CAPITOLO IV

Scambio di colpi

Archè, l'isolotto nel golfo di Sounion era l'arena naturale per un addestramento intenso: brullo, disabitato e facile da raggiungere. Di buon mattino, mentre i giovani allievi stavano già indossando le armature d'allenamento all'interno dell'atrio dell'arena, pronti e carichi per una nuova giornata, Micene e Saga si avviarono verso il mare, portando sulle spalle i loro scrigni dorati. Il sole era sorto da un po' e faceva risplendere, oltre che il mare tranquillo, anche la rugiada calata sui morbidi e profumati manti erbosi che circondano il Tempio e che si alternano alle più comuni collinette spoglie caratterizzanti l'intera costa dell'Attica meridionale. Rondini e passeri svolazzavano in cielo, alcune siepi rigogliose erano visitate da api e farfalle e i pini domestici che fiancheggiavano la strada che univa Rodorio all'arena, frusciavano cullati dalla gradevole brezza marina che riempiva l'aria di salsedine. Il clima era ancora fresco, ma si intuiva che quella sarebbe stata una piacevole giornata: madre natura aveva concesso un dolce risveglio alle sue creature, dopo il lungo temporale del giorno precedente, regalando un'atmosfera che avrebbe convinto anche gli Amati dagli dei a trascorrere la giornata in quell'angolo di mondo piuttosto che nei Campi Elisi.

"Il clima è stato clemente e la bassa marea ci concede un facile guado, giorno migliore per raggiungere Archè non poteva sorgere" disse Micene, di buon umore quando, insieme a Saga, fu sulla sommità della collinetta che domina l'arena del Tempio.

Saga, anch'egli rilassato ma, come da consuetudine, meno espressivo in volto dell'amico, si rivolse al compagno annuendo.

"Mi sembra che i ragazzi siano pronti per cominciare, vedo Vera già al centro dell'arena, probabilmente gli altri staranno indossando le armature d'allenamento nell'atrio".

"Sì Micene..." rispose Saga, osservando verso il basso, "...guarda, stanno entrando nell'arena anche Leno e Sibrando con indosso le Armature, è probabile che Vera voglia presentarli in qualità di nuovi maestri. Il documento del Sacerdote è ora nelle sue mani, vero?"

"Sì, le ho dato la pergamena poco prima di incontrarci ai piedi delle Dodici Case: era di ritorno dal cimitero dei Cavalieri, dov'era andata a porgere un mazzo di fiori sulla tomba di suo nonno".

"In fondo era nell'aria questa nomina, data la sua innata predisposizione all'insegnamento".

"Senza di lei il Santuario perderebbe una delle migliori addestratrici e una Prima Sacerdotessa di grande prestigio" commentò Micene, il quale ammirava particolarmente quella donna che aveva avuto modo di conoscere in modo più intimo due anni prima, durante l'addestramento di alcuni giovani aspiranti Cavalieri di Bronzo, tra cui Hermann del Tucano e i suoi compagni, che li vide collaborare per alcuni mesi.

Discutendo piacevolmente, raggiunsero in breve tempo la sottile spiaggia sabbiosa che occupa una piccola striscia di golfo, caratterizzato altrove da aridi e sassosi rilievi che scivolano direttamente in mare e da due promontori a strapiombo sulle acque: quello di Sounion a est e quello, meno imponente, di Legrena, a ovest di Rodorio. Incamminandosi lungo un braccio di terra sommerso appena dalla bassa marea, che permise loro di raggiungere Arché bagnandosi fino alle caviglie, i due misero infine piede sull'isola spaventando uno stormo di gabbiani che prontamente presero il volo, dirigendosi verso la costa. I due compagni si guardarono intorno, apprezzando il panorama, felici di potersi allenare insieme in quel luogo, senza alcun disturbo.

"Raggiungiamo il punto più alto e indossiamo le Armature" disse risoluto Saga.

"Giusto, cosa aspettiamo?" rispose Micene, sorridendo.

Nello stesso istante i giovani allievi si erano presentati al cospetto di Vera e dei due Cavalieri d'Argento al centro dell'arena.

