Capitolo 27: Il Terzo Generale

Li attendeva, oh da quanto li attendeva, ed alla fine erano arrivati!

I suoi occhi porpora avevano osservato ogni ombra in quel corridoio, così congeniale per il modo di cacciare, un luogo perfetto in cui attendere le prede che Mawu gli aveva concesso; ed in effetti, con lui, la Comandante della Prima Armata era stata oltremodo gentile, offrendogli chi non aveva trovato né Nyame, né Moyna sul proprio percorso, offrendogli delle prede fresche che, di certo, si sarebbero rivelate combattive.

Ora quelle prede erano giunte e lui le osservava dalla sua posizione sopraelevata: un uomo massiccio, fisicamente molto robusto, con delle bianche vestigia guidava quel gruppetto, doveva essere un indigeno, giacché indossava vestigia dalla forma di un qualche minaccioso pesce, inoltre, al di là di una vistosa ferita ad un fianco, sembrava non aver subito altri danni fisici, il che lo rendeva un avversario ancora combattiva, o almeno questo lui sperava.

Dietro quel massiccio individuo, due giovani più esili, dalle vestigia di diversi colori, probabilmente due di quei guerrieri europei: il primo era quello con più ferite, per quanto non volesse far notare il proprio eventuale indebolimento fisico stando quasi al passo con gli altri, il secondo, invece, era meno contuso, ma portava con se qualcosa nelle mani, forse un’arma, suppose inizialmente il predatore, che però non poté nascondere un sorriso nel notare che aveva solo uno strumento musicale assieme, divertente di certo, ma non pericoloso.

Il predatore si mosse leggermente per mantenere le tre prede nel suo campo visivo, ma quelle si fermarono pochi istanti dopo ed allora, lui attese, guardandoli, curioso di scoprire se quei tre erano così capaci da riuscire ad individuarlo: non voleva rovinarsi il piacere della caccia, non prima di incominciare.

Avevano lasciato i corpi senza vita di Kohu e quello di Tuna l’uno accanto all’altro, vittima ed assassino, fedele seguace e folle traditore, ma entrambi, agli occhi di Toru dello Squalo Bianco, Areoi, seppur ognuno con le proprie debolezze e difetti.

Li avevano lasciati ed correvano in quello che il comandante dei polinesiani aveva definito il "bivio centrale" per arrivare alla sua sala, un luogo certamente strano per la struttura: i muri laterali, infatti, dopo un po’ erano scomparsi, allontanandosi e permettendo ai due cavalieri d’argento che lo seguivano di camminare tranquillamente uno di fianco all’altro, si vedeva chiaramente che quella strada nasceva dall’unione di due corridoi dell’Avaiki, ma era fatta in modo davvero bizzarro, poiché diversi spuntoni, simili a stalagmiti, nascevano dal terreno, alzandosi quasi fino al tetto stesso del tempio subacqueo, gigantesche colonne di pietra che intralciavano il terreno lungo i fianchi di quel bivio centrale.

Fu proprio da una di quelle colonne di pietra che, ognuno dei tre avvertì provenire qualcosa: per Gustave della Lyra, che da tempo allenava l’udito, abituando l’orecchio alle melodie più piacevoli e spesso pericolose, si trattò di un suono, quasi un leggero grattare di qualcosa sulla pietra; per Toru dello Squalo Tigre, che quei luoghi ben conosceva e ne ricordava alla perfezione fino alla più piccola fragranza, si trattò di un odore ignoto e nuovo; per Ludwig del Centauro, allenatosi a combattere e cacciare in mezzo ai boschi della Foresta Nera, si trattò più della sensazione assillante di essere osservato, qualcosa di puramente istintivo.

Ognuno a modo suo, ma più o meno all’unisono, i tre guerrieri si volsero verso una delle colonne più distanti sulla loro sinistra, portandosi in posizione di guardia, ignari di chi, o che cosa, avesse portato tutti a voltarsi.

L’ignoranza a tal riguardo, però, non durò che pochi attimi ancora, poiché una sagoma scura balenò ai loro occhi, qualcosa che i due cavalieri d’argento riuscirono appena a seguire, ma che stava, comunque, puntando evidentemente verso l’Areoi che li stava guidando in quel corridoio.

Non fu un attacco la prima cosa che subirono, o almeno non del tipo che si sarebbero aspettati: la sagoma nera, infatti, toccò appena il terreno dinanzi al possente polinesiano, giusto il tempo per lanciargli addosso qualcosa, una sorta di mantello, da quel che poterono osservare i due santi di Atena, poi lo colpì con un secco calcio all’addome, spingendolo via, quindi si mosse di nuovo, compiendo un balzo acrobatico all’indietro e portandosi proprio in mezzo ai due cavalieri di Grecia, che, a quel punto, non videro più niente, poiché due mani coperte da scure vestigia gli coprirono i volti, spingendoli via con una violenta esplosione d’energia cosmica, che li gettò ambedue al suolo a diversi metri di distanza, mentre già Toru si rialzava, gettando via ciò che lo aveva coperto pochi istanti prima.

Ora, con la visuale libera, il comandante dei seguaci di Ukupanipo poté osservare il nuovo nemico che s’affacciava a lui: uno dei guerrieri invasori, dall’oscura armatura che indossava, un guerriero dai movimenti e dalle vestigia, simili ad un felino.

