Capitolo 23: Doppio Scontro

Chiuse le ampie porte di pietra dietro di loro, i cinque non ebbero nemmeno il tempo di pronunciar verbo che, già, uno di loro si allontanò, spiccando il volo e dirigendosi verso il luogo in cui si trovavano i nemici che stava cercando.

"Non avevo mai visto il misericordioso Moyna così desideroso di combattere.", scherzò, dinanzi a quelle azioni, Acoran della Quarta Armata, "Chissà che non ci mostri infine le sue virtù guerriere, come un tempo. È da tanto che non lo odo combattere.", aggiunse soddisfatto Gu della Terza, volgendo lo sguardo verso l’impassibile Primo Comandante, Mawu.

Furono, però, come spesso era già accaduto, le parole di Ntoro ad interrompere lo scambio di battute fra i suoi compagni: "Nyame è caduto.", una realtà detta con tanta freddezza e distacco che non sembrava riguardare quasi un avvenimento appena accaduto a poca distanza da loro, un avvenimento che lasciò ammutoliti tutti gli altri, compreso Gu.

"Se può darti gioia, Terzo Generale, sono stati necessari ben tre avversari per avere di lui ragione, ma, alla fine, è stato sconfitto.", continuò impassibile il mastodontico comandante della Quinta Armata, "Ed ora…", ebbe appena la voglia di dire il suo interlocutore, rivolgendogli uno sguardo di fuoco, "Sì, ora anch’egli ha trovato il suo posto nel Guscio Infinito, così come tutto il resto dei nostri soldati e dei nemici, finora morti.", replicò freddo l’altro.

"Vuoi che ti lasciamo la possibilità di vendicarti di costoro? Così come ora sta facendo Moyna?", domandò, con un velo di sarcasmo, Acoran, ricevendo anch’egli uno sguardo carico di spietatezza al pari di Ntoro poco prima, "No, non m’interessano delle prede ferite, poiché di certo lo saranno. Lascio a voi chi è sopravvissuto a Nyame, o chi sopravvivrà all’Aquila Urlante!", replicò sprezzante l’allievo del Leone Nero.

"No, così non va, in questo modo terrai per te tutto il piacere della battaglia, lasciandoci solo carcasse da macellare!", obbiettò il Generale della Quarta Armata, prima che Ntoro facesse un gesto per calmare gli animi di entrambi.

"Suvvia, signori, non dovremmo crucciarci per questo, in fondo, per quanto io ben sappia quale direzione ha preso Moyna e da dove i tre feriti giungeranno, non a me spetta decidere come ci organizzeremo per attendere i nemici, ma piuttosto a chi ci comanda.", suggerì il gigantesco africano, volgendo il proprio sguardo verso Mawu.

Impassibile il Primo Comandante aveva ascoltato quello scambio di parole: non le interessavano i problemi fra gli altri Generali, né chi di loro avrebbe preso il nemico più potente per ottenere maggiore gloria, tutto ciò che le premeva era la vittoria del suo Sovrano, quindi, senza nemmeno dar tempo ai tre di fare alcuna obbiezione, indicò loro le tre strade da prendere, senza curarsi di quale portasse a quale nemico, aggiungendo solo, di volta in volta, il nome del Generale che si sarebbe dovuto preoccupare di difenderne una specifica.

Alla fine, dopo aver impartito quei secchi ordini, continuò con un perentorio ammonimento per uno dei tre che aveva davanti: "Ntoro, finché sarà possibile, continua ad informarci sull’avanzata dei nemici, sull’esito dello scontro fra Moyna e chiunque egli troverà nel proprio percorso e su cosa l’ultimo seguace dell’Areoi alleato del nostro Sovrano riuscirà a fare.", poche parole per reclamare altra conoscenza su chi sarebbe potuto, fin da loro, arrivare.

"Finché non sarò intento a combattere, Primo Generale, manterrò il legame psichico con voi, informandovi sull’esito delle poche battaglie che ancora ci dividono dall’entrare personalmente in campo.", confermò con un cenno del capo il Quinto Comandante d’Armata, prima di allontanarsi al pari di Gu ed Acoran, lasciando Mawu da sola, dinanzi alle ampie porte che dividevano il resto dell’Avaiki dal suo Sovrano.

***

Correvano ancora di pari passo i tre santi d’argento sopravvissuti all’attacco di Deng dell’Orice, non si sostenevano più l’uno con le altre, ma avanzavano di pari passo, questo finché Cassandra di Canis Maior non si fermò all’improvviso.

"Che succede, sorella?", chiese subito Agesilea dell’Aquila, guardandosi intorno prima di cogliere anche lei, al pari di Juno di Cerbero, cosa avesse fermato i passi della sacerdotessa guerriero: un rumore, un rumore che fu precedente all’apparire di alcune sagome, due, che si appropinquavano loro dalla medesima strada che avevano seguito, giungendogli alle spalle.

"Che siano invasori africani?", si domandò la più giovane delle sacerdotesse, ricevendo solo silenzio dai compagni d’armi, come lei feriti e stremati, ma non per questo pronti ad abbandonare il campo di battaglia in caso di necessità.

Le due sagome, dal canto loro, avevano anche rallentato il passo, fino a fermarsi non appena ebbero modo di distinguere i tre guerrieri di Grecia, rimanendo immobili, a confabulare fra loro, per alcuni secondi, prima di riprendere ad avanzare, a passo fermo e tranquillo, rivelandosi alla fine, vicendevolmente.

Cassandra, Agesilea e Juno poterono vedere due Areoi avanzare, il primo era visibilmente ferito, di certo aveva partecipato ad alcune battaglie, ed impugnava un giavellotto con ambedue le estremità affilate, l’una per tagliare l’altro per affondare; la sua compagnia d’armi, invece, aveva una ben più strana armatura, piena di aculei e piuttosto gonfia, ma incapace di celare l’innegabile bellezza di quella giovane polinesiana.

