Capitolo 18: Il secondo traditore

Rudmil della Corona Boreale era quanto mai spaesato: mancava dalle fredde lande della Siberia da diversi giorni ormai e mai avrebbe immaginato che, in un tempo comunque così limitato, gli sarebbero successe tutte quelle cose.

Prima aveva visitato il Santuario della dea Atena, una dea che aveva giurato di seguire, malgrado non avesse mai sentito parlare di lei fino all’età di sei anni, aveva conosciuto un mondo che andava oltre i semplici racconti del suo maestro, Vladmir dell’Acquario, un luogo in cui gli era stata affidata una missione che avrebbe avuto compiere assieme ad altri cavalieri parigrado, mentre Leif di Cetus, suo compagno d’addestramenti, era impegnato in chissà quale missione da tutt’altra parte del mondo.

Un mondo che, agli occhi rossi del giovane albino, risultava oltremodo vasto e nuovo, persino nel luogo in cui ora si trovava: un tempio sotterraneo consacrato a divinità di cui mai aveva sentito anche solo parlare in vita e proprio lì stava combattendo contro guerrieri dalle nere vestigia, invasori provenienti dall’Africa. Avrebbe dovuto combatterli, poiché, da quando era entrato in quell’Avaiki, aveva incontrato solo tre individui che non fossero dei santi di Atena suoi pari: il primo era stato un ragazzino, di poco più giovane di lui, Kohu dell’Istioforo, che aveva inizialmente attaccato il gruppo di cavalieri, per poi schierarsi al loro fianco ed assieme a Ludwig del Centauro eliminare due dei neri invasori.

Quando poi si erano divisi, Rudmil, assieme a Juno di Cerbero, aveva intrapreso il secondo corridoio da sinistra, dove, però, non avevano incontrato alcun nemico: si erano piuttosto ritrovati in una specie di gigantesco cunicolo di pietra senza fine, un cunicolo in cui, all’improvviso, era stato diviso dal suo compagno d’arme, rimanendo da solo, anche se, non aveva minimamente capito come ciò era stato possibile.

E nemmeno capì, il russo, come, inaspettatamente, si fosse trovato davanti ad una parete di pietra, in un vicolo cieco, dove per qualche minuto rimase a guardarsi intorno, scoprendo solo dopo alcuni minuti di ricerca una sorta di piccolo lago d’acqua.

Non trovando altre possibili vie d’uscita, se non il tornare il dietro, cosa che voleva evitare, considerando l’insensata corsa vissuta fino a quel momento, e considerando che, fra i tre allievi di Acquarius, Rudmil era da sempre stato il migliore a nuotare sotto la superficie dei ghiacciai, il giovane cavaliere si buttò nel laghetto, iniziando a nuotare sotto gli strati d’ampia roccia.

Dovette dare adito a tutte le sue capacità di apnea il santo della Corona Boreale, poiché gli ci vollero diversi minuti prima di intravedere un punto d’uscita, punto d’uscita che lo portò, alla fine, presso una sorta di cascata, sotto un ponte.

Lì ancora si trovava quando alla fine la vide: una sagoma bianca circondata da una chiazza rossa, che galleggiava senza agitarsi, su quello specchio d’acqua. Con velocità il giovane santo si avvicinò a quella che risultò essere una donna polinesiana morta e ne portò il corpo all’asciutto, fuori dall’acqua, per valutare cosa l’avesse ferita e trovando tre profondi fori che ne avevano trapassato l’addome da parte a parte, oltre ad altri due all’altezza delle ginocchia ed uno alla mano sinistra.

Un rumore, però, catturò pochi istanti dopo l’attenzione del russo: un gocciolare costante che lo portò ad alzare il capo verso il ponte sospeso più in alto ed intravedere due sagome, la prima era probabilmente stata di un qualche guerriero nero, poiché solo le vestigia ormai ne restavano, oltre a della pelle putrida, l’altra figura era una donna polinesiana, anch’essa ferita e sanguinante, appoggiata contro il bordo del ponte, ma, forse, non priva di vita.

"Mi senti, Areoi? Sei ancora viva?", urlò dalla sua posizione Rudmil, ma non la voce della figura che osservava gli rispose, bensì un’altra voce, maschile, lo raggiunse alle spalle, "Chi sei, straniero?", domandò qualcuno, spingendolo a voltarsi.

L’individuo che si trovò davanti il giovane cavaliere di Atena era uno degli indigeni di quel tempio, come la corazza bianca indicava.

La pelle, per quel che si poteva vedere dalle vestigia, era di un color quasi cachi, tanto era abbronzata, al contrario dell’armatura di un candido colore, che rappresentava un qualche strano: il pettorale dell’uomo, infatti, era il "volto" del pesce, come i due grossi occhi stilizzati sullo stesso lasciavano intuire, un volto che andava a chiudersi in una struttura circolare fino alle ginocchia; le spalliere, che continuavano dal volto verso l’alto, aveva una forma che a Rudmil ricordava quella delle omonime sull’armatura del suo maestro, per quanto queste si alzassero in delle semionde verso l’alto, anziché restare parallele, quasi come dei petali.