"Benvenuti allievi..." esordì la Sacerdotessa in tono raggiante "...voglio presentarvi i qui presenti Cavalieri d'Argento Leno dei Cani da Caccia e Sibrando della Coppa. Mi aiuteranno con gli allenamenti da oggi in poi e fra un paio di settimane prenderanno in custodia alcuni di voi. Guardate..." proseguì, mostrando ai giovani il documento delle assegnazioni recante il sigillo del Tempio "...il Gran Sacerdote ha nominato me, i qui presenti ed il grande Micene come vostri insegnanti personali e in più sarà egli stesso ad allenare uno di voi".

Sibrando si tolse l'elmo e con una mano tirò indietro i suoi folti capelli scuri prendendo la parola:

"E' un onore fare la vostra conoscenza, ma onore ancor più grande sarà avervi al mio fianco. Il ruolo che mi è stato assegnato sarà per me motivo di grande impegno e dedizione".

Leno aggiunse:

"Faremo del nostro meglio, giovani eletti".

Gli allievi rimasero piacevolmente sorpresi dalla notizia, scambiandosi sguardi incuriositi.

"Gli abbinamenti saranno i seguenti: il Sacerdote, che in gioventù fu valoroso Cavaliere della Prima Casa, allenerà personalmente Mur dell'Ariete, a DeathMask del Cancro e Shaka della Vergine è assegnato Sibrando il quale, per via delle sue spiccate abilità mentali e psichiche, è il miglior maestro che i futuri Cavalieri della Quarta e della Sesta possano desiderare, ad Aldebaran del Toro e Milo dello Scorpione è assegnato Leno, uno dei più esperti e valenti Cavalieri nonostante la sua giovane età, a Micene del Sagittario sono assegnati suo fratello Ioria del Leone e Shura del Capricorno, mentre a me Camus dell'Aquario e Aphrodite dei Pesci. Ricordate, un buon maestro può fare molto per l'evoluzione di un allievo, ma sarete voi ad affinare i vostri poteri attraverso le prove che proporremo: un insegnante traccia la via verso un obiettivo, ma è compito dell'allievo percorrerla, superando le difficoltà e gli ostacoli che potrebbe nascondere, per cui abbiate fiducia nelle vostre capacità e non temete il vostro futuro. Il potere che emanate presto non avrà bisogno di nessun maestro se lo coltiverete con dedizione e spirito di sacrificio..." poi concluse con un incitamento "...E ora diamo il via all'allenamento!"

"Sì" risposero convinti i giovani.

"Non vedo i Cavalieri d'Oro nobile Vera" disse Aphrodite, prendendo la parola dopo qualche istante.

La Sacerdotessa si voltò verso il mare, laddove le gradinate dell'arena lasciavano spazio al panorama e puntò il dito verso Archè, che si scorgeva in lontananza, avvolta nella leggera foschia mattutina :

"Vedete quell'isola? I Cavalieri d'Oro sono lì ad allenarsi, ma confidano nel nostro operato. Sapete..." e qui si addolcì, incoraggiando con belle parole i suoi allievi "...mi hanno confidato che sono soddisfatti del vostro attuale livello e che sperano in ulteriori risultati positivi".

Nessuno poteva leggere i lineamenti del suo viso, a causa della maschera, ma il suono della sua voce era così espressivo che si riusciva facilmente a coglierne ogni emozione.

"Dite davvero?" dissero all'unisono alcuni allievi.

Nel frattempo ad Archè, i due Cavalieri, posti uno di fronte all'altro, alla distanza di circa dieci metri, erano pronti per iniziare a combattere.

"Mia Armatura, disponiti a difesa!" urlò Saga.

"A me, Armatura del Sagittario!" gridò invece Micene.

