Capitolo 16: Compagni d’addestramento

Ripeté mentalmente a se stesso cos’era successo fino a quel momento prima ancora di riaprire gli occhi.

Ricordava l’invasione, i guerrieri neri affrontati, la corsa lungo un corridoio senza fine assieme all’amata Tara, il momento in cui s’erano fermati, coscienti di non sapere dove si trovassero, cosa strana per loro, poi si trovò da solo a continuare a correre e correre, finché, improvvisamente, non fu investito da qualcosa, un violentissimo attacco energetico, si sarebbe azzardato a dire, che lo aveva colpito in pieno alla parte destra del corpo, gettandolo al suolo sanguinante.

Ora, Maru del Narvalo aveva gli occhi aperti e finalmente non era più in una sala anonima e sconosciuta, bensì in uno degli stanzoni atti a sale per l’addestramento nel secondo corridoio e come, dal sesto, fosse arrivato fin lì, era per lui un mistero.

Si guardò qualche altro istante intorno, finché non vide una sagoma dalle vestigia bianche dinanzi a se, una sagoma ben nota di un Areoi che ben conosceva, "Rorua, sei tu?", chiese, per esserne comunque certo e l’altro fece qualche passo nella penombra, "Ovviamente. Aremata Rorua, l’unico e solo.", rispose con un sorriso sornione l’altro.

"Che cos’è successo qui?", domandò allora Maru, guardando l’altro, "Non so, tu che ricordi?", chiese di rimando il secondo al primo.

"Ricordo l’invasione dei guerrieri neri, di averne eliminati un bel po’ nei pressi del sesto corridoio, dove mi trovavo con Tara e di essermi da quelle parti diviso dal comandante Toru.

Dopo di ciò ho molta confusione in mente: stavamo correndo, io e Tara, in un corridoio che diventava sempre più assurdamente lungo ed anonimo, non era il sesto percorso dell’Avaiki, non c’erano i laghi salati che conducono all’esterno, né niente di simile solo tanta, troppa, roccia.

D’improvviso, poi, anche Tara è scomparsa e mi sono trovato solo a correre, quindi, non sapendo che altro fare, ho corso, diamine se l’ho fatto, avanzando ed avanzando, finché qualcuno non mi ha colpito con una potenza davvero consistente.", concluse l’Areoi, accarezzandosi il braccio destro e notando, solo in quel momento, che non aveva più vicino a se la propria arma.

"E non sai chi ti ha colpito?", chiese ancora Rorua, rimanendo immobile nella posizione in cui si trovava, mentre lo sguardo dell’altro vagava un po’ ovunque in cerca del suo giavellotto e si fermò solo dopo averlo trovato.

"No, non so chi mi ha colpito, ma ti sarei grato se mi avvicinassi di nuovo il Corno del Narvalo.", rispose secco Maru, indicando l’oggetto piantato nel suolo dietro il suo interlocutore, che, però, non si mosse, ma gli rivolse solo un altro sorriso sornione, stavolta, quasi maligno agli occhi del guerriero bianco.

Non volle però farci caso l’allievo di Afa, alzandosi in piedi ed incamminandosi verso la propria arma, un cammino che gli fu prontamente interrotto dall’altro Areoi, che si posizionò dinanzi a lui; "Aremata Rorua del Tarpon, perché diamine non ti togli dalla mia strada? Stai cercando rogne? Non penso sia il momento migliore per litigare!", sentenziò deciso il guerriero del Narvalo, alzando il capo a guardare il compagno, ben più massiccio ed imponente di lui, in volto.

"Non si tratta di litigare, Maru, ma se tu avessi ancora quella tua stramaledetta arma nelle mani, renderesti il mio compito di ammazzarti ben più complicato.", osservò l’altro, ridacchiando, "Che compito avresti tu?", domandò innervosito il guerriero del Narvalo, "Giusto, hai ragione. Non è un compito questo, questo è un piccolo piacere che mi prenderò mentre cambiamo l’ordine del Mondo. Eliminarti, mio vecchio compagno d’addestramenti, sarà una gioia che ho preso per me stesso!", esclamò soddisfatto l’Aremata, lasciando esplodere il proprio cosmo, cosa che fece anche Maru, dopo essersi allontanato di qualche passo dall’altro.

"Spiegami, Rorua, perché non capisco? Ti ho fatto qualcosa di male, o c’è un motivo diverso per questo tuo straparlare da traditore?", domandò il compagno di Tara, osservando l’interlocutore.

Il guerriero del Tarpon era sempre stato fra i più massicci Areoi dell’Avaiki, più di Toru e di lui stesso, grosso e violento come pochi, era la forza più brutale generatasi fra gli allievi dello Squalo Tigre.

Le vestigia bianche del Tarpon ben calzavano in quel corpo maestoso, ricoprendo sterno e spalle di tronco di squame di un bianco quasi argenteo, com’era il nome di quel pesce dell’Atlantico, il Silver King, le due pinne più piccole dell’animale costituivano delle decorazioni nella zona della cinta, coperta anch’essa da squame, mentre le pinne più grosse, che aiutavano l’animale, assieme alla coda, a nuotare, erano le spalliere dell’armatura, che andavano a coprire tutta la zona fino all’avambraccio, dove nuove squame si allungavano fino alle mani.

Le due parti della coda, invece, si chiudevano a cilindro sulle gambe del massiccio guerriero, proteggendo le stesse e dando a quella parte dell’armatura un colore più grigio che argenteo; infine, vi era l’elmo, che aveva la forma del volto del grosso pesce atlantico, un elmo attraverso cui le affilate labbra della bestia marittima, permettevano di osservare il volto dell’Areoi traditore, un volto abbronzato, color quasi cachi, con piccoli occhi blu notte che scrutavano con furiosa trepidazione Maru del Narvalo.