Maru e Tara, dal canto loro, videro tre stranieri ricoperti di ferite, con vestigia danneggiate in più e più punti, di cui, le donne guerriere, indossavano delle strane maschere d’argento, mentre il terzo era armato di una grossa catena con una sfera chiodata ed una seconda spezzata a metà; di certo non erano combattenti africani, dato il colore delle loro armature, il che li portò a paragonarli allo straniero che stava affrontando Aremata Popoa il traditore fino a poco prima.

Si osservarono ancora in silenzio per qualche istante, finché non fu il guerriero del Narvalo a prendere la parola per primo: "Siete alleati del giovane dai candidi capelli padrone delle energie fredde?", domandò loro, sbalordendo visibilmente l’unico privo di maschera.

"Avete incontrato il Cavaliere della Corona Boreale? Dove si trova? Sta bene?", incalzò il santo di Cerbero, sorpreso e desideroso di saperne di più sul compagno con cui era rimasto intrappolato in quel labirinto di illusioni da cui, poi, s’era risvegliato da solo.

"Egli mi ha salvato la vita e ha preso per se una battaglia che sarebbe dovuta essere nostra, una battaglia contro un traditore del nostro Avaiki. Purtroppo, però, non conosciamo l’esito della battaglia, ci siamo allontanati prima della sua conclusione.", rispose prontamente la fanciulla polinesiana.

"Traditori fra le vostre stesse genti?", domandò stupita Cassandra a quelle parole, mentre tutti e tre ponderavano le nuove informazioni ottenute, augurandosi di poter rivedere anche quel compagno, come tutti gli altri, alla fine del lungo cammino nel tempio di pietra subacqueo.

"Sì, guerriera mascherata, abbiamo scoperto, io stesso sulle mie carni, che fra noi Areoi vi sono dei traditori, in tutti e cinque gli Avaiki. Se il vostro compagno d’arme ha avuto ragione di chi stava affrontando, allora, dei noi guerrieri sacri ad Ukupanipo c’è un unico traditore rimasto, oltre a chi, potrebbe essere giunto dagli altri templi.

Per quanto ironico sembri, al momento possiamo avere più fiducia in voi, stranieri feriti che non fate parte dell’esercito invasore, che non nei nostri stessi compagni, poiché non sappiamo chi, fra loro, è la serpe che intende avvelenarci.", spiegò il massiccio combattente con il giavellotto.

"Parole veritiere le tue, Narvalo!", urlò a quel punto una nuova voce, mentre, dalla strada che si apriva dinanzi ai cinque, giungevano altre due figure, entrambe ricoperte da bianche vestigia: un uomo ed una donna, che aveva l’armatura fatta di piume.

"Tawhiri! Chi è costei? Quando sei tornato dalla missione nei restanti Avaiki?", incalzò lesto Maru, postosi leggermente sulla difensiva assieme a Tara, mentre i tre santi d’argento osservavano la scena in silenzio.

"Io sono Laka di Poukai, seguace della dea Ira, giunta fin qui dopo che tutti gli altri Areoi del mio Avaiki erano stati uccisi, unica sopravvissuta dall’Isola di Cook.", spiegò la fanciulla presentandosi.

"Al pari suo, anch’io sono tornato dal tempio di Lono solo dopo aver avuto la triste certezza di essere l’unico ancora in vita, incapace di salvare anche solo la comandante dell’Avaiki dalla furia dei neri invasori.", rispose a quel punto l’Areoi della Torpedine, prima di voltare il proprio sguardo verso i tre giovani guerrieri di Grecia.

"Chi sono questi stranieri? Non sembrano membri dell’Esercito nero.", osservò impassibile l’uomo che aveva più a cuore i pesci che non le persone, "E di fatti non lo siamo, seguace di Ukupanipo. Di Atena cavalieri, siamo fin qui giunti per combattere il nemico che vi ha invaso, certi che sia colpevole di molti più crimini di quanti si possa immaginare.", replicò lesta la maggiore delle allieve di Olimpia di Leo.

"Il mio nome è Cassandra di Canis Maior, sacerdotessa d’argento, al pari di mia sorella, Agesilea dell’Aquila.", continuò, presentando se stessa e la consanguinea, "Io, invece, sono Juno di Cerbero, cavaliere loro parigrado.", concluse l’allievo di Edward di Cefeo.

"Piacere di conoscervi, guerrieri di Atena, chiunque sia questa divinità, un nuovo aiuto è di certo gradito in queste ore tristi. Io sono Tara di Diodon e questi è l’uomo a cui sono legata, Maru del Narvalo, mentre il nostro compagno d’arme è Tawhiri della Torpedine.", disse, in risposta, l’Areoi di bell’aspetto.

"E tutti, adesso, cadrete!", urlò d’improvviso una voce al di sopra delle loro teste, quando una sagoma planò fra i sette presenti, atterrando a pochi centimetri da loro e disperdendoli al suolo con un’ondata d’energia cosmica. Il generale della Seconda Armata era giunto sul campo di battaglia!

Ci volle qualche istante perché i sette potessero rialzarsi tutti, convogliando i loro sguardi sull’unico individuo che dinanzi a loro si stagliava, un solo uomo che, solo nell’approssimarsi a quel luogo, li aveva schiantati al suolo, senza difficoltà o impegno alcuno.

"Siamo quasi tutti feriti, ed alcuni in modo più grave di altri, ma lo superiamo in numero, potremo aver ragione di lui, se uniamo le forze. Tawhiri, cavalieri di Grecia, e tu, dell’Avaiki di Ira, siete con me?", domandò rialzandosi Maru, constatando la situazione, prima di rivolgere lo sguardo a Tara, che gli fece un semplice cenno, sufficiente perché i due si capissero.