Le spalliere erano costituite dalle due parti del volto della fiera che indossava, le parti simmetriche e parallele di un volto animalesco piuttosto semplice, che probabilmente avrebbe ricordato, se solo Toru li avesse mai visti, una pantera, o una leonessa.

Gambali e protezioni per le braccia erano costituiti dalle sottili, ma quanto mai compatte, zampe della bestia africana, che arrivavano a coprire rispettivamente fino alle ginocchia ed agli avambracci; un gonnellino rigido e circolare nasceva dalla coda del felino, mentre una sottile corona nera s’intravedeva appena fra i capelli riccioluti, che circondavano il volto fiero ed astuto di quel guerriero dagli occhi color porpora.

Il tronco dell’armatura, infine, non aveva, di se, nessuna particolare decorazione, anzi risultava piuttosto semplice nella sua struttura che ricalcava il corpo della fiera, quale che fosse, con la peluria incisa al di sopra, ma qualcosa risaltava dinanzi allo sguardo attento di Toru, una collana che l’uomo portava e che pendeva leggiadra e terribile sullo sterno del nemico, una collana fatta d’occhi umani!

"Hai notato il mio gioiello? Reliquia di tutte le mie vittorie? Per ogni vittima che ho ucciso mi sono preoccupato poi di prenderne gli occhi, il mio personale trofeo su chi sconfiggevo.

Lo specchio dell’anima, li chiamano, ma per me sono solo un oggetto che indica quante vite ho preso, quanti futuri ho spezzato prima che si avverassero, quanto sono stato abile nella caccia.", esordì con la voce superba l’africano, poggiandosi su tutti e quattro gli arti, "Non crucciarti nel dubbio, già te lo posso assicurare, mia nuova preda: anche tu ed i tuoi due compagni ben presto vagherete verso il Guscio Infinito privi d’occhi.", concluse, espandendo il proprio cosmo.

"Preda? Anche tu pensi che Toru dello Squalo Bianco sia una preda? Sciocco sadico, perirai come l’altro gatto spelacchiato che ha osato etichettarmi con tale offensivo appellativo!", ruggì di rimando il comandante degli Areoi, facendo esplodere la sua candida energia cosmica.

Per un attimo l’altro rimase interdetto, poi accennò un sorriso, "Ironia della sorte è questa che mi porta contro proprio l’assassino del mio secondo discepolo! Ebbene, Toru dello Squalo Bianco, io ti chiamo preda, sì, poiché non con il debole Heitsi hai più a che combattere, né dovrai scappare allo svelto Nyame, no, ad entrambi sono superiore, poiché di entrambi sono maestro e, allo stesso tempo, sono discepolo del Leone Nero, unico con questo appellativo, sono io, Gu del Fosa, il Cacciatore!", esclamò deciso il Generale della Terza Armata, lanciandosi all’attacco.

Lo scontro fra loro fu impetuoso: con violenza il corpo dell’Areoi si gettò su quello del guerriero nero, che non provò nemmeno ad evitarlo con un balzo, bensì, all’ultimo, rallentò la propria corsa, portandosi su tutti e quattro gli arti e sollevando le spalle, così da inarcare la schiena e distribuire sulla stessa l’impatto, che non riuscì a spostarlo nemmeno di un passo.

Toru, al contrario, fu leggermente sbilanciato da quella inattesa posizione, tanto che il nemico ne approfittò subito per sferrargli una violenta zampata alle gambe, portandolo a cadere in avanti, per poi appoggiarsi sulle mani e calciarlo indietro con una veloce capriola, così da investire il volto del polinesiano con la pianta di ambo i piedi.

Fu così che il Terzo Generale si ritrovò a lanciarsi addosso al nemico ormai steso a terra, pronto a sbranarlo, quasi letteralmente, come il feroce ed animalesco cosmo lasciava intendere, ma non ne ebbe il tempo, poiché l’energia dello Squalo Bianco esplose, spingendo indietro il nemico nero, che con un’abile capriola riatterrò al suolo su tutti e quattro gli arti.

Toru approfittò di quel breve istante che aveva guadagnato per rimettersi in piedi, pronto a continuare lo scontro, ma già Gu stava concentrando il cosmo fra le mani, pronto a qualcosa che il Comandante già aveva potuto osservare contro un altro nemico: "Non funzionerà, come non ha funzionato per mano del tuo discepolo!", lo ammonì, sicuro di se, il polinesiano.

"Fai male a misurare le mie doti da ciò che hai visto fare a Heitsi: non contro di lui stai più combattendo, non sua è questa Spirale degli Artigli!", ruggì l’africano, liberando la violenta potenza del proprio attacco, lo stesso che già il Ghepardo e la Genetta avevano usato, un attacco che Toru contava di vincere sfruttando le fauci di cui era in possesso, ma fu troppo tardi per farlo quando il vorticare delle lame d’energia gli fu addosso, colpendolo proprio nel punto dove già l’attacco di Tuna lo aveva ferito, infierendo ed incrementando il danno subito dall’Areoi, che si piegò in ginocchio, sotto il dolore accumulatosi.

"Ti sorprendi forse? Pensavi che non avessi notato la ferita? Certo, rispetto ai due cui ti accompagnavi, sei in migliori condizioni, ma ciò non implicava che fossi illeso e subito me ne sono accorto, quando mi hai affrontato fisicamente.

Ogni buon predatore, specie se la preda è altrettanto feroce e famelica, fa leva sulle sue debolezze per vincerla.", lo apostrofò Gu, avanzando sicuro verso il nemico.