"Che tu non capisca, mio vecchio compagno d’addestramenti, non è una grande sorpresa per me, non sei stato un pensatore, ma nemmeno un eccezionale combattente, dal mio punto di vista, eppure il nostro nuovo comandante, Toru, che con entrambi s’era confrontato ai tempi degli addestramenti, ha scelto te come uno dei suoi secondi in battaglia, non me!", ruggì furioso Rorua, avanzando verso l’altro di qualche altro passo.

"Per questo parli di uccidermi? Semplice invidia? Non ho chiesto io a Toru di scegliermi al tuo posto e dovresti ben saperlo.", lo redarguì l’altro, restando pronto allo scontro fisico, "No, la mia voglia di dimostrare che ti sono più forte è solo il motivo per cui ci troviamo ora l’uno dinanzi all’altro, avresti preferito che fosse mio fratello ad ucciderti? O un altro degli Areoi che hanno abbandonato il vecchio ordine delle cose per iniziare un Nuovo Mondo? Ho scelto di prendermi questo piccolo piacere per me!", esclamò di rimando il gigante, diminuendo ancora di più la distanza fra loro.

"Nuovo Mondo? Altri Areoi? Vuoi dire che, mentre siamo sotto attacco, c’è in corso un tradimento nel nostro Avaiki?", domandò sconvolto il guerriero del Narvalo, ricevendo solo una risata come prima risposta.

"Svegliati, Maru! Come pensi che questi invasori in nero siano entrati? Ci sono traditori in tutti gli Avaiki, forse solo in quello di Rongo non ve ne è! Il mondo sta per cambiare, un nuovo ordine, gestito da pochi eletti, riordinerà i culti polinesiani e degli Areoi dei cinque Avaiki non resterà che una manciata di uomini e donne che hanno saputo prendere fra le loro mani il futuro! E né tu, né Toru, né la tua amata Tara, ne farete parte.", rispose secco l’Aremata, quando ormai la distanza fra i due era nulla ed entrambi si scagliarono con violenza l’uno contro l’altro.

***

Quando era iniziato quello strano attacco all’Avaiki di Pili, sulle isole Hawaii, lui quasi non ci aveva voluto credere: dopo anni di pace, finalmente il momento per dimostrarsi per quei guerrieri che erano e proprio lui, Moko di Tiki avrebbe dovuto guidare i suoi compagni a difendere il tempio sacro alla divinità Lucertola che onora gli antenati.

Quello era stato il suo pensiero nel vedersi davanti una serie di strani individui tutti dalle vestigia nere e fra di loro simili: a quel punto credeva quasi d’essere stato preso in giro, degli esseri così insulsi aveva assalito il tempio che lui comandava? Non sarebbero stati una sfida né per lui, né per nessuno dei suoi compagni d’arme.

Quando aveva rivelato le proprie armi contro quei guerrieri, loro avevano risposto con un attacco chiamato "Carica delle Mille formiche.", un nome a suo dire più ilare che altro, un nome che, in effetti, lo aveva fatto quasi ridere mentre si difendeva e poi, ancora, sferrando contro di loro i propri colpi, uccidendoli tutti.

Poco dopo, un altrettanto comico individuo dall’armatura nera, Ruwa del Manis Temminckii, un animale che lui non aveva mai sentito nemmeno nominare, una qualche bestia orrida che ricordava vagamente un armadillo ai suoi occhi, gli si parò davanti, sfidandolo apertamente e nemmeno per quel tipo tanto buffo quanto insulso, ci furono speranze, contro i guerrieri delle statue votive da lui governati in battaglia.

Aveva intravisto, correndo per i corridoi dell’Avaiki incontro ai nemici, il vecchio Ono di Kapuku, il sapiente sacerdote che aveva la capacità di evocare immagini delle anime dall’oltretomba, anime che, spesso, non erano altro che individui legati a coloro con cui l’anziano aveva a che fare in quel momento; quello era stato per un lungo periodo il suo maestro, oltre che maestro di quasi tutti gli Areoi consacrati al divino Pili.

Aveva anche intravisto Iwa di Mahiki, il miglior discepolo del vecchio Ono, ma non il più forte fra tutti loro, che conduceva, attraverso il proprio cosmo, alcune delle anime di quei guerrieri invasori, verso la terra dei morti, così che abbandonassero i loro corpi per sempre, senza colpo ferire.

E poco dopo aveva notato, intenti ad elaborare una qualche strategia, Pekoi di Tipua, l’ammaestratore di Topi, ed il suo secondo in comando, Hakona.

Questo era successo dall’inizio dell’invasione dei neri stranieri, ora, alla fine dello scontro, quando ben meno euforico e più stanco e ferito, osservava l’alta e snella figura di un nemico dagli occhi verdi come una serpe, che lo scrutava grondante sangue non suo, ma di vari Areoi morti quel giorno, l’unica cosa che restava da pensare a Mono di Tiki era che sperava di poter rivedere qualcuno dei suoi compagni prima di raggiungere la Caverna di Milu, e che desiderava tanto mandarci prima quello spilungone ghignante.

"Arrenditi, piccolo uomo, hai combattuto bene, sei persino riuscito ad uccidere Ruwo, ma contro di me, che comando la Quarta Armata dei Savanas, non avrai altrettanta fortuna.", gli aveva detto quel nemico, mentre lui si preparava, espandendo il proprio cosmo verso il terreno circostante, non tanto sicuro dell’esito di quella battaglia, almeno finché non vide un’altra sagoma farsi avanti verso di loro, arrivando alle spalle dell’avversario, una sagoma dalle vestigia bianche.

"Comandante!", esclamò l’altro, che si rivelò essere Hakona e Mono gli sorrise, chiedendosi fra se quanto potesse essere stupido il suo secondo per rovinare il loro effetto sorpresa!

"Dove sono gli altri, amico mio?", chiese a quel punto l’Areoi di Tiki, osservando la sagoma solitaria dell’altro alle spalle del nemico, che nemmeno si voltava, "Tutti morti, tranne noi due ed alcuni degli invasori.", spiegò secco l’altro, "Tutti morti? Anche il vecchio Ono?", domandò sconcertato il comandante dell’Avaiki di Pili.