Gli scrigni d'oro si aprirono e due colonne di luce accompagnarono il sorgere delle sacre corazze, disposte in totem. D'un tratto le parti si divisero, iniziando a posizionarsi sui corpi dei due Cavalieri: le piastre pettorali e dorsali si unirono per prime ai loro busti, poi toccò a bracciali, gorgiere, cubitiere e manopole, seguite da spallacci e rotelle. Una volta protetta la parte superiore del corpo, fu il turno di fiancali, cosciali, ginocchiere e schinieri che a loro volta precedettero le scarpe. Infine fu il turno degli elmi. La corazza dei Gemelli era possente, massiccia ed il suo elmo bifronte le dava un fascino sinistro, mentre quella del Sagittario era elegante e raffinata, merito soprattutto delle dorate ali dorsali.

"Sei pronto Saga?" chiese deciso Micene, preparandosi all'attacco.

"Vieni pure, ti aspetto!" rispose il compagno.

I due spiccarono un gran balzo e si scambiarono, a grande velocità, una prima serie di schermaglie: i colpi rapidi e precisi dei due Cavalieri fendevano l'aria del mattino, mentre i suoni metallici generati dagli urti delle corazze, unito ai versi e alle smorfie dei due, dovuti allo sforzo, riecheggiavano per tutta l'isola.

"Avanti Micene, non voglio batterti troppo facilmente!" provocò Saga, preparando il destro.

"Non sprecare il fiato, potresti pentirtene!" rispose l'altro, spiccando l'ennesimo balzo.

Nello scontro corpo a corpo Saga aveva uno stile di lotta molto diretto e aggressivo, mentre Micene tendeva ad essere più elegante nei movimenti ma, nonostante le differenti attitudini alla lotta, gli sfidanti si conoscevano così bene che nessuno dei due riusciva a prevalere sull'altro. Ritornarono a terra e si lanciarono in una nuova carica: Saga tentò con un colpo diretto di raggiungere il petto del compagno, ma Micene pose il suo braccio sinistro a difesa, contrattaccando prontamente col destro. Saga lo parò a mano aperta e contemporaneamente, col piede sinistro, fece perdere l'equilibrio al Sagittario il quale però, con scaltrezza, trascinò Gemini col braccio sinistro, rimasto libero. Entrambi caddero a terra, perdendo gli elmi, ma si rialzarono prontamente e continuarono con più decisione: Micene tentò un nuovo balzo, ma Saga questa volta non lo seguì in aria, attendendo il momento propizio per contrattaccare. Il Cavaliere di Sagitter scese veloce in picchiata, preparandosi a scagliare una potente pedata di destro. Saga dispose entrambi i palmi delle mani a difesa, pronto a resistere all'impeto del compagno: il calcio fu violento e l'eco metallica si estese per tutta l'isola; sulle braccia di Saga le vene risaltavano numerose per l'enorme sforzo sostenuto, mentre il terreno ancora leggermente umido di quella parte di isola fece sì che il Cavaliere dei Gemelli sprofondasse nel fango fino alle caviglie. Micene, conclusosi l'impeto del primo attacco, era pronto per un nuovo colpo col piede sinistro ma Saga, con un rapido movimento, sostenne per un istante il peso del compagno con una mano e, avendo liberato la sinistra, allentò la presa del braccio destro volontariamente, costringendo Micene ad avvicinarsi a causa del suo stesso peso, cosa che permise al compagno di afferrare lo schiniere sinistro del Sagittario e di scagliarlo con forza al suolo. Micene si schiantò di spalle, mentre Saga crollò sulle ginocchia, appoggiando le mani a terra. Entrambi erano provati e sudavano copiosamente, ma proseguirono dopo qualche profondo respiro: si rialzarono e, sbilanciandosi con una serie di colpi scagliati con disarmante abbandono, si affacciarono, senza accorgersene, sul crinale più ripido della collinetta.

"Vuoi continuare ancora? Non vorrei farti troppo male" ruggì durante lo scontro Micene, sbeffeggiando l'avversario.

"Folle!" fu la secca risposta di Saga, che si preparò per scagliare un calcio, tentando un nuovo atterramento.

Micene, però, riuscì a prevedere in tempo l'attacco ed alzò la gamba sinistra per parare il colpo. Gli schinieri cozzarono generando un sinistro suono metallico.