"Non è però detto che la preda, messa alle strette e ferita, si arrenda alla superiorità del nemico, specie se quella preda sono io!", ringhiò furioso Toru, lasciando esplodere il proprio cosmo, che già si concentrava nei massicci pugni, "Fauci dello Squalo, divorate!", ordinò rabbioso, scatenando l’attacco contro il Generale, che fu rapido nel compiere un salto e spostarsi ad un’altezza tale da raggiungere una delle colonne sui lati della sala, scomparendo alla vista del nemico.

"Pensi davvero che debba colpirti ed ucciderti corpo a corpo? Sei ferito, indigeno, sanguini copiosamente, basterà attendere e cadrai da solo, come ogni preda chiusa in una trappola da cui non può fuggire.", sibilò la voce del Comandante della Terza Armata, sulla sinistra di Toru, prima che questi scatenasse ancora il proprio attacco, abbattendo una delle colonne su quel fianco, ma riuscendo solo ad udire una sorda risata in risposta al proprio gesto, probabilmente avventato.

Ancora per qualche secondo quel gioco, come lo vedeva Gu del Fosa, andò avanti, permettendo al Generale Nero di schivare i folli e sprecati attacchi del gigante polinesiano, che si stancava sempre di più, sanguinando sempre più intensamente ad ogni tentativo di affondare le fauci nelle carni del felino del Madagascar, fauci che, costantemente, si perdevano sulla dura pietra; poi, però, anche lui si stancò, avvertendo, seppur solo labilmente, che sia il cosmo di Acoran, sia quello di Ntoro, erano impegnati in due battaglie: non voleva essere loro paragonato, avrebbe concluso per primo lo scontro.

Con un balzo, la sagoma del guerriero del Fosa si slanciò verso la massiccia preda, l’energia cosmica che già vibrava fra i palmi delle mani, "Spirale degli Artigli!", urlò ancora una volta il Generale, prendendo alla sprovvista il suo avversario, che solo all’ultimo riuscì a sollevare le proprie difese, subendo comunque l’attacco perché troppo veloce per essere evitato o bloccato a pieno.

Toru si schiantò sanguinante contro una delle colonne, danneggiandola oltremodo, mentre Gu atterrava sui quattro arti, guardandolo ghignante di soddisfazione, "Prede sconfitte.", sibilò soltanto, prima di avvertire delle altre energie cosmiche provenire dalle sue spalle e voltarsi.

Ludwig del Centauro e Gustave della Lyra erano di nuovo in piedi, "Delle prede furbe sarebbero rimaste a terra, fingendosi morte, ma voi non dovete essere poi così scaltri.", osservò, trovandoli dinanzi a se, il Comandante d’Armata, con un sorriso beffardo.

"Non sottovalutarci, Generale, non guerrieri da poco possiamo rivelarci! Abbiamo già avuto ragione di altri nemici e di certo non grazie alla sola forza, bensì usando pure l’astuzia.", lo ammonì il discepolo di Munklar di Sagitter, "Non credere che avrai facile vittoria sull’allievo di Remais di Cancer il Grande!", aggiunse il musico francese, prima che, con un veloce scambio di sguardi, i due cavalieri d’argento si spostassero, l’austriaco sulla sinistra del nemico e l’altro sulla destra.

"Pensate, dividendovi, di avere maggiori possibilità di colpirmi? Non sottovalutatemi, misere prede, dovrò giusto faticare un po’ di più nel bloccarvi, ma non sarà così difficile.", osservò sicuro di se il Generale Nero, mentre già una melodia s’innalzava dalla lira di Gustave, "Reticulum Vif!", invocò il cavaliere, scatenando il vivace reticolo di attacchi energetici, diretti contro l’avversario.

Con agili balzi, Gu del Fosa riuscì ad evitare i diversi attacchi sonori, tutti troppo lenti per preoccuparlo, né lo preoccupò ciò che sentì pronunciarsi alle sue spalle pochi istanti dopo: "Kreis des Agena!".

Il guerriero africano non ebbe nemmeno bisogno di voltarsi, per sapere che l’altro avversario stava provando qualcosa, semplicemente si concesse un sorriso, spiccando un agile balzo che lo portò a gettarsi contro una delle colonne di pietra sui lati, precisamente sullo stesso versante dove si trovava il musico suo nemico, che, avvedendosi dell’avvicinarsi non solo del Savanas, ma persino del globo di fuoco generato dal cavaliere del Centauro, dovette scattare a sua volta in direzione opposta, al fine di non essere investito da nessuno dei due.

Il cerchio di fuoco della seconda stella del Centauro si perse contro la dura roccia, quando già, rapido ed atletico come nemmeno i suoi allievi, Gu stava arrampicandosi, usando le mani e le gambe al pari delle zampe artigliate di un vero felino, sulla colonna, distanziandosi dalle fiamme.

"Questo il modo in cui pensavate di cacciarmi, europei? Uno avrebbe fatto da esca e l’altro avrebbe usato il fuoco per intrappolarmi? Buona tattica, ma solo per un dilettante, o magari per avere ragione di un animale debole, ma come potreste mai sperare di vincere un vero predatore con una strategia simile? No, ad altro dovrete pensare per vincermi, malgrado risulterà comunque inutile, poiché, che voi lo accettiate o meno, qui siete voi le prede ed io colui che va a caccia! È un destino ineluttabile!", sentenziò sicuro il Terzo Generale, guardando verso i due cavalieri di Atena ed accorgendosi solo in quel momento che uno di loro non era più nel luogo in cui lo aveva lasciato: il giovane santo del Centauro.