"Inutile vantaggio quello numerico, guerriero polinesiano. Siete sette, questo non posso negarlo, ma cosa potete fare voi, feriti, esausti, sopravvissuti a passate battaglie, contro di me, fresco del mio vigore cosmico, desideroso di combattervi e, per di più, di ben altra risma rispetto alla maggioranza dei Savanas che finora potete aver affrontato, poiché non un semplice membro dell’Esercito d’Africa sono, bensì uno dei Cinque Comandanti d’Armata. Moyna dell’Aquila Urlante, ultimo rimasto della Seconda Schiera africana, è il mio nome.", esordì deciso l’uomo che avevano di fronte, guardandosi intorno impassibile.

"Prima di iniziare la battaglia, però, vi chiedo un favore: permettetemi di sapere da voi la verità, non che questa possa infliggere ad alcuni maggior pena che ad altri fra voi, ma perché io possa vedere con i miei occhi chi ha spento le vite degli ultimi compagni a me rimasti, persone che avevo cresciuto e consideravo come dei figli. Ditemi, chi di voi ha ucciso Shango del Nibbio Reale e chi Akongo della Zebra?", domandò ancora il comandante della Seconda Armata.

Per alcuni secondi, ancora, il silenzio invase quel campo di battaglia, finché le due sacerdotesse guerriero avanzarono di un passo, "Noi abbiamo affrontato Shango, il nobile guerriero alato, che diceva di esserti allievo, Generale.", esordì Agesilea, trovando in un cenno del capo della sorella maggiore conferma a quelle parole; "Ed io sono stato l’avversario del rapido Akongo dalle strane vestigia equine.", concluse Tawhiri, senza che Laka aggiungesse alcunché su come avesse, all’ultimo, interrotto il loro scontro.

L’uomo d’Africa li osservava silenzioso, "Due fanciulle ed un guerriero, dunque? Vi ringrazio per la vostra sincerità, farò in modo che nessuno di voi sette soffra più del necessario.", concluse secco.

"Aspetta, Generale, te ne prego!", esclamò d’improvviso Agesilea, inferma sui propri passi, "Non puoi essere qui per prendere le nostre vite con leggerezza, non dopo ciò che di te ci è stato detto dal tuo allievo: Shango ha parlato di un uomo che sapeva dare il giusto peso alle vite delle umane genti, che non cercava la gloria fine a se stessa e combatteva per alti ideali.

Mi ha chiesto di riferirti i suoi ultimi pensieri, come egli avesse deciso, in punto di morte, di onorarti, dando il giusto valore a delle vite, quelle di noi, che gli siamo state avversarie.", volle dirgli la sacerdotessa guerriero.

Per alcuni secondi, dopo quelle parole, un velo di tristezza annebbiò lo sguardo di Moyna, memore di come quelle parole risuonassero simili alle stesse che lui, più volte, aveva rivolto ai membri della sua armata, ma proprio il ricordo di Shango, Akongo, Ayabba e gli altri compagni morti, riportò la fredda determinazione nei suoi occhi.

"Parli bene, fanciulla, e probabilmente sei anche sincera, ma ciò non toglie che, proprio perché troppo spesso ho dato valore alle vite dei popoli invasi, delle genti che affrontavamo, degli ostacoli che si ponevano sul nostro percorso, preoccupandomi del perché facessimo ciò che stavamo facendo, di chi stavamo attaccando, di quali divinità distruggevamo, ho perso di vista quelle vite che per me erano più care, quelle delle genti d’Africa, che in me avevano fiducia e sotto i miei comandi combattevano!

Ora che sono solo, devo pagare il fio dei miei passati errori, devo espiare i miei troppi dubbi uccidendo voi e, assieme a voi, i miei stessi valori!", tuonò con triste rabbia il Generale dell’Aquila Urlante, sollevando le braccia, mentre già, alle sue spalle, le nere ali s’aprivano: "Venti del Cielo!", invocò, scatenando l’attacco che già era stato usato da Shango, ma con una potenza decine di volte superiore, tale da sollevare da terra tutti e sette i guerrieri che si trovava davanti e scagliarli con violenza contro le pareti, dispersi.

I tre cavalieri d’argento non ebbero tempo e modo di far niente per difendersi, troppo rallentati dalle ferite rispetto a chi, per potenza cosmica, sembrava poter rivaleggiare con i dodici custodi dorati; al contrario, i quattro Areoi cercarono di reggere a quel violento impatto.

Con un agile balzo, infatti, Tawhiri riuscì, a mezz’aria, a portare le mani verso il terreno, piantandole nello stesso fino a scavarvi dei profondi solchi, riuscendo, comunque, a rallentare la violenza della corrente d’aria; lo stesso fece, usufruendo del giavellotto, Maru, che con la mano sinistra strinse il polso di Tara, sostenendosi alla propria arma con la sola destra; ben più lesta fu Laka che, spalancate le bianche ali, si sollevò in cielo, sfruttando la corrente d’aria del nero generale.

"Nemico potente costui, ma non a sufficienza per intimidirmi!", sbottò il guerriero del Narvalo, una volta che la corrente s’era fermata, "Tawhiri, sei con me? Attacchiamo!", urlò al parigrado, scattando per primo in avanti e sferrando un velocissimo affondo con la punta dell’arma, un colpo che Moyna evitò abbassandosi velocemente sulle ginocchia, prima che l’Areoi tentasse un fendente a spazzare con la lama sull’estremità opposta, trovandosi, stavolta, le nere piume dell’armatura nemica ad accompagnarne il percorso, mentre già il Generale si spostava sul fianco ora scoperto del polinesiano, spingendolo via con un’ondata d’energia.