I gambali dell’armatura, che si trovavano poco sotto il ginocchio, avevano una forma allungata e priva di decorazioni, al contrario delle protezioni per le braccia, che sembravano essere le due parti della coda, e parevano rappresentare, come, a ben vedere anche le spalliere, una sorta di balestra rudimentale, priva di filo e stilizzata, ma molto simile all’arma da battaglia.

L’elmo, infine, era una corona sul capo che si allungava attraverso due lunghe placche bianche a coprire le guance, dalle due placche, poi, scattarono i pezzi di una sorta di maschera, che rivelò il viso dell’uomo, appena uscito dal medesimo specchio d’acqua.

Aveva uno sguardo freddo, con gli occhi blu notte che scrutavano inespressivi la scena, occhi del medesimo colore della corta chioma che adornava la nuca.

"Ti ho chiesto chi sei, straniero. Non sembri uno degli africani invasori.", ripeté quello stesso uomo, "Hai ragione, guerriero polinesiano, il mio nome è Rudmil di Corona Borealis, cavaliere d’argento del Grande Tempio di Atene, giunto fin qui, assieme ai miei compagni per aiutarvi contro questi invasori.", rispose, riscuotendosi, l’altro, prima di continuare: "E tu, chi sei?", domandò con un po’ di timore, mentre l’altro alzava il braccio sinistro contro di lui.

"Sono l’Areoi di Balistes, il Pesce Balestra, e di certo non mi farò ingannare dalle tue parole! Come posso credere che tu ci sia alleato, se sei vicino al cadavere di una mia compagna d’addestramento e d’armi?", domandò secco l’altro, espandendo il proprio cosmo minaccioso.

"Ti prego di aver fiducia nelle mie parole, già un altro di voi ci ha attaccato, per poi ricredersi e darci supporto contro i neri invasori che vi hanno assalito.", continuò Rudmil, indietreggiando, mentre lo stupore si disegnava sul volto del suo interlocutore.

"Vi ha attaccato? Dunque non sei solo qui? Gli invasori perciò fanno parte di due eserciti diversi?", incalzò, dopo una breve pausa, l’Areoi, "Te lo ripeto, guerriero di Ukupanipo: non sono solo, ma non vi sono nemico.", disse di nuovo l’altro, ricevendo un ghigno in risposta, "C’è un errore di fondo nelle tue parole che non potrà mai renderci alleati ai miei occhi ed alle mie orecchie, quindi, straniero, addio!", tuonò secco l’uomo dalle bianche vestigia, condensando l’energia cosmica attorno alle braccia.

"Pioggia di Frecce, colpisci!", urlò deciso l’Areoi, mentre dalle due balestre stilizzate sugli avambracci si materializzavano decine di dardi azzurro chiaro, che si gettarono rapidi contro il santo di Atena.

Il discepolo di Acquarius non voleva capire chi, dal suo punto di vista, era solo colpevole di uno spiacevole errore di sfiducia verso i cavalieri di Atena, ma non poteva nemmeno farsi uccidere così facilmente, quindi puntò alla più semplice, ma allo stesso tempo efficace, fra le tecniche in suo possesso: la difesa che tutti gli allievi di Vladmir conoscevano, "Kolito!", urlò sollevano i dischi di gelida energia contro cui la maggioranza delle frecce andò a cozzare, deviando il proprio percorso.

Gelidi e veloci si disposero gli anelli di ghiaccio, ma, alcuni dardi, più veloci, poiché antecedentemente lanciati, riuscirono a raggiungere il giovane cavaliere e per quanto la maggioranza non provocò più che qualche ferita superficiale, uno di questi trapassò da parte a parte la gamba sinistra all’altezza della coscia, costringendo Rudmil a poggiarsi sul ginocchio, per il dolore.

Fu allora, in quel breve istante di sofferenza fisica, che il giovane, da sempre addestrato a mantenere un freddo distacco da ogni situazione, per quanto non vi eccellesse particolarmente, si rese conto di un particolare stranamente inquietante: la ferita che aveva appena subito era identica a quelle che portava sul corpo la guerriera morta da lui ritrovata, un foro perfetto che passava da parte a parte la vittima colpita.

Non vedeva però una logica in un gesto simile il cavaliere: perché uccidere una propria compagnia d’addestramenti? Che quello non fosse in realtà un Areoi, invece uno dei neri invasori con abilità illusorie, magari? Questo il primo dubbio che gli sorse. Che fosse ancora intrappolato in qualche illusione, invece, il secondo, per quanto il dolore alla gamba era decisamente reale.

In ogni caso, proprio per i dubbi che lo turbavano su quella situazione, il giovane discepolo del cavaliere dell’Acquario, non contrattaccò l’altro, che ne stava osservando le gelide difese, o almeno non in quel momento, "Dunque usi le energie fredde? Cosa rara in questi luoghi da vedersi, nemmeno i neri invasori ne sembrano padroni, almeno per ciò che ho visto finora …", commentò semplicemente, avvicinandosi guardingo.