"Il fuoco non serviva ad intrappolarti, Generale, ma solo a stanarti!", esclamò sicuro di se il giovane discepolo di Munklar, arrivando alle spalle dell’altro e sferrando un veloce calcio verso il volto, un colpo che fu da Gu abilmente evitato semplicemente sollevando il braccio destro come difesa.

Ludwig, però, non fu da meno nella reattività e, poggiate le mani sull’ampia colonna di pietra, fece seguire un veloce colpo di pianta sinistra al calcio destro appena parata, un colpo che portò l’avversario a sbilanciarsi indietro, facendolo balzare verso il vuoto dietro di lui; un’azione che il giovane austriaco non lasciò senza conclusione, poiché lesto si gettò all’inseguimento, lanciandosi dal bordo della struttura in pietra ed utilizzando ancora una volta il Kreis des Agena, che stavolta arrivò prontamente addosso al nemico.

L’allievo del Leone Nero scomparve fra le fiamme, invisibile agli occhi di ambo i cavalieri di Atena, ma solo per alcuni secondi, sufficienti a Gu per lasciar esplodere la propria energia cosmica, il tempo necessario perché alle orecchie dei santi di Grecia arrivassero poche e note parole: "Spirale degli Artigli!"

Dopo di ciò, solo un’esplosione d’energia che disperse le fiamme ed investì l’austriaco, schiantandolo contro la parete di pietra a cui stava cadendo accanto e procurando nuovi segni di tagli profondi sulle vestigia d’argento, prima che il suo corpo scivolasse verso il suolo, arrivando vicino a quello del nemico africano, che, nel frattempo era tranquillamente atterrato.

"I miei complimenti, giovane straniero, una bella strategia la tua, ma fin troppo rischiosa e, soprattutto, non hai tenuto conto delle vere capacità di cui era padrone.", lo apostrofò Gu del Fosa, avvicinandosi al cavaliere discepolo di Munklar, "Per queste ragioni, per primo cadrai!", sentenziò, sollevando la mano artigliata e preparandosi ad affondarla sulla schiena dell’altro.

"Non se te lo impedirò!", esclamò d’un tratto una voce superba, che si alzò assieme ad una musica ben più incalzante della precedente, una musica dal ritmo Andante: "Serréé Moderé!", invocò Gustave della Lira, intrappolando di sorpresa l’avversario nei sottili, ma potenti, fili d’energia cosmica che dal suo strumento si dipanavano.

"Speri forse di prendere in trappola un Fosa con questi laccetti? Piuttosto abbellisciti le vestigia con questi fili, musico!", ringhiò deciso Gu, volgendo lo sguardo verso il francese; "Non ho la minima idea di cosa sia un Fosa, ma a me, sembra solo un gatto troppo cresciuto e se in Francia non sia hanno esemplari di questa specie, deve essere una bestia di scarso retaggio, una qualche brutta imitazione del leone fatta in natura, di certo frutto di qualche errore dell’evoluzione.", esordì sicuro Gustave, "E non osare criticare queste vestigia, dono ricevuto dal più grande degli uomini, il mio maestro! Esse sono perfette, poiché lui le ha scelte per me, mi ha addestrato al fine di esserne il custode e come tale le indosso al meglio.", aggiunse superbo, facendo una smorfia nell’osservare l’avversario.

"Basta chiacchiere, moccioso, non so nemmeno di cosa tu stia blaterando!", ringhiò il Generale Nero, liberando tutta la violenza della Spirale degli Artigli, che recise i fili in cui era intrappolato, sbilanciando leggermente il cavaliere d’argento, che troppo tardi s’avvide del nemico che gli balzava addosso, colpendolo a piedi uniti in pieno petto, per poi gettarlo a terra e calpestarlo con la suola destra.

"Non sai cosa sia un Fosa? Sono felini dell’isola di Madagascar, predatori presenti solo in quel luogo in tutta l’Africa e, credo, in tutto il mondo, animali feroci e cacciatori capaci, che attendono le loro prede sulle vastità degli alberi nelle ampie foreste della loro terra natia; riescono ad abbattere animali che gli sono persino superiori per stazza, il che li rende forse inferiori ai Leoni per portamento ed aspetto, ma di certo non meno capaci come predatori.
Di queste vestigia il mio maestro mi ha fatto dono!", esclamò infine Gu, avvertendo solo in quel momento un’energia cosmica esplodere dietro di lui.

"E con indosso queste vestigia, sarai sconfitto! Predatore dei Mari, colpisci!", ordinò deciso Toru dello Squalo Bianco, apparendo veloce e determinato alle spalle del guerriero nero e travolgendolo con l’immane potenza della belva acquatica, le cui fauci ferirono le carni di Gu, prima che l’interno corpo della creatura lo sollevasse da terra, schiantandolo contro una colonna di pietra, che cadde sotto il peso di tale pressione energetica.

Il comandante degli Areoi rimase ad osservare per qualche istante il crollo, prima di sollevare, prendendolo per la spalla sinistra, Gustave dal suolo, ricevendo un lamento in risposta dei suoi modi a dir poco rudi, a detta del francese, mentre, a fatica, anche Ludwig del Centauro si rialzava, ferito, avvicinandosi agli altri due.

