Capitolo 32: Il Respiro della Polinesia

Non appena le porte si chiusero alle loro spalle, i tre Areoi si ritrovarono da soli nella sala con la figura in penombra, una figura che avanzò silenziosa e tranquilla, fino a fermarsi dinanzi a loro.

"Hakona.", sibilò Maru del Narvalo, "La Lucertola Malefica…", continuò Tawhiri della Torpedine, "Il fautore di tutti questi tradimenti negli Avaiki e la causa prima della loro caduta.", ringhiò Toru dello Squalo Bianco, lasciando esplodere il proprio cosmo feroce.

"No, non sono niente di tutto ciò.", esordì di rimando la voce del nemico celato dalle ombre, la luce che filtrava dalle ampie vetrate che dividevano la sala dall’oceano al suo esterno, sembrava non riuscire ancora ad inquadrarlo, "Non sono un traditore, poiché non ho tradito ciò in cui credo, cioè che debbano essere gli uomini di Polinesia a comandarsi e non gli dei a dirci cosa dobbiamo fare; non sono mai stato la Lucertola Malefica, come alcuni nell’Avaiki di Pili amavano dire; né tanto meno sono più Hakona! No, sono asceso ad un nuovo Io, sono il Rivoluzionario che darà ordine a queste terre un Nuovo Ordine, sono colui che porterà un’aria fresca di libertà a tutti voi, anzi io sono il Respiro della Polinesia!", esclamò convinto l’uomo che avevano davanti, "Sono Maui di Whiro.", concluse, facendo pochi passi avanti, così che i tre potessero, infine, vederlo.

Le vestigia erano bianche ed integrali; ricoprivano le gambe con quelle che sembravano le due parti di una lunga e sinuosa coda, fino a giungere all’altezza dell’inguine, lì due zampe di lucertola si congiungevano, costituendo una cintura con una piastra protettiva frontale; il tronco dell’armatura era il corpo stesso dell’animale che si voleva rappresentare, un tronco ricco di spuntoni, così come la protezione delle gambe e quelle le braccia, spuntoni che disegnavano quasi un ghigno maligno sullo sterno del guerriero, mentre si aprivano in una chioma di ispidi aghi sulla schiena.

Le spalliere, poi, erano costituite dalle restanti due zampe: erano piccole e poggiate quasi sulla pelle, a malapena si notavano, al contrario delle difese sulle braccia, che costituivano le gambe dell’animale rappresentato.

L’elmo integrale, infine, era una testa di un Diavolo Spinoso, una particolare lucertola diffusa principalmente nei deserti australiani, ricco di punte ed aghi che, simili a molteplici corna, adornavano e coprivano il capo di quell’Areoi, rendendolo minaccioso e malefico al solo vedersi.

Gli occhi grigiastri dell’avversario, scrutavano i tre servitori di Ukupanipo, intenti a guardare le forme della sua armatura.

"Maui di Whiro? Hai scelto tu questo nome per te stesso, rinunciando a quello di Hakona del Moloch?", domandò secco il comandante del trio di sopravvissuti.

"Esatto! Perché tenermi il ruolo di un insulso rettile mortale, quando, con l’appellativo di Lucertola Malefica che tutti affibbiavano al povero Hakona, sarei stato più adatto come custode delle vestigia di Whiro, la divinità lucertola che rappresenta il Male? Non ho forse avuto ragione?", chiese beffardo, mentre, ai movimenti del capo, i capelli, di un marrone scuro, si rendevano nitidi sulle candide vestigia.

"Ed il nome Maui, perché?", incalzò Maru, "Dubito che voi non sappiate chi egli sia: un eroe del Mito, lodato sia a Tahiti, sia alle Hawaii, sia qui, in Nuova Zelanda; diverse leggende si legano a questo nome e ho deciso che anche la mia lo avrebbe fatto! Il Respiro della Polinesia, Maui!", esclamò ancora, con evidente soddisfazione, il Ladro di Divinità.