Entrambi sorressero il peso del proprio corpo con l'aiuto di una sola gamba, sgretolando il terreno più secco di quella parte di isola, che franò sotto di essi. Cercando di approfittare dell'imprevisto per scagliare un colpo fortuito all'avversario, nessuno dei due si curò di evitare la rovinosa caduta lungo il ripido pendio, che li catapultò fino alla piccola spiaggia sabbiosa in basso, dove per qualche istante rimasero immobili, lasciandosi sfiorare dalle deboli onde del mare. I due si guardarono poi negli occhi alzando il volto dalla tiepida sabbia e con un rapido scatto si poggiarono sulle ginocchia, caricando le caviglie per l'ennesimo balzo.

Saga si mosse per primo, ma non nel modo in cui Micene si aspettava: nel rialzarsi, il Cavaliere di Gemini prese un pugno di sabbia umida, appena bagnata dalle onde, e lo lanciò verso l'avversario il quale, proteggendo gli occhi con il braccio destro, notò immediatamente la sagoma di Saga giganteggiare minacciosa su di lui. Rendendosi conto dell'imminente pericolo, senza indugiare, si slanciò in avanti, non badando troppo allo stile elegante che lo contraddistingueva in combattimento. Il Cavaliere di Gemini schivò lo scoordinato ma rapidissimo movimento di Micene, ma venne colpito alla coscia destra dal braccio sinistro del compagno, tenuto volontariamente aperto per tentare un colpo fortuito. Entrambi caddero a terra, ansimanti, ma Micene, concedendo sfortunatamente le spalle al compagno, fu prontamente afferrato dalle ali dorsali e lanciato in aria con un rapido movimento. Con un balzo, Saga lo raggiunse e dopo l'ennesima rapidissima serie di schermaglie, i due poggiarono piede a terra e si colpirono a vicenda in pieno petto, facendo vibrare le sacre vestigia. Si guardarono negli occhi, immobili, nella posa del loro ultimo attacco, con i muscoli ancora in tensione. Il frastuono di pochi istanti prima aveva lasciato il posto al pesante soffio dei loro respiri. D'un tratto si sorrisero soddisfatti e si rilassarono, ponendo fine all'intensa prima parte della lotta.

"Molto bene Micene, mi mancava un duello così intenso..." fece Saga "...ma che ne dici di fare davvero sul serio ora?"

"E' sia! Direi di provare un colpo da media distanza, sei d'accordo?"

"Media distanza e massima potenza Micene!"

"Bene. Raccogliamo le energie e torniamo in cima all'altura."

Il sole era ormai alto e l'aria era sempre più calda. Mentre i Cavalieri d'Oro si preparavano per la seconda parte dell'allenamento, all'arena i giovani allievi erano pronti per sostenere una nuova prova:

"Ascoltate..." fece Leno "...abbiamo deciso che dopo il riscaldamento appena concluso, sia giunto il momento di vedervi combattere in un duello".

Sembrava che i giovani non attendessero altro: finalmente avrebbero combattuto in un duello, un vero duello!

"Siete in numero dispari, per cui decideremo noi chi, di volta in volta, sarà chiamato a combattere..." spiegò Vera "...i primi a scontrarsi saranno Milo dello Scorpione e Camus dell'Aquario. Preparatevi!"

"In bocca al lupo ad entrambi, fatevi onore" disse Shura ai due compagni.

"Regalateci un bello spettacolo" aggiunse Aldebaran con la sua solita allegria.

I due sfidanti si recarono al centro dell'arena, mentre gli altri si sedettero sulla prima gradinata, trepidanti per l'imminente scontro. I tre maestri invece restavano in piedi.

"In guardia Camus!"

"Arrivo Milo, preparati!"