"Sì, Iwa è stato ucciso da uno dei seguaci ancora vivi di quest’uomo e proprio costui ha ucciso il sacerdote del Tempio.", rispose laconico Hakona, prima di essere interrotto dal nero invasore, "Chi? Quel vecchio con l’armatura dalle forme di spettro che mi ha mostrato le mie passate vittime? Ho molto apprezzato il suo spettacolo, ma dopo un po’ è venuto a noia. Io sono Acoran il Mietitore, non amo guardare alle passate morti, quanto a quelle che verranno, come la tua!", concluse il nemico, indicando Mono.

"Persino Pekoi è morto, quello sciocco che mi doveva aiutare a distruggervi tutti prima che mi muovessi verso la mia meta. Povero stupido.", fu l’ultimo commento di Hakona prima di spostarsi ad una velocità inaspettata per l’Areoi di Tiki.

"Tu cosa?", riuscì appena a domandare all’aria che lo circondava, senza più vedere il suo secondo al comando, finché questi non gli apparve davanti: "Un nuovo ordine attende questo mondo, un ordine in cui io siederò fra le divinità, assurgendo ad un ruolo superiore a quello di semplice uomo, mio sciocco amico.", sussurrò semplice l’altro.

Queste poche parole, assieme all’intenso dolore al proprio tronco per l’impatto frontale e per lo schianto successivo con il muro, tutto ciò che rimase di quel momento nella mente di Mono, prima che lui stesso sussurrasse poche parole: "La pagherai, Lucertola Maligna …"

***

Un violento pugno a martello calò sulla spalla destra di Maru, facendo piegare le ginocchia dello stesso che, però, sfruttò la posizione in cui si trovava per sferrare un secco gancio sinistro al fianco opposto di Aremata Rorua, il cui volto si piegò in una rapida smorfia di dolore.

L’attacco dell’Areoi del Narvalo, però, non si limitò a quello: subito un diretto destro colpì lo stomaco dell’avversario, prima che un montante sinistro cercasse di investirne il mento, colpo che, però, fu prontamente bloccato dalla mano aperta del gigantesco avversario che strinse fra le proprie dita il pugno dell’altro, costringendolo a trattenere un urlo di dolore, prima che il guerriero del Tarpon calasse una violenta testata contro il volto del suo vecchio compagno d’addestramenti.

Maru indietreggiò di qualche passo, confuso, dando il tempo all’altro di sferrargli un violento gancio destro allo stomaco, piegandolo letteralmente in due e spezzandogli il fiato; questo però non bastò a fermare l’Areoi che, ripresosi velocemente, lo colpì con la nuca dritto sul naso, il più velocemente e violentemente possibile, facendo fuoriuscire fiotti di sangue che andarono a riversarsi sulla bocca del gigante polinesiano.

Stordito dall’odore del suo stesso sangue, Rorua caricò frontalmente contro l’avversario contro tutto il proprio corpo, calando, stavolta, ambo le braccia in una violenta presa alla base del collo, un colpo che, Maru parò sollevando le sue di braccia, malgrado gli arti subirono in pieno la violenza dell’impatto, tanto che quasi gli parve che stessero per spezzarsi, quando indietreggiò, spinto dalla forza dell’altro.

L’Aremata, però, non gli diede tempo per rifiatare, gettandosi contro di lui con una spallata destra, che l’altro bloccò con ambo le mani, urlando di cieca furia, mentre, dando adito a tutte le sue forze, sollevava di qualche millimetro il corpo del maestoso avversario da terra, scagliandolo a qualche metro di distanza, malgrado questi, riuscì ad atterrare prontamente in piedi.

Stavolta fu Maru a non dar tempo all’altro di riprendere il controllo della situazione e subito gli si lanciò addosso, sferrando una violenta ginocchiata contro il centro del petto di questo, seguita da una precisa gomitata sinistra alla base del collo e, infine, da un violento pugno destro al volto.

Rorua, dal canto suo, incassò bene i tre colpi in sequenza, bloccando per il tronco l’altro e sollevandolo letteralmente sopra la propria testa, prima di gettarlo, con un urlo bestiale, contro la parete che aveva davanti a se, dove il corpo del guerriero del Narvalo si schiantò, lasciando una profonda impronta di se nella roccia.

L’Areoi del Tarpon, comunque, non attese nemmeno che quello rimettesse i piedi a terra e gli fu subito addosso con una violenta spallata destra alla bocca dello stomaco, lasciando, così, all’altro la possibilità di sferrargli un altrettanto feroce calcio sinistro al fianco ora scoperto, riuscendo così ad aprirsi uno spiraglio per spingere l’altro indietro usando ambo le gambe e rimettersi a sua volta in piedi.

Il gigante polinesiano, però, non indietreggiò di molto, rilanciandosi subito addosso all’avversario con il pugno destro carico d’energia cosmica, quando l’altro era pronto a ricevere il suo assalto con la medesima potenza ancestrale a ricoprire il proprio pugno; così si scontrarono di nuovo: un gancio di Maru al collo del guerriero del Tarpon ed un montante di Rorua allo stomaco dell’Areoi del Narvalo; una potenza tale che le vestigia d’entrambi s’incrinarono vistosamente, prima che ambedue i contendenti venissero spinti indietro di qualche metro per la furia di quei colpi, portando, finalmente, la pace in quel piccolo spiazzo, dove ora riprendevano tutti e due fiato e forze.

"Ci sono quindi traditori in tutti gli Avaiki? E quanti siete? Venti? Trenta?", domandò, schiarendosi la voce, l’uomo amato da Tara, "No, non così tanti, saremo una dozzina, ma siamo sufficienti, in fondo, chi si aspetterebbe, nel momento del bisogno, che proprio i suoi compagni lo attacchino?", ribatté, ridacchiando, il gigante, sgranchendosi il collo.

