I

Implacabili i dardi infuocati d’Apollo colpivano il solitario paesaggio roccioso. Il sole era vicino allo zenit e poco sollievo portava in quell’ora la dolce brezza marina. Era stato così anche il giorno precedente ma il fanciullo non se ne curava. Voleva vedere. Vedere con i propri occhi. Voleva capire.

Cosa si prova alla vista di un uomo che muore?

La prigione di Atena a capo Sunion. Sommo terrore per chiunque osi tradire la vergine guerriera. Non v’è cuore che non tremi, mente che non vacilli, quando l’atroce sentenza viene pronunciata.

Curioso come la morte giunga ai condannati portata da colui che della dea è nemico, Poseidone, re del mare.

Da lontano fissava la cella scavata nella roccia, la mente affollata da mille pensieri. Avrebbe voluto avvicinarsi di più ma il coraggio gli era infine mancato.

L’uomo era sopravissuto al primo giorno. Aveva strenuamente lottato contro le maree, ma l’ombra del cedimento sembrava a poco a poco avvicinarsi.

Coraggio… coraggio…

Che stava dicendo? Da dove risalivano quelle parole che la sua mente cercava di respingere? Quelle parole che durante il sonno agitato aveva continuato a sentire: resisti… coraggio…

Era lì per veder morire un traditore. Non per pregare per lui…

L’uomo lo aveva scorto, ne era certo, ma a differenza della sera innanzi non l’aveva chiamato. Non aveva più tentato di chiedere aiuto. Dopotutto cosa poteva fare un bambino? Poteva ancora permettersi lo sventurato - no, il traditore! - di sprecare le sue energie gridando? Ogni sua fibra doveva ora essere tesa ad un unico scopo. Resistere. Resistere e sperare. Sperare nella grazia. Sperare nel miracolo. Perché solo un miracolo, pensava il fanciullo, avrebbe potuto interrompere quella crudele danza di morte.

La marea che sale.

Alle ginocchia.

Alla vita.

Alle spalle.

Al collo.

Le mani sulle sbarre.

Strette.

Sempre più strette.

Tremanti.

Un sospiro.

Un tremito.

Un sospiro.

La calma che cede il passo all’angoscia.

Gli occhi che fissano l’acqua.

Il cielo.

L’acqua.

Le palpebre che si serrano.

Alla bocca.

Gli occhi sbarrati che fissano la roccia.

Le labbra che lottano per un alito d’aria.

L’acqua che entra nei polmoni.


La marea che scende.

Il respiro affannoso…

il torace in fiamme...

le mani ancora aggrappate alle sbarre…

il corpo abbandonato…

ma vivo.

Ancora vivo.

Atena la grande, dea della giustizia, colei che più d’ogni altro ama gli uomini. Atena dal dolce sorriso che protegge questa Terra e combatte per la pace, colei che tutti devono lodare e venerare… questa l’immagine che sin da quando aveva ricordo gli avevano insegnato ad amare. Ma quanti conoscono Atena terribile vendicatrice, che fra mille sofferenze schiaccia i suoi nemici? Eppure questa sola era la verità di cui i suoi occhi ora gli offrivano la prova.

Non aveva accesso ai segreti del Santuario; non sapeva qual era il crimine di cui il prigioniero si era macchiato; ma conosceva, o credeva di conoscere, la bontà e grandezza della sua dea: era quella la sua volontà? Chi è giusto desidererebbe aggiungere tali torture alla già dura condanna di morte? Pensieri blasfemi!

Ma come non dubitare?

No, lo sentiva, sarebbe certamente intervenuta! Fosse anche solo per donargli una rapida morte, prima dell’assalto di una nuova marea.

Un rumore di passi alle sue spalle lo riportò alla realtà.

"Ancora qui fratello?"

"È ancora vivo"

Il nuovo venuto volse lo sguardo verso la grotta ai piedi del promontorio.

"Morirà. Nessuno può sopravvivere. Ecco la giusta punizione per chi tradisce la grande Atena"

Il fanciullo si alzò silenzioso.

"Andiamo"

 

II

Dragone del Mare, generale degli abissi, protettore della colonna dell’Atlantico del Nord, osservava ogni suo sogno ed ambizione crollare sotto il peso della sua colpa.

Una fitta pioggia cadeva dal firmamento d’acqua che sovrastava il regno marino.

La battaglia era ancora in corso ma a che scopo ormai intervenire? Chiunque fosse il vincitore lui aveva già perso. La collera degli dei l’avrebbe raggiunto.