I due partirono alla carica e iniziarono subito con qualche schermaglia. La sabbia dell'arena roteava in aria, sospinta ora dai colpi rapidi e mirati di Milo, ora dalle onde d'urto che Camus riusciva a generare con ampi movimenti delle braccia. Milo prediligeva la lotta fisica, a differenza di Camus, e tentava in ogni modo di aprire una breccia nelle difese dello sfidante. Dal canto suo, Camus riusciva a difendersi molto bene, avendo però poche possibilità per contrattaccare, a causa del ritmo forsennato che il giovane dello Scorpione aveva dato alla lotta, puntando tutto sulla sua grande agilità. Dopo un balzo di Milo, che aveva intenzione di accecare il suo sfidante, frapponendosi tra lui e il sole, Camus protesse gli occhi con una mano e tentò un colpo poco coordinato, dettato solo dalla situazione di pericolo, per difendersi dall'astuta mossa dello sfidante. Il giovane Scorpione, col vantaggio della visuale, scorse subito una breccia nella difesa di Camus, proprio all'altezza del petto, e pregustò la facile vittoria, inconsapevole che il giovane dell'Aquario, piuttosto che difendersi sollevando il braccio destro, attaccasse a sua volta con la mano aperta: entrambi i colpi andarono a segno e i due caddero malamente al suolo, con delle smorfie di dolore dipinte sul volto.

"Può bastare così" ordinò Vera prontamente, avvicinandosi per sincerarsi delle loro condizioni.

I loro sguardi si incrociarono ed entrambi, nonostante fossero parecchio acciaccati, si alzarono lentamente:

"Bravo amico mio, il tuo colpo è stato davvero preciso".

"Così come efficace è stato il tuo, Camus".

Si scambiarono un gesto d'intesa, ansimando ancora per la fatica appena sostenuta.

"Bene, ho visto un approccio sufficiente da entrambi..." fece Vera avvicinandosi "...ma non basta ancora!..." si rivolse con tono ammonitrice:

"...Camus, tu privilegi troppo il combattimento a distanza e dovresti stare più attento quando il nemico ti è molto vicino, hai rischiato di subire un durissimo colpo poco fa e tu Milo, sei, invece, ancora troppo avventato: avevi agito molto bene con la tua ultima mossa, ma hai sprecato malamente il vantaggio, facendoti colpire a tua volta. Credete sia stato un caso il vostro abbinamento? Avete due approcci molto diversi alla lotta, lo abbiamo notato fin dal vostro primo allenamento, dal modo con cui scagliavate i vostri colpi verso i manichini. Dovete migliorare entrambi: Milo, tu cerchi di ridurre sempre la distanza dal tuo nemico e questo va a discapito della difesa, non potrai attaccare sempre a tuo piacimento, ricordalo, potresti scomporti troppo. Camus, tu invece agisci al contrario, preferendo divincolarti dal corpo al corpo il più delle volte e attaccare con fasci di energia. E' nella tua natura cosmica dopotutto e in fondo è per questo che non verrete seguiti dallo stesso istruttore: non bisogna snaturare il vostro stile di lotta, che un giorno vi differenzierà l'uno dall'altro, ma sappi che un atteggiamento del genere può mandare in crisi la tua strategia di battaglia, se malauguratamente un nemico riuscisse ad avvicinarsi troppo. Vi consiglio, in ogni caso, di collaborare: potreste capire molto l'uno dall'altro".

I due ascoltarono attentamente, sorpresi da quanti consigli Vera fosse riuscita ad elargire, con dovizia di particolari, dopo pochi minuti di combattimento.

"Vi ringraziamo per le vostre parole, nobile Vera, faremo tesoro di questi utili insegnamenti" rispose Milo rispettosamente, a nome di entrambi. Camus annuì.

"Ora accomodatevi pure, spero di vedere presto dei miglioramenti".

Fu il Cavaliere della Coppa, poi, a prendere l'iniziativa:

"Bene, ora sono curioso di vedere all'opera i miei futuri allievi: Shaka e DeathMask venite avanti e preparatevi" disse Sibrando, facendosi avanti. I due, giunti al centro dello stadio, erano in attesa di un cenno del maestro per iniziare a combattere, ma nemmeno in quella circostanza DeathMask si lasciò scappare l'occasione per provocare con tono ironico l'avversario:

"Sei pronto, antipatico? Spero di non farti troppo male".

Shaka non rispose, ma fissò intensamente il suo sfidante a lungo, prima di iniziare il duello.

"Cominciate" urlò Sibrando alzando il braccio.