"Una leggenda che finirà prima di iniziare!", ruggì furibondo Toru, lanciandosi all’attacco, subito seguito da Tawhiri e Maru.

Il possente cosmo dello Squalo Bianco già circondava il suo padrone, che tentò d’affondare un possente gancio sinistro contro l’addome del nemico, ma si ritrovò a concludere il movimento troppo vicino al proprio corpo, senza sfiorare minimamente il nemico, quasi fosse stato vittima di un errore visivo, nell’avvicinarsi allo stesso.

Sorte non diversa toccò al guerriero del Narvalo che, oltrepassato il comandante, leggermente confuso, tentò un affondo con la punta del giavellotto, trovandosi ad affondare nel vuoto, a poco meno di tre passi dal suo nemico, che, però, aveva dinanzi a se, solo se braccia avevano sbagliato bersaglio.

Ed anche l’Areoi della Torpedine, nel tentativo di scatenare un fulmine, che già vibrava fra le sue dita, addosso al comune avversario, si ritrovò a far sprofondare la mano nel vuoto, a poco meno di due passi dalla sinistra dello stesso, come se, nel compiere il balzo con cui si era diretto contro il bersaglio, avesse sbagliato il movimento.

"Nessuno di noi è riuscito anche solo a sfiorarlo!", esclamò sbalordito Maru, espandendo il proprio cosmo, pronto a riprendere l’assalto, "Tutti abbiamo colpito il vuoto, come se si fosse mosso troppo velocemente perché lo seguissimo con gli occhi.", commentò indispettito Tawhiri, espandendo il proprio cosmo, "O come se un inganno ci celasse la sua vera posizione!", continuò Toru, pronto a colpire.

"Quale che sia il trucco, comunque, non sfuggirà alle Fauci dello Squalo Bianco!", urlò deciso il comandante, scatenando la potenza soggiogata dai suoi possenti pugni e dirigendola, deciso, contro il nemico che vedeva immobile ad osservarli compiaciuto.

Quando, però, i possenti denti del grande predatore dei Mari non si chiusero sulla candida lucertola, anzi parvero piegarsi e dirigersi di nuovo contro di loro, ruotando, come soggetti ad una spirale che ne pilotava le manovre, tutti e tre gli Areoi rimasero sbalorditi e solo Tawhiri fu abbastanza veloce da sollevare l’Elettrogenesi, provando a contenere la furia che stava cozzando contro di loro, ma che fu impossibile da ridurre, sollevandoli dal suolo e schiantandoli a diversi metri di distanza, doloranti.

"Ancora un buco nell’acqua, sciocchi seguaci di un tempo passato. Rinunciate alle velleità, non avete speranza alcuna di vittoria, così facendo.", rise divertito Maui, osservando i tre rialzarsi, "Forse potremmo non avere possibilità, eppure, mi è bastato attaccarti con il più debole dei miei colpi, per capire la verità dietro i falliti dei nostri colpi.", commentò laconico Toru, rimettendosi in piedi, "Tu controlli il vento.", concluse.

"Complimenti, comandante di questo Avaiki, ottima deduzione.", esordì di rimando l’altro, "Eppure avresti dovuto comprenderlo subito: fra le tante leggende legate a Maui, vi è anche quella in cui l’eroe polinesiano assoggetta a se i quattro venti.

Primo fra tutti, Hakona Tipu, il vento del Sud; il mio vecchio io, piegatosi e resosi servo della mia vera natura e del destino a cui sono prossimo ormai.", spiegò soddisfatto il Ladro di Divinità, facendo un cenno con il capo, come a sottolineare la propria superiorità.

"Non sei prossimo a nessun destino, traditore della tua gente! Pensi che il vento ti renda invincibile? Ebbene, taglierò le maglie d’aria che ti proteggono e ti raggiungerò!", ruggì deciso Maru del Narvalo, caricando frontalmente il nemico.

