Capitolo IX

La Casa del Cancro aveva una caratteristica pianta a croce, e a differenza delle altre, le cui facciate erano rivestite di marmi dai colori vivaci, era costruita con pietra nera. Nell’interno, alle colonne erano appese delle maschere di teatro. Fatto singolare, nessuna di esse era sorridente, ma tutte avevano un’espressione triste, con la bocca all’ingiù, piegata in una smorfia. Erano così realistiche da sembrare delle teste umane, e pareva quasi di sentirle piangere e lamentare il loro destino.

Le pareti erano interamente ricoperte di enormi arazzi e quadri di grandi dimensioni. Tutti raffiguravano la Morte, in ogni sua possibile manifestazione: campi di battaglia cosparsi di cadaveri sui quali volava un angelo nero, spiagge battute dal vento con relitti di navi ormai ridotti a scheletri cosparsi di alghe, oscure prigioni dove giacevano uomini macilenti dalle guance incavate. Sul pavimento vi erano numerose macchie di sangue secco, mai pulite, quasi che le si volesse conservare come reliquie.

Preceduto da una risata perfettamente in tono con l’atmosfera del luogo, Karden del Cancro apparve, avvolto in un mantello nero bordato da una larga fascia rossa.

Dauko e Sion si guardarono. Sapevano che Shiddarta era stanco per il combattimento contro Idas, e che Adam e Keimon avrebbero potuto fare ben poco contro i demoniaci poteri di Karden. Toccava a uno di loro.

Sion si fece avanti. L’espressione del Cavaliere d’Oro dell’Ariete era decisa. Lui, che sorrideva sempre come una creatura celeste, stava tirando fuori i suoi artigli.

Karden sollevò un braccio, puntando il dito indice al cielo. E il cosmo d’Oro del Cancro si concentrò tutto su quel dito.

Sion sapeva che si trattava di un attacco diretto all’anima, volto a separarla dal corpo. C’era un solo modo per evitarlo.

Grazie ai suoi poteri di telecinesi, si mosse nello spazio, sfuggendo agli Strati di Spirito. Silenzioso e invisibile, riapparve un attimo dopo alle spalle di Karden.

Non appena l’altro si voltò, Sion scagliò una raffica di colpi. Fasci di luce dorata illuminarono la Quarta Casa, e sebbene non fossero alla massima potenza travolsero Karden, scaraventandolo in aria. Prima che toccasse di nuovo terra, Sion lo imprigionò in una gabbia telecinetica. Era resistentissima, emanazione stessa del cosmo di Sion, e i numerosi tentativi di Karden di liberarsi ebbero come unico effetto di stringere ancor più la morsa.

Con viva sorpresa di Sion, Karden scomparve. Tutti si guardarono intorno, aspettandosi un attacco a sorpresa, che però non venne.

Questa volta toccò ai cavalieri essere travolti da fasci di luce. Ricaddero sul pavimento, creando profonde buche. Storditi, videro Karden incombere su di loro.

Ma l’attacco di Karden fu fermato da una barriera di ghiaccio.

Keimon si era levato in piedi di scatto. L’aria intorno a lui era fredda, pungente. Fiocchi di neve imbiancarono la Quarta Casa, mentre il suo cosmo gelido si allargava sempre più.

Colpito in pieno, Karden rimase bloccato. Quella era la vera Polvere di Diamanti, la prima tecnica del Cavaliere d’Oro dell’Acquario, scagliata ad un livello che nessun allievo aveva né avrebbe mai eguagliato.

E prima che Karden potesse riaversi, Keimon pronunciò la sua condanna.

La bara di ghiaccio era impossibile da distruggere. Si diceva che nemmeno il potere unito dei dodici Cavalieri d’Oro fosse in grado di romperla.

Né Karden poteva infrangerla dall’interno. Ci provò, ma ben presto le forze gli vennero meno. La sua temperatura corporea si abbassò sempre di più, la sua pelle divenne cianotica, finché fu tutt’uno con il blocco di ghiaccio.

 

Nella sala del trono, Tien-Zin iniziò ad agitarsi. Due dei tre Cavalieri d’Oro su cui contava maggiormente erano caduti. Ma la strada verso il suo palazzo era ancora lunga.

Di nuovo quella voce. Il cosmo oscuro aleggiava nella sala del trono, e sembrava ingrandirsi sempre più. Tien-Zin tentò di chiamare Ieros.

 

Rimon attendeva sulla soglia della Casa del Leone. Era impaziente di scendere in campo, e lo era ancor più di mettere le mani su Shiddarta, che non aveva mai sopportato. La morte dei suoi compagni non lo interessava minimamente. Sarebbe bastato lui a ristabilire le sorti della battaglia. E poi, chi mai poteva dire di essere sopravvissuto alle zanne dorate del Leone ?

Quando Dauko, Sion e gli altri entrarono nella Quinta Casa, si lanciò immediatamente su Shiddarta. Il ragazzo non si era aspettato quell’attacco improvviso, e non fece in tempo ad erigere la barriera. Un pugno ed un calcio al volto, scagliati in rapida successione, lo mandarono lungo disteso.

Il cosmo d’Oro del Leone si allargò alle spalle di Rimon, che si preparò a scagliare il primo dei suoi numerosi colpi.