Quando poi il guerriero del Balistes alzò il braccio, pronto ad attaccare di nuovo, il cavaliere si rivelò ben più veloce nel sollevare le proprie, di braccia, sciogliendo i dischi d’argento che lo circondavano, che, simili ad una sottile brina invernale, volarono intorno all’Areoi, circondandolo e richiudendolo in catene gelide come mai ne aveva provate.

"Ti chiedo scusa per queste maniere, guerriero polinesiano, ma non ho altri modi per ragionar con te, a quel che sembra: non voglio combatterti, se un difensore di questo tempio sei, come sembra ed affermi, ma non posso non dubitare, ora, delle tue parole, data la similarità fra la ferita che mi hai inferto e quelle che hanno ucciso la tua presunta compagna d’addestramenti.", avvisò fermo Rudmil, osservando l’interlocutore negli occhi.

"Osi dubitare delle mie parole, straniero invasore? La donna al cui corpo t’ho trovato vicino era Atanea del Mola Mola, il Pesce Luna, assieme a me allieva della potente Hina del Lactoria.

Per anni ci siamo addestrati sotto la stessa insegnante, condividendo fatica, sudore, ferite e, allo stesso tempo, vittorie e gioie fino al momento dell’investitura. Pensi che potrei mentire, o essere la causa della morte di una persona con cui ho condiviso tanto? Forse che tu sei nato già capace di combattere come ora fai? O eri l’unico allievo del tuo maestro, chiunque egli fosse?", domandò, con tono offeso, l’Areoi di Balistes.

Un silenzio colpevole s’impadronì di Rudmil, memore dei tempi dell’addestramento con Leif, o dei giorni passati assieme al giovane Lashnar, ancora ad addestrarsi con il loro comune maestro: sapeva bene quale legame si creasse fra compagni d’allenamento, anche se si cercava di congelare, al di sotto di profondi strati di gelido cosmo, i propri sentimenti, forse anche per questo lui era sempre stato diversi passi indietro al cavaliere di Cetus, come spesso, anche se nessuno glielo diceva esplicitamente, sentiva dentro di se.

Un lampo sinistro, per nulla visto dal russo, balenò negli occhi del polinesiano: "Straniero, se tu hai deciso di parlare, anziché attaccarmi nel momento in cui hai facilmente superato le mie difese, probabilmente dovrei darti il beneficio del dubbio sulla tua volontà, quindi, permettimi di proporti una tregua: così che io ascolti le tue parole a cuore sgombro e poi decida se affrontarti, o lasciare che ognuno di noi vada per la propria strada.", suggerì con voce pacata l’Areoi, riscuotendo l’altro dai suoi pensieri e convincendolo ad abbassare le circolari catene di ghiaccio che lo bloccavano.

"No!", urlò, d’improvviso una voce, proprio mentre gli effetti del Kolito ormai erano sciolti.

Pochi millesimi di secondo dopo quel singolo urlo, si scatenò il caos: il guerriero di Balistes, liberatosi, non diede tempo a nessuno per altre parole, bensì scatenò la Pioggia di Frecce prima verso il santo di Atena, poi in direzione del ponte sopra di loro, lo stesso da cui proveniva quel semplice avviso; Rudmil, dal canto suo, non aveva il tempo di sollevare le difese degli anelli, così dovette puntare ad una più offensiva protezione per se stesso, eseguendo l’altra tecnica ben nota a tutti gli utilizzatori delle energie fredde, "Diamond Dust!", invocò, ed allo stesso tempo, dall’alto la voce di poc’anzi gli fece eco: "Aculei Venefici!".

Le due selve di frecce mancarono i loro bersagli, le une congelate e distrutte, le altre sciolte a contatto con una muraglia corrosiva, prima che la figura ferita sull’alto del ponte fosse visibile ai due guerrieri più in basso.

"Aremata Popoa, vile traditore! Perché mi hai attaccato e perché hai ucciso Atanea?", urlò infuriata Tara di Diodon, ancora sanguinante dalla spalla, "Ecco la prediletta della maestra Hina che giunge a complicare le cose, come sempre!", ruggì sprezzante l’altro di rimando, "Sapevo che un singolo dardo non sarebbe bastato ad ucciderti, ma non potevo rischiare di lasciar sfuggire il tuo veleno nell’aria, rischiando la mia vita! Avresti potuto restare svenuta ancora, non credi, dannata?", ringhiò disgustato l’Areoi traditore.

"Vile! Perché tanto odio verso chi ti è stato compagno sotto le direttive della Grande Hina? Le tue menzogne di poc’anzi m’hanno risvegliata! È stato l’urlo di dolore che ogni tua bugia lasciava fuggire dall’anima ormai senza vita di Atanea, quello mi ha richiamato sul campo di battaglia, per farti sputare la verità, anziché il veleno con cui cercavi d’ingannare questo straniero.", ribatté l’altra, ben consapevole, però, di non poter fare molto di più al momento che urlare contro il traditore.

"Sputare veleno? Una cosa per te da sempre naturale, vero? Tu hai diviso me ed Atanea ai tempi dell’addestramento, gelosa perché costretta ad una solitudine che poi grazie al Narvalo hai vinto! Ma non preoccuparti di questo: ormai sei di nuovo sola, di certo mio fratello avrà già avuto ragione del tuo amato! E solo dopo una lunga agonia lo raggiungerai!", minacciò l’Aremata.

