Capitolo 22: Il Predatore

Seguiva la sua preda già da un po’, ma attendeva il momento migliore per farsi avanti.

Aveva avvertito lo scoppiare di diversi scontri, ne aveva anche intravisto uno, poco più avanti, ma non si era interessato dell’esito, comunque fosse andato erano nemici di poco interesse i due che si stavano combattendo fino a qualche decina di minuti prima, ora aveva una preda forse migliore davanti e lui, per se, chiedeva sempre il meglio. In fondo era Nyame, il primo allievo di Gu il Grande Cacciatore.

Attese ancora l’ultimo membro della Terza Armata, finché non vide il luogo perfetto: l’ampio spiazzo che si apriva sulla sala con l’acqua, d’altronde, come ben sapeva, alle fonti d’acqua si ritrovano tutte le prede, lui però non avrebbe atteso fin lì, avrebbe attacco subito!

"Spirale degli Artigli!", invocò la sagoma nascosta, lanciando il proprio colpo ad una velocità così elevata che la preda nemmeno si rese conto, inizialmente, di cosa stesse succedendo, fu capace solo di subire in piena spalla destra l’attacco, venendo schiantata contro la parete alla sua sinistra.

***

Il Santuario di Atene, per quanto in quel momento ben più vuoto della norma era, di certo, in fervore: soldati venivano mandati nei più disparati angoli dello stesso con l’ordine di non muoversi dalla loro posizione almeno che in caso di estremo bisogno; i pochi cavalieri di bronzo che erano stati investiti delle loro vestigia e lì si trovavano erano intenti ad organizzarsi sotto le direttive del più anziano di loro; i tre santi d’oro presenti alle Dodici Case, infine, erano ognuno nel proprio tempio, in attesa della chiamata del Sommo Sacerdote, o di possibile pericoli.

Degos di Orione, da solo, era, infine, seduto sui bordi della palestra, osservava con un vago sentore di tristezza le assenze, il salone vuoto, lì dove fino ad una settimana prima Damocle e Husheif si affrontavano, con Menisteo come spettatore, ora, di quei tre giovani e nobili cavalieri solo uno era forse ancora vivo, gli altri già erano caduti in una guerra folle, come lo erano tutte le guerre.

Un rumore richiamò l’anziano santo d’argento da suoi tristi pensieri, il rumore di passi, quelli di un giovane ed atletico cavaliere che s’inginocchiò velocemente dinanzi a lui, in segno di saluto.

"Alzati pure, Talos del Leone Minore, non hai bisogno di simili atti di abnegazione nei miei confronti, saremo compagni in questa guerra che, pare, stia per investire il Sacro tempio della dea.", lo ammonì pacatamente Degos, osservandone il massiccio corpo di atleta e guerriero, i muscoli che ben risaltavano sotto le vestigia, i capelli corti e neri, gli occhi color nocciola che scrutavano con rispetto l’uomo che aveva davanti.

Talos, come la maggioranza dei cavalieri di bronzo addestrati al Santuario, non aveva avuto un maestro fin dal principio del suo percorso, solo quando in lui s’era risvegliato un cosmo ed era diventata evidente la possibilità che diventasse un membro della terza casta di santi, fu affidato, in modo sommario, alle cure di uno dei giovani santi d’argento che ad Atene vivevano: un metodo concordato dal Sommo Sacerdote e dai cavalieri d’oro, oltre che da Degos e Bao Xe, i più anziani fra i santi d’argento al Santuario, per responsabilizzare i giovani dell’ordine mediano.

Talos, in particolare, era stato affidato alle cure di Menisteo, che, supponeva Degos, gli aveva trasmesso anche il reverenziale rispetto per il cavaliere di Orione, poiché era quello cui rivolgeva il maggior numero d’inchini fra i vari membri della seconda casta.

"Come ci è stato ordinato, nobile Degos, io assieme ai cavalieri della Lince, del Lupo e di Coma Berenices siamo stanziati nei pressi di Rodorio, affinché, l’eventuale nemico, non raggiunga la città. In caso di pericolo, muoveremo subito per difendere il Santuario, se risulterà necessario. I soldati semplici sono comunque stanziati lungo il fianco che dà verso l’Arena centrale.", spiegò prontamente il giovane, chinando leggermente il capo.

"Molto bene, cavaliere del Leone Minore, molto bene davvero.", si complimentò Degos, restando poi da solo a riflettere sugli avvenimenti e sulle forze in campo.

Non sapeva chi fossero i misteriosi nemici di cui aveva sentito parlare, gli stessi che avevano attaccato la Cina dieci anni prima, per quel che aveva compreso, ma sapeva che dei cavalieri d’argento che erano stati investiti delle loro armature in quella generazione, ben due erano già morti e chissà quanti altri stavano, in quello stesso momento rischiando la vita in battaglie lontane. La sua preoccupazione maggiore era, egoisticamente, per l’ultimo allievo rimastogli, Vincent di Scutum.

Dei cavalieri d’oro, poi, ben due su cinque avevano rifiutato di tornare al Santuario, per quanto il santo dell’Acquario si stava occupando di completare l’addestramento del futuro custode delle vestigia di bronzo del Cigno, ma questa non era una motivazione sufficiente, seppur migliore dell’egocentrismo del cavaliere di Cancer, che non voleva abbandonare la propria villa.

In più, il nobile Ascanus di Scorpio era ancora fuori dal Santuario, il che riduceva a solo tre cavalieri d’oro i custodi dei Templi ancora ad Atene, per quanto Degos sperava che fossero un numero più che sufficiente.