"Immagino che dovrò malmenarti un po’ di più se voglio qualche altro nome, oltre il tuo e quello di tuo fratello …", minacciò serio Maru, espandendo il proprio cosmo, "Puoi provarci, ma vane sono le tue speranze, inoltre, che nomi mai potrei darti? So solo chi sono gli Areoi che in questo Avaiki hanno abbracciato un nuovo ordine del Mondo e chi è che ci guiderà nello stesso, comandando questa Rivoluzione. Ma nessuno dei due nomi ti dirò.", sentenziò l’altro pronto alla battaglia.

"Anzi …", continuò l’Aremata dopo una breve pausa, "Non vi è nemmeno il rischio che tu possa costringermi a dirteli, poiché è impossibile che tu possa vincere!", ruggì convinto il gigante, "Facile parlare quando mi tieni distante dal Corno del Narvalo!", lo rimproverò l’altro, pronto a continuare la battaglia.

Non replicò, però, a quelle parole Rorua, bensì, sollevato il braccio sinistro, ricolmo d’energia cosmica, l’Areoi mimò un montante dal terreno al suolo, con un secco movimento a rotare dell’arto, "Pinna d’argento! Che il mio nemico taccia!", ordinò serio il gigante, mentre l’ondata d’energia solcava il terreno, simile alla grande pinna dorsale, color argento, del Tarpon, diretta ad investire a piena potenza l’avversario.

Maru, avvedutosi di quel colpo che ben conosceva, sapeva che non avrebbe potuto bloccare la furia offensiva del montante sinistro dell’Aremata solo con il proprio corpo, quindi provò a contrastare la violenza con la violenza e, quindi, a sua volta sollevò il braccio destro, carico d’energia cosmica, sferrando il proprio attacco: "Corno Perforante!", urlò.

L’energia, che di norma sarebbe dovuta fuoriuscire seguendo la punta su una delle estremità del giavellotto di Maru, si scatenò verso il suolo partendo dal braccio dell’Areoi e fu sufficiente appena a rallentare il colpo del gigante nemico, colpo che investì comunque l’altro, spingendolo contro la parete alle sue spalle, danneggiandone ancora di più le vestigia e lasciandolo per alcuni secondi senza fiato.

Aremata Rorua, che aveva osservato in silenzio la scena, si avvicinò di qualche passo, mentre parlava beffardo: "Se può consolarti, mio vecchio compagno d’addestramenti, nemmeno con l’arma di cui vai tanto fiero potresti vincermi.", esordì, sollevando le braccia, come a gloriarsi di se stesso, sorridendo, "In fondo, se nemmeno Afa, il nostro maestro, è sopravvissuto al mio attacco, chi sei tu per sperare di fare di più?", domandò divertito, guardando sottecchi il nemico.

"Il Maestro Afa? Che vuoi dire?", incalzò Maru, rialzandosi a fatica, "Non te lo avevo detto? Mentre voi difendevate il tempio, pensando che io e mio fratello fossimo sull’altro versante a fare altrettanto, noi ci siamo occupati di eliminare la vecchia Tiotio ed il maestro, così che non potessero giungere in vostro soccorso. Un’assicurazione in più al successo della Rivoluzione.", spiegò gonfio di gloria, il gigante, "Io stesso ho tolto la vita al nostro vecchio insegnante, con il medesimo colpo che lui ci trasmise.", concluse soddisfatto, guardando la rabbia riempire gli occhi dell’altro.

"Tu, assassino ingrato! Come puoi aver ucciso l’uomo che ti ha cresciuto come un figlio, che ti ha dato la forza di cui tanto ti vanti? Hai forse melma nelle vene al posto del sangue? O l’unico legame che riconosci è quello con il tuo altrettanto vile fratello?!", ruggì furioso Maru, saltando in un assalto frontale contro il nemico, "Corno Perforante!", urlò ancora, scagliando il colpo con il proprio braccio contro l’avversario.

Il gigante, però, non fece molto di più che sollevare le braccia ed unirle dinanzi al petto, sostenendo la violenza del colpo, che danneggiò le vestigia, ma non in modo tale da impedirgli di sferrare un preciso e rapido calcio contro la zona addominale dell’Areoi che stava per rimettere i piedi a terra, gettandolo così al suolo, a stringersi il corpo dolorante.

"No, altri legami non li riconosco! Non sono come te, o quello sciocco del Maestro, che tanto si era legato a quella donna! E poi chi mai lui ha addestrato come un figlio? Forse Toru, o te, ma per quel che riguarda me ed Io, non era di certo altrettanto affettuoso. Peccato che il povero Barracuda non se ne sia mai reso conto, tonto com’era, ma ormai per lui sarà scesa la notte, sono sicuro che non tornerà vivo dal tempio di Ira. E tu, Toru, Tara e tutti gli altri presto lo raggiungerete!", rispose minaccioso Rorua, avvicinandosi di qualche passo, "E poi dovresti essere felice, mio vecchio compagno, in fondo ti spetta lo stesso destino del tuo maestro: così come ho ucciso lui, ucciderò te, e così come mio fratello ha eliminato la Piovra, eliminerà anche il Diodon.", concluse divertito, mentre l’altro stringeva i pugni nel terreno.

"E poi cosa, maledetto? Ucciderai anche Toru?", domandò Maru, al suolo, "No, la morte del nostro comandante spetta a chi ha scelto me e mio fratello per accogliere il Nuovo Mondo in questo tempio, ha preso questa responsabilità e tutto ciò che ne derivava per se. Io eliminerò tutti gli altri che sono sopravvissuti ai neri invasori.", ribatté il gigante, non avvedendosi di un veloce calcio ai suoi stinchi che lo gettò al suolo, al fianco del nemico.