"Corno Perforante!", invocò Maru, ed in quel colpo condensò tutta la rabbia per la morte di Tara, per la scomparsa del suo maestro, per l’aver dovuto affrontare ed uccidere uno dei suoi compagni d’addestramento; per tutto quello, anche quando l’aria che circondava e vorticava attorno al guerriero di Whiro stava per spingerlo ad affondare al suolo, l’Areoi continuò la sua carica, finché non sentì più niente a contrastarlo, se non una densa e maestosa barriera, portatasi proprio sulla punta del corno.

Era immobile, paralizzato da un condensarsi d’aria che diventava sempre più palpabile, quasi visibile, un’aria che stava surriscaldando lo stesso giavellotto da lui impugnato, un’aria ricolma d’energia cosmica.

"Dimmi, compagno polinesiano, sai, secondo il mito, quale fu il secondo vento ad assoggettarsi al grande Maui? Per primo il freddo vento del Sud, proveniente dall’Antartide, Hakona Tipu, poi, per secondo, il vento del Nord, che lasciava fluire i caldi soffi dei vulcani Hawaiani, lo stesso che ora proverai sulle tue carni, ancora a malapena difese da quelle bianche vestigia.", lo minacciò l’alleato del Re Nero.

"Preparati! Ecco il Vento del Nord, ecco Matuu!", esclamò deciso il guerriero di Whiro, lasciando che l’aria che s’era condensata dinanzi a lui, quasi fosse una bolla, esplodesse, investendo con un soffio caldo, a dir poco incandescente, l’Areoi che lo stava fronteggiando.

Gli altri due guerrieri sacri ad Ukupanipo osservarono il compagno volare malamente al suolo con evidenti segni di ustioni sul corpo, prima di volgersi entrambi contro il comune nemico.

"Comandante, lo lasci a me: può anche essere padrone dei venti, costui, ma non si muoverà mai veloce quanto un fulmine!", sentenziò deciso Tawhiri, scattando da solo contro Maui.

Soffriva il guerriero della Torpedine, il suo corpo stava lamentandosi, in modo sempre crescente, dal momento in cui aveva affrontato il Quinto Generale; ma Tawhiri non aveva incontrato Akuj, né aveva avuto modo di parlare con Tara, prima che morisse, così non poteva immaginare quale fosse il potere insito nella Pioggia di Larve che Ntoro aveva scagliato contro di lui e, anzi, avrebbe dovuto ringraziare la sorte che, a lanciargli contro quella tecnica, fosse stato il guerriero della Testuggine Raggiata, e non quella della Licenide, a colpirlo.

Più del corpo, però, a soffrire era lo spirito dell’Areoi: da quando quelle porte si erano spalancate, anzi, da alcuni secondi prima, non aveva più avvertito il cosmo della divinità a cui era fedelmente asservito, Ukupanipo.

Per Tawhiri, abituato a nuotare fra le vastità degli oceani, che quotidianamente restava più in comunione con i pesci, che non con gli uomini, la presenza di Ukupanipo era qualcosa di, se non evidente, quanto meno di percepibile e riconosciuta, qualcosa che aleggiava su di lui come un caldo abbraccio, come un soddisfatto sguardo e che lo rendeva orgoglioso di sentirsi più simile ad un animale, che non ad un uomo.

Ora, però, quella presenza era scomparsa: il guerriero polinesiano non avvertiva più attorno a se la divinità a cui aveva giurato fedeltà, sentiva solo un grande vuoto, sentiva i cosmi dei diversi individui presenti in quell’Avaiki, sia i due Areoi suoi compagni, sia quello del nemico dinanzi a lui, sia quelli dei restanti combattenti al di là delle ampie porte di pietra, ma non l’essenza divina del Signore dei Pesci e questo lo faceva soffrire.