Dei cavalieri di bronzo, poi, quattro si erano appostati dove era stato loro detto, ma oltre loro vi erano Ilo dello Scultore, secondo discepolo del Sommo Sacerdote, la cui missione era di vegliare sul Jamir; gli allievi, prossimi all’investitura, del Vecchio Maestro di Goro-Ho e del santo di Acquarius; Nirra del Camaleonte, che non aveva ancora lasciato l’Isola di Andromeda, poiché non le era stato chiesto, e la giovane sacerdotessa della Colomba, che non era, propriamente, la più adatta per il campo di battaglia, o almeno Degos non l’aveva mai vista allenarsi con le sue parigrado, per quanto da una giovane guerriera dalla maschera d’argento fosse stata più volte redarguita e spronata ad addestrarsi.

Con quei pensieri in mente, il vecchio cavaliere d’argento rimase in ascolto dei cosmi che esplodevano molto lontani dalla Grecia.

***

Iulia dell’Altare ringraziò la dea Atena ed il Sommo Oracolo della stessa: il suo maestro aveva riparato molti anni fa le vestigia che durante l’ultima guerra sacra erano state danneggiate e fra tutte, quella che era stata del defunto Hakurei, per quanto l’ultimo ad indossarla fosse stato Sage, gemello dell’insegnante di Sion, aveva ricevuto forse cure maggiori di altre, per l’affettuoso ricordo che legava, l’allora giovane cavaliere dell’Ariete, al maestro ormai morto.

Certo, questa poteva essere solo una sua supposizione, ma la speranza che quelle vestigia avessero avuto maggiore cura da parte del Sommo Sacerdote rincuorava la ragazza anche in quel momento, mentre si rialzava da terra dolorante.

Lo scontro con Chikara aveva danneggiato ben poco le vestigia, dato i tipi di attacchi che la guerriera dell’Istrice aveva portato a segno e questo si andava aggiungendo alle cure ricevute dall’armatura d’argento, aumentando, dal punto di vista della giovane italiana, la sua fortuna, poiché Iulia ben sapeva che se non fosse stata per la resistenza di ciò che indossava, quel velocissimo attacco a sorpresa le avrebbe come minimo mozzato un braccio, invece, ora, era in piedi ed osservava il nemico palesarsi placidamente dinanzi a lei.

Era uno dei Savanas ed indossava vestigia che ricordavano un felino, un grosso e minaccioso gattone chiazzato, a prima vista, delle vestigia che, innegabilmente, avevano una conformazione comoda per correre e muoversi agilmente.

La corazza era semplice, chiazzata e priva di alcun tipo di decorazione superflua, andava a coprire, come una seconda pelle il tronco e la cinta, lasciando, però, piena libertà alle gambe, che, scoperte fino alle cosce, avevano degli strani gambali, aperti dietro, per coprire dal ginocchio fino al piede, anch’essi maculati.

Sulle braccia, poi, corte coperture per i soli avambracci, sulle mani adornate da piccoli ed affilati artigli, il resto degli arti era egualmente scoperto, se non per le spalliere, la cui forma era simile a quella di un’onda, più basse frontalmente e rialzate sul retro.

Una piccola maschera che richiamava il felino, a coprire il volto del guerriero nero, una maschera connessa ad una sottile corona, dal cui retro dondolava una lunga coda scura, fatta del medesimo materiale del resto delle vestigia.

Il guerriero non aveva capelli, era rasato, e gli occhi non erano distinguibili dalla maschera, ma il volto era puntato verso di lei e Iulia, per la prima volta, si sentì come una vera e propria preda.

"Chi sei, guerriero africano?", domandò la sacerdotessa d’argento, sforzandosi di mantenere la calma, dinanzi a quello strano uomo che ora si piegava leggermente sulle gambe, quasi fosse pronto a balzarle addosso, "Nyame del Ghepardo, discepolo di Gu il Cacciatore. E tu, preda?", incalzò impassibile l’altro, scuotendo nel profondo l’avversaria con quel semplice appellativo, "Iulia dell’Altare, del Sommo Sacerdote di Atene sono allieva e non sarò la tua preda!", minacciò decisa lei, espandendo il proprio cosmo dinanzi a se, pronta alla battaglia.

Non ebbe, però, nemmeno il tempo di sferrare un attacco la guerriera di Grecia, poiché, nell’istante stesso in cui posò gli occhi sul nemico, quello si era già mosso, portandosi ad una minima distanza da lei e sferrando una violenta artigliata contro le vestigia d’argento, che ressero all’impatto, ma non le impedirono di essere scagliata indietro, a diversi metri dall’avversario.

"Spirale degli Artigli! Finiscila!", ordinò il Savanas, scatenando l’attacco che era appartenuto anche a Heitsi, ma stavolta la giovane italiana fu lesta nel difendersi, poiché, per quanto in una posizione di scarso equilibrio, si aspettava quel colpo, "Sorgete, Speciosae Scudis!", invocò, ergendo le ampie e rosse difese fra se ed il vortice di lame che su quelle cozzò, segnandole profondamente, ma senza riuscire a superarle.

Ricadde malamente al suolo Iulia, dopo essersi salvata dal colpo nemico, ed ebbe appena il tempo di risollevarsi sulle ginocchia che avvertì una leggera fitta alla base dell’addome, lì dove la protezione delle vestigia non era presente, un dolore che scaturiva da un sottile, quanto profondo, singolo taglio.