Sfruttando la sua maggiore agilità, l’Areoi del Narvalo compì un salto, poggiandosi sulle mani, per affondare il ginocchio al centro dello stomaco del traditore, che subì l’impatto a denti stretti, del tutto impreparato a quel gesto e troppo lento per allontanarsi in tempo.

"Schiva questo, animale!", ringhiò, digrignando i denti, Maru, prima di sferrare contro l’altro il Corno Perforante, ma Rorua non fu da meno e con invidiabile prontezza sollevò a sua volta il pugno sinistro, così da far cozzare la Pinna d’Argento con l’attacco dell’avversario.

La violenza dei due colpi, che si scontrarono a così breve distanza, fu tale che le vestigia sinistri sugli avambracci di entrambi andarono letteralmente in frantumi, aprendo diverse ferite sui rispettivi bracci; il guerriero del Tarpon si ritrovò con diversi danni alle bianche squame dell’armatura, che si colorarono del sangue suo e del nemico, mentre quest’ultimo fu spinto in alto, schiantandosi contro un muro distante qualche metro, prima di ricadere al suolo, supino.

"Non sai indirizzare la tua forza.", queste le parole che un tempo Afa dello Squalo Tigre aveva detto a Maru, parole che, mentre la vista s’appannava e l’odore della roccia, misto a quello del sangue riempiva le sue narici, ritornavano alla mente, vivide come il giorno in cui gliele aveva rivolte.

Era allievo del possente Afa da ormai due anni, come Toru e Rorua, solo il giovane Io era arrivato da un anno, risultando quindi il meno anziano fra i discepoli dello Squalo Tigre; il maestro, dopo averli iniziati ai segreti del cosmo, e permesso di sviluppare una forza propria, che avevano anche qualche volta provato sul campo, li faceva ormai allenare a coppie, portandoli a confrontarsi fra loro controllando la potenza dei colpi, ma riuscendo, al qual tempo a perfezionarsi. Così, ogni giorno, Toru affrontava Io, mentre Rorua e Maru si combattevano fra loro.

In uno dei lunghi pomeriggi successivi agli scontri, mentre i due fratelli Aremata chiacchieravano fra loro, Io partecipava a qualche gara di nuoto nell’Avaiki con il più rapido Tuna e con quello che poi sarebbe diventato l’Areoi della Torpedine, Maru, dal canto suo, passava il proprio tempo scrutando le vestigia senza custodi dei diversi animali del mondo marino, oppure, di quando in quando, guardando Tara, la discepola prediletta di Hina del Lactoria, una bellezza senza pari, agli occhi del giovane guerriero, una bellezza adombrata da un cupo senso di solitudine, che faceva, al ragazzo, ben più male dei pugni portati a segno da Rorua.

Quel pomeriggio, però, fu Toru ad interrompere ciò che Maru osservava, informandolo che il maestro Afa voleva parlare con lui, così da fargli raggiungere le stanze di quest’ultimo.

Lo Squalo Tigre, nella maestosa possanza della propria figura, il volto segnato da quattro cicatrici lungo le guance, che si diceva avesse subito combattendo in Asia contro una vera tigre e vincendo contro questa, lo stava attendendo, e lo invitò a sedersi.

"Ti ho fatto chiamare per parlarti, Maru, mio allievo: ho osservato il tuo modo di combattere, così come osservo quello di tutti voi e per te, più che per altri, ho un pratico consiglio per perfezionarti.", aveva esordito l’uomo, "Ognuno di voi ha le proprie debolezze e punti di forza: in alcuni, come Toru, le seconde sono più evidenti delle prime; in altri, come Rorua, le prime si mascherano da seconde, in Io, invece, le debolezze potranno essere soverchiata dalla forza che possiede, se saprà ben indirizzarla. Per quel che riguarda te, infine, hai una grande potenza fisica, pari ai tuoi compagni d’addestramento, ma un unico grande difetto: non sai indirizzare la tua forza.

Quando tu e Rorua sferrate pugni ricolmi d’energia, il colpo da te eseguito tende a far disperdere la forza lungo il tragitto fino al punto d’impatto, mentre il tuo compagno d’armi sa ben tenerla stretta fra le dita, finché non è il momento di lasciarla esplodere.", spiegò verso l’allievo che ascoltava in silenzio, cosciente dei propri difetti.

"Per questo ho cercato una soluzione che potesse aiutarti a migliorare e l’ho infine trovata.", concluse poi Afa, porgendo all’allievo qualcosa che teneva nascosta dietro la propria sagoma: una lunga lancia con ambo le estremità affilate, adatte sia per tagliare sia per perforare, "Fai fluire lungo questo giavellotto l’energia del cosmo, così che nel momento dell’impatto arrivi all’estremità interessata e colpisca con massima potenza.", gli suggerì, ricevendo un inchino formale dal discepolo, "La ringrazio, maestro.", fu tutto ciò che l’altro poté dire in quel momento.

"Sei morto, mio vecchio compagno?", domandò una voce, risvegliando Maru dai suoi ricordi, mentre, aprendo gli occhi, questi si trovava sollevato da terra per il capo dall’Aremata, che lo sosteneva con il proprio braccio destro, "Non ancora, non prima di te.", replicò dolorante l’altro, sferrando un veloce calcio allo stomaco ferito dell’altro che, preso alla sprovvista, lasciò andare l’avversario, il quale fu di nuovo pronto alla battaglia.

Un violento gancio destro allo stomaco fu quello che Maru tentò verso l’avversario, che, però, stavolta fu più pronto nel difendersi, evitando il colpo, spostandosi sulla propria sinistra, così da approfittare dell’angolo cieco dell’altro per sferrargli un calcio al fianco, costringendolo a piegarsi per la violenza del colpo sul corpo ormai dolorante.

Entrambi, in fondo, ormai erano doloranti: combattevano da pochi minuti, ma lo scontro fra le loro energie cosmiche a così breve distanza aveva lasciato dei segni su di loro, quindi adesso ambedue avevano fretta di finire senza ulteriori danni e, soprattutto, sapevano bene che, nel caso in cui avessero dovuto confrontare le loro tecniche massime, avrebbero avuto ambedue bisogno dell’arto sinistro, quindi dovevano evitare di usarlo nel loro scontro.

