CAPITOLO V

Fratelli

"Avete mostrato ottime capacità combattive..." disse Vera avvicinandosi al centro dello stadio "...Shaka come hai fatto a richiamare quella barriera protettiva?"

"Merito degli anni trascorsi al monastero" rispose laconico il giovane.

La Sacerdotessa, per nulla appagata dalla sintetica risposta dell'allievo, avrebbe voluto indagare più a fondo sulle capacità del futuro Virgo ma, notando che il giovane del Cancro stava accomodandosi mestamente sulle gradinate, ebbe uno strano presentimento e decise di rivolgersi a lui per rincuorarlo, evitando volontariamente di fare allusioni a voce alta sullo strano evento a cui tutti i presenti avevano assistito soltanto pochi istanti prima:

"E tu, DeathMask, perchè vai via? Sei stato in gamba, puoi ritenerti soddisfatto, non abbatterti".

"Lasciatemi in pace nobile Vera, ve ne prego" rispose il giovane, sedendosi sugli spalti, lontano dai suoi compagni.

"Nobile Vera, percepisco instabilità nel cuore di quel ragazzo" sussurrò Sibrando alla Sacerdotessa.

"Lo avverto chiaramente, è successo qualcosa di strano durante il duello".

"Ho percepito un'insolita vibrazione nel cosmo. Cosa intendete fare? Non posso affermarlo con certezza, ma mi è sembrato di percepire alcuni spiriti che..."

"Non adesso Sibrando..." rispose con un filo di voce la Sacerdotessa, interrompendo il parigrado "...ne riparleremo in privato, ora proseguiamo con le attività". Si percepiva chiaramente preoccupazione nelle sue parole.

"Come desiderate".

Il giovane della Vergine osservava, da debita distanza, l'addestratrice e maestro Sibrando, tentando di origliare qualcosa; poi si voltò verso il compagno e, senza fiatare, si diresse al suo posto come se nulla fosse accaduto. Alcuni suoi compagni si avvicinarono a DeathMask che, però, li allontanò in modo sgarbato.

"Lasciatelo in pace!..." ordinò Vera "...e tu DeathMask non essere così deluso, i miei complimenti erano sinceri..." aggiunse, mascherando la preoccupazione con belle parole "...Si facciano ora avanti Ioria e Shura" disse infine, annunciando il terzo scontro.

Sull'isoletta di Archè, intanto, i Cavalieri d'Oro avevano da un po' di tempo interrotto il proprio allenamento, attratti dallo sfavillare dei cosmi dei giovani allievi, intenti a darsi battaglia all'arena.

"Sembra che ora sia il turno di mio fratello, percepisco il suo giovane cosmo fremere al centro dello stadio. Speriamo sia un'altra grande sfida come le due precedenti."

"Micene, dimentichi che anche noi abbiamo qualcosa in sospeso? Hai per caso paura?" disse Saga in modo sarcastico.

"Affatto! Non indugiamo oltre, combatterò contemporaneamente a mio fratello e questo mi darà un motivo in più per lasciar ardere fino alle stelle ultime il mio cosmo, saprai contenermi Saga?" disse in tono di sfida il Sagittario, sorridendo all'amico.

"Piuttosto prepara tu le difese, Micene".

I due Cavalieri elevarono i propri cosmi a livelli inimmaginabili, tanto che tutti i presenti all'arena si accorsero dell'energia che stava improvvisamente avvolgendo il golfo. Anche Ioria e Shura, che avevano da poco iniziato a combattere, si fermarono di colpo e volsero lo sguardo verso Archè, imitati immediatamente dai propri compagni, che si avvicinarono istintivamente al centro dello stadio per osservare all'orizzonte l'inatteso spettacolo.

Vera colse l'occasione per incitare i propri allievi:

"Ammirate, questo è lo straordinario cosmo dei Cavalieri d'Oro. Questo sarà, un giorno, il vostro potere"

Anche il solitario DeathMask ne fu colpito e, dopo un iniziale tentennamento, si avvicinò ai suoi compagni, facendosi largo con le braccia per osservare meglio, nonostante, insieme ad Aldebaran e Shura, fosse uno dei giovani più alti del gruppo.