"Un singolo artiglio è andato a segno, primo fra tutti ad essere generato ed unico a battere la tua velocità di reazione, preda. Ammetto di averti sottovalutato in questo frangente: ho ridotto troppo la mia velocità d’attacco.", osservò con divertito disappunto Nyame, guardando la nemica al di là dei petali rossi segnati dal suo attacco.

Iulia era sbalordita: un nemico che riusciva a superare la sua massima velocità di generare i Gigli Rossi di difesa, implicava che quello che aveva davanti era un guerriero incredibilmente veloce, molto più di lei! Scosse il capo la sacerdotessa, per cercare di riprendere il controllo di se: era stata la sorpresa ad intimorirla all’inizio, ma doveva superare quello stato d’animo e riprendere il controllo dello scontro, doveva bloccare e vincere il nemico!

"Speciosae Scudis, innalzatevi dinanzi al mio avversario e rinchiudetelo in una gabbia adatta alla sua natura bestiale!", invocò ancora una volta l’allieva di Sion, prima di generare una muraglia di rossi petali che circondò la posizione del guerriero nero, intrappolandolo fra loro.

"Cosa speravi di ottenere con quel misero tentativo? La preda non può diventare predatore.", ammonì una voce alle spalle di Iulia che, non appena si volse, fu investita da una violenta ondata d’energia affilata, che la sollevò da terra, schiantandola proprio contro la barriera di pelati che aveva generato: Nyame era in piedi, si era mosso ad una velocità che i suoi occhi non avevano avuto modo di seguire ed ora la osservava beffardo con gli occhi che, adesso li notava, erano di un verde acceso.

"Rudimentali le tue trappole e lenti i movimenti, come credi di avere ragione di me, che primeggio nella Terza Armata per qualità con il mio stesso maestro?", domandò beffardo, espandendo il proprio cosmo, ma stavolta fu Iulia ad essere più reattiva, mentre già l’energia attorno a lei volgeva verso l’arancione.

"Bulbifera Solis, distruggete!", urlò la giovane italiana, generando i gigli dal fiore ad imbuto attorno al nemico, che accennò un sorriso, l’ultima cosa che la sacerdotessa vide prima della brillante detonazione, che scosse l’intera ampia sala, accecando anche lei per qualche istante.

Non ebbe nemmeno il tempo di sperare fino al diradarsi della polvere, che già la voce di Nyame la raggiunse, stavolta dalla sua sinistra, "Tutto inutile, ancora una volta, ed ormai ben poco tempo ti resta da vivere, mia preda.", ammonì il guerriero del Ghepardo, le cui vestigia erano ancora una volta intatte e prive di danno.

"Non può essere …", sibilò sbalordita Iulia, "Nemmeno Chikara era riuscita in questo, eppure lui non ha nemmeno dovuto espandere il proprio cosmo per difendersi!", osservò preoccupata.

"Hai affrontato l’Istrice della Prima Armata? Mi complimento con te per aver vinto un membro di quella elite di guerrieri, ma non per questo devi sperare di aver ragione di me, poiché io sono, prima di tutto, un predatore e, soprattutto, rispetto a chi non era nemmeno allieva di uno dei Cinque Comandanti, sono molto, ma molto, più potente e veloce!", tuonò deciso l’africano, scatenando per l’ennesima volta la Spirale degli Artigli e stavolta con una rapidità tale che nemmeno le Rosse difese della sacerdotessa furono utili, poiché ancor prima che potesse invocarle, già l’attacco l’aveva investita, spingendola a diversi metri di distanza, sanguinante dalla zona non protetta dalle vestigia.

"Giunto è infine il momento di concludere la caccia, mia preda. Rallegrati: sarai un dono da offrire al mio maestro ed al nostro Sovrano, tu e la tua testa!", urlò il guerriero nero, espandendo delle lame affilate che corsero verso l’addome della sacerdotessa di Atene, che, però, non si arrese, anzi lesta sollevò le Speciosae Scudis, che si ersero proprio su di lei, coprendola e riducendo così il danno dell’attacco nemico.

Nyame scrutò con disappunto quella difesa estrema, "Sei stata saggia a sollevare quei petali per coprirti, capendo che in nessun altro modo avresti potuto rallentare l’attacco, poiché troppo veloce perché tu potessi seguirlo con lo sguardo ed indovinarne la traiettoria che fino a te lo avrebbe condotto.", si complimentò inizialmente l’allievo di Gu, "Ma cosa speri di ottenere nel ritardare l’inevitabile? Che io mi stanchi, o che una nuova idea ti salvi ancora la vita?", chiese incuriosito e, assieme, infastidito, prima che un rumore di passi catturasse la sua attenzione.

"Non so cosa lei volesse ottenere, ma di certo mi ha dato il tempo per raggiungervi ed aiutarla in battaglia!", esclamò una sagoma ormai prossima a loro, che spiccò un salto, iniziando a roteare su se stesso: "Lawine van het Schild!", urlò Vincent di Scutum, apparendo sul campo di battaglia.

La pioggia di energia, però, non raggiunse il guerriero nero, che, all’ultimo, sferrò una veloce serie di artigliate energetiche, annullando i diversi colpi del nuovo avversario, il quale gli atterrò a pochi passi di distanza, con lo scudo sollevato dinanzi a se.