L’Areoi riprese subito l’equilibrio e, volgendosi verso i compagni, urlò: "Torpedine!", ma, nel rivolgere lo sguardo loro, rimase immobile.

Tawhiri aveva sì espanso il proprio cosmo, non appena l’altro era partito all’attacco, ma non si era rivolto verso l’Aquila Urlante, bensì verso il Diodon, caricando l’energia cosmica nei pugni prima di rilasciarla con violenza.

Tara, confusa dall’esplodere di quella azione, non capì, non finché, riaperti gli occhi dopo il bagliore dei fulmini, vide al suolo, attorno a se, decine di piume bianche ricoperte d’energia, piume contro di lei indirizzate.

Volsero allora lo sguardo, tutti e tre gli Areoi, e con loro Moyna, verso Laka di Poukai, che svolazzava a mezz’aria, "Non sono poi così capace nell’ingannare sembra!", rise lei, lasciando espandersi il proprio cosmo, "Generale d’Africa, sappi che non una seguace delle antiche divinità polinesiane sono, bensì hai in me un’alleata, un membro del Nuovo Ordine che in queste terre deve sorgere!", esclamò la guerriera, "Danza della Gioia! Fai le tue vittime!", ordinò infine, prima che una serie di piume circondate da un cosmo di smeraldo esplodesse contro i due seguaci di Ukupanipo a lei più vicini.

I letali dardi energetici trovarono però degli ostacoli sul loro cammino: "Sfera di Aculei!", "Elettrogenesi!", urlarono, infatti, i due guerrieri polinesiani sollevando le rispettive difese contro l’attacco della traditrice, che si perse dinanzi a quelle barriere elettriche e venefiche.

"Dunque anche tu, come i fratelli Aremata, hai scelto di tradire il tuo credo per fini egoistici?", domandava nel frattempo Tara del Diodon, incurante delle decine di piume che si scioglievano a contatto con la barriera sferica che la difendeva, "E per quale altro motivo avrei dovuto farlo? Chi ci ha reclutati, fra i miei tre compagni rivoluzionari, aveva intenzione di prendere per se il titolo di Comandante del Tempio di Ira e noi che lo seguivamo anelavamo a ruoli di maggior rilievo, a ricoprire in cielo quel posto che spettava ad una divinità che mai ci si è rivolta!", ribatté decisa Laka, continuando nella danza di smeraldine piume, "Dove sono ora questi altri traditori?", incalzò ancora la guerriera sacra ad Ukupanipo, "Morti. Uno per mano del comandante dell’Avaiki, prima che egli stesso cadesse per nostra mano; uno, addirittura, ucciso dal nero esercito a cui dovevamo essere alleati, e chi ci comandava sconfitto proprio dal vostro Barracuda, prima che io reclamassi di lui la vita! Speravo di trovare alleati rivoluzionari qui, poiché ben tre dei vostri compagni erano in realtà miei compagni, ma non sono riuscita a trovare niente di più che la Torpedine e voi!", spiegò decisa la traditrice di Ira.

"E questa sarà la tua ultima sfortuna, assassina!", urlò Maru, concentrando il proprio cosmo nella lunga arma, pronto a sferrare un attacco, ma bloccato, nel momento dell’esecuzione, da una violenta folata d’aria che Moyna gli scagliò contro, costringendolo a spostarsi.

"Non dimenticare chi altro ti è nemico in questo luogo, Areoi.", lo ammonì il comandante della Seconda Armata, "E nemmeno voi dovreste, Generale!", urlò di rimando una voce femminile, prima che tutti i presenti notassero che i tre santi d’argento erano di nuovo in piedi.

"Guerrieri di Ukupanipo, occupatevi di chi vi ha tradito, noi cercheremo di contenere la forza di questo possente avversario nel frattempo, provando a far sì che il sacrificio del suo allievo non sia stato vano.", affermò allora Agesilea dell’Aquila, che, malgrado le debolezze del corpo, stava espandendo il proprio cosmo, pronta, come la sorella e Juno, alla battaglia.

"Cosa potete sperare di fare, voi tre piccoli guerrieri di Grecia? Shango vi ha risparmiato la vita, sacrificando la propria a causa dei miei insegnamenti, ma non altrettanto farò io per voi, bensì sradicherò la pietà dal mio cuore, per punirmi e per finirvi.", ribatté deciso Moyna, "Non nella tua pietà speravamo, Generale, ma nella tua coscienza e coerenza.", replicò decisa Cassandra, affiancandosi alla sorella, subito seguita dal cavaliere di Cerbero, che alle due si rivolse: "Nemico non da poco è costui, di certo superiore all’Orice e meno portato a gettarsi a capofitto nello scontro. Non possiamo sottovalutarlo, anzi, temo che la nostra unica possibilità sia di colpirlo subito con quanto di meglio abbiamo.", suggerì il guerriero dell’Isola di Andromeda, ricevendo un cenno di assenso dalle altre due.

"Superiore a Deng, Shango ed ancor di più a Garang è di certo costui, quindi ti do ragione, cavaliere di Cerbero, per sopravvivere dovremo da subito dare il meglio, poiché forse avremo una sola possibilità per farlo.", sibilò la sacerdotessa di Canis Maior, espandendo il proprio cosmo, subito seguita dagli altri due.

"Broké Fotismou, in nome di Atena!", urlò Cassandra, scatenando l’attacco della stella Sirio, "Anotata Altair, eccoti la tua preda!", aggiunse Agesilea, liberando l’energia della stella principale dell’Aquila, "Floios Trion Epikefales, colpisci!", concluse Juno, lasciando partire il furioso lamento della Bestia a tre teste!