"Che cosa vuoi dire? Perché Rorua dovrebbe aver tradito? Siete forse impazziti tutti e due? Nel momento del maggiore bisogno vi prendete una personale rivincita sui vostri compagni?", domandò preoccupata Tara, prima di tutto per il suo compagno, ricevendo solo una risata da parte dell’altro.

"Non per semplice rivincita, ma perché riusciamo a vedere più avanti di voi ci siamo uniti alla rivoluzione che porterà alla nascita di un Nuovo Mondo negli Avaiki! Non più stolti seguaci delle divinità polinesiane, non più uomini inutili e barbari come Toru, o Afa, a comandare sugli altri, ne femmine altezzose come Tiotio ed Atanea! No, ora, grazie all’uomo che ci ha riuniti e si è alleato con questi neri invasori, i cinque templi saranno guidati da un nuovo ordine di Areoi!", esclamò soddisfatto Popoa.

"Tu, maledetto pazzo! Per questo ci hanno attaccato? Perché vi eravate alleati con questi neri invasori?", domandò stupefatta la donna, "Ben più complesse le ragioni di quanto oggi qui sta succedendo sono, più di quanto tu potresti mai capire, sciocca. Né mi sprecherò oltre a parlare con te.", tagliò corto l’altro, "Ho molta gente da uccidere, prima che il mio compito sia completato, e tu e questo straniero mi rallentate.", concluse.

"Guerriero straniero!", urlò allora l’Areoi del Diodon, "Te ne prego: ti sei detto nostro alleato, ferma tu la follia di questo traditore per noi, guerrieri dell’Avaiki di Ukupanipo.", supplicò semplicemente la giovane polinesiana, cosciente di non poter fare molto di più e speranzosa nelle capacità di quello sconosciuto.

"Saresti dovuto morire comunque, cavaliere di Atena, sei un inaspettato ostacolo sul mio cammino, ma non per questo farai una fine diversa da quelle di Atanea e della vecchia Tiotio: morirai per mia mano!", minacciò deciso Popoa, espandendo di nuovo il proprio cosmo.

"Pioggia di Frecce!", urlò ancora una volta l’Aremata, sferrando verso il silenzioso santo della Corona il suo attacco, che, però, fu prontamente evitato con un balzo laterale, prima che fosse Rudmil, spostatosi ora sul fianco sinistro dell’avversario, a contrattaccare: "Diamond Dust!", urlò infatti, scatenando la Polvere di Diamanti contro l’Areoi, puntando a bloccarlo nel gelido ghiaccio delle nevi della Siberia, ma una seconda ondata di dardi azzurri impedì tutto ciò, annullando fra loro gli attacchi.

"Sei rapido, ma non abbastanza, straniero. Non pensare che basterà evitare le mie frecce per vincermi, poiché non quelle sono l’unica arma sulla mia balestra, anzi, la balestra stessa, per me, è un’arma ancora più potente!", avvisò deciso il traditore, sollevando le braccia sopra il capo, ambedue ricolme d’energia cosmica, prima di sferrare un veloce movimento ad incrociarle dinanzi al busto, creando una grande X di puro cosmo, "Coda del Balistes!", invocò nello sferrare quel nuovo assalto, che corse veloce verso il giovane santo d’argento.

L’allievo di Acquarius fu veloce nel sollevare a sua volta le proprie difese, il Kolito si erse lesto a proteggerlo, ma la violenza dell’impatto con il colpo nemico fu inaspettatamente pressante, tanto da frantumare la protezione delle energie fredde e volare all’indietro il cavaliere, leggermente ferito al corpo: solo le protezioni donategli dalle energie fredde, unite alle virtù difensive delle sue vestigia lo avevano salvato da un ben più gravoso danno fisico.

Aremata Popoa osservava soddisfatto la scena: quello straniero, per quanto inatteso, non avrebbe rovinato il suo piano; la resistenza di Tara alla freccia che l’aveva colpita, invece, era stata già ipotizzata e nemmeno quella sarebbe stata una fonte di difficoltà per l’esito positivo del suo progetto, niente li avrebbe fatti fallire, nessuno avrebbe potuto sconfiggere lui e suo fratello!

Non c’era riuscita neppure la vecchia Tiotio, per quanto, nel momento in cui l’Areoi di Balistes se l’era trovata davanti, lo doveva ammettere, aveva avuto un po’ di timore, ma nemmeno l’ultimo gesto disperato della vecchia comandante, colpita a morte dal medesimo attacco che aveva appena scagliato, era servito. La donna che aveva custodito le vestigia del Polipo aveva scatenato contro di lui i Tentacoli della Mente, la famosa tecnica con cui sapeva piegare le volontà dei nemici più potenti, ma quel singolo attacco non era bastato contro il minore dei fratelli Aremata e questo era stato un segno della sua superiorità mentale, oltre che fisica.