"Mi avete fatto guadagnare tempo per colpirlo, ottimo lavoro, cavalieri di Grecia.", si complimentò il mastodontico polinesiano, ricevendo un sorriso soddisfatto da parte dell’austriaco ed uno sbuffo superbo dal musico.

"La battaglia, però, sembra ben lungi dall’essere conclusa …", osservò poco dopo l’allievo di Munklar, notando la sagoma nera che si rialzava, ferita, ma viva, dall’ammasso di macerie, portandosi di nuovo nella sua posizione di guardia, su tutti e quattro gli arti.

"Siete ancora tutti in vita, complimenti, mie prede, non posso che definirvi decisi nel sopravvivere alla battuta di caccia, ma, purtroppo per voi, non posso fare ritorno dal mio comandante, Sovrano e Maestro senza aver meco portato dei doni per onorarlo e le vostre carcasse sono quei doni.", li ammonì deciso Gu del Fosa, scrutandoli, prima di espandere il cosmo oscuro.

"Lugubri doni di morte vuoi portare a chi ti comanda? Strana usanza la vostra.", lo sbeffeggiò Ludwig, "Non doni di morte, ma prede da condividere con chi mi è superiore: come ogni branco, ogni clan, ogni gruppo di bestie, bipedi e quadrupedi che siano, anche noi della Terza Armata, una volta catturate le nostre prede, lasciamo che sia chi ci comanda il primo a prenderne; al nostro Sovrano è sempre spettato prendere per primo qualcosa dei nemici sconfitti, poi io asportavo loro gli occhi, per mio ricordo e quindi spettava a Nyame, Heitsi, Garang ed il resto delle mie truppe questo diritto, ognuno in funzione di quanto valore aveva dimostrato sul campo.", ricordò preciso il Comandante d’Armata.

"Dunque, Generale, tu ci riduci a cosa? Antilopi, cervi che hai cacciato e che dovrai dividere con il resto delle bestie tue pari?", domandò ancora l’austriaco.

"Bestie mie pari? Cosa credi di essere tu, cucciolo d’uomo? Sei una bestia, al pari mio, o di quei due che ti stanno accanto, ma l’unica differenza sta nella forza di cui siamo padroni.
Per me, io sono un abile predatore di terra, che sa di dover cacciare per mantenere il rispetto del proprio capobranco, mentre voi non siete altro che prede: un’antilope scaltra, un galletto rumoroso ed un pesce troppo cresciuto, in questo modo vi vedo e per questo motivo cadrete, morti per mia mano, poiché io, qui, sono il più forte!", ruggì deciso Gu, scattando in avanti contro i tre bersagli.

"Spirale degli Artigli, perfora le loro carni!", ordinò selvaggiamente il guerriero, sferrando l’assalto all’unisono contro gli avversari.

"Non mi batterai più sulla velocità!", ruggì di rimando Toru, scatenando le Fauci dello Squalo Bianco, stavolta con prontezza sufficiente a bloccare, almeno in parte, l’assalto del Generale Nero, dando, allo stesso tempo, la possibilità a Ludwig per reagire.

Il giovane cavaliere del Centauro, infatti, spiccò un agile salto, espandendo il cosmo incandescente e concentrandolo nelle gambe, "Galopp des Rigil!", invocò, scatenando la violentissima serie di calci, che arrivò proprio nel momento in cui l’avversario oscuro aveva l’attenzione concentrata sul bianco guerriero polinesiano.

I primi colpi raggiunsero le scure vestigia del Fosa, che ressero in parte all’impatto, subendo danni solo lì dove già la furia del precedente colpo del Predatore Marino aveva lasciato il segno, spingendo indietro il Comandante della Terza Armata, che, dopo l’iniziale sorpresa, riuscì a sollevare le braccia, circondate d’energia cosmica, sferrando violente artigliate per disperdere le fiamme e scacciare l’avversario.

"Non un’antilope scaltra, ma un fastidioso moscone mi sembri al momento.", ammonì il Generale, "Un passo in avanti, non avrai di che cibarti di me allora.", lo schernì l’austriaco guerriero, allontanandosi con un balzo dall’altro.

"Non preoccuparti, preda, sono parsimonioso come pochi: per i periodi in cui la caccia è misera so metter da parte anche quel poco che trovo e, considerando come gli altri di voi sopravvissuti saranno ormai caduti per mano dei restanti Generali, non mi farò problemi a nutrirmi di un insetto molesto!", replicò sarcastico Gu, scattando in avanti ed inseguendo il giovane cavaliere, fino ad investirlo con una violenta artigliata alla zona addominale, distruggendo quasi del tutto ciò che restava delle vestigia del Centauro in quella specifica area.

Furono di nuovo dei sottili fili d’energia cosmica a salvare la vita dell’allievo di Munklar, fili che s’insinuarono nella pelle del Terzo Comandante d’Armata, bloccandolo, "Lent Requiem!", decantò allora Gustave della Lyra, prima che il nemico volgesse lo sguardo verso di lui, furibondo.

"Mi hai definito un galletto? Ebbene, quelle saranno state le ultime parole che hai potuto dire in piena libertà, poiché ora è giunto il momento che il bene dei sensi ti abbandoni, ad uno ad uno li sradicherò dal tuo corpo, anzi, dimmi, da quale vuoi che cominci?", minacciò soddisfatto il musico francese.