"Ecco dunque il vero aspetto dei nemici che tanto bene parlano! Attaccare in tre? Ve lo concedo data la differenza di forza, ma non per questo cederò il passo alla potenza di colpi fiaccati dai precedenti scontri.", ribatté deciso Moyna dell’Aquila Urlante, sollevando dinanzi a se le braccia e cercando di bloccare la carica dei tre cosmi combinati con la propria energia.

"La vostra resistenza si rivelerà inutile, guerrieri di Atena! Vento dei Cieli, disperdi le loro poche speranze!", urlò infine il Generale, liberando il proprio attacco e scatenandolo contro la forza combinata dei tre santi di Atene.

Maru del Narvalo si era intanto allontanato dal Generale della Seconda Armata: avrebbe dato una mano ai tre cavalieri d’argento, ma troppo lo preoccupava la sorte della sua amata ed altrettanto gli premeva fare giustizia per Io del Barracuda, ucciso da colei che ora stava affrontando Tara e Tawhiri.

"Ti sei unito anche tu a noi, bestione armato di una lancia?", commentò divertita Laka, osservando ora i tre nemici che aveva di sotto a se, poiché ancora era sollevata a mezz’aria, "Sì, che non si dice che il Corno del Narvalo non ha fatto pulizia di tutti i traditori degli dei polinesiani che s’è trovata dinanzi! Ho dovuto rinunciare ad affrontare Aremata Popoa, ma di Rorua ho avuto ragione ed ora anche di te ne avremo insieme!", replicò l’altro, avvicinandosi ai parigrado.

"Mi perdonerete se non vi temo, spero, ma sono uscita incolume dal tempio di Ira, affrontando i miei passati compagni ed i neri invasori, o meglio evitando il più di loro grazie alle mie capacità di volo, quindi perché dovrei temere voi, che, probabilmente, non riuscirete nemmeno a prendermi, per quanto siate adesso piccole prede al di sotto dei miei piedi!", esclamò la guerriera, caricando il proprio cosmo che si tinse di un verde più scuro ed intenso, "Danza dell’Abbondanza, piovi sui miei nemici!", invocò infine, liberando decine e decine di piume, restando immobile, mentre quelle cadevano in ogni direzione, bersagliando con ferocia i tre Areoi sotto di lei.

La Sfera di Aculei e l’Elettrogenesi subito si alzarono a difesa dei rispettivi padroni, impedendo che quella pioggia di lame nemiche li colpisse, solo Maru sembrava privo di difese, ma non per questo si ritrasse, bensì, piegando leggermente indietro il proprio giavellotto, il guerriero polinesiano vi caricò l’energia cosmica all’interno, prima di rilasciarla in avanti, "Coda Tagliente, abbatti gli ostacoli sul mio cammino!", urlò, scatenando il fendente energetico, che distrusse più e più di quelle piume, senza però far in alcun modo spostare la guerriera bianca che aleggiava sopra di loro.

Più e più colpi lanciò il combattente del Narvalo, unico a doversi realmente difendere, ma l’altra sembrava non voler desistere dalla sua tattica, tanto più che quella posizione le dava il duplice vantaggio di attaccare e difendersi assieme grazie ai dardi ricolmi d’energia.

"Dobbiamo farla spostare se vogliamo che questo attacco cessi!", esclamò d’un tratto Tawhiri, catturando l’attenzione degli altri due, "Che intendi dire?", domandò subito Tara, "Voi due ben poco sapete dei pesci, non è vero? Taluni animali acquatici sono soliti istigare la preda ad avvicinarsi loro prima di colpirla, o comunque hanno bisogno di trovarsi in una specifica posizione, o condizione, per attaccare al meglio, lo stesso vale per questa donna che ha tradito la propria divinità.", iniziò a spiegare l’Areoi della Torpedine, "Durante l’attacco precedente, si muoveva e parlava, deridendo, gettandosi in picchiata anche, ma adesso è immobile, ferma e muta, intenta solo ad osservarci, concentrandosi solo sul continuo emettere queste sue verdognole piume. Credo che sia questa la differenza fra le due sue tecniche: la prima, poiché usufruiva di un attacco meno ampio, permetteva di muoversi, non richiedeva particolare concentrazione, ora, però, per lanciare così tanti dardi in una volta non può interrompere il flusso d’energia con nessun tipo di distrazione, o minimo movimento.

Questo dobbiamo sfruttare per interrompere il suo attacco.", concluse Tawhiri.

Gli altri due fecero un cenno d’assenso con il capo, per indicare che avevano capito di cosa egli stesse parlando, poi, fu Maru a parlare: "Tu hai una qualche tecnica utile a questo fine?", domandò l’Areoi del Narvalo, "Certamente.", fu l’unica replica dell’altro, "Perfetto, perché sei anche il più veloce fra noi, da ciò che so, quindi spetterà a te colpirla, una volta che ti avremo aperto la strada.", terminò il primo.

"Coda Tagliente!", urlò subito dopo il discepolo di Afa, scatenando il proprio attacco contro la pioggia di Piume, riducendone per alcuni secondi la densità, ma non trovando un’apertura, mentre già Tawhiri scattava in avanti, spostandosi e deviando con scariche elettriche i dardi che lo puntavano, continuando ad avanzare, nel percorso, che, a poco a poco, il parigrado gli liberava dinanzi a lui, senza però dargli lo spazio sufficiente per effettuare un contrattacco.