Forse se la differenza d’età fosse stata minore, se lei non avesse avuto più di trent’anni sulle spalle in eccesso, o se già le sue carni non fossero state dilaniate dalla Coda del Balistes, chissà, magari in quel caso la lotta non sarebbe stata altrettanto facile, ma quelle eventualità, che gli avevano dato la vittoria, erano state precedentemente considerate da Popoa, che, anche se un po’ scosso, sapeva fin da subito che i Tentacoli della Mente lo avevano giusto sfiorato e non colpito, sapeva fin dall’inizio di avere già la vittoria in pugno.

Altrettanto sicuro era stato nel momento stesso in cui aveva visto Atanea sola e ferita: la sua vecchia compagna d’allenamenti, colei che un tempo per lui stravedeva, prima che Tara non sputasse veleno nei suoi confronti, non sarebbe mai andata in giro da sola per l’Avaiki in una situazione del genere; una persona tanto legata ai propri allievi non li avrebbe di certo lasciati nelle maglie del pericolo, mentre un esercito invasori li attaccava!

Scoprire poi che Kaede, l’allieva prediletta di Atanea, era persino morta dinanzi all’insegnante stessa, era stato un vantaggio in più: l’Areoi del Mola Mola era ferita, psicologicamente, indifesa e confusa, poiché in cerca degli altri discepoli di cui non sapeva le sorti; quando lo capì, Popoa si rese anche conto che sarebbe stato ben più facile del previsto avere ragione di lei, ma si trattenne dallo sfogare più del necessario la propria frustrazione per il tradimento della stessa, che l’aveva abbandonato, fidandosi più delle parole di Tara, che non dell’evidente saggezza di lui.

Aveva un piano e per eseguirlo doveva restare sempre freddamente attento ai particolari, così, anziché infierire oltremodo, si preoccupò solo di ucciderla, prima di passare alla preda successiva e trovare il Diodon intenta in una battaglia fu un colpo di fortuna non da poco, che sommato al fatto che fosse lontana dall’amato, di cui di certo Rorua si stava già occupando ne era sicuro, lo aiutò.

Era sopravvissuta Tara, questo però era un problema già valutato, data la natura delle vestigia della stessa, mentre inaspettato era quel giovane straniero dall’armatura azzurra, che, però, s’era rivelato un tale allocco da credere, prima, alle sue parole, permettendogli così di studiarne le capacità, e cercare, poi, di sfruttare un angolo cieco che, in effetti, non c’era per provare a colpirlo: avrebbe ringraziato gli dei polinesiani di avergli dato dei così stupidi nemici, l’Aremata, se non fosse che il piano di chi li aveva coinvolti in quella Rivoluzione riguardava proprio lo sradicamento delle divinità da quei templi di pietra.

Il rumore di Rudmil che si rialzava, richiamò il polinesiano alla realtà, "Ancora vivo, straniero? Devi possedere vestigia davvero di ottima fattura per avere ancora la forza di rimetterti in piedi.", lo schernì Popoa, espandendo il proprio cosmo, "Questa, però, sarà la tua più grande sfortuna, in fin dei conti!", minacciò, pronto a sferrare un nuovo attacco, quando, però, si rese conto che, ancora una volta, i suoi movimenti erano paralizzati dai cerchi di ghiaccio che l’altro sapeva generare.

"Pensi di potermi bloccare due volte con il medesimo colpo? Avresti ormai dovuto capire che sono un passo avanti a te in ogni strategia.", lo ammonì deciso l’Aremata, prima che gli anelli d’energia gelida iniziassero a chiudersi più stretti su di lui, "Stavolta non ci saranno inganni che tengano, non mi farò di nuovo sbalordire da qualche tua falsa parola, Areoi, il Kolito si chiuderà su di te, riducendoti gelandoti le vestigia prima ancora delle carni.", dichiarò altrettanto sicuro il giovane russo.

"Straniero, tu mi sottovaluti oltremodo.", lamentò semplicemente Popoa, espandendo il cosmo lungo le braccia, congiunte all’altezza dell’addome, e lasciando esplodere la Coda del Balistes stavolta verso l’alto, distruggendo così la prigione di ghiaccio in cui cercavano di rinchiuderlo.

Rudmil fu sbalordito da una tale reazione: eppure era sempre stato abile nel generare gli anelli di ghiaccio del Kolito, sapeva di essere minore a Leif nell’uso della Polvere di Diamanti, ma con la tecnica difensiva che ambedue avevano sviluppato, lui era sempre stato ben capace di farne uso in battaglia.

Lo stupore, però, fu presto superato dal dolore: approfittando della sua distrazione, infatti, l’Areoi lo aveva bersagliato con una freccia energetica, che lo ferì al braccio sinistro, facendolo barcollare indietro, "Non poni nemmeno attenzione ai miei colpi, cavaliere? Il tuo errore più grande è dunque questo: sottovalutarmi!", urlò allora l’altro, lanciandosi in avanti ed espandendo il proprio cosmo verso il nemico spiazzato e confuso.