"Sradicare i sensi dal mio corpo?", ripeté incuriosito il Generale Nero, "Sì, con un semplice pizzicar delle corde dell’arpa, colpirò le terminazioni nervose che ti permettono di vedere, sentire, fiutare, muovere la lingua o controllare il corpo; ti ridurrò ad un vegetale, tu che ti senti così parte della fauna più feroce.", rise divertito, "E siccome, anche in questo momento sei un po’ troppo superbo, vedrò di toglierti quella puzza da sotto il naso: ti toglierò l’olfatto!", ma nel momento stesso in cui stava per pizzicare la corda, il cavaliere d’argento fu investito dalla violenza della Spirale degli Artigli, che recise i legami energetici e sollevò da terra Gustave, travolgendolo e gettandolo a diversi metri di distanza, stordito.

"Ridurmi ad un vegetale! Piano buono il tuo, preda, ma troppo ti sei perso in chiacchiere!", rise di lui il Generale Nero, avvedendosi solo allora di una bianca sagoma alle sue spalle, "Concordo a pieno, invasore! Quando si deve uccidere, si uccide! Predatore dei Mari!", invocò deciso Toru, investendo ancora una volta il nemico con la potenza dello Squalo bianco, gettandolo a diversi metri di distanza, con le vestigia ancora più danneggiate.

Nel frattempo, già Ludwig si era rialzato ed era corso a supportare il musico francese, "Grazie cavaliere, ti debbo la vita, per ben due volte ormai.", si complimentò, accennando un sorriso, "Non poteva essere altrimenti.", fu l’unico commento superbo di Gustave, mentre i due si riavvicinavano all’Areoi, "E per fortuna abbiamo te al nostro fianco, Comandante dell’Avaiki, di certo non può essere uscito illeso da un colpo del genere.", aggiunse il giovane austriaco, avvicinandosi al polinesiano, che, in tutta risposta, indicò la sagoma nera che sgusciava via dalle macerie, scattando verso una delle ultime colonne di pietra rimaste.

"Ottimo, stranieri, vi dimostrate degne prede, quindi vedrò di smetterla di giocare con voi ed userò tutte le abilità del Fosa, abilità che danno il loro meglio nel fitto di una foresta, la stessa in cui ora sarete intrappolati!", esclamò Gu, aprendo le mani dinanzi a se, prima che sottili fili di energia disegnassero un quadrilatero attorno al trio di guerrieri, un quadrilatero verso cui, subito dopo, il Generale Nero, si lanciò con un balzo, "Foresta del Madagascar!", invocò il guerriero africano.

I tre furono colti alla sprovvista: un gigantesco ammontare di energia, artigli di natura cosmica compressi in una così ristretta area, andò formando delle alte fronde e massicci alberi, che circondarono e si chiusero attorno al trio di guerrieri riuniti contro la minaccia dell’Esercito nero, per poi esplodere in una serie caotica di artigliate, dirette in ogni direzione possibile, che investirono con violenza da ambo i fianchi, i due cavalieri e l’Areoi, sollevandoli da terra e lasciandoli a mezz’aria, prede facili per il Terzo Comandante che su di loro stava atterrando, prede che furono colpite e schiantate nuovamente al suolo, nel loro stesso sangue.

Gu del Fosa, portato a segno l’attacco, si spostò di nuovo, scattando di lato e portandosi ad una distanza sufficiente da inquadrare tutti i nemici in un solo sguardo, "Ebbene, prede, ora siete al fine sconfitte?", domandò beffardo, per poi doversi zittire nel rivedere il massiccio polinesiano che per primo si alzava, subito seguito dall’allievo di Munklar, solo il musico francese restava a terra, dolorante.

"Sconfitto, così mi ritieni? Ebbene, invasore, avrai di che pentirti dell’avermi sottovalutato!", minacciò deciso Toru, espandendo il proprio cosmo e concentrandolo in ambo le braccia, "Ti sarò accanto, comandante dell’Avaiki, in questo ultimo assalto!", s’aggiunse Ludwig, espandendo il caldo cosmo attorno alle gambe.

"Imperium Carcharodon!", imperò l’Areoi, "Aufflackern des Marfikent!", aggiunse deciso il cavaliere di Atena, scatenando all’unisono i due possenti attacchi che corsero impetuosi contro l’unico nemico che, in quel caos di suoni, luci ed energie, sollevò il proprio braccio destro, invocando un attacco di cui nessuno dei presenti sentì il nome, attacco che andò a cozzare contro quello dei due avversari, annullandosi a vicenda e lasciando gli avversari di Gu stanchi e sanguinanti dinanzi ad un guerriero che aveva saputo fermare anche le loro tecniche migliori.

"Mi avete persino costretto ad usare la tecnica ultima concessami dal mio maestro e per questo, prede, vi onorerò rivolgendovi un ultimo insegnamento, lo stesso che, molti anni fa, mi fu concesso dal mio Sovrano ed Insegnante, lo stesso con cui fui preso come Terzo Artiglio nell’esercito d’Africa.", rise divertito il Generale, che già si vedeva trionfante sui nemici, mentre la sua mente si portava indietro a ricordi vecchi di quindici anni.

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Aveva diciotto anni quando li vide per la prima volta: lui era nato e cresciuto in una tribù Fon del Dahomey, così come la sua famiglia per generazioni e non aveva fatto niente di più, per tutti i suoi anni, che addestrarsi come cacciatore, per il bene della famiglia e della tribù, che viveva ben lontano dalle grosse città del loro piccolo stato, facente parte delle colonie francesi nell’Africa occidentale.