"Aculei Venefici, aprite la strada!", esclamò d’un tratto Tara del Diodon, liberando l’intesa muraglia di veleno, che oltrepassò il guerriero della Torpedine, senza sfiorarlo, e si schiantò su tutte le piume intorno a lui, poco prima che, proprio dalle vastità di quella venefica ondata, fuoriuscisse Maru stesso, che nel veleno s’era gettato, sorprendendo persino la propria amata, "Corno Perforante!", invocò ancora l’Areoi del Narvalo, eseguendo un affondo con la parte acuminata del giavellotto, che spazzò via decine di piume, prima che Tawhiri usasse la schiena ferita del parigrado come punto d’appoggio per spiccare un balzo, oltrepassando il veleno e la lama energetica che andavano a cozzare con le piume e trovandosi ora dinanzi alla guerriera traditrice, "Scariche della Torpedine!", urlò, concentrando l’elettricità nei pugni, prima di liberarla contro Laka, che, indifesa e completamente impreparata a quella tattica, fu investita dall’indiscutibile potenza elettrica dell’attacco, schiantandosi contro una parete diversi metri dietro di lei; sparendo, per alcuni istanti, fra le macerie.

Tre attacchi avevano scagliato, si erano uniti per investire il comune bersaglio, ma questi stava usando semplice un proprio colpo, per di più il più debole di quelli in suo possesso, per contrastarli ed in tale azione sembrava non provare particolare fatica. Questa la situazione dello scontro fra Moyna ed i tre santi d’argento.

Questo finché il Generale d’Africa non fu saturo della situazione e volle disperdere le loro poche speranze assieme agli attacchi che gli erano stati lanciati contro, così incrementò la potenza del Vento dei Cieli, distruggendo la fitta rete d’energia di Sirio, annullando la furia della stella Altair e zittendo i lamenti del segugio tricefalo, ma, soprattutto, sollevando dal suolo i giovani santi di Atena che stava affrontando e schiantandoli di nuovo a terra, dopo averli elevati ad altezze difficili da raggiungere, se non perché trasportati dalle correnti del soffio africano di cui erano padrone.

Ora erano al suolo i tre cavalieri e Moyna camminò verso di loro con sguardo impassibile, prima di notare che ancora cercavano di rialzarsi e combattere: "Perché tanta determinazione nel soffrire? Restate a terra, vi darò una morte veloce, senza sofferenze.", propose loro il Generale, osservandoli.

"Già tre del tuo esercito ci hanno proposto una fine non dissimile, seppur Garang e Deng non di privarci delle sofferenze parlavano, ma non per questo abbiamo accettato allora, né accetteremo adesso.", esordì Cassandra, cercando di risollevarsi in piedi, "Garang, il Gorilla di Fuoco della Terza Armata, Deng dell’Orice, primo allievo di Acoran della Quarta, oltre a Shango, mio discepolo … nemici non da poco avete saputo vincere in battaglia, ve ne do atto. Probabilmente, se vi avessi incontrato all’inizio del vostro cammino in questo Avaiki, avrei potuto anche trovare in voi degli avversari difficili da vincere.", osservò Moyna, per nulla intimorito.

"Forse, se non avessi perso in battaglia anche gli ultimi membri della tua armata, Generale nero, avremmo noi trovato in qualcuno più aperto ad ascoltarci, qualcuno la cui immagine più si confà a quel poco che Shango ha detto del suo maestro.", ribatté Agesilea, portandosi sulle ginocchia, "Forse, fanciulla, ma ormai sono speranze gettate al vento, poiché non si torna dal mondo dei morti, e per quanto io lo possa anelare, la Seconda Armata è ormai prigioniera del Guscio Infinito, così come il resto delle schiere d’Africa, sacrificate ad una guerra lontana dalla nostra stessa casa.

Una guerra che, ormai, non ho più modo e diritto di criticare, dopo essermi bagnato di così tanto sangue!", sbottò ancora il guerriero dell’Aquila Urlante, espandendo il proprio cosmo.

"Se vuoi un nemico su cui scatenare la tua ira, allora, Generale, affronta me piuttosto che loro due.", aggiunse a quel punto Juno di Cerbero, che ben sapeva di essere, fra i tre, quello che meno aveva combattuto, per quanto duro fosse stato lo scontro con l’allievo di Acoran, e non voleva che altri si sacrificassero, così come il suo maestro non aveva voluto rischiare le loro vite.

"Stomas Catastrophes!", urlò subito dopo il cavaliere, lanciando in avanti l’unica sfera chiodata rimastagli e concentrando nella stessa la propria energia cosmica, così da generarne altre due di puro vento condensato.

Non fu però difficile per Moyna bloccare l’unica arma solida con la mano destra, emettendo un’ondata d’aria ultrasonica che disperse le due condensazioni energetiche che la seguivano, "Speri forse con il tuo sacrificio di salvarle, giovane guerriero? Vana speranza è questa.", lo avvisò il Generale, ma un triste sorriso lo interruppe dal parlare ancora.

"Non spirito di sacrificio, ma desiderio di salvare altrui vite. A poco a poco lo sto comprendendo, ma questo è ciò che ha fatto il mio maestro prima di me proprio contro il vostro esercito. È stata la sua scelta a far sopravvivere me, Nirra e Husheif allora, lui teneva più a noi che a se stesso e, per quanto non conosca altrettanto bene le due sacerdotesse guerriero che ora sto difendendo, che allievo sarei se non comprendessi il fine ultimo delle sue azioni? Egli lo ha fatto perché noi potessimo un giorno difendere la Giustizia in sua vece ed ora io faccio altrettanto: cerco di salvare le mie compagne d’armi perché possano continuare a servire la dea Atena, che della Giustizia è la personificazione.", spiegò con tono calmo Juno.

"Ed alla Giustizia si è affidato anche il tuo discepolo, Shango, nelle sue ultime azioni, impedendo il mio sacrificio e salvando me e mia sorella. Per questo ti chiedo, per il suo sacrificio, non essere ciò che, a suo dire, non eri, Generale, scegli secondo i tuoi valori se seguire l’ordine del tuo Sovrano.", aggiunse prontamente Agesilea.