"Il momento è giunto Micene, sei pronto?"

"Più che pronto Saga, i nostri cosmi sono ormai al massimo, non indugiamo!"

La terra iniziò a tremare, il mare si ingrossò ed un vento impetuoso si diresse verso la costa. Sembrava che lo stesso monte del Tempio stesse iniziando a vibrare fin dalle fondamenta.

"A me, potere delle stelle: Per il Sacro Sagitter!"

"Colpisci, mia energia: Esplosione Galattica!"

Lo sguardo era concentrato, i muscoli tesi, il fiato sospeso. Poi fu silenzio: il tempo parve fermarsi quando i colpi si scontrarono a mezz'aria generando un'enorme sfera di luce dorata. Furioso, ma silenzioso vulcano parve diventare la piccola Archè. Per un attimo interminabile i cuori dei giovani allievi, ora consapevoli delle reali capacità del cosmo, batterono all'impazzata, meravigliati e terrorizzati al tempo stesso.

"Il potere dell'intero Universo nelle proprie mani": si avverarono sotto i loro occhi le parole del Sacerdote e tutto gli fu più chiaro.

D'un tratto un rombo assordante accompagnò una fortissima onda d'urto che si abbatté sull'arena e sui suoi occupanti, costretti a riparare lo sguardo dal violento turbine, riuscendo a stento a resistere a tale impeto. La terra sembrò squarciarsi durante quegli interminabili istanti nei quali i cosmi dei due Cavalieri d'Oro sembrarono fondersi in un abbraccio tremendo, carico di tutta la potenza delle stelle.

Tornò poi la quiete, sull'isola come sulla terraferma: i venti si placarono ed il mare si tranquillizzò. Dall'arena si poteva scorgere una leggera nebbiolina diradarsi rapidamente dalla sagoma sinuosa dell'isolotto.

I duellanti di Archè giacevano in terra, coperti da un leggero strato di detriti: erano sfiniti, ma il loro ansimare era accompagnato da grande soddisfazione:

"Ben fatto amico...una sfida indimenticabile".

"Era da un po' di tempo che non ci divertivamo così...vero Saga?"

"Già, ma non credi che questa volta abbiamo esagerato?" chiese ironico il compagno.

"Tu dici? No, non se ne sarà accorto nessuno" sorrise Micene.

Si alzarono, ripulirono le corazze dalla polvere e si sedettero osservando l'Egeo. Le onde, che si infrangevano dolcemente sulla spiaggia poco distante, erano piacevole sottofondo per i loro pensieri, mentre il clima sereno del mezzogiorno e l'assenza di foschia rendevano chiaramente visibili il profilo della grande isola di Patroklos a ovest, che imponente si erge davanti alle coste di Legrena ed Esperides, le candide rovine del Tempio di Poseidone sulla sommità brulla e spoglia di capo Sounion ad est, finanche la sagoma della piccola Agios Georgios, verso sud. I due alzarono lo sguardo verso uno stormo di gabbiani garrenti, poi si guardarono negli occhi e con un cenno d'intesa si alzarono in piedi.

"Amico, direi di tornare sulla terraferma, la marea si sta alzando." fece Micene puntando lo sguardo verso la costa.

"Hai ragione. Su, così potremo assistere a qualche scontro all'arena, sembra che tuo fratello si stia dando da fare" rispose Saga, percependo i cosmi di Ioria e Shura, tornati da qualche istante a bruciare vigorosamente.