Anche questa volta Shiddarta non riuscì ad erigere la barriera. Benché vedesse benissimo i colpi alla velocità della luce, era ancora un po’ lento di riflessi. Sarebbe migliorato con l’esperienza…se gliene avessero dato la possibilità.

Più per istinto che per volontà parò il pugno di Rimon con una mano, e portò in avanti l’altra, che già brillava di energia cosmica. Il suo pugno si infranse contro il palmo aperto di Rimon.

Era la posizione della Battaglia dei Mille Giorni. Ora i due avversari erano bloccati uno contro l’altro. Attacco e difesa si neutralizzavano a vicenda, scariche di energia cosmica passavano tra le loro braccia. Ciascuno dei due spingeva ed era a sua volta respinto. La tremenda pressione fece volar via gli elmi, e i due contendenti rimasero a capo scoperto. Nessuno dei due poteva perdere la concentrazione: un attimo, un solo attimo di disattenzione poteva essere fatale.

Dauko, Sion e gli altri guardavano meravigliati. Nessuno di loro aveva mai assistito ad un confronto del genere: gli scontri tra cavalieri di pari livello, e specialmente tra Cavalieri d’Oro, erano infatti proibiti, perché il combattimento sarebbe stato infinito.

Rimon sentì che Shiddarta stava per cedere. Sicuro della propria superiore resistenza, specie se paragonata a quella di un ragazzo divenuto cavaliere da pochi mesi appena, aumentò ancora la spinta.

E proprio come aveva previsto, Shiddarta non resse. Venne travolto e cadde all’indietro, atterrando a faccia in giù sul pavimento della Quinta Casa.

- LIGHTNING PLASMA ! -

Ma questa volta Shiddarta se l’era aspettato.

Per quanto potente, il Sacro Leo non era in grado di infrangere la sua barriera. Rimon subì il suo stesso colpo, e venne scagliato lontano.

Shiddarta approfittò di quell’istante.

Nemmeno Rimon del Leone poteva opporsi ad un colpo del genere. Tentò una difesa, ma fu tutto inutile. Per ironia della sorte, lui che amava battersi ed era sempre in cerca di qualche occasione per menar le mani morì avvolto da visioni di pace.

La Casa della Vergine era in vista. Finalmente avrebbero potuto riposarsi un po’. Nessun nemico li attendeva tra quelle mura. Ma nessuno poteva immaginare cosa vi avrebbero trovato.

Shiddarta si annunciò, e attese che i servitori venissero ad aprire. Avrebbe potuto farlo da sé, ma non voleva presentarsi come un nemico nella sua stessa Casa.

Aspettarono un bel po’, ma le porte non si aprivano. Nessun servitore venne ad accogliere il suo padrone.

Silenzio.

Prima che Sion potesse spiegarsi, Shiddarta aprì le grandi porte, ed entrò nella Casa della Vergine. Uno spettacolo terribile si presentò allora agli occhi dei cinque Cavalieri d’Oro.

Nella Sesta Casa era stato compiuto un orrendo massacro. I corpi senza vita dei servitori giacevano sul pavimento, e spruzzi di sangue macchiavano anche le pareti e l’alto soffitto. Le membra dilaniate dicevano che nessuno di loro aveva potuto difendersi. Non erano dei semplici soldati gli autori di quella strage. Era opera di un cavaliere.

Shiddarta cadde in ginocchio, le lacrime agli occhi. Aveva sempre trattato con umanità i servitori, che gli erano divenuti subito fedeli e andavano orgogliosi di lavorare per lui. Con alcuni di loro stava nascendo una vera amicizia. E ora tutto era stato stroncato da una strage senza spiegazione.

Sion, grazie alla telecinesi, aveva percepito ciò che avrebbero trovato una volta varcata la soglia, e aveva cercato inutilmente di avvertire Shiddarta. Dauko, con la praticità che lo contraddistingueva, esaminò i cadaveri, cercando qualche indizio che potesse rivelare loro l’identità dell’assassino. Era un cavaliere, non c’erano dubbi: ma quale ?

Infine lo capì, ma non ne fece parola a Shiddarta. Comunicando telepaticamente con Sion, lo rivelò a lui solo.

I Cavalieri d’Oro attesero con pazienza che il loro giovane compagno si riprendesse. La corsa doveva continuare.

Alla Casa della Bilancia fortunatamente era tutto a posto. I servitori si precipitarono ad accogliere Dauko, che non vedevano ormai da tanto tempo. Non sapevano chi avesse compiuto il massacro alla Casa della Vergine, e nessuno aveva tentato di invadere la Settima Casa. Tien-Zin temeva a tal punto Dauko da non rischiare di scatenare ulteriormente la sua rabbia.

I cavalieri poterono finalmente riposare. Erano solo a metà strada, e la stanchezza iniziava a farsi sentire.

La Casa dello Scorpione era deserta, perché Adam aveva voluto con sé i suoi servitori quando si era ritirato sull’isola di Milos: si aspettava una vendetta del Grande Sacerdote, e quanto successo alla Casa della Vergine gli confermò che aveva visto giusto.

Solo tre Cavalieri d’Oro rimanevano ancora a sua difesa. Ma Tien-Zin era tranquillo. Che qualcuno potesse arrivare fino a lui era semplicemente impossibile. Ma proprio mentre diceva a se stesso che non c’era da preoccuparsi, sentì di nuovo quella voce.