"Coda del Balistes! Dilania le sue carni!", ordinò secco Popoa, sferrando ancora una volta il proprio attacco, ma Rudmil non tentò nemmeno di bloccarlo con la propria difesa, aveva ben capito la potenza di quel colpo, sferrò piuttosto la Polvere di Diamanti, con cui ne rallentò l’avanzata, sostenendo, per alcuni lunghi secondi, il confronto di forza con l’assalto avverso, finché, il dolore al braccio e quello alla gamba, ambedue ora ferite, non lo portarono a perdere, nuovamente, parte della concentrazione, fu nuovamente l’intervento della guerriera bianca ferita sul ponte ad essergli d’aiuto, poiché lesta la muraglia venefica che quella sapeva generare si gettò sull’incrociare dei cosmi dei due contendenti, spegnendoli entrambi.

"Ancora osi disturbarmi, maledetta?", domandò indignato il guerriero del Balistes, rivolgendosi a Tara, "Non sei stanca di rovinarmi la vita? Ti dà tale piacere sputarmi veleno contro?", ringhiò ancora, incurante del santo d’argento che si trovava a pochi metri da loro, il quale, comunque, sembrava altresì stanco e confuso.

"Non ho mai fatto niente del genere nei tuoi confronti, Aremata. Sai bene che se Atanea non ha accettato le tue attenzioni, la colpa non è d’altri se non tua, che la consideravi quasi un premio per te, una consolazione per non aver ricevuto la minima considerazione quando la saggia Tiotio ha scelto il suo successore. Nessuno di noi tre fu scelto, ma tu solo dovesti cercare in una tua perversa fantasia la ragione per cui non fosti candidato.", replicò decisa Tara, sostenendosi dal bordo del ponte.

"Menzogne! Lei era mia! Aveva sempre seguito con interesse le mie capacità, apprezzato le mie doti strategiche e abilità come arciere e la stessa maestra Hina ci faceva spesso allenare assieme.", rimarcò ancora una volta l’altro, "Hai travisato le gentilezze di una compagnia d’addestramenti, niente di più. Atanea ti era amica, questo sì, ma con le tue parole, con le azioni, che non rispecchiavano né un sentimento d’amicizia, né niente di più che desiderio di possesso nei confronti di una persona, che ritenevi poco meno di un oggetto, hai perso anche quel bene che ti voleva.", lo ammonì la guerriera del Diodon.

"Bugiarda!", ruggì ancora una volta l’Areoi del Balistes, pronto a colpire con forza verso la propria interlocutrice, sollevando ambo le braccia verso di lei, ma un urlo richiamò la sua attenzione verso il santo d’Atena che aveva alle spalle: "Diamond Dust!", un semplice avvertimento che lo portò a voltarsi ed evitare con un balzo in acqua la Polvere di Diamanti, appena sferrata dal cavaliere della Corona Boreale, ora in piedi dinanzi a lui.

"Ora basta!", ruggì, a quella vista, l’Aremata, "Vedrò d’occuparmi d’entrambi voi subito, con il mio massimo colpo!", minacciò, sollevando le braccia e disegnando un rombo nell’aria dinanzi a lui, un rombo che, attraverso il cosmo dell’Areoi traditore, prese le forme del becco di un pesce con quattro soli denti.

"Quadrilatero delle Zanne! Colpisci!", ordinò secco e stavolta l’assalto fu troppo veloce, troppo violento, perché Rudmil avesse anche solo il tempo di sollevare le proprie difese, né le vestigia della Corona ressero pienamente a quei quattro dardi energetici che si piantarono sulle gambe e sulle spalle del cavaliere, sollevandolo da terra e schiantandolo a diversi metri di distanza, sul suolo, ora sanguinante.

"E dopo lo straniero, adesso è il tuo turno d’abbandonare questa vita, maledetta bugiarda!", minacciò nei confronti di Tara il traditore, "Sorridi, ben presto ti ricongiungerai al tuo amato. Coda del Balistes!", urlò ancora, sferrando l’ondata energetica contro il ponte, che andò in frantumi.

Un bagliore bianco, però, s’intravide in quella fragorosa esplosione d’energia, un lampo di luce che passò nell’istante dell’esplosione, una sagoma che, agli occhi stupefatti di Popoa divenne due figure poggiate ad un oggetto sul versante opposto del ponte ormai distrutto: Tara di Diodon, ora sostenuta da Maru del Narvalo.

Quando l’Areoi ferita riaprì gli occhi, che aveva istintivamente chiuso vedendo l’assalto avversario arrivarle contro, cosciente di non potersi in alcun modo salvare da sola, e vide che non era né caduta in acqua, né in alcun modo ferita, ma piuttosto si trovava stretta fra le braccia dell’amato, un sorriso le si dipinse in volto.

"Ammettilo, ti sono mancato.", scherzò affettuosamente l’allievo di Afa, che con il solo braccio sinistro si teneva al proprio giavellotto, mentre la sosteneva con l’altro, ma non ricevette risposta, se non un tenero abbraccio da parte della propria amata.

"Com’è possibile che tu sia qui, Maru?", urlò a quel punto Aremata Popoa, "Hai forse incontrato qualche invasore nero, anziché mio fratello?", domandò, incapace di accettare una realtà che già aveva compreso, "No, ho affrontato Rorua in battaglia e ho una domanda da farti, la stessa a cui lui non mi ha ancora risposta: chi? Chi è il terzo traditore del nostro Avaiki?", domandò, ritornando serio, l’Areoi del Narvalo.