"Affrettiamoci, spero di arrivare prima della fine dello scontro" disse Micene iniziando a correre, evidentemente ansioso di assistere al duello di suo fratello. Saga abbassò lo sguardo e sorrise malinconicamente poi, dando un calcio ad una pietra, che svelta rotolò giù lungo il piccolo pendio, seguì il compagno che, nel frattempo, aveva già raggiunto il mare. Micene si diresse veloce verso la costa, infrangendo fragorosamente le acque che ora avevano raggiunto quasi le ginocchia, mentre Saga aveva appena messo piede sulla lingua di terra sommersa. Il suo umore si era fatto cupo da quando aveva letto la sincera e profonda gioia negli occhi di Micene, trepidante di raggiungere al più presto l'arena. L'arrivo di Ioria aveva donato nuova vitalità al suo compagno e questo fece riaffiorare nella sua mente il ricordo del suo gemello e i momenti spensierati di bambino durante i quali, insieme all'amato fratello, trascorreva una vita umile ma pacifica; quel fratello che proteggeva instancabilmente da tutto e tutti, come se avesse ricevuto ordine da Atena stessa di vegliare su di lui per la vita. Immaginava che Micene e Ioria avessero avuto la stessa infanzia, prima del loro arrivo a Rodorio, ma ciò che più di tutto lo stava tormentando era il ricordo del doloroso momento dell'addio a suo fratello: riaffiorarono alla mente le urla e le copiose lacrime del gemello perdersi nella bufera quando, disperato, lasciò la mano della madre per correre dietro a Garnier di Orione, Cavaliere d'Argento che lo proteggeva col suo mantello dalla pioggia incessante; Garnier di Orione che fu incaricato da Sion di portare al Tempio colui che sarebbe diventato un giorno Saga di Gemini. Seppe da Micene che anche il giovanissimo Ioria cercò disperatamente di impedire all'anziano Miko, in gioventù Cavaliere di Bronzo dell'Unicorno, deceduto poco tempo dopo la missione, di strappargli l'amato fratello.

Si chiese poi, senza trovare risposta, se non nella sua iniziale, eccessiva, e forse fuori luogo nei confronti di Micene, riservatezza, il motivo per il quale non avesse mai parlato di suo fratello al compagno che, invece, gli raccontava spesso degli allenamenti avuti con Ioria nei giorni in cui gli veniva concesso di lasciare il Tempio per dirigersi al suo villaggio, nella vicina Argolide.

"Kanon..." sussurrò Saga, dopo che questo turbine di pensieri si era insinuato nella sua mente quando, ad un tratto, tornò alla realtà udendo in lontananza le urla di Micene che, intanto, aveva già raggiunto la riva:

"Ehi lumaca, vuoi che Poseidone ti porti con sé?"

"Arrivo sbruffone" rispose il Cavaliere di Gemini, affrettando il passo e tornando ad assumere la sua classica smorfia imperscrutabile.

I suoni provenienti dall'arena erano chiaramente distinguibili dalla riva, in particolare le urla dei due combattenti e le incitazioni dei compagni.

"Ioria arrenditi finché sei in tempo, potresti evitare una sonora sconfitta!" urlò solennemente Shura per intimorire l'avversario, prima di lanciarsi nell'ennesimo scatto.

"Modera le parole, amico, e non farmi arrabbiare" rispose aggressivo lo sfidante.

Entrambi tesero il braccio destro e con un balzo si colpirono vicendevolmente sul volto, cadendo fragorosamente al suolo; ma prontamente si rialzarono, tornando a studiarsi con lo sguardo. Ioria concedeva qualche centimetro in altezza all'avversario, ma la grinta che metteva in ogni movimento rendeva la sfida aperta ed equilibrata: consapevole che le braccia di Shura, oltre ad essere pericolose in attacco, erano difesa quasi invalicabile, vista l'evidente ed innata abilità del giovane del Capricorno nell'usare gli arti, Ioria decise di provocarlo sperando in una mossa falsa.

"Avanti Shura, che c'è? Sei stanco forse?" lo sbeffeggiò in attesa.

"Smettila Ioria" rispose seccato Shura, che partì all'attacco preparando il braccio destro per lanciare uno dei suoi micidiali fendenti: alzò l'arto dirigendosi veloce verso Ioria, il quale decise di spostarsi alla sua destra, lato nel quale il braccio del giovane di Capricorn avrebbe avuto un angolo d'azione minore.