L’ira dovuta a quel dolore era tale da renderlo insensibile alle sofferenze del corpo, tanto che, lasciando esplodere al massimo cosmo elettrizzante, l’Areoi si gettò alla carica del guerriero di Whiro.

I pugni, ricolmi d’energia cosmica, sferzarono l’aria, quando Tawhiri fu prossimo al suo bersaglio, ma, anziché affondare fra le carni dello stesso, l’Areoi vide qualcosa che mai avrebbe creduto possibile: il vento stava piegando le scariche elettriche, disperdendole.

"Sorpreso, mio caro polinesiano? Eppure avresti dovuto comprenderlo fin dall’inizio. Le correnti d’aria sono quelle che permettono alle nubi di condensarsi, le correnti d’aria che io comando! Tu sei un semplice uomo, io un eroe che può duellare con gli dei! Come speri di raggiungermi con le tue insulse scariche elettriche?", domandò ancora Maui, spingendo indietro il nemico con un’ondata d’aria.

Tawhiri fu respinto e barcollò per qualche passo, prima di fermarsi e spiccare un agile salto a mezz’aria, "Non fai altro che darmi maggiori vantaggi così!", lo ammonì subito l’avversario, liberando una corrente ascensionale che bloccò i movimenti dell’Areoi, intrappolandolo in un mulinello d’aria, un vero e proprio ciclone che fece ruotare ad altissima velocità il seguace di Ukupanipo, tanto da fargli quasi salire un pesante senso di nausea su per lo stomaco.

Il guerriero polinesiano dovette far esplodere al massimo della potenza il proprio cosmo, per riuscire a liberare delle scariche elettriche piovessero verso il nemico dalle vestigia di bianca lucertola, così da costringerlo ad indietreggiare di qualche passo, liberando l’altro dalla stretta dei venti.

Di nuovo con i piedi al suolo, l’Areoi condensò l’energia nei pugni, aprendoli dinanzi a se, e scattò deciso per affondare gli stessi nell’addome del nemico; "Scariche della Torpedine!", invocò il polinesiano, ma l’energia elettrica non riuscì mai a raggiungere il guerriero di Whiro, anzi le scariche elettriche parvero quasi schiacciate contro una superficie invisibile, qualcosa che sembrava addensarsi attorno al corpo di Maui rendendolo inarrivabile per qualsiasi attacco, qualcosa su cui le scariche d’elettricità si dispersero, mentre l’energia che circondava il Ladro di Divinità prendeva ora una forma più palpabile in una serie di grosse bolle che s’andavano formando fra i due contendenti.

"Come il tuo compagno prima di te, Tawhiri, ti concedo di affrontare il secondo dei venti a me soggiogato: ecco il Vento del Nord, Matuu!", esclamò deciso il bianco avversario, lasciando detonare quelle decine di sfere, la cui calda e soffocante corrente travolse il guerriero polinesiano, producendo ustioni, lì dove la pelle era già ferita, e schiantandolo a terra, stordito.

Lo sguardo del traditore degli Areoi si fermò su quello del comandante di quello stesso Avaiki, per alcuni interminabili istanti i due si rivolsero occhi carichi d’odio e disprezzo, prima che l’evidente desiderio di sfida riempisse l’area circostante i due, pronti a lanciarsi l’uno contro l’altro; fu però un singolo rumore, o più correttamente, un lamento, a fermarli: il suono della voce di Maru del Narvalo.

"Aspetti, comandante, lasci combattere me.", sussurrò semplicemente l’altro guerriero sacro ad Ukupanipo, stringendo di nuovo fra le dita la propria arma e sollevandosi in piedi, per poi scagliarsi in una carica frontale contro il nemico.

"Sei forse instupidito a causa del caldo vento del Nord? O è stata la perdita dei compagni d’arme, del maestro e dell’amata a farti impazzire, Areoi?", domandò impassibile Maui, che osservava la punta del giavellotto dirigersi contro di lui, per poi affondare a qualche metro di distanza, sulla sua sinistra, nel vuoto, accompagnata dalle correnti di vento.