"Un’altra preda? Dovevi essere rimasto più indietro lungo questo percorso, non ti avevo notato poc’anzi.", osservò Nyame con tono sicuro, scattando poi, ad una velocità che il giovane Vincent non riuscì a seguire con gli occhi, una velocità che lo portò a sferrare un violento calcio verso lo stomaco del cavaliere d’argento, non protetto dallo scudo in quel momento, fino a sballottarlo a diversi metri di distanza, vicino alla sacerdotessa di Atene.

Il giovane discepolo di Degos, però, non si diede per vinto e scattò di nuovo in avanti, provando a colpire con la parte esterna dello scudo il suo nemico, ma il guerriero del Ghepardo fu lesto nello spostarsi sulla sinistra, tentando un nuovo colpo, simile al precedente, trovando, però, stavolta l’arma difensiva del cavaliere a bloccare la corsa del calcio.

"Non puoi sperare d’ingannarmi due volte nel medesimo modo.", avvisò deciso l’olandese, spingendo in avanti con l’arma per sbilanciare l’altro e trovare, quindi, un’apertura nella guardia nemica, un’apertura in cui sferrare una veloce spallata con l’ampia arma che portava; apertura che, però, non trovò, lasciando, volutamente, così il proprio di fianco scoperto al nuovo attacco del membro dei Savanas.

"Spirale degli Artigli!", invocò Nyame, scatenando il proprio attacco base, verso il quale Vincent nemmeno si volse: ormai cosciente della differenza di velocità fra loro, infatti, il cavaliere pensò bene di sollevare direttamente le proprie difese, "Schild van de Koning", esclamò, alzando la statica difesa di cui era padrone, che ben resse all’attacco dell’altro, dando, allo stesso tempo, la possibilità a qualcun altro di trovare un’apertura nelle abilità del guerriero nero.

"Speciosae Scudis!", urlava in quei medesimi istanti, infatti, un’altra voce, quella di Iulia dell’Altare, generando attorno al nemico i rossi petali che, stavolta, forse complice la distrazione dell’attacco eseguito, riuscirono ad intrappolare al proprio interno il Savanas.

"Ed ora, guerriero nero, giungerà per te la fine.", avvisò decisa la sacerdotessa, rialzandosi in piedi, "Questa è la tua vana speranza, preda!", minacciò, dalla gabbia scarlatta, Nyame, lasciando esplodere il proprio cosmo, "Attenta, sacerdotessa!", fu l’unico avviso che l’altro cavaliere lì presente ebbe appena il tempo di pronunciare, prima che, in un’esplosione di luce, decine e decine di artigli di luce si aprissero in ogni direzione, dilaniando le pareti di quella trappola floreale e lasciando all’allievo di Gu il tempo di fuggirvi.

Iulia riuscì a distinguere il nemico raggiungerla, probabilmente Nyame stesso stava rallentando la propria corsa per non finire vittima dei residui del suo attacco, che volevano per l’intera sala, segnandone le mura di pietra, ma non poté fare molto se non sollevare le difese del giglio rosso dinanzi a se, sfruttandole per bloccare parzialmente l’artigliata che, di lì a pochi istanti la raggiunse, fortunatamente andando a perdersi al di là delle sue barriere.

"Lawine van het Schild!", urlò ancora una volta il cavaliere di Scutum, che, abbandonata la propria posizione difensiva, s’era lanciato all’inseguimento del nemico ed ora lo stava distanziando dalla sacerdotessa guerriero sfruttando la propria tecnica d’attacco base, che gli permise, altresì, d’affiancarsi proprio alla giovane discepola di Sion dell’Ariete.

"Tutto bene, sacerdotessa d’argento?", chiese in quel momento Vincent, rivolgendo un veloce sguardo alle minime ferite che l’altra aveva, "Sì, cavaliere, tutto bene. Il tuo arrivo è stato inaspettatamente utile per salvarmi, di ciò ti ringrazio, vedrò di ricambiare il favore, non appena possibile. Non sia mai che l’allieva del Sommo Sacerdote resti in debito con un suo pari.", replicò l’altra con tono calmo, prima di sibilare poche corte parole, mentre entrambi riprendevano fiato, mantenendo lo sguardo sul nemico.

"Dove si trova il cavaliere della Lyra? Perché hai cambiato percorso?", domandò l’italiana guerriera, "Non so dove si trovi il compagno che mi fu affiancato all’inizio di questo viaggio periglioso, ho perso le sue tracce quasi subito, complici i due nemici che ci hanno attaccato: lo Sciacallo Striato ed il Nero Bufalo. In vero, non immaginavo nemmeno di essere nel corridoio affidato a te ed al cavaliere del Triangolo, ma la mia battaglia con Buadza, il Bufalo Nero, è stata quanto mai devastante, tanto da confondere il mio orientamento.", ammise con rapidità l’olandese.

"Hai avuto ragione del secondo discepolo di Acoran? Complimenti, preda. Le tue vittorie diverranno mie nel momento in cui avrò la tua vita; sono lieto di averti incontrato.", esordì Nyame, che aveva ascoltato le parole dei due, "Purtroppo per te, però, nemmeno Buadza era paragonabile a me per virtù guerriera e capacità di caccia, lui, al pari di Deng, di cui l’ho sempre ritenuto inferiore, era più un predone, un massacratore di genti, non era solito considerare l’onore o il rispetto, né conosceva l’eleganza in battaglia.", commentò ironico, prima di scattare in avanti, nuovamente ad una velocità troppo elevata perché i due avversari potessero seguirlo con gli occhi, portandosi fra loro.