Shura, facendo calare pesantemente il braccio teso, si sbilanciò inutilmente in avanti quando si rese conto del movimento dell'avversario che, avendo attentamente elaborato la mossa, caricò, per quanto poté, il suo pugno sinistro, colpendolo ad un fianco e facendolo urlare di dolore. La vendetta di Shura non si fece però attendere: pensando di aver già vinto lo scontro, Ioria ritirò il braccio senza curarsi di lasciare scoperto il petto; fu così che con la coda dell'occhio il dolorante giovane del Capricorno intravide la breccia e, usando inaspettatamente il sinistro, colpì in pieno petto l'avversario con un colpo a rientrare del braccio, fino ad allora tenuto largo senza successo. I due si riversarono al suolo, doloranti per i recenti colpi e affaticati per la lunga lotta, quando ad un tratto, percependo la fatica degli allievi in terra, Vera interruppe il combattimento:

"Basta così! Questo non è uno scontro all'ultimo sangue e tra i duelli di quest'oggi è stato di certo il più lungo ed estenuante. Potete ritenervi soddisfatti anche voi". Detto questo la Sacerdotessa alzò lo sguardo verso la sommità delle gradinate, ma non disse nulla più. Al centro dell'arena i due sfidanti si rialzarono e si scambiarono qualche parola, lasciando intendere che avrebbero avuto presto una seconda occasione per una resa dei conti:

"La prossima volta non ti lascerò nemmeno avvicinare" disse Shura, poggiando la mano sulla spalla dell'amico.

"Ritieniti fortunato se ti darò il tempo di capire cosa succederà" rispose Ioria, sorridendo.

Il giovane del Leone notò che lo sguardo di Shura era rivolto verso i gradoni dell'arena, ragion per cui si volse a sua volta e con somma sorpresa riconobbe le inconfondibili sagome di Saga e di Micene, giunti in tempo per assistere agli ultimi colpi del combattimento. Il dolore fece posto alla gioia e, alzando il braccio, salutò il fratello che ricambiò con un piccolo gesto d'intesa.

Leno prese la parola:

"Molto bene, siamo all'ultimo scontro di oggi: si preparino Aphrodite e Mur..."

"Ma non è giusto, voglio combattere anch'io!" protestò immediatamente Aldebaran, incrociando le braccia.

"Calma, Aldebaran, calma. Domani ti concederemo un grande privilegio..." lo placò Leno "...Insieme a Vera e Sibrando abbiamo deciso che sarai tu domani ad inaugurare la nuova serie di prove che vi aspettano. Non essere impaziente e trai beneficio dai numerosi consigli che la nobile Vera ha impartito fino ad ora. Non temere, ne varrà la pena".

Aldebaran rimase sorpreso e soddisfatto dalle parole di Leno e si sedette insieme ai compagni, accettando di buon grado di non gareggiare. Mur ed Aphrodite si disposero al centro dell'arena, in attesa dell'ordine di Vera.

"I miglioramenti sono evidenti, ma deve essere più attento..." sussurrò Micene, portandosi una mano al mento.

"Cosa c'è Micene?"

"Stavo pensando all'incontro di mio fratello, Saga. Nelle occasioni in cui ho avuto la fortuna di allenarmi con lui, ho sempre tentato di fargli capire quanto fosse importante prendere le giuste decisioni in breve tempo durante uno scontro, ma poco fa mi ha dato la dimostrazione che soffre ancora di cali di tensione".

"Imparerà Micene, con un po' d'esperienza ciò che desideri si realizzerà" disse bonariamente Saga.