Orribili gli tornarono alla mente le immagini risvegliate dal colpo del cavaliere della Fenice.

Atena l’aveva salvato? Assurdo. Come avrebbe potuto? Era appena una neonata, niente di più. Niente di più…

Saga, incapace! Avrebbe dovuto ucciderla quel giorno!

***

Le prime luci della sera accoglievano il giovane di ritorno alla città natia. Lasciatosi alle spalle le placide acque del porto volgeva lo sguardo verso le alture nascoste ove sorgeva il Santuario della dea. Grida e schiamazzi di bimbi che si affrettavano a tornare per la cena lo circondavano, riportando alla superficie ricordi lontani…

Quante ore aveva trascorso osservando le navi attraccare e salpare, lasciando la sua fantasia vagare per il vasto e sconosciuto mondo… E come aveva corso lui stesso per quella ripida salita che lo riportava verso casa!

"Su, corri!"

"Aspettami! Non così veloce!"

"Corri! Vuoi essere punito?"

Che sciocca debolezza! Ritornare con la mente ad un inutile tempo ormai perduto.

Atena era ritornata alla vita, reincarnata in una bimba custodita al Santuario; non appena fosse giunto il momento sarebbe salita al trono di Grecia e avrebbe governato le terre emerse… non l’avrebbe permesso! Gli uomini non necessitano di divinità. Devono essere guidati, certo, ma da uomini. Uomini forti, capaci di contrastare gli stessi dei e di domarne le capricciose volontà.

Non sarebbe stato schiavo di divinità alcuna! Le illusioni con cui i deboli vengono irretiti già da tempo le aveva respinte.

Era giusta Atena?Amava gli uomini? No, non lo credeva. Chi ama non permette tali atrocità in suo nome…

L’aveva visto; i suoi stessi occhi avevano visto il corpo del giovane Clito coperto di sangue scarlatto. Le sue stesse mani avevano sentito il calore tramutarsi in gelo eterno sulla pelle dell’amico…

Lei l’aveva ucciso! Lei l’aveva scelto! Eppure doveva sapere che non v’era gloria di cavaliere scritta nel fato del fanciullo. Doveva sapere che l’addestramento l’avrebbe condotto nel regno di Ade. Un bambino… solo un bambino… Come si può essere tanto stolti da non vedere?

Senza quasi rendersene conto si ritrovò alla fine del sentiero, di fronte ad un capanno abbandonato. Non avrebbe proseguito quella sera. Un grande giorno l’attendeva l’indomani: il primo giorno di un nuovo mondo.

***

"Non una parola di più!"

No! Saga doveva capire; doveva aiutarlo! Assieme avrebbero potuto dare un nuovo ordine all’umanità! Con il suo aiuto avrebbe potuto arrivare a governare il mondo intero!

"Basta, tu non sai quello che dici, parli di uccisioni come di inezie senza importanza. Mi vergogno di te fratello; come può averci generato la stessa madre? Basta, non voglio più sentire queste parole di tradimento. Mai più; mi hai capito bene?"

Le fiamme ardenti della collera presero il sopravvento sulla mente del giovane. Ciò che per lunghi anni era rimasto semplice pensiero inespresso, voce più volte trattenuta nei recessi della mente, gli salì in quel momento alle labbra.

"Fratello, per quale motivo non vuoi essere onesto con te stesso?"

"Che vuoi dire?"

"Pensano tutti qui che il tuo animo sia colmo di umana pietà, e nobile, oltre che generoso, ma non è così e io lo so bene. Dentro di te covano il rancore e l’ambizione assopiti come demoni; è forte in te il desiderio di potere, prevarrà sul lato buono, anche se ora tenti di cacciarlo. È così, io ti conosco bene, tanti anni abbiamo trascorso insieme e tutti li ho passati a guardarti nell’animo"

"E cosa hai visto?"

"L’angelo sul volto, il demone nel cuore."

Rise, rise di lui così folle da non voler accettare la realtà, da non voler ammettere che i suoi stupidi ideali non erano altro che illusioni in cui neppure la sua anima nel profondo credeva.

Un pugno lo colpì al volto.

"Taci!"

Vigliacco. Avrebbe dovuto immaginarlo… mai l’orgoglioso cavaliere avrebbe ammesso le sue oscure ambizioni. Non con lui.

"Fa male sentire la verità, non è vero fratellino? Fa molto male"

"Basta maledetto!"

Ancora un colpo, allo stomaco.

Non vedeva quanta violenza? Era quello l’agire di un uomo giusto? Perché ostinarsi a negare la propria vera anima?