Quel giorno, però, qualcosa cambiò: si era distanziato dai cugini, con cui era andato a caccia di facoceri per la soleggiata boscaglia, fino a ritrovarsi su un’altura dove, inaspettatamente, vide che stavano compiendo un funerale.

Non vi erano, però, uomini a lui noti della zona, anzi, non vi era nessuno se non due sole figure, due fanciulli, di lui più piccoli di qualche anno, che stavano seppellendo qualcuno secondo le usanze della sua gente.

Erano un ragazzo, con indosso un lungo mantello nero che lo copriva completamente fino alla base del mento, ed una giovane fanciulla con una bendatura attorno ad un occhio, che indossava abiti propri delle tribù Fon.

"Qui riposerai, infine, Buluk del Mamba Nero, fedele consigliere di mio padre ed unico ad avermi dato la sua amicizia sotto il giogo del Nero Usurpatore, che possa non avere mai pace egli nell’altra vita, una pace che a te, auguro spetti.

Ora saremo io e tua figlia a portare a compimento il sogno che era dei nostri genitori, noi renderemo glorioso e ridaremo splendore all’Esercito d’Africa.", esordì sicuro il giovane, guardando verso il corpo sulla pira funeraria, prima che la ragazza appiccasse il fuoco allo stesso.

Gu si sentiva come rapito da quella scena, anche se non ne capiva il motivo, eppure il portamento del ragazzo ed il silenzioso rammarico della ragazza erano così nobili, così rigidi nella loro tristezza che lo avevano affascinato, tanto che solo all’ultimo avvertì un pesante scalpitare, quello di tre facoceri in corsa che si stavano dirigendo verso l’altura.

Il giovane cacciatore non poté che scartare lateralmente, con indicibile agilità, evitando l’assalto delle bestie, ma, poi, rimase ad osservarle, mentre continuavano la loro corsa, come pazze di illogicità, verso quei due giovani e fu allora che avvenne qualcosa di veramente incredibile: la fanciulla con un occhio solo, infatti, scattò in avanti, Gu riuscì a malapena ad individuarne i movimenti, mentre oltrepassava due di quelle bestie che, dopo pochi passi, caddero al suolo, senza vita.

L’ultimo facocero, invece, continuò la propria corsa verso il giovane dal lungo mantello, che gli rivolse solo uno sguardo carico di una tale dignità e potenza da spingere la bestia a fermarsi ed arretrare, spaventata, individuando, poco lontano, proprio nel cacciatore Fon il suo prossimo bersaglio.

Gu non si mosse, sollevò la lancia che portava con se, pronto ad usarla, impassibile, e quando il facocero gli fu ormai a pochissimi passi, il cacciatore usò tutto il proprio coraggio e determinazione per colpire, affondando l’arma nelle carni della bestia, che, comunque, continuò la propria corsa, mortalmente ferita, investendo all’addome il giovane che lo aveva ucciso, spingendolo indietro e morendo sopra il suo corpo.

Quella notte, il cacciatore Fon non tornò alla propria tribù, si risvegliò nei pressi del luogo dove s’era compiuto il funerale e, con suo stupore, era stato curato, uno stupore che crebbe ancora di più quando, ripresosi del tutto, vide chi c’era vicino a lui: i due giovani che aveva osservato la mattina, probabilmente gli stessi che lo avevano salvato.

"Chi … chi siete?", balbettò il ferito, sollevando il capo verso i due, che parlavano fra loro, facendoli voltare ad osservarlo, "Io sono il Sovrano d’Africa, cacciatore, e tu, chi sei?", domandò di rimando il giovane, sbalordendo l’interlocutore con l’appellativo che si era dato.

"Il mio nome è Gu, provengo dalla tribù Fon di queste terre.", si presentò, "Un membro dei Fon, dimostri tutto il coraggio delle nostre genti.", si complimentò la ragazza che, per quanto più giovane, si rivolgeva all’interlocutore con un evidente tono di superiorità.

"Dimmi, cacciatore, hai visto cosa siamo stati capaci di fare noi, confrontandoci con quelle bestie inferiori?", domandò ancora colui che si definiva Sovrano, "Sì, ho visto che senza arma alcuna avete saputo sconfiggerli e farli fuggire.", confermò l’interlocutore.

"Ed io ho visto il tuo coraggio nell’affrontarne uno a viso aperto, quindi ti chiedo: desideri unirti alle mie schiere? Ti darò io stesso il potere per fare ciò che già noi facciamo e tu diverrai una delle fondamenta del nuovo esercito d’Africa che ho intenzione di ricreare, dopo la sua recente distruzione.", propose il giovane. E da quella notte, Gu non tornò più al proprio villaggio.

Per quattro anni si addestrò sotto le direttive del suo Re, da lui apprese come controllare il cosmo, come combattere, le arti di una caccia ben più raffinata e, le basi per delle tecniche speciali davvero potenti; alla fine, il suo sovrano lo condusse fino ad un luogo, nel cuore della Savana nell’Africa centrale, una grotta nella boscaglia, dove, assieme al maestro ed al discepolo vi erano solo la giovane Fon con un occhio solo ed un altro uomo che dà alcuni anni si era unito all’Esercito Nero che s’andava formando.

In quel luogo, Gu rimase estasiato da ciò che si presentò ai suoi occhi: un’infinità di vestigia scure, tutte rappresentanti diverse bestie, animali di ogni sorta che provenivano da luoghi diversi dell’Africa.