A quelle parole, però, Moyna rispose tirando a se il cavaliere di Cerbero e colpendolo con un violento calcio allo stomaco, che ne danneggiò oltre le vestigia, respingendolo al suolo, svenuto.

"Mi chiedi di tradire l’Esercito d’Africa ed il Re che dovrei servire? Definendo, al qual tempo, il mio discepolo un traditore, poiché altrettanto ha fatto salvando voi la vita? Hai un modo strano di cercare la mia compassione fanciulla, ma di certo non l’avrai, non più!", esclamò il comandante della Seconda Armata.

"Rifletti su chi è il vero traditore, su chi in vero sta andando contro i propri principi e valori, contro ciò che dovrebbe difendere. Guarda nel profondo del tuo cuore e dì a te stesso se stai agendo per fini personali, o per un bene più grande, come la traditrice polinesiana, che per egoistica sete di potere è andata contro ai propri compagni.", suggerì Agesilea, cosciente di avere ben poche forze in corpo, ma pronta ad usarle contro il cosmo che s’andava condensando fra le mani di Moyna.

Laka di Poukai uscì dalle macerie alzandosi di nuovo in cielo: era ferita e le vestigia erano visibilmente danneggiate, ma, più di tutto, nel suo sguardo si leggeva una macchia di follia che prima non era visibile: "Voi, che avete osato colpirmi, pagherete con la vita!", ruggì, scatenando la Danza della Gioia, mentre volava fra i tre Areoi, distanziando da se Tara, che dovette indietreggiare per evitare alcune delle piume, prima di chiudersi nella propria difesa sferica.

Fu poi il turno di Tawhiri, che contro di lei stava dirigendosi con un agile balzo, ma la danza della guerriera traditrice lo investì a mezz’aria, costringendolo a respingerla e lasciandolo al qual tempo scoperto dalla carica fisica della combattente di Poukai, che con un violento calcio aumentò la potenza offensiva di due dei suoi dardi, investendo con gli stessi la barriera elettrica che ricopriva l’Areoi della Torpedine e gettandolo al suolo, qualche metro più in là.

Si volse quindi verso Maru del Narvalo, "Eccoti, tu che per primo cadrai, poiché l’unico senza una vera e propria difesa da controbattermi! Hai saputo reggere la seconda delle mie danze e penso che potresti sopravvivere all’impatto con la prima, poiché sei coriaceo come il Barracuda, ma al pari suo perderai nel fronteggiare l’ultimo dei miei balli, il più letale. Danza dell’Agonia!", urlò infine Laka, volteggiando a mezz’aria e scagliando decine di piume il cui verde colorito del cosmo sembrava puntare verso il marcio, prima che si dirigessero verso la loro preda.

"Coda tagliente!", invocò di rimando il guerriero del Narvalo, fendendo l’aria e distruggendo molte di quelle piume mortali, senza però poter impedire che altre si conficcassero nella sua pelle, iniziando a far fuoriuscire dalla stessa degli ampi zampilli di sangue.

"Agitati ancora, sciocco Areoi, più le emozioni ti animeranno più velocemente la linfa vitale da te fuggirà via! Ecco le piume mortali del Poukai, la bestia mitologica che divorava gli uomini planando dal cielo, la creatura che le mie vestigia raffigurano. Cadi, così come è stato per gli Areoi che ho affrontato prima di te!", urlò Laka espandendo il proprio cosmo, "Che nessuno più mi ostacoli! Se l’unica sono rimasta a servire la nuova divinità di queste terre, dunque un più alto ruolo nelle nuove schiere polinesiane mi aspetterà. Prima Regina di Polinesia, ecco il mio titolo d’ora innanzi!", urlò gioiosa, scoppiando in una folle risata.

"Non prima Regina, bensì fra le ultime a cadere dei traditori! Poiché se veramente dal tempio di Rongo alcun nemico verrà e se per gli Avaiki di Ira e Lono la verità è stata detta, allora solo i traditori guidati dalla Lucertola Malefica dalle Hawaii, se ve ne sono, e l’ultimo che ha cospirato contro Toru ed Ukupanipo resteranno dopo di te.", affermò Maru, incurante delle ferite che sanguinavano copiose dal suo corpo, mentre sollevava l’arma di cui era padrone per effettuare il suo colpo massimo.

"Folle, speri di colpirmi al meglio con il sangue che stai perdendo? Sopravvivrò al tuo attacco senza problema alcuno!", minacciò sicura di se Laka "E se i nemici a colpirti fossero due, cosa faresti, Pappagallo?", esclamò allora Tawhiri, anch’egli in piedi e pronto ad eseguire il proprio miglior colpo.

"Lama degli Oceani!", invocò il guerriero del Narvalo, "Torpedine Selvaggia!", gli fece eco l’altro Areoi, scatenando all’unisono i due colpi d’energia devastante contro il comune bersaglio.

"Danza dell’Abbondanza, difendimi!", supplicò la voce della guerriera, il cui sguardo spiritato stava, in quel momento, scivolando verso la preoccupazione ed il timore per la propria vita, ma anche quel suo ultimo disperato tentativo fu vano, poiché immane la potenza dei due attacchi combinati, tale da polverizzare le diverse piume e, allo stesso tempo, distruggere le di lei vestigia, schiantandola al suolo, priva di vita.

Cadde egualmente in ginocchio Maru, che ancora perdeva sangue dalle ferite appena infertegli e dalle vecchie riapertesi, finché non avvertì una sensazione nota, letale ai più, ma non per lui, l’abbraccio del cosmo di Tara, che lento ma preciso, stava sciogliendo i dardi incastratisi nella sua pelle, fermando, attraverso delle ustioni sulle carni, la fuoriuscita di linfa vitale dalle stesse.