Micene sorrise di rimando all'amico e notò con piacere che egli appariva particolarmente disponibile quando c'era da parlare di suo fratello Ioria, non potendo sapere che in realtà Saga provasse un vuoto lacerante dentro di sé: pur non provando particolari gelosie nei confronti di Micene e Ioria, Saga era certo che anche il suo gemello Kanon meritasse un'Armatura di primo livello, memore delle abilità simili alle proprie che fin dalla tenera età era riuscito involontariamente a far emergere nelle lotte fraterne che impegnavano i loro pomeriggi. Abilità che, col suo arrivo al Tempio, capì fossero dovute ad un cosmo ancora molto acerbo. Era così legato al fratello, che si sentiva a volte colpevole della sua mancata nomina: nella sua mente ripeteva sempre che Kanon avrebbe potuto facilmente aspirare ad un'Armatura d'Oro, tuttavia quella dei Gemelli, l'unica tra le dodici dorate vestigia su cui potesse vantare qualche diritto, era ora, orgogliosamente, nelle sue mani. Una volta diventato Cavaliere riaffiorarono spesso nella sua mente i ricordi nei quali il giovane Kanon si mostrava poco incline a pianificare con cura le mosse durante uno scontro, preferendo attaccare sempre a testa bassa, un atteggiamento che a volte spingeva Saga a considerare suo fratello bisognoso di alcuni importanti insegnamenti, proprio quello che Micene riteneva necessario anche per Ioria. Purtroppo per lui, a Kanon tale opportunità non fu mai concessa.

Intanto la lotta, poco più in basso, era iniziata. Mur si dimostrava molto abile nel richiamare qualche stilla del proprio cosmo, col quale riusciva a lanciare precisi fasci dorati che, saettando in aria, generavano qualche scintilla molto luminosa; di contro Aphrodite aveva uno stile molto diverso: cercava, infatti, ad ogni costo il massimo risultato col minimo sforzo, utilizzando piccoli e fulminei movimenti sia per attaccare che per difendere.

"Prendi questo!" disse un combattivo Mur, preparandosi a lanciare un colpo.

"Non ti temo, Mur!" fu la risposta dell'avversario, apparentemente molto sicuro di sé.

La strategia di Mur era semplice, ma efficace: tentare di spazzar via le difese di Aphrodite, per poi avvicinarsi e sferrare il colpo definitivo. Lanciò con tutte le sue forze un lampo di energia che, dopo alcuni secondi riuscì ad aprire una breccia nelle difese dell'avversario, colpendolo e gettandolo al tappeto. Con un balzo fulmineo e pregustando la vittoria, Mur si scagliò contro l'avversario ancora a terra ma, poco prima di raggiungerlo, il giovane dei Pesci, come se non stesse aspettando altro, sollevò il braccio, tenendo ben in vista una rosa rossa nella mano destra. Il giovane Ariete, colto di sorpresa, non poté frenare il suo impeto, permettendo ad Aphrodite di piantare il suo fiore nel petto di Mur, dove l'armatura da allenamento era meno coprente. La tunica del giovane Ariete, crollato sulle ginocchia, venne rigata dal sangue: era evidente che Aphrodite , nonostante non sapesse ancora caricare le sue rose con il cosmo, fosse abile nel ricrearle con grande rapidità. Sorprese con un'astuta mossa Mur e concluse in vantaggio la lunga serie di schermaglie, dopo aver rischiato seriamente di essere battuto. Mur strinse i denti dal dolore, osservando l'ombra dello sfidante incombere su di lui. Questa volta era il futuro Pisces in grado di scagliare il colpo di grazia: aveva, infatti, già pronta in mano una seconda rosa rossa. La sollevò lentamente, con Mur che aveva ancora lo sguardo rivolto alla sabbia dell'arena, coperta dall'ombra dello sfidante.

"Ed ora, Mur, il colpo di grazia" sussurrò Aphrodite con soddisfazione al compagno, godendosi il momento del trionfo.