D’improvviso, tutte le sicurezze del guerriero del Balistes caddero e gli tornò alla mente solo il sorriso soddisfatto che s’erano scambiati con il fratello quando il terzo traditore di Ukupanipo gli aveva proposto di unirsi a chi già stava progettando una rivolta negli Avaiki.

Era iniziato tutto sei settimane prima: durante una delle sue ronde nei cunicoli esterni del tempio era stato avvicinato da quel loro parigrado di soppiatto e, lo doveva ammettere, ne era rimasto sorpreso, in fondo non avevano mai poi così tanto socializzato, ma a ben vedere i fratelli Aremata non avevano altri amici che l’uno l’altro.

L’Areoi che lo aveva avvicinato, però, lo sorprese anche con le parole che gli rivolse: "Non hai mai accettato la scelta della Piovra, vero, Balistes?", parole che avrebbero anche potuto scatenare un’accusa di cospirazione, se riferite a chi di dovere, come anche la sua risposta, se non fosse stata attenta.

"Perché me lo chiedi proprio tu? Hai forse intenzione di mettermi in cattiva luce dinanzi al comandante Toru?", chiese di rimando, con un ghigno diffidente in volto, ricevendo però, in cambio, un sorriso soddisfatto: "Sei sempre stato svelto di pensiero, come lo sei di parola, ed acuto. Ho sempre apprezzato questo tuo modo di fare, di certo, se fossi stato scelto io come comandante, avrei preso te e tuo fratello come miei secondi, la mente ed il braccio più adatti, anziché la Tartaruga Marina ed il Narvalo. Chissà se tu avresti preso me fra i tuoi confidenti potendo.", lo schernì con tono curioso.

"Dove vuoi andare a parare, Areoi?", tuonò Popoa stizzito da quelle parole, "Al bene del nostro Avaiki, al bene di tutti gli Avaiki!", replicò deciso l’altro.

"Ho parlato con alcuni guerrieri degli altri templi, pare che serpeggi dappertutto l’insoddisfazione. Toru, Apakuera, Moko. Sono solo tre dei cinque comandanti e tutti e cinque sono considerati, da alcuni dei loro subalterni, degli incapaci, o degli sciocchi.

Certo, non si può mettere in discussione la forza dello Squalo Bianco, o l’affetto che la guerriera di Uekera provi per le genti che onorano il divino Lono, ma cos’altro sanno fare? Ben poco da soli e hanno tutti loro scelto di affiancarsi degli incapaci, gente che porterà alla rovina gli Avaiki quando la nera armata giungerà.", spiegò con tono serio l’inatteso interlocutore.

"Nera armata? Di che parli?", domandò curioso l’Aremata, "Un esercito che da terre lontane sta per raggiungerci, distruggendo tutto ciò che trovano sul loro percorso, un esercito che cancellerà del tutto la nostra cultura e le nostre divinità. Un esercito che batteremo solo se ci alleeremo con esso!", esclamò sicuro l’altro.

"Stanno per invaderci? E quando?", continuò sconcertato l’Areoi di Balistes. "Fra meno di due mesi, da ciò che mi hanno riferito, ma se anche i cinque comandanti la sapessero, non avrebbero modo di fermare chi ci assalirà, troppo legati sono alle loro sciocche sicurezze.", lo ammonì l’interlocutore, "Ed allora cosa proporresti? Di morire senza combattere?", incalzò ancora Popoa. "No, semplicemente di unirci all’Areoi loro alleato: per il bene della nostra cultura dovremo abbandonare alcuni degli sciocchi compagni che non ci hanno mai soddisfatto, con i loro modi, ma porteremo l’esercito degli Avaiki verso un Nuovo Mondo.", spiegò quello che avrebbe guidato i traditori di Ukupanipo, continuando poco dopo: "Se non credi a me, allora vai con tuo fratello nell’Isola che vi ha dato i natali, le Hawaii, lì troverete l’uomo che ci dirigerà nel cambiamento, l’uomo grazie al quale il nostro mondo non andrà perso, ma si migliorerà. Lui vi darà le risposte che forse io non vi potrò offrire.", aveva proposto alla fine.

I due Aremata avevano quella sera stessa discusso di quel breve incontro rivelatore, Rorua aveva voluto saggiare le capacità di chi gli proponeva tale tradimento, o Rivoluzione, come poi iniziarono a chiamarla, e poi raggiunsero persino il tempio di Pili, nella loro isola natia, con la scusa di visitare la loro famiglia, e lì videro la potenza insita nell’uomo che aveva deciso di abbandonare il nome di Hakona, come avrebbe detto al momento di rivelarsi agli Areoi a cui avrebbe tolto la vita.

Con il passare delle settimane, poi, il loro terzo compagno aveva preso degli accordi con dei rappresentanti delle squadre rivoluzionarie presso il tempio di Ira e quello di Lono ed alla fine la guerra era scoppiata.