"Dite pure addio alla vita, mie prede!", avvisò deciso, sferrando ad ambedue un secco gancio ricolmo d’energia cosmica, scagliandoli contro le pareti di pietra alle loro spalle, in cui sprofondarono di qualche metro, prima di udire nuove parole giungere dal comune nemico: "Tempesta di Artigli!".

Ancora una volta, le movenze del nemico superarono i limiti dei loro riflessi: solo una serie d’innumerevoli artigli oscuri riuscirono ambedue a distinguere e troppo tardi sollevarono le loro difese per poter contenere del tutto gli assalti che Nyame scagliò contro di loro.

Lo Scudo del Sovrano e le Speciose Rosse furono ben misera protezione per loro, poiché già le prime decine di attacchi li avevano bersagliati e da una parte fu la naturale arma delle vestigia di Scutum, mentre dall’altra la buona consistenza di quelle dell’Altare ad evitare che ambedue i cavalieri di Atena morissero, ma non impedì che profonde ferite si aprissero sulle zone scoperte del corpo, prima di lasciarli, lentamente, scivolare verso il terreno, sanguinanti, l’uno accanto all’altra, compagni in quella sventurata battaglia.

"Non v’è dunque speranza? Troppo veloci i suoi colpi perché possa alzare in tempo le mie difese?", si domandò stremato Vincent, sollevando leggermente il capo verso il nemico, poi, memore delle parole che aveva sentito dire da Menisteo, per quanto ciò gli sembrasse ancora impossibile, memore del dovere che aveva da portare a termine, come cavaliere di Atena, memore di come la speranza fosse l’ultima a dover cadere in battaglia, giusto dopo la determinazione, il santo di Scutum si poggiò sulle mani per darsi la forza di rialzarsi in piedi.

"No, non accetto d’arrendermi!", ringhiò fra se il giovane, ormai alzatosi, "Né io te lo avrei concesso.", ribatté la voce della sacerdotessa guerriero, anch’ella di nuovo in piedi, pronta alla battaglia, così come, però, lo era il loro nemico: "Molto bene, una preda che non si dimostra combattiva non dà gioia nel catturarla.", li ammonì, espandendo ancora una volta il proprio cosmo.

"Tempesta di Artigli, a te queste prede!", urlò deciso il guerriero nero, scatenando l’attacco che già aveva portato a segno precedentemente.

La reazione dei cavalieri, però, stavolta fu diversa, o, più correttamente, in modo diverso agì Vincent di Scutum, scattando in avanti, portandosi a protezione di Iulia, subendo i primi tagli sul corpo, ma riuscendo a sollevare lo stesso le proprie difese dinanzi a se ed alla compagna e dando a quest’ultima il tempo, così, di contrattaccare.

"Schild van de Koning!", "Bulbifera Solis!", queste le due frasi che il guerriero nero sentì invocare l’una dopo l’altra dai propri avversari, quando già la rapidissima serie di attacchi stava correndo in direzione di loro, spietata, segnando le carni del santo di Scutum senza pietà alcuna.

Nyame non riuscì, però, a spostarsi alla velocità che tanto aveva sorpreso i nemici da quel colpo inatteso, dovette piuttosto, come Iulia ben notò, fare affidamento sulle proprie capacità di salto, spiccando un agile balzo verso la parete della sala, spinto dall’esplosione stessa, che lo scosse leggermente, ma non provocò in lui nessuna ferita, anzi, con un’elegante capriola, alla fine, l’allievo di Gu si ritrovò di nuovo al suolo, illeso come sempre.

La sacerdotessa d’argento, però, aveva notato qualcosa, qualcosa cui non sapeva ancora dare una conformazione, ma era un particolare che, inconsciamente, l’aveva colpita, doveva solo ricavarlo.
Furono i movimenti di Vincent di Scutum a riscuotere Iulia dalle sue riflessioni, quando lo vide barcollare indietro, sanguinante, gli portò le mani alle spalle, per sostenerlo in piedi, "Ci siamo andati vicini, sacerdotessa, purtroppo si è mosso all’ultimo evitando il tuo attacco …", affermò corrucciato l’olandese, "però siamo stati capaci di prenderlo in contropiede, ben più che con il mio primo attacco.", ammise affaticato e furono quelle parole che diedero una chiara idea di cosa lei aveva visto alla sacerdotessa allieva di Sion: aveva visto una possibilità di vittoria!

"Devo chiederti un ultimo sforzo, Scutum, un’impresa non facile, ma utile per cercare di sfondare del tutto le sue difese: mi serve una certezza prima di effettuare il mio colpo migliore, un attacco che non darà lui possibilità alcuna di sopravvivenza.", sibilò preoccupata al parigrado la guerriera dell’Altare.

"Non sperate di aver egual fortuna una seconda volta.", li ammonì, in quel medesimo momento, Nyame, "L’utilità di una preda è quella di sfamare i bisogni del predatore e, ora che mi avete dimostrato di poter essere fin troppo pericolosi, i miei bisogni vanno in secondo piano rispetto ai doveri, quindi vi finirò subito, non dandovi tempo alcuno per nuovi tentativi.", avvisò il nero avversario, chinandosi leggermente sulle gambe, "Tanto più che il rosso scudo non ha forze alcune per nuovi tentativi.", aggiunse sornione.

"E se giungesse un terzo compagno a dar loro aiuto?", domandò d’un tratto una voce, prima che un’emanazione cosmica riempisse l’area, un’emanazione gelida come le nevi del Nord.