Proprio per questi motivi, Rorua, quando si vide l’altro piegarsi leggermente, ne approfittò, caricando la propria energia cosmica nel pugno destro ed eseguendo un secco montante, "Aspirazione del Tarpon!", urlò il guerriero nello sferrare quel colpo, che creò un vortice ascensionale d’energia in cui Maru fu prontamente catturato, colto alla sprovvista da un attacco che ben conosceva.

L’Areoi del Narvalo sapeva bene che il vortice energetico del compagno d’addestramenti era una spirale che assorbiva tutto al proprio interno, rinchiudendolo in una trottola d’energia capace di dilaniare tutto, ma l’attacco prendeva forma dalle particolari sacche d’ossigeno del Tarpon, che il pesce atlantico possedeva, capaci di immagazzinare ben più ossigeno del necessario, il che rende il grosso pesce capace di nuotare anche in aree dove molti altri animali acquatici non si avventurano, grazie a queste sue scorte superiori.

E come quelle sacche, anche quel vortice d’energia può sembrare invalicabile dall’esterno, ma dall’interno è facilmente danneggiabile e Maru, per quanto privo della propria arma, aveva un attacco adatto a quel fine, così sollevò il braccio destro e compì una veloce serie di movimento a tagliare l’area circostante, perpendicolarmente ed orizzontalmente, "Coda Tagliente!", urlò sferrando i colpi energetici, che aprirono un varco in quel vorticare, schiantando il guerriero polinesiano contro un’altra delle pareti di quella sala, malconcio, ma ancora vivo e pronto a continuare la battaglia.

Aremata Rorua osservò quella scena e sorrise. In pochi avrebbero saputo difendersi così prontamente da quel suo attacco e lui li poteva contare sulle dita di una mano, poiché solo cinque nomi gli venivano in mente: Toru, il più potente guerriero che avesse mai conosciuto ancora in vita non poteva negarlo; il fratello che fin troppo bene lo conosceva e proprio per questo sapeva anche come reagire alle tattiche che usava in battaglia; il Maestro Afa, l’uomo che lo aveva persino aiutato a sviluppare quel particolare colpo, come aveva fatto anche con gli altri, un uomo di cui aveva già dimostrato d’essere superiore; colui che aveva organizzato il tradimento nell’Avaiki di Ukupanipo, poiché lo aveva visto uscire da quella sua tecnica illeso, il che era stato sufficiente per guadagnare una sorta di reciproca fiducia; ed infine l’avversario che aveva davanti, Maru.

Nemmeno considerava Io capace di salvarsi da un suo attacco: quel particolare Areoi era sempre stato più un nuotatore che un combattente, un uomo che amava osservare il mondo, tanto che inizialmente aveva sperato di essere prescelto dal tempio di Ira, chi mai vuole vivere osservando le stelle? Solo gli incapaci, dal punto di vista di Rorua, si accontentava di questo.

Maru era diverso: al pari suo era un combattente, un guerriero forgiato nelle battaglie come lo erano lui e Toru; al pari suo era stato rifiutato come comandante dell’Avaiki per i legami particolari che aveva formato, con Tara, la velenosa guerriera del Diodon, un legame che, in fondo, Rorua poteva comprendere, considerando la bellezza di quella donna, ma dato che ogni ragazza polinesiana che li vedeva in armatura credeva fossero spiriti arrivati dal mondo divino e gli si concedeva, seppur ogni tanto con qualche timore, lui non capiva perché rischiare la vita, quando poteva averne mille di più con l’inganno e senza rischi, come lui aveva spesso fatto negli anni.

In una cosa, però, Rorua si sentiva diverso da Maru: lui non aveva bisogno di armi per dimostrare la propria forza, eppure, il comandante dell’Avaiki aveva scelto di affidarsi al Narvalo e non al Tarpon, per quanto li conoscesse entrambi da sempre, per le questioni belliche del loro tempio e quello era stato un oltraggio difficile da sopportare! Forse aveva ragione l’altro: era stato per ucciderlo, per distruggere quel mondo che non gli piaceva, che aveva accettato di far parte della Rivoluzione che avrebbe portato ad un Nuovo Mondo, come l’uomo a capo dei vari Areoi traditori, aveva definito ciò che sarebbe successo dopo … l’uomo che li aveva riuniti, chissà che anche lui non fosse capace di uscire illeso dall’Aspirazione del Tarpon; non lo aveva affrontato quando si erano incontrati in una delle piccole isolette delle Hawaii, dove i fratelli Aremata si erano diretti con la scusa di visitare i famigliari, essendo originari di quella zona della Polinesia, ma ne aveva avvertito la forza, un potere ancestrale, che avrebbe definito, quasi, divino, per quanto lui di divinità ne sapesse ben poco, giusto quello che aveva ascoltato ai tempi della propria investitura e le strane idee che gli aveva poi esposto anche Hakona: sul rubare il potere delle divinità e prenderlo per se ed i propri compagni. Cosa che, presumeva Rorua, stava avvenendo proprio in quel momento nella sala del Comandante dell’Avaiki, dove si doveva trovare anche il Sovrano dei neri invasori.

"Riprendi fiato, mio vecchio compagno?", stavolta fu l’ironico commento di Maru a richiamare al presente il gigantesco traditore, che ora osservava il suo avversario rimettersi in piedi e sollevare ambo le braccia in una posizione che nessuno dei due avrebbe mai avuto difficoltà a riconoscere, una posizione che rimandò entrambi a quattro anni prima.

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Afa dello Squalo Tigre era lì, in piedi, con le onde del mare che si scuotevano alle sue spalle, mentre in quella piccola grotta che sboccava sull’Oceano, osservava i suoi quattro allievi concentrarsi: erano passati solo due giorni da quando aveva mostrato loro il più potente dei propri attacchi, il Maremoto Divino e detto poi a tutti e quattro prepararsi, poiché avrebbe chiesto di vedere come ognuno aveva saputo fare propria quella tecnica.