Ora, però, Rorua era morto e l’unico valore che ancora rispettava Popoa era spiritato con il fratello, lui si trovava solo con degli alleati che non aveva voluto e di cui non si fidava e dei nemici che avrebbe dovuto uccidere: chi vinceva quella guerra non era più di suo interesse, ora doveva solo puntare a vendicarsi di quella coppia di maledetti e poi si sarebbe messo dalla parte della vincitore finale, niente di più, in fondo, oltre le persone lì presenti, solo chi lo aveva arruolato sapeva del suo doppiogioco, perché non fare un triplo gioco se necessario?

Prima di pensare a quale fosse la parte del vincitore, però, doveva occuparsi della vendetta, questo era certo.

Così, con un solo desiderio nel cuore, volse lo sguardo verso i due che ancora dondolavano nel vuoto, "Preparatevi a raggiungere i vostri maestri, maledetti!", ruggì, espandendo il proprio cosmo e sollevando le braccia per iniziare a costruire il rombo nell’aria dinanzi a se, ma, quando l’energia stava ormai condensandosi, un muro di ghiaccio si generò, attraverso l’acqua in cui Popoa era immobile.

Maru osservò stupito quello strano effetto acquatico, prima di notare, seguendo le indicazioni di Tara, la figura del giovane cavaliere di Atena ferito, "Andate, Areoi, lasciate a me questo traditore, in fondo, fin da subito io ero il suo avversario.", suggerì Rudmil, prima che la coppia di polinesiani si scambiasse uno sguardo.

Fu l’Areoi del Diodon, sollevata dall’amato, la prima a raggiungere l’estremità del muro a cui erano poggiati, poi il guerriero del Narvalo, una volta avute ambo le mani libere, si poggiò sulle gambe e compì un salto per avvicinarsi alla parigrado.

"Ti ringraziamo straniero, e te ne preghiamo, non avere pietà di questo traditore.", chiese semplicemente la discepola di Hina del Lactoria, scomparendo poco dopo nel corridoio dinanzi a lei assieme all’uomo con il giavellotto.

L’allievo di Vladmir dell’Acquario osservò i due allontanarsi, quando l’esplosione d’energia del nemico distrusse la barriera di ghiaccio in cui lo aveva intrappolato: "Ora, a causa tua, dovrò persino inseguire quei due maledetti!", ruggì furioso Popoa, disegnando nell’aria dinanzi a se il becco del Pesce Balestra, pronto ad attaccare il santo di Atena.

Rudmil, dal canto suo, sollevò le braccia, aprendole sopra il capo, mentre già il cosmo dietro di lui disegnava un’aurora di luce di forma circolare, avrebbe usato il colpo migliore che possedeva, quello che aveva appreso durante gli addestramenti, completamente originale, al pari del Vortice gelido di Leif, un attacco con cui sperava che avrebbe vinto quello scontro.

L’Aremata, considerando lo svantaggio dell’ambiente, avendo l’acqua fino alla vita, spiccò un salto verso il cielo, pronto a colpire il nemico allo stesso tempo: "Quadrilatero delle Zanne!", invocò furioso il polinesiano, "Aurora Circle Avalanche!", replicò deciso il russo.

La prima impressione, per l’Aremata, fu che una nuova Polvere di Diamanti si lanciasse contro di lui, sotto forma di una valanga di neve cristallizzata che sembrava stesse correndo verso di lui, ma la vera scoperta avvenne quando, guardando verso il basso, notò che l’acqua alzatasi al momento del suo salto, era ora completamente congelata, un effetto incredibilmente repentino della cui ragione si rese conto solo nel momento in cui i due colpi si scontrarono.

Vide, infatti, Popoa, i suoi quattro dardi circondati dall’energia gelida, quasi come gli anelli difensivi del nemico avevano fatto in precedenza con lui, ma stavolta quella stessa forza cosmica non si limitava a bloccare i movimenti, bensì congelò i denti della Balestra e continuò la propria corsa, congelando superficialmente anche le parti di corazza attorno all’addome ed alle gambe dell’Areoi traditore.

Quella paralisi del corpo, però, non diede particolari preoccupazioni all’Aremata, che stava osservando come due dei suoi dardi, che avevano superato la valanga gelida, avevano ora perforato all’altezza della spalla destra e dell’addome il cavaliere d’argento, spingendolo al suolo.

Nel gioire, però, di quella piccola vittoria, Popoa non si rese conto di non avere controllo della propria caduta e che delle stalagmiti di ghiaccio già lo attendevano: quando la consapevolezza di non aver valutato tutti i difetti della propria strategia lo colse, fu troppo tardi; già le vestigia, rese più deboli dal continuo interagire con quelle basse temperature, erano state trapassate dalle stalagmiti e le carni dell’ultimo degli Aremata furono le successive vittime.

Non fu un colpo speciale o un attacco complesso ad abbattere Popoa del Balistes, bensì la sua stessa avventatezza che lo rese vittima di affilati spuntoni di ghiaccio, che ne trapassarono gambe e gola, lasciandolo morire dissanguato dinanzi alla sagoma ferita e priva di sensi del suo avversario.