Bene. Avrebbe trovato un altro modo. Ed il giorno in cui si sarebbero di nuovo trovati faccia a faccia sarebbe toccato al maggiore piegarsi alla potenza del minore!

Le gambe gli cedettero. Si ritrovò in ginocchio ai piedi del fratello. Era ancora lui il più forte… maledetto! Che fosse maledetto!

"Mi dispiace Kanon, dovrò imprigionarti…"

 

III

La battaglia stava volgendo al termine.

Non più Julian Solo, ma Poseidone contrastava ora i guerrieri di Atena.

Possibile che il giovane cavaliere della Fenice avesse ragione?

Ma se ciò era vero, se fosse stata la piccola bimba in fasce e non il signore del mare a sostenerlo e salvarlo, allora… Allora forse ciò in cui per una vita aveva creduto, per cui per una vita aveva lottato, era un inganno. Inganno generato dalla sua stessa mente, dalla sua sfrenata ambizione…

***

Per il terzo giorno il fanciullo tornò alla prigione.

Il possente Eolo spingeva lontano la tempesta che aveva colpito la bella Atene quel mattino; sempre più flebile si udiva la voce di Zeus, mentre il grido possente di Poseidone a poco a poco si placava.

Le onde capricciose s’infrangevano sulla scogliera, infierendo impietose sul corpo ormai in loro completa balia, privo di vita.

"Kanon…"

Il giovinetto si voltò verso il fratello. Non lo guardò. Lentamente prese la via dell’entroterra; il cuore in tumulto, la mente confusa, ancora incapace di capire.

Era veramente giusto seguire Atena? Combattere e donare la propria vita per lei?

***

Dubbi. Dubbi attanagliavano la mente del generale.

La colonna portante aveva ceduto.

Un gelido terrore percorse le membra di Kanon, Dragone del Mare. Ma non era per timore di un nemico troppo potente, o della collera divina che pure, prima o poi, l’avrebbe colpito. Era il terrore di chi comprende d’aver vissuto la menzogna, d’aver gettato la vita per stolte ambizioni e falsi ideali. Perché il dolce e caldo cosmo che emergeva dalle macerie era lo stesso che lo aveva salvato dalle maree di Capo Sunion, dalla prigione in cui il suo stesso sangue l’aveva rinchiuso.

Atena.

Ora credeva. Ora capiva.

Atena…

 

IV

La dea guerriera stava ritta davanti al nemico, fiera e splendente. Fra le mani teneva il vaso in cui lo spirito del figlio di Crono era stato per secoli sigillato. Al suo fianco ancora si ergeva, stremato ma ancor pronto a combattere, il cavaliere di Pegaso, protetto dalle sacre vestigia del Sagittario.

Il signore dei mari, superbo, levò il suo tridente e lo scagliò verso la figlia di Zeus, la potenza del suo cosmo impressa nel divino metallo.

Ed ecco che colui che aveva tramato per ucciderla, che l’aveva disprezzata, che l’aveva più volte maledetta, ecco che le fece scudo col proprio corpo.

L’antica arma che lui stesso aveva estratto dalla roccia affondava ora nelle sue carni. Destino beffardo per chi aveva tentato di ergersi al di sopra degli dei.

"Kanon…"

"Perdono, Atena… perdona la mia stupidità…"

 

V

Avvolto in un mantello d’ombra intessuto l’uomo osservava gli ultimi raggi di sole illuminare i tredici templi del Santuario. Sorrise. Qui tutto era iniziato. Qui tutto sarebbe forse finito.

Entrò silenzioso nelle stanze che erano state del Gran Sacerdote.

"Ti attendevo."

"Atena."

Umilmente la figura s’inginocchiò alla dea. Il manto cadde a scoprire lunghi capelli color degli abissi.

"È giunto infine il momento che aspettavo e temevo. Il motivo per cui ancora una volta sono rinata sulla Terra… Il mio cuore soffre Kanon, soffre al pensiero di quanti dovranno troppo presto lasciare il mondo dei vivi…"

"Sarò felice di rendervi la vita che immeritatamente salvaste."

Il sole e le stelle tutte parvero brillare sul viso della dea quand’ella dolcemente sorrise.

"Cara è ad Atena la tua vita e mai ti verrà chiesto di gettarla. Combatti per difenderla, non per abbandonarla. Combatti per la giustizia, non per il rimpianto. Combatti per il futuro, non per il passato."

"Atena… "

"Alzati, Kanon dei Gemelli, e rinasci Cavaliere di Atena, così com’era scritto nelle stelle…"