Ed ora erano lì, Toru, Maru, Rorua ed Io, ma non c’erano solo i discepoli ed il maestro, anche altre figure si erano riunite ad osservare la fine di quella prova, che avrebbe visto gli allievi promossi o bocciati infine dall’insegnante: c’era il secondo fratello Aremata, che aveva dato qualche consiglio al più massiccio consanguineo, in quei giorni; c’era Tara, seduta ad osservare l’amato, dopo che per due lunghe giornate non aveva fatto niente di più che sorridere e commentare i tentativi dell’altro; c’erano i diversi nuotatori più esperti dell’Avaiki, fra cui l’Areoi dell’Anguilla e quello della Torpedine, curiosi di vedere cosa aveva combinato il loro compagno di gare, evitandolo in quel breve lasso di tempo; e c’era Tiotio della Piovra, con al fianco la sua allieva prediletta.

"Bene, miei allievi, osservate i quattro scogli che da qui si vedono: sono distanti qualche miglio a nuoto, infima come lontananza, ma sufficiente per ciò che vi chiedo.", aveva esordito Afa, portandosi dinanzi ai quattro, "Abbatteteli, mostrate la forza che in questi anni vi ho spiegato come perfezionare e dirigetela così come ho fatto io due giorni fa, dinanzi a voi. Dimostratevi degni di diventare degli Areoi di Ukupanipo.", aveva concluso, spostandosi di fianco a Toru.

Fu proprio il possente guerriero che poi sarebbe diventato comandante, il primo a colpire: "Imperium Carcharodon!", urlò con furia, sferrando i due violenti movimenti delle braccia; "Lama degli Oceani!", gli fece eco Maru, eseguendo il movimento con gli arti a sua volta; "Maremoto Divino.", continuò Rorua, sbalordendo alcuni per il nome dell’attacco; "Fauci Nuotatrici!", concluse Io, ultimo della fila.

I quattro colpi volarono, precisi e veloci, dilaniando, tagliando, perforando, scavando, letteralmente: distruggendo le rocce che si stagliavano come loro rispettivi bersagli e da ognuna di quelle macerie s’alzò un cosmo, che andò in risonanza con quelli dei quattro discepoli, mentre bianche vestigia apparivano nell’acqua, come di quattro pesci che veloci si dirigevano verso di loro partendo, liberi dalle rocce in cui erano rinchiusi.

Ognuno di loro poté guardare l’armatura che aveva davanti a se per qualche secondo, prima di ascoltare le parole di Afa: "Il Barracuda, feroce predatore marino, ma al qual tempo agile e veloce nelle acque degli oceani, sia per te guida, Io, mio allievo. Che tu possa unire il tuo amore per il nuoto e la velocità che sai padroneggiare nello sferrare gli attacchi, la stessa che hai aggiunto al mio colpo maestro, ad una potenza che ancora non ti è propria, ma che un giorno auguro che ti appartenga.

Benvenuto fra i seguaci di Ukupanipo, Io del Barracuda.", aveva detto al suo più giovane discepolo.

"Il Tarpon, superbo pesce dell’Atlantico, chiamato il Re d’Argento, sia per te d’esempio, Aremata Rorua. Perché tu ne ottenga il portamento, la potenza ed il candido lignaggio, ti custodiscano queste vestigia, permettendoti di trovare un giorno il tuo destino, anziché seguire quello che ti viene indicato come spettatore, o semplice partecipante, questo ti auguro.

Benvenuto fra i seguaci di Ukupanipo, Aremata Rorua del Tarpon.", continuò verso il più colossale degli allievi.

"Il Narvalo, cetaceo dei Mari del Nord, Unicorno dei Mari secondo alcune leggende di terre a noi lontane, che ti sia guida, Maru, con l’appuntito corno che usa per navigare nelle acque, grande e vigoroso.

Che delle sue fattezze tu prenda calore e forza e che il suo corno diventi per te una Lancia della Vittoria in ogni battaglia che di qui in avanti ti aspetta, ti auguro.

Benvenuto fra i seguaci di Ukupanipo, Maru del Narvalo.", aggiunse, rivolgendosi al discepolo a cui aveva suggerito di usare un giavellotto in battaglia.

"Lo Squalo Bianco, più antico e maestoso dei predatori, più feroce e potente, ma insieme elegante e capace, degli esseri che popolano i mari, che egli sia di esempio per te, Toru. Che la forza del superbo predatore si pieghi al tuo pugno, che la volontà di chi domina tutte le acque ti possa guidare in battaglia, che la velocità e capacità di trovare e sconfiggere ogni ostacolo che ti si pone dinanzi ti sia per sempre di buon auspicio, auguro per te.

Benvenuto fra i seguaci di Ukupanipo, Toru dello Squalo Bianco.", concluse verso il più potente dei propri allievi.

Queste le parole che il maestro disse loro, prima che gli altri Areoi li accogliessero nelle schiere di cui facevano, ormai, a pieno parte: le lodi da parte di Tiotio, i complimenti dei compagni di nuotate per il Barracuda, l’abbraccio di Tara al suo amato, le fraterne parole fra i due Aremata, tutto questo giunse dopo, anche se, per ognuno di quei quattro, il dono del loro maestro era stato il momento più importante quel giorno.

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Nel ripensare a quel giorno, però, le parole che Afa aveva detto all’Aremata, ancora risuonavano nella mente di quest’ultimo: "anziché seguire quello che ti viene indicato ...", le stesse parole che, poche ore prima, l’anziano uomo aveva detto al discepolo che stava per togliergli la vita, quasi, quando lo aveva accusato di non aver fatto altro che copiare chi gli sembrava più forte, per tutta la vita.

