SOTTO IL SEGNO DEL DESTINO

CAPITOLO 5: L'investitura

Grecia, Atene, 6 maggio 1793

L'odore della polvere che si levava a ogni suo passo, la gola improvvisamente secca: queste erano le sensazioni che Sion avrebbe ricordato per anni, mentre attraversava la terra polverosa che copriva come un candido manto l'Arena della Prova, il luogo dove secoli dopo un ragazzo giapponese avrebbe sconfitto un gigantesco guerriero greco. Ma questo il cavaliere dell'Ariete non poteva saperlo. Giunto al centro dell'Arena, Sion guardò con immensa emozione lo scrigno d'oro posato al centro dell'Arena, con l'effigie dell'Ariete sopra. Le incisioni sullo scrigno e la luce delle stelle creavano riflessi arcani e strani giochi di luce sul venerabile contenitore, che per il momento celava ciò che conteneva: lo scopo del suo addestramento, di tante veglie insonni, di tante fatiche, tanto sangue e tanto dolore.. l'armatura d'oro dell'Ariete. Sion era quasi inconsapevole di Dokko che, al suo fianco, fissava con la stessa ardente brama negli occhi lo scrigno della Bilancia.. e poi, quasi di fronte a lui, un giovinetto muscoloso, dagli occhi dorati e i capelli rossi, il corpo muscoloso segnato da cicatrici, osservava silenzioso lo scrigno del Sagittario. Improvvisamente, le gradinate prima deserte si accesero di una luce sovrannaturale, e il Sacerdote comparve, anziano ma fiero e diritto: la luce delle stelle veniva moltiplicata dal suo elmo dorato. "Giovani cavalieri che fin qui siete giunti, sappiate che il vostro cammino è terminato. Ora siete a tutti gli effetti Cavalieri d'Oro di Atena, chiamati a proteggere la Dea in ogni situazione! Ma sono certo che saprete mantenere il vostro compito. Anche perché a giudicarvi non sarò io, ma i Morti!".

E i morti apparvero.

Le loro figure, così eteree, eppure così piene di una loro materialità, riempivano le gradinate: sui loro corpi comparivano le ferite che avevano terminato le loro vite. Le armature spettrali che indossavano appartenevano a tutte le costellazioni conosciute, e i loro occhi di brace fissarono tutti insieme i tre giovani al centro dell'Arena. Poi dissero: "SONO DEGNI".

Gli scrigni d'oro si aprirono, e per un unico, indimenticabile istante Sion provò la felicità più assoluta, mentre il suo spirito abbracciava le stelle.

Monte Etna, 6 maggio 1793, qualche ora prima

Il Celebrante saliva imperterrito lungo il sentiero a spirale ascendente intagliato nella roccia viva, ignorando la pioggia di polveri e lapilli che bersagliavano la zona circostante. La lunga veste scarlatta ben si accordava con l'orrenda maschera color sangue che indossava: i suoi passi erano tranquilli e misurati, ma esprimevano al contempo una grande forza.

L'orrida maschera a forma di drago sembrava viva, alla luce innaturale del fuoco e dello zolfo. Silenziosamente, una nera figura sbucata da chissà dove gli si accodò e, silenziosamente, prese a seguirlo. Poi un'altra. E un'altra ancora..

Il Celebrante e i sette Custodi erano immobili sulla bocca del cratere attorno a loro, incuranti della furia degli elementi. Nelle profondità dell'Etna, il vulcano faceva sentire un ruggito antico e terribile. Infine, il Celebrante alzò le braccia e parlò: "Per secoli lo hanno temuto e odiato, da secoli è imprigionato! Che le sue ali nere oscurino nuovamente il cielo, che le sue teste di drago si levino ancora sino alle stelle! Unitevi a me, o Custodi, nell'invocare il suo nome! Tifone!". Dalle profondità dell'Etna, per tutta risposta, si levò un lamento più orribile del precedente, mentre le voci dei Custodi si unirono a quella del Celebrante e al vento, che sferzava quel luogo maledetto con forza fanatica.

TIFONE! TIFONE! TIFONE!