ANDROMEDA SHUN PRESENTA:

Memorie

Mi sento colpevole, maledettamente colpevole.

Non per quello che ho fatto, ma per quanto non ho fatto per impedire di farlo.

È strano, vero? Me lo ripeto anch’io, qui, guardando il mare di Nuova Luxor, così calmo, così blu.

Se il mio animo potesse ottenere un po’ di quella pace!!! Ma come riuscirci?

In fondo, è inutile girare intorno al nocciolo della questione, è solo colpa mia.

La responsabilità della morte di Seiya non è da addebitarsi che a me: Ades sono io. Andromeda ha ceduto il passo al male e ciò è stato fatale, sia a Pegasus sia a me. Non c’è niente da fare: per quanto sembri blasfema, è la pura verità.

Sono passati tanti anni, ormai; troppi. Nessuno dei Cavalieri c’è più, tutti sono volati incontro alle stelle. Io solamente devo scontare la mia condanna: l’Eternità.

Ho fatto di tutto per dimenticare, di tutto! Nulla ha sortito l’effetto sperato, nulla!

Ho provato a tagliarmi le vene e lanciarmi nel vuoto. Non posso morire. Il problema è uno: ho troppe vite sulla coscienza che mi tengono contro la Terra, senza speranza di finirci sotto! L’evidenza è schiacciante: qualcosa di oscuramente divino m’è rimasto dentro, infondo al mio essere. Non mi resta che arrendermi e continuare a suonare, suonare… suonare… suonare….

È l’unica cosa di cui abbia bisogno, l’unica che allevi un po’ il mio tormento, l’unica che doni, se non la dimenticanza, qualche distrazione dallo scorrere disperato e ripetitivo dei giorni.

Mime, mi spiace per te, soprattutto per te. Ho imparato a strimpellare queste corde, l’ammetto, per onorare la tua nobile memoria. Io, che debbo sostenere tutte le memorie del mondo su queste spalle sottili; io ,che ho perso la mia innocenza nel tentativo di preservare ben più alto candore… io soffro.

Quello che io ho visto è quanto nessun altro essere, uomo o bambino che sia, ha mai visto.

Quello che io ho vissuto è quanto nessun altro essere ha vissuto.

Quello che io fui è quanto nessun altro essere mai fu.

È stato eccessivo: ho superato il limite dell’umana sopportazione ed ho desiderato cadere, ma il divino non me lo permetteva….

E così ho dovuto vedere Atena chiudere gli occhi, una bella mattina di sole, splendente come sempre su una chiara città di mare. Era così leggera Saori, che sfarfalleggiava felice in giardino! Luminosa… una sagoma, luminosa più che mai, s’imprimeva negli occhi di chi la guardava.

Tutta quella luce, emanata da un corpo così fragile, coronato ormai dai capelli argentei d’una donna avanti negli anni, pareva doversi fondere con la Natura, per rigenerarla, per crearla nuova, migliore forse. Invece vi si perdeva, cadeva nel buio più nero, che la inghiottiva, vorace, come un lupo affamato che non perdona. Conoscevo bene io quell’oscurità, la covavo in fondo al cuore.

"Ho freddo" mormorò lei, splendida nella sua rassicurante vecchiaia, che non aveva avuto la compiacenza d’attaccare anche me, vittima d’una giovinezza che logora perché inalienabile, eterna.

E si stese, poco distante dall’ombra d’un salice, il quale piangeva ancora per la luna pallida della notte precedente.

Non una nuvola nel cielo che ricadeva tutto su quella dea assonnata, su quella creatura stanca.

Mi guardò e si mise a dormire.

Finalmente abbracciava il suo Seiya, dopo tanto tempo. Era felice, non c’è dubbio.

Però, che vuoto m’è rimasto nell’anima! Cosa m’era restato per lottare? Niente!

Mio fratello era scappato via, una notte, lasciando solo scritto, nero su bianco:

"Scusa Shun, Esmeralda mi aspetta".

Shiryu, invece, se fosse stato qui, si sarebbe riempito d’orgoglio guardando i suoi nipotini ormai divenuti uomini: se cammino per strada con loro ci scambiano per compagni di scuola!

Quante foglie sono scivolate sui marciapiedi e quante altre dovranno seguirle prima che anch’io mi eclissi nel vento d’autunno!

Anche quei ragazzi prenderanno il mare ed io li osserverò partire dalla banchisa, proprio da dove, stasera, miro la notte con le sue stelle. Andromeda è così luminosa nell’empireo cristallino! Ormai è la sola: anche il Cigno si è spento nel pallido abbraccio di un aurora di Asegard.

Eravamo così legati, io e Hyoga! Nei nostri corpi scorreva la stessa vita, ma da lui è rotolata via.

Non ha avuto il tempo di salutarmi, il suo Cosmo, giunto oltre i limiti estremi dell’Universo, non glielo ha permesso. È stato giusto così, infondo. Che motivo avrebbe dovuto condurlo a questa povera ombra senza volontà?

Eppure, ho sentito un suo pensiero, un addio fragile, un fiocco di neve sull’ Acropoli d’Atene…

Ho ricambiato con qualche nota stentata urlata su una cetra che ancora non padroneggiavo come avrei voluto ed un oceano di lacrime piombato per terra.

Tanto per cambiare, mi trovo a piangere di nuovo. Battendo i pugni contro l’arenile, cercando l’oblio nel dolore carnale. È inutile: non si può dimenticare quelli per cui s’è vissuti, per cui s’è morti e risorti.

Seiya, Saori, Shiryu, Ikki, Hyoga….

Siamo stati felici, sempre…

I loro volti tornano a visitarmi prima di ogni tramonto, aspettano che io vada da loro, mi tendono la mano e mi pregano d’afferrarla. Ma le mie braccia sono di piombo e non giungono a sfiorare le piume degli angeli che mi tentano e mi sprofondano sempre più in basso, con quegli occhi tristi che pugnalano alle spalle.

Oggi non verranno. Non dovranno riscendere più in quest’averno soffocante.

Ma li rivedrò comunque. Ho avuto il perdono tanto aspettato…

Madre Terra m’accoglie nel suo grembo verginale.

Non più foglie troppo gialle e lacrime troppo amare: sto per lasciare l’Inferno, mi hanno aperto le porte del Paradiso….

Shun