Questo ricordo, assieme alla posizione presa da Maru, fecero riscaldare ancora di più il sangue di Rorua, che a sua volta sollevò le braccia, portandole indietro come il compagno d’addestramenti, "Vuoi dunque perdere la vita come Afa? Bene, avrai lo stesso carnefice e sarai ucciso con la medesima tecnica che ha spazzato via lo Squalo Tigre!", ruggì il gigante all’altro.

"Maremoto Divino!", urlò l’Areoi del Tarpon, "Lama degli Oceani!", rispose di getto quello del Narvalo.

Il vorticare del cosmo del primo cozzò contro le affilate spire d’energia del secondo, un confronto che scavò profondamente il terreno al di sotto dell’area d’impatto, finché, improvvisamente, la virtù del Tarpon iniziò ad avere ragione del cosmo del Narvalo, o almeno così sarebbe parso ad un occhio disattento, ma Rorua stesso ben presto s’accorse che l’avversario stava semplicemente riducendo la forza immessa nel proprio attacco, spostandosi leggermente sulla sinistra.

"Inutile cercare di evitare l’area d’impatto centrale del mio attacco, idiota! Nemmeno Afa è riuscito a sopravvivere al mio Maremoto Divino, cosa speri di fare tu solo spostandoti?", domandò divertito il gigante, ma proprio in quel momento l’altro deviò il suo attacco verso il suolo, lasciando che la potenza dell’esplosione fra i due colpi lo scagliasse in alto, facendolo ricadere poi a terra, a qualche metro di distanza.

Stava per ridere, a quella visione, l’Aremata, sicuro che nessuno sarebbe potuto sopravvivere a tanto, ma quando vide l’altro di nuovo in piedi, il sorriso gli morì sul volto ed un nodo gli si formò in gola nel vedere che ora Maru stringeva fra le dita della mano sinistra il Corno del Narvalo, nodo che ingoiò a fatica, mentre l’altro parlava: "Vogliamo riprovarci, vecchio mio?", domandò secco l’Areoi, sollevando l’arma e preparandosi al confronto.

La punta era diretta verso il suolo, in parallelo con le gambe, leggermente piegate, la lama a fianco della spalla sinistra, il candido cosmo già circondava per intero le braccia di Maru che si stringevano sull’arma, al pari di quello più feroce di Rorua, che ne ricopriva gli arti vorticoso.

"Maremoto Divino!", urlò il gigante traditore, "Lama degli Oceani!", replicò deciso il guerriero polinesiano ed un fendente simile ad una grossa onda si generò dinanzi a quest’ultimo, imitando il primo movimento del giavellotto, che subito fu seguito da un secondo movimento, un affondo con la punta del Corno, generando un vortice cui il fendente andò a mescolarsi.

I due vortici d’energia del Maremoto divino furono dispersi dal vorticare dell’attacco di Maru e Rorua non poté in alcun modo evitare l’impatto con l’energia tagliente, che ne distrusse le vestigia e dilaniò a metà le carni del petto, gettandolo a terra, morente.

Maru si avvicinò silenzioso, l’arma ancora nelle mani, guardando quello che era stato suo compagno d’addestramenti, al suolo, ormai immerso nel suo sangue, "Non hai mai capito cosa ti aveva augurato il maestro, non hai mai capito quale era il tuo vero punto debole: hai sempre voluto soltanto ciò che era degli altri, dal mio ruolo come secondo di Toru, fino all’attacco del grande Afa.", lo criticò l’Areoi.

"Io ho ucciso quel vecchio …", sibilò sofferente Rorua, "E perché il tuo colpo non ha avuto lo stesso effetto su di me? Lo hai capito? Ciò che allora il maestro ci propose era di fare nostro il suo attacco, di prendere la forza massima che egli ci poteva donare e farla nostra, perfezionandola, rendendola migliore, più adatta alle nostre singole abilità.

Tu hai vinto contro il Maremoto Divino del nostro insegnante, non perché fosse migliore, ma perché quando due guerrieri si affrontano con il medesimo attacco, chi è più giovane e forte, vincerà su un nemico più vecchio e stanco.

Quando ho usato la Lama degli Oceani senza il Corno del Narvalo hai potuto vedere come le loro forze fossero uguali, poiché non erano niente di più che due imitazioni del colpo del grande Squalo Tigre, ma nel momento in cui ho usato la vera Lama degli Oceani la realtà ti doveva essere chiara: tu hai perso perché non hai fatto niente di più che imitare il nostro insegnante, poiché ne volevi la forza per te.", concluse secco Maru, ricevendo una smorfia di rabbia da parte dell’altro.

"Non ti chiederò di pentirti dei tuoi errori, né ti offrirò un perdono che di certo non vuoi, sei un guerriero e come tale morirai, con il rispetto di chi ti ha vinto.

Una cosa sola voglio in cambio, quello che mi avevi già promesso, il nome di chi vi ha guidato in questo tradimento e di qualsiasi altro Areoi del nostro Avaiki coinvolto.", sentenziò infine il guerriero del Narvalo.

Due brevi parole gli rivolse a quel punto Aremata Rorua: "Lucertola maligna …", così la vita abbandonò il corpo dell’Areoi del Tarpon, primo dei traditori del tempio di Ukupanipo a morire, per mano di uno dei suoi stessi compagni, che ne osservò il cadavere, chinandosi per chiudergli gli occhi, maledicendo fra se l’uomo che aveva aizzato il tradimento nelle armate polinesiane.

Rialzatosi, poi, alla mente di Maru vennero due priorità: trovare il proprio comandante, Toru, per informarlo di quanto aveva scoperto, e rincontrarsi con Tara, la donna amata, per la cui salvezza si preoccupava.

Così, incerto su quale delle due persone avrebbe trovato prima, e per questo con un misto di speranza e timore nel cuore, l’Areoi abbandonò il luogo di quello scontro, correndo verso il cuore dell’Avaiki, pronto alle prossime battaglie.