Shaka si sedette, nella classica posizione con cui era solito meditare, e chiuse gli occhi, cosa che DeathMask prese come una provocazione di cattivo gusto:

"Ehi tu, ma cosa ti prende? Non voglio vincere troppo facilmente contro di te quindi datti una mossa e fai sul serio: sappi che ti attaccherò e non mi farò scrupoli se non ti muoverai da lì, mi hai capito?"

Non ricevendo alcuna risposta, DeathMask perse la pazienza:

"L'hai voluto tu!" Si concentrò per qualche istante, chiuse gli occhi e alzò il braccio, dopodiché puntò il dito contro Shaka e ruggì forte:

"Adesso! Alla massima potenza!"

Un'onda d'urto si diresse violenta contro il giovane di Virgo che, alzatosi di scatto, aprì gli occhi e distese le mani in avanti per parare il colpo: l'onda d'urto fu arrestata e le energie contrapposte generarono un turbine al centro dello stadio.

"Non sperare di cavartela così facilmente..." urlò DeathMask, che poi aggiunse "...Ora!"

Shaka fu tirato indietro da una forza invisibile e fu costretto a voltarsi per fronteggiarla, ma fu allora che DeathMask partì alla carica per il colpo di grazia. Il combattimento, però, subì una piega inaspettata:

"Khan!"

L'attacco di DeathMask fu respinto da una sorta di barriera luminosa che si erse in difesa di Shaka, schiantando a terra il sorpreso sfidante. I compagni rimasero affascinati dalla tecnica difensiva, mentre i tre insegnanti ne furono molto colpiti, chiedendosi come fosse possibile che una delle più efficaci tecniche dei Virgo fosse già nel repertorio del giovane allievo indiano.

"Nobile Vera, avete visto?" chiese stupito Leno.

"Sì, è davvero strano che sappia già utilizzare quella tecnica, per giunta in modo molto efficace. Non che il suo avversario sia da meno, ma il suo modo di manipolare la materia spirituale è ancora molto rozzo ed imperfetto: resta interessante il fatto che sappia già interagire abbastanza bene con gli spiriti, ma il giovane della Vergine è stato sorprendente, non riesco a darmi una spiegazione" rispose sussurrando la Sacerdotessa. Sibrando ascoltava, in silenzio, tenendo gli occhi fissi sui due contendenti, suoi futuri allievi.

"Come hai fatto?..." chiese DeathMask un po' stordito, rialzandosi. "...Bada, non mi atterrerai una seconda volta!" aggiunse poi deciso. Partì di nuovo alla carica e quando fu abbastanza vicino a Shaka, spiccò un balzo per ritrovarsi alle sue spalle.

"Sei spacciato!" urlò con convinzione e con una mossa veloce e decisa puntò l'indice contro l'avversario, generando una nuova onda d'urto, ancora più potente della precedente. Shaka, che si era voltato seguendo il movimento di DeathMask, lanciò a sua volta un colpo unendo i palmi delle mani. I due lampi di energia esplosero al centro dell'arena, generando uno stallo di forze, apparentemente difficile da squilibrare. Improvvisamente però, il giovane del Cancro sembrò distratto prima e terrorizzato poi da qualcosa o qualcuno che nessuno dei presenti riuscì ad identificare. Non si capì il perché del suo comportamento, ma quell'attimo di esitazione gli costò la sconfitta: il colpo di Shaka prese il sopravvento e lo gettò violentemente in terra per la seconda volta. DeathMask rimase fermo, con lo sguardo rivolto al cielo terso. Notò poi la sagoma di Shaka avvicinarsi e chiedere:

"Cosa ti è accaduto prima? Perché hai ceduto?"

DeathMask, una volta in piedi, si rivolse al compagno dandogli le spalle:

"Antipatico, l'ho sempre detto che sei antipatico".

Nonostante le consuete parole di scherno, DeathMask non sembrava avesse voglia di scherzare: era serio e pensieroso, sguardo basso e malinconico, ma non per la sconfitta subita quanto, piuttosto, per quello che era successo durante lo scontro.

"Bravo, sei forte antipatico! Bella lotta" disse a Shaka, allontanandosi dal centro dell'arena, desiderando soltanto di essere lasciato in pace.