"Aurora Circle Avalanche!", invocò Rudmil della Corona Boreale, apparendo dalla parte opposta da cui erano arrivati i suoi due compagni e dirigendo l’attacco contro il guerriero nero che, ancora una volta, si mosse ad una velocità ben superiore a ciò che i tre santi d’argento potevano seguire, raggiungendo il nuovo avversario e scagliandolo con un veloce calcio roteante accanto ai due compagni.

"Hai dunque vinto tu la battaglia con l’indigeno? Non che questo m’interessi, preda, ma speravo che avresti preso un’altra direzione, o atteso, prima di aggiungerti ai miei trofei!", lo ammonì allora Nyame, scrutando i tre che ora aveva davanti.

"Cavaliere della Corona, anche tu solo? Dove si trova il santo di Cerbero?", domandò con un sorriso strozzato dal dolore fisico Vincent, osservando il parigrado che, dei tre era, probabilmente, quello che s’era approssimato a quella battaglia con il maggior numero di ferite già subite sul corpo.

"Ho perso di vista Juno fin da poco dopo l’inizio della nostra corsa, credo che un nemico ci abbia intrappolato in qualche illusione.", rispose il russo, ricambiando lo sguardo verso i due compagni feriti.

"E come sei giunto fino a questo corridoio?", incalzò Iulia, che stava ora prendendo tempo, per valutare nuove possibilità per il suo piano, "Nuotando, ho scelto di cambiare la mia strada, una volta trovata una via d’uscita da quella strana illusione, anche se, ancora, non so come sia riuscito a sfuggirvi.", spiegò di rimando l’altro.

"Mi sono trovato a combattere con un Areoi che sembra avesse tradito i propri compagni, tanto da averne uccisa una e provato ad ucciderne altri due dinanzi ai miei occhi. Dopo lo scontro sono svenuto, una volta ripresomi, stavo per allontanarmi da qui, ma ho udito gli echi della battaglia e ho deciso di controllare.", aggiunse infine.

"Ben fatto, discepolo dell’Acquario, un aiuto in più non sarà di certo rifiutato, specie per ciò che ho in mente per tutti noi.", replicò Iulia, che non ebbe nemmeno il tempo di concludere le proprie parole, poiché rapido apparve dinanzi a lei Nyame, allontanandola con un secco calcio frontale allo sterno, prima di sferrare un’artigliata contro Vincent, ben più lenta del colpo precedente, tanto che il cavaliere di Scutum riuscì a difendersi con l’arma dell’armatura, indietreggiando di qualche passo e lasciando, così, a Rudmil, il tempo per attaccare.

Cercò di prenderlo in controtempo il cavaliere d’argento, sferrando un pugno nel momento stesso in cui il guerriero del Ghepardo stava, a sua volta, colpendo il parigrado e quasi vi riuscì, poiché fu facile per il nero combattente chinare il capo, evitando l’attacco e sferrare a sua volta una violenta gomitata verso lo stomaco già ferito del terzo avversario, facendolo indietreggiare.

Non gli diede però tempo di riprendersi, il nero nemico, caricandolo con delle violente artigliate al petto ed al volto, segnandone le carni e costringendo il santo della Corona Boreale ad espandere con violenza il proprio gelido cosmo, così diverso dall’ambiente in cui Nyame era cresciuto, rilasciando contro il Savanas il Kolito, che, però, non riuscì ad intrappolarlo, poiché lesto, oltre la velocità sostenibile dallo sguardo avverso, quello si spostò alle spalle del cavaliere, investendolo con un potentissimo calcio alla schiena.

Barcollando in avanti, Rudmil si trovò proprio di fianco a Vincent di Scutum e poco più indietro, rispetto ai due, era al suolo Iulia dell’Altare, una situazione che fece sorridere il discepolo di Gu, "Così siete nella perfetta posizione, mie prede!", li avvisò gioioso, "Eccovi l’attacco finale del Ghepardo: Artiglio Scattante!", invocò subito dopo.

Il santo della Corona Boreale non ebbe il tempo di voltarsi, a malapena riuscì a sollevare lo scudo l’allievo di Degos e nemmeno poté pensare minimamente a preparare le proprie difese la sacerdotessa d’argento: nessuno di loro riuscì a distinguere ciò che accadde nei pochi istanti successivi, ma tutti e tre intravidero la famelica fiera d’Africa correre contro di loro, rapida oltre il definibile, spietata e violenta, così come fu Nyame, dilaniando le vestigia e le carni di tutti e tre coloro che definiva "prede", sollevandoli dal suolo e lasciandoli cadere in posizioni differenti, circondati dal loro stesso sangue che s’era mischiato nelle veloci e devastanti piogge di gocce che dai loro corpi erano volate.

Per alcuni secondi li osservò tutti, immobile, il guerriero nero, lo sguardo serio, le labbra leggermente aperte nell’emettere lunghi respiri, gli occhi vagavano dall’uno all’altro, soddisfatti, memori di quando aveva ottenuto per la prima volta una vittoria contro più prede, da giovane, la stessa vittoria che gli aveva portato in premio l’interesse di Gu e la possibilità di diventare suo discepolo.

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La sua infanzia si era sviluppata nella memoria dell’Impero Ashanti, ormai scomparso; i suoi genitori, capi di un piccolo villaggio dell’entroterra delle aree sotto il dominio degli europei, sotto i possedimenti della Gran Bretagna, gli avevano narrato della vastità del regno del Ghana, di quelle medesime genti di cui lui faceva parte, gli Ashanti, e proprio di una divinità Ashanti gli era stato dato il nome. Un gesto che, agli anziani, era sembrato quasi una blasfemia, ma che per il padre, figlio del precedente capo villaggio, era sembrato di buon auspicio per il figlio che, in seguito, avrebbe dovuto prendere il suo posto a capo di quelle genti.

