo mio, vedo. ma non gloriarti troppo di questo tuo successo! Altra cosa è lanciare i tuoi colpi contro un vero avversario, deciso a vincere proprio come te! In ogni caso;. sono giunto qui, mio giovane allievo, per informarti che il tuo addestramento è finito, e che oggi stesso dovrai incamminarti verso il Grande tempio. Mi è stato comunicato che non potrai usare la velocità della luce durante questo viaggio; anche se, a sentire certe storie su dei furtarelli al mercato compiuti da un ladro invisibile, tu sai usarla benissimo". Il rimprovero del maestro colse Sion di sorpresa, ma il giovane non se la prese più di tanto: i suoi furti erano stati ragazzate compiute un paio d’anni prima. Ciò che lo interessava davvero era la conferma della fine del suo addestramento: presto si sarebbe trovato ad Atene, pronto a difendere il Santuario insieme agli altri Cavalieri d’oro.

Poi, il suo maestro gli lanciò una vecchia sacca, contenente pochi vestiti: la stessa sacca con cui era giunto al tempio, 6 anni prima. "Parto subito, Maestro. Ma sappia che non la dimenticherò: senza la sua pazienza e costanza, oggi non avrei raggiunto il rango di Cavaliere, pur essendo stato scelto dalle stelle." Dhama sorrise, e le sue rughe scomparvero per un attimo, dissipate dall’innata bontà di Sion. "Ragazzo, la tua fiducia potrebbe tradirti, ma sento che il tuo animo è grande. Ora và! Forse ci rivedremo ancora; o forse percepirò il tuo cosmo, nel cuore d’una tua grande impresa. Addio." La figura del maestro si dissolse pian piano, come un’immagine nell’acqua. Senza voltarsi, seppur sconvolto interiormente, Sion partì con un passo veloce e deciso. Che ironia! Lui, il grande Cavaliere, si commuoveva per aver lasciato il posto da lui chiamato casa per 6 anni;



Cascata dei Cinque Picchi, Cina, 28 aprile 1793


Il rombo assordante della gigantesca cascata, così forte da coprire qualsiasi rumore, non aveva impedito al giovane di meditare per 3 giorni al suo cospetto, così come ora non gli impediva di alzarsi, e di dichiarare conclusa quella parte della sua vita. Il suo corpo, perfettamente modellato da una vita di ritiro e sacrificio, pareva teso al massimo, pronto a compiere chissà quale sforzo. In realtà, esso tradiva la sua inquietudine. Dokko stesso si stupì del suo nervosismo: i 3 giorni di meditazione, durante i quali aveva spinto il suo spirito attraverso i tortuosi sentieri dei sogni e delle visioni, non erano riusciti ad appianare del tutto i suoi contrasti interiori. Il ragazzo si stava agitando con la mano i corti capelli rossi, un vizio che non si era mai tolto del tutto. Si guardò intorno, osservando la grande cascata e lo spuntone di roccia di fronte ad essa, sul quale lui si trovava. Un pensiero attraversò la sua mente: nessun nemico da lui affrontato in futuro gli avrebbe procurato più dolore di quanto gliene stava infliggendo in quel momento la nostalgia per quel posto; quel piccolo posto che lui aveva chiamato "casa" per 6 lunghi anni. La lettera arrivata il giorno prima dal Grande Tempio lo aveva destato dalle sue riflessioni, dai suoi allenamenti; e da Wei Linn. Il solo pensiero del suo nome suscitò in Dokko il dolore. Dolore vero, acuto, contro il quale nemmeno il cavaliere della Bilancia poteva nulla. Questo lo fece sorridere; tutta la sua forza non bastava a combattere ciò che provava dentro di lui..... infine, giunse l’ora della partenza. Dokko mise in una consunta sacca di cuoio le sue poche cose, poi si mise a guardare l’immensa cascata. I suoi occhi scesero verso il punto in cui l’acqua cadeva, dove tutto si perdeva nel rombo e nel vapore. Chiuse gli occhi, e si immaginò per l’ultima volta Wei Linn; i suoi occhi color ambra, il suo viso perfetto e delicato, e i suoi capelli neri, che sembravano trattenere le ombre della notte;

Poi si tuffò.