"Seguimi, mio discepolo.", ordinò il Sovrano, conducendolo fra vestigia rappresentanti serpenti, bovini, equini, insetti, volatili, animali acquatici, canidi ed infine fra i felini, lì vi era una regale armatura a forma di Leone ed attorno diverse altre di alcuni animali della medesima stirpe, ma meno gloriosi nel portamento.

"Genetta, Leopardo, Ghepardo, Fosa, Gatto africano; scegli pure, mio discepolo, con quali di queste vestigia vuoi seguirmi in battaglia?", domandò il Re e Gu si mosse leggermente verso quelle del Leopardo, che tanto fiere e feroci gli sembravano nella loro forma, ma poi, in un istante, intravide un moto di disprezzo nello sguardo di chi lo aveva addestrato e ricordò quanto una volta gli era stato raccontato sulla fine di alcuni fra gli ultimi sopravvissuti del passato esercito nero e di come il precedente possessore di quella stessa armatura si fosse macchiato di tradimento.

Quando quelle memorie si risvegliarono in lui, scartò quella prima scelta e si volse verso il ghepardo, ma non apprezzava lo stile di caccia di quella creatura, che si lanciava in scatti rapidissimi, affaticandosi per vincere sulla velocità le prede, portando al limite massimo il proprio corpo per avere ragione delle capacità inferiori dei nemici, non per lui era adatto quello stile di caccia, quindi, rifiutate a priori le possibilità della Genetta e del Gatto africano, il giovane discepolo del Leone Nero scelse: "Il Fosa, il predatore del Madagascar."

"Ottima scelta.", l’unico commento del Sovrano, quando già il cosmo scuro del discepolo entrava in sintonia con l’armatura, che subito si dispose a coprirne il corpo.

Tutti i presenti osservarono colui che ora indossava le vestigia oscure, ma fu solo il monarca a parlare: "Ricordi ancora il giorno in cui c’incontrammo, mio discepolo? Come quelle bestie inferiori scapparono al mio cospetto e morirono rapide per mano del mio Primo Generale? Ebbene quelle belve, allora, avevano capito una realtà: si trovavano dinanzi a dei veri predatori; poiché questa era la nostra natura.

Gli uomini non sono poi così diversi dagli altri animali: hanno virtù superiori come raziocinio, in alcuni casi; camminano su due zampe, anziché su quattro; hanno il pollice prensile, ma tutte queste piccole cose non sono altro che uno sviluppo evoluzionistico, alla fine, anche noi siamo bestie, ma alcuni sono delle belve, incontrollabili, selvagge e pericolose, altri sono mansueti, altri ancora sanno quando mostrare gli artigli per il bene non solo proprio, ma anche di chi gli è caro.

Questo voglio creare: un esercito di guerrieri che sappiano mostrare gli artigli, o le altre loro armi naturali, per proteggere la terra natia e, al fine di fare ciò, abbatteremo ogni nemico, ogni ostacolo, ogni credo che possa minacciare ancora l’Africa! Per questo indosseremo l’aspetto di bestie e come tali combatteremo, per riunire le nostre terre diverremo i predatori e dimostreremo ai nostri nemici che loro sono solo prede.", sentenziò chiaro il Re africano.

"Ed ora tu, Gu del Fosa, mio discepolo, diverrai, secondo solo a Mawu e Moyna, il Terzo Artiglio del mio esercito, il terzo comandante delle schiere al seguito di Ogum del Leone Nero.", ordinò deciso il monarca, "Ed ora, mostrami il tuo rispetto e la lealtà.", imperò quindi, puntando la mano verso il basso, prima che tutti e tre i seguaci presenti s’inginocchiassero sulla gamba sinistra, portando poi il pugno destro dinanzi alla fronte china, "Lode a Re Ogum!", urlarono poi all’unisono.

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"Capite dunque, prede? Dovete piegarvi alla realtà dei fatti: io qui sono l’unico cacciatore e mai s’è visto che un cacciatore sia sconfitto da chi sta predando.", concluse Gu, dopo il proprio racconto, prima di avvertire una colonna di luci che s’alzava sulla propria sinistra, luci che gli ricordarono molti anni prima, nel Ghana, quando aveva incontrato per la prima volta il Quinto Generale.

Per un attimo, il dubbio che Ntoro fosse stato sconfitto, passò nella mente del Terzo Artiglio, che avvertiva anche il cosmo di Acoran esplodere in uno scontro sempre più impetuoso, come un’ondata d’energia sulla destra fece intuire, probabilmente il susseguirsi di una battaglia impetuosa.

"Sembra che debba muovermi, in fondo, come discepolo del Sovrano d’Africa, io solo potevo dimostrarmi il più potente fra i Comandanti d’Armata, oltre a Mawu.", sibilò fra se il Fon, volgendosi ai tre nemici, ora di nuovo tutti in piedi, gli uni accanto agli altri, "Dite addio alla vita, prede, l’urgenza mi costringe a chiudere con il colpo migliore di cui sono padrone la caccia!", sentenziò deciso.

Il palmo della mano sinistra fu circondato dall’energia oscura del Generale, che sollevò l’arto sopra il capo, pronto a calarlo con violenza, ma, prima di poterlo fare, una sagoma piombò dal cielo, cadendo in mezzo fra i quattro avversari e rivelando delle nere vestigia alate, quando la polvere si dissolse.

Solo Gu lo riconobbe.

Colui che era appena arrivato sul campo di battaglia era il Secondo Generale, Moyna dell’Aquila Urlante.