In quel luogo era cresciuto, riverito ed allevato per diventare un capo, finché, una notte d’estate, alcuni uomini bianchi erano giunti nelle loro case, ubriachi, armati, più selvaggi delle bestie, si erano lanciato su quelle genti, derubandole di tutto, dall’onore fino alla vita, in alcuni casi.

Il padre di Nyame si era opposto, ma non aveva potuto fare niente per impedire che tutto quello accadesse, se non perdere la vita, prima della propria moglie, così da non vedere lo scempio che quei coloni fecero di lei, solo perché troppo euforici e potenti quella notte, per essere fermati.

Nyame fuggì con il nonno, perché non sacrificasse anch’egli la propria vita, non la lasciasse sfumare, in fondo, allora, aveva solo dodici anni.

Il padre di suo padre, però, lo abbandonò pochi giorni dopo la fuga, troppo vecchio per reggere una vita nella foresta, troppo debole per reggere oltre a quelle tristi emozioni, lasciandolo solo a cercare un modo per vivere e Nyame cercò la vendetta.

Gli ci volle tempo per ritornare al proprio villaggio e ritrovare le tracce dei colpevoli di quello scempio, il disgusto lo colpì nel vedere ciò che restava della gente in mezzo cui era cresciuto e la sete di uccidere aumentò in lui.

Fu quel sentimento, mutatosi in odio, a guidarlo nel suo seguire le tracce per metà delle colonie britanniche del Sud-est africano, finché non li ritrovò, o almeno trovò tre di loro, da soli, ubriachi, in una capanna, a contare i denari della vendita di qualche abitante di quelle terre, forse persino dei suoi compaesani.

Nyame non ebbe di che pensarci: diede fuoco alla capanna dove si trovavano e li attese fuori, armato di frecce ed arco, uccidendone due e lasciando che il terzo morisse fra le fiamme, ma non poté far niente contro un quarto compare, che riapparve alle sue spalle, tornando da chissà dove, e bloccandolo, pronto ad ucciderlo.

L’intervento di Gu fu l’unica cosa che lo salvò: non indossava vestigia quello che solo dopo si sarebbe presentato come il Terzo Generale dell’Armata d’Africa, ma lo stesso non ebbe problema alcuno ad uccidere quel quarto britannico, prima, e poi a portare via con se il ragazzino accecato dalla vendetta.

Gu offrì a Nyame di che bere e mangiare, ascoltò le sue parole ed il racconto della sua sventura e rimase entusiasmato da come quel giovane fosse riuscito ad inseguire delle tracce dopo giorni di distanza, così gli volle proporre una scelta che avrebbe cambiato la vita del piccolo ashanti: "Tu hai cacciato gli uomini così come loro hanno cacciato la tua gente, ma, nel farlo, ti sei dimostrato a loro superiore, poiché non hai assalito un villaggio facilmente individuabile, bensì hai inseguito delle tracce, hai elaborato una strategia e, in breve, ti sei dimostrato un artista, poiché tale è la natura ultima del predatore.", così aveva iniziato porgendogli poi la mano.

"Permettimi di aiutarti ad affinare le tue arti, troveremo gli altri che hanno assalito il tuo villaggio e daremo loro la caccia, prime prede del futuro che ti offro, un futuro ad inseguire e conquistare uomini e mondi senza distinzione alcuna, al seguito dell’unico vero sovrano che le nostre genti dovremmo seguire, il Supremo Predatore d’Africa, il Leone Sovrano che mi è stato maestro. Diventa un membro dell’Armata d’Africa, come me.", gli propose quel giorno, aprendolo ad un mondo in cui non c’era giusto o sbagliato, bene o male, ma solo due modi per distinguere le persone e le azioni: predatori e predati.

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E come sempre, anche quel giorno, nell’Avaiki di Lono prima ed ora in quello di Ukupanipo, per Nyame del Ghepardo non era una questione di giusto o sbaglio, di combattere per l’Africa, o per sfizio, era semplicemente suo diritto quello di predare altre genti ed avere su di loro il sopravvento, poiché era migliore e più abile, era il predatore.

Quei pensieri, però, furono interrotti dal rantolo di dolore proveniente da uno dei tre nemici intorno a lui: il cavaliere con lo scudo, che, probabilmente, proprio grazie a quella sua arma era riuscito a sopravvivere all’attacco subito.

"Una vera sfortuna per te, preda.", l’unico commento dell’africano, avanzando verso Vincent, che, però, fu lesto nel rotolare lontano, lasciando esplodere il proprio cosmo allo stesso tempo, "Lawine van het schild!", rantolò, rotolando al suolo, e sfruttando quel movimento così debole per scatenare il proprio attacco, che fu troppo lento per intimorire il velocissimo Savanas, che con abilità lo evitò, spostandosi sulla sinistra del cavaliere di Atena, pronto per finirlo.

"Kolito!", sentì Nyame urlare in quello stesso momento ed ampi cerchi di ghiaccio lo circondarono, bloccandone i movimenti e portandolo a voltarsi verso il guerriero giunto per ultimo, fortunato nell’essere ancora vivo, malgrado le ferite che ne segnavano la schiena.