A quelle parole, Mur raccolse le residue energie e voltandosi repentinamente scagliò un colpo lucente che colpì Aphrodite in pieno, scaraventandolo lontano. La luce del sole accecò Mur per un istante ma, inaspettatamente, il giovane notò un'ombra molto vicina coprire la sfera celeste, come fa la luna durante un'eclisse: realizzò subito che si trattasse della rosa di Aphrodite che quest'ultimo era evidentemente riuscito a scagliare contro di lui. Non poté far nulla, né muoversi, né tantomeno attuare qualche rimedio estremo: percepì il calore delle gocce di sangue bagnargli il braccio sinistro, quello più esposto all'avversario ma, fortunatamente, la rosa, dopo averlo ferito, si conficcò nel terreno come uno stiletto affilato, perdendo un paio di petali. Il graffio sul braccio e la ferita in petto erano molto dolorosi ma, dopo qualche istante, seppur barcollando, Mur riuscì a rimettersi in piedi. Aphrodite invece colpì violentemente i marmi delle tribune dell'arena, rimanendo stordito per un po'. Il giovane Ariete, spinto dal suo animo buono e pacato, piuttosto che attendere l'avversario al centro dello stadio e riprendere lo scontro, gli si avvicinò per aiutarlo a rialzarsi e i due, un po' malconci, si sostennero a vicenda dopo la feroce sfida, raggiungendo i compagni sulle gradinate.

"Bella lotta" sussurrò Mur, sorridendo e sollevando con cura l'amico, ancora leggermente stordito dal colpo.

"Non credevo fossi così tenace, bravo" rispose Aphrodite appoggiandogli una mano sul petto ferito, come per scusarsi.

"Anche questo è stato un incontro molto interessante: Aphrodite, sei molto abile nel generare le rose, ma sembri sopravvalutare troppo le tue difese, mentre tu, Mur, sei poco incisivo, devi ancora maturare la grinta di un vero Ariete d'Oro..." disse Vera, che poi aggiunse "...Leno, vai nell'atrio interno e prendi qualche medicamento, i nostri allievi sembrano averne bisogno."

"Immediatamente" fece il Cavaliere, avviandosi.

I duellanti vennero accolti dai complimenti dei compagni ma DeathMask, che dopo lo spettacolo offerto dai Cavalieri d'Oro ad Archè si era ripreso, notando che Aphrodite toccava con le dita una piccola ferita sullo zigomo sinistro, poco più in basso del neo che caratterizzava i suoi delicati lineamenti, piuttosto che unirsi agli elogi urlò con tono canzonatorio e irriverente:

"Cos'è successo? Hai rovinato il tuo bel visino?".

"Ma smettila" rise Aldebaran, spingendolo via.

"Salute nobili Cavalieri d'Oro" fece una voce in tono molto rispettoso avvicinandosi a Saga e Micene. I due compagni si voltarono e riconobbero il capitano del corpo di guardia del Grande Tempio, il soldato, non Cavaliere, più influente tra i lancieri del Santuario. Era uso che i lancieri del Grande Tempio fossero abbigliati con candidi abiti greci e qualche piastra d'acciaio, mentre al capitano del corpo era concessa un'elegante armatura che lo faceva somigliare ad un antico guerriero del periodo ellenistico: indossava una linothorax ed un elegante elmo attico con un piccolo cimiero a forma di testa d'aquila con due fregi laterali a forma di ala e portava con sé una dory lunga tre metri, con punta metallica a forma di foglia e sauroter appuntito e ben visibile. Nonostante fosse un corpo militare praticamente inutile all'interno del territorio sacro del Tempio, i lancieri del Santuario erano un manipolo di soldati molto rispettato dalla popolazione civile che, oltre a montare costantemente la guardia lungo tutto il perimetro del Monte, svolgeva anche servizio di polizia nei centri abitati di Rodorio e Sounion.

"Perdonate l'interruzione, sono qui per informarvi che il Gran Sacerdote ha richiesto la vostra presenza nelle sale del Santuario per questa sera, due ore dopo il tramonto".

"Ti ringrazio soldato, sei stato molto gentile" fece Micene salutando il lanciere che, con una riverenza, si congedò e tornò sui suoi passi.

"Cosa vorrà il Grande Sion" disse Saga sottovoce.

"Non ne ho idea, probabilmente avrà nuovi piani per il prosieguo degli allenamenti. Non mi ha anticipato nulla quando mi ha consegnato la pergamena, è probabile, quindi, che ci siano delle novità".