"Non preoccuparti, qualche istante e potrai di nuovo combattere.", lo rassicurò la donna amata, "Molto bene, perché temo che i tre giovani europei avranno ben presto bisogno del nostro aiuto.", osservò il guerriero, prima che Tawhiri si avvicinasse loro, volgendo, come i due amanti, lo sguardo verso il Generale Nero ed i santi di Atena.

Moyna stesso aveva riflettuto in silenzio, osservando per qualche attimo lo scontro fra gli Areoi, abbassando l’attenzione rivolta verso i tre feriti davanti a lui, poi, però, visto l’esito della battaglia, aveva ripreso la concentrazione, espandendo di nuovo il proprio cosmo, "Belle parole le tue, fanciulla, ma cosa mi farebbe ottenere avere nuovi dubbi sulle azioni del mio Sovrano? Tutto ho perso per i miei dubbi, incapace di capire ciò che Ntoro, Acoran, Gu e Mawu ben sapevano, o di cui forse non si sono mai chieste spiegazioni: che, per quanto il nostro dovere è di difendere e mantenere unita l’Africa, l’ordine assoluto del nostro Sovrano è l’unica vera legge da dover seguire e questa volontà ci ha portato fino in Polinesia, facendomi perdere, uno dopo l’altro, tutti i compagni ed i seguaci che a me si erano affidati.

Ora basta porsi dubbi, è tempo di pagare per gli errori commessi, sia per me, sia per voi.", concluse il Generale della Seconda Armata, ma prima che potesse attaccare, Cassandra gli fu addosso, per essere respinta dalla semplice emanazione cosmica dello stesso, e schiantata al suolo.
"Sorella!", urlò Agesilea a quella vista, portandosi dinanzi a lei, pronta a proteggerla dal prossimo attacco che, ne era certa, di lì a poco sarebbe giunto.

"Addio, fanciulla di Grecia. Scusati per me con Shango se l’ho costretto a sacrificarsi.", sussurrò l’africano infine, pronto a colpire di nuovo.

Una duplice emanazione cosmica, però, rubò l’attimo al Generale, spingendolo a voltarsi verso gli Areoi: "Lama degli Oceani!", "Torpedine Selvaggia!", invocarono all’unisono Tawhiri e Maru, scatenando i loro attacchi, mentre si avvicinavano all’altro scontro in atto.

Moyna non ebbe tempo per riflettere, piuttosto scatenò il Vento dei Cieli contro il duplice attacco, sostenendone la potenza con difficoltà, ma riuscendovi, "Folli anche voi, cosa speravate di fare? Ben presto a ben altri potenti assalti dell’Aquila Urlante dovrete far fronte!", minacciò prontamente.

"Non credo che dovranno, invece.", sibilò una voce alle spalle del Generale, prima di sentire la debole, ma calda, stretta delle mani di Agesilea portarsi su di lui: "Sahin Tarazu!", urlò la sacerdotessa di Atena, lasciando esplodere il proprio colpo energetico, che circondò sia lei sia il suo avversario.

"Che cosa?", si domandò stupefatto Moyna, "Sacrificherò contro di te, Generale, quella vita di cui Shango mi aveva fatto dono, permettendomi di perpetrarla per altre battaglie, così salverò non solo mia sorella ed il cavaliere che per me e lei era pronto a morire, ma anche tre guerrieri ancora pienamente nelle loro forze, che potranno portare ben più vittorie di me alle schiere che combattono per la libertà delle loro terre e dei loro cari, contro voi, invasori che della libertà tutti volete privare.", esclamò la fanciulla, prima che il suo corpo e quello dell’avversario si alzassero in cielo, spinti dalla potenza di quella singola esplosione d’energia, tale da disperdere ciò che restava delle vestigia dell’Aquila e far cadere al suolo, in frantumi, la maschera d’argento che le copriva il volto, rivelando i suoi occhi castani, che, per un istante, si volsero verso la sorella.

"Addio, Cassandra, perdonami se non ho saputo essere all’altezza delle tue capacità e ho dovuto dare la vita, per ben due volte, per vincere i miei nemici; chiedi scusa, in mio nome, alla Maestra Olimpia per la mia incapacità come sacerdotessa guerriero.

Addio, Dorida, malgrado mai abbia ammesso con te la mia amicizia, poiché in fondo nello sfidarci e spronarci avevo trovato un ostacolo da superare, qualcuno che, al pari di mia sorella, era un traguardo da raggiungere, per forza e determinazione, anche se, al contrario di te, di certo, ho dovuto dare la vita per una vittoria.

Addio cavalieri tutti, che per Atena combattete, che la mia debolezza di spirito non sia onta per l’ordine d’argento, che il mio sacrificio permetta a voi tutti di vincere questa guerra, salvando gli uomini e gli dei a cui donano la loro fede.", sussurrò Agesilea, mentre già il calore del suo stesso cosmo ne dilaniava la pelle, segnandola mortalmente.

"No, fanciulla, non debolezza di spirito la tua, ma estremo coraggio: sacrificarti per ciò in cui credi, per le persone che ti sono care, tutto solo perché altri non debbano affrontarmi. Hai il mio rispetto ed assieme andremo a scusarci con Shango per la fine che ha dovuto subire.", le disse di rimando Moyna, le cui vestigia ancora ben resistevano al calore di quel cosmo, quando ormai il cielo stellato si apriva sopra di loro e le forme dell’Avaiki si facevano sempre più lontane.

Non sentirono, nessuno dei due, l’urlo di Cassandra che, ripresasi, vide al suolo la maschera d’argento e distinse la sofferenza negli sguardi di Juno e degli Areoi, un urlo solo da lei nacque a quel punto: "Sorella!!!!!!"

Così perse la vita Agesilea dell’Aquila, sacerdotessa d’argento di Atena.