"Inutile tentativo di fermarmi, preda.", lo ammonì tranquillo l’allievo di Gu, rilasciando la Tempesta di Artigli, così da frantumare dall’interno gli anelli di ghiaccio che lo bloccavano, ma, proprio quando era pronto per finire ambedue i nemici, Nyame s’accorse di decine di gigli ad imbuto di colore arancio che brillavano ora attorno a lui, "Bulbifera Solis!", esclamò allora la voce della sacerdotessa d’argento, seguita dal cavaliere di Scutum: "Schild van de Koning!".

L’esplosione fu stavolta più efficace, poiché il guerriero d’Africa ne uscì con degli evidenti danni alle nere vestigia, ma nessuna grave ferita sul corpo.

"Tutti vivi ancora?", domandò stupito l’allievo del Terzo Generale, "Vivi e pronti alla battaglia, guerriero del Ghepardo, poiché ormai mi è chiara la debolezza che hai tentato finora di celare!", rispose sicura Iulia, mettendosi in ginocchio, subito imitata dagli altri due.

"Ha una debolezza? Questa è una notizia rassicurante.", scherzò Vincent di Scutum, osservando il nemico.

"Costui si muove alla velocità della luce, che immagino voi conosciate, cavalieri, in fondo, anche se non la possiedo, il mio maestro me ne ha parlato.", esordì Iulia, rimettendosi in piedi del tutto, "Di quando in quando, però, i suoi attacchi ed i movimenti, sono risultati più lenti e questo mi ha portato ad una teoria: non ha ancora una piena padronanza di questa velocità.

Al primo attacco di Scutum ha saputo contrapporre quell’incredibile velocità, ma al mio colpo successivo al suo no, in seguito è successo anche altre volte, per ogni movimento portato ad una rapidità per noi troppo superiore, seguiva un istante di lentezza, almeno per i canoni cui agisce di norma.", spiegò la sacerdotessa guerriero.

Ci furono alcuni istanti di silenzio dopo quelle parole, istanti che furono interrotti dalla sottile risata di Nyame, che poi commentò quanto appena sentito: "I miei complimenti, preda, hai saputo analizzare al meglio le mie doti, ma mi chiedo se questo ti aiuterà a vincere la battaglia, poiché, per quanto possa effettivamente esistere quel breve momento in cui sono più lento, dovreste sopravvivere abbastanza da sfruttarlo e, ormai, non ve ne darò più il tempo!", minaccio infine.

Di nuovo i tre guerrieri videro la posizione che già aveva contraddistinto il suo ultimo attacco, segno che stava per sferrarlo e così infatti fu: "Artiglio Scattante!", sentirono soltanto, prima che l’altro scomparisse.

"Spostatevi, cavalieri!", urlò Iulia, evocando nel mezzo del percorso fra loro i fiori arancioni della Bulbifera Solis, che esplosero, investendo nella loro devastazione, comunque limitata, sia i tre seguaci della dea Atena, sia il nemico dei tre.

"Ora, Corona, attaccalo!", urlò la sacerdotessa verso Rudmil, che, lesto, scatenò la Diamond Dust verso il guerriero nero, "Scutum!", continuò ad ordinare Iulia, a cui l’altro rispose con un accenno del capo, lanciandosi a sua volta in avanti, sorprendendo i due compagni, mentre si gettava nella corrente della Polvere di diamanti.

"Spiraal van het Schild!", invocò allo stesso tempo il discepolo di Degos, iniziando la vorticante carica perforante contro il nemico che, lasciò esplodere l’energia cosmica fra le mani, "Tempesta di Artigli!", esclamò, sferrando le affilate lame contro la corrente gelida ed il santo dello Scudo, rallentando il secondo e disperdendo la prima, fino a colpirlo con una piccola quantità dei suoi colpi, costringendolo al suolo di nuovo.

Rise stancamente Nyame, alla fine di quel contrattacco, "Ebbene? Visto che non avete avuto successo!", esclamò soddisfatto, prima di notare come la guerriera mascherata gli indicasse il petto, "Martagonae Mortis. Questa la tecnica che ho sferrato, mentre eri distratto dai colpi coordinati dei miei compagni e già dieci gigli bianchi sono fioriti su di te, nutrendosi del cosmo che hai usato per difenderti dal loro doppio colpo. Ormai la tua ora è giunta, guerriero nero, quando attaccherai di nuovo verrai ucciso dalla tua stessa famelica volontà di predatore.", avvisò con tono impassibile la sacerdotessa dell’Altare, ricevendo uno sguardo furioso dal nemico.

Sordo alle parole della donna, però, Nyame lasciò esplodere il proprio cosmo, un cosmo che stavolta non poté utilizzare per attaccare, ma che corse verso quei bianchi fiori, mutandone il colore in un grigio argenteo, mentre crescevano sempre più, nutrendosi della forza dell’allievo di Gu, che cadde al suolo.

"Eri forte, prode cacciatore africano, di certo m’avresti sconfitta se avessimo combattuto da soli, ma la sorte e la troppa sicurezza ti sono state avverse. Riposa in pace, Nyame del Ghepardo.", si accomiatò da lui Iulia, raccogliendo i molti fiori, uno dopo l’altro.

"Non la pace m’attende, ma il Guscio Infinito. Forse, ci ritroveremo lì, se di altri sarete le prede, voi che con me siete diventati predatori.", sussurrò, nel residuo rantolo di vita, l’ultimo rimasto dei membri delle armate d’Africa.

I tre guerrieri, a quella sottile minaccia, si guardarono fra loro: altre battaglie li aspettavano.