"Né venti caldi, né venti freddi potrebbero scuotermi dalla mia determinazione!", ammonì Maru e, in quello stesso istante, mentre il giavellotto veniva portato leggermente indietro, pronto per colpire di nuovo, gli occhi del guerriero del Narvalo cercarono quelli del suo comandante, che notò quello strano comportamento.

"Sei stato la causa del tradimento di Rorua e di suo fratello; la motivazione prima che li ha spinti ad attaccare ed uccidere il maestro Afa e la saggia Tiotio.

Per colpa della tua folle idea, molti Areoi si sono uniti a te, uccidendo i loro compagni, massacrando altri seguaci di diverse divinità: Laka di Poukai, perché tu hai stuzzicato, indirettamente, la sua avidità, ha ucciso Io del Barracuda.

Per la tua alleanza con l’Esercito Nero, siamo stati invasi, le nostre divinità derubate del loro potere ed affogate nella dimenticanza; i nostri compagni uccisi e le persone amate perse!", ringhiò ancora il guerriero, spazzando l’aria con la lama tagliente del giavellotto, che trovò ben più attrito del normale in quel semplice gesto.

"Per colpa tua, Tara è morta! Ci hai separati, concedendole di rincontrare la sua maestra, ma privandomi della sua vicinanza! Dovrei essere felice per lei, ma non posso non soffrire della mia solitudine!", ruggì ancora, sferrando un nuovo affondo, con una veloce rotazione dell’arma fra le esperte mani.

Ancora una volta, il vento rallentò l’attacco, impedendo che la lama perforasse la distanza minima per poter raggiungere Maui, ma ad ogni nuovo colpo che sferrava, l’Areoi del Narvalo si volgeva, per un battito di ciglia, un istante di tempo minimo, verso Toru, quasi cercasse qualcosa, ma, il comandante lo sapeva bene, non era aiuto ciò che voleva, bensì qualcosa di diverso, qualcosa che al neozelandese fu chiaro ad ogni nuovo colpo, istante dopo istante.

"Rinuncia, disperato e solo guerriero, la tua lama non può raggiungermi, né ora, né mai!", esclamò d’un tratto il guerriero di Whiro, liberando una corrente d’aria che respinse indietro Maru, costringendolo a piantare al suolo la parte tagliente del giavellotto perché potesse fare da freno alla spinta che la corrente nemica gli rivolgeva addosso.

"Puoi usare tutti i trucchi di questo mondo, lucertola, come ti ho già detto: i venti, caldi o freddi che siano, non mi scuoteranno dalla mia determinazione, e nemmeno questa glaciale e più selvaggia corrente potrà riuscirci! Ora assaggia parte della mia disperazione, assaggia la Coda Tagliente!", ruggì determinato l’Areoi, sferrando il secondo dei suoi attacchi contro l’avversario.

Sia Maru, sia Toru, videro la potenza dell’attacco cozzare contro un’invisibile parete a diversi centimetri di distanza dal nemico, una parete su cui l’energia parve spalmarsi, prima di perdersi, lasciando al suo posto una complessa semisfera d’aria, una semisfera che, ben presto, mutò in un globo, una bolla, che preannunciava qualcosa che ambedue i seguaci di Ukupanipo avevano già visto, qualcosa di pericoloso.

"Siccome sembri essere sordo alle mie parole, sarà un altro il mezzo con cui t’impartirò una lezione, sciocco Narvalo, ecco di nuovo per te il Vento del Nord, ecco Matuu!!!", esclamò deciso Maui.

L’ondata d’aria incandescente travolse ancora una volta il combattente armato di giavellotto, bruciando nelle ferite che i precedenti scontri avevano lasciato sul suo corpo e gettandolo a terra, ma con un sorriso, seppur debole, che ancora ne segnava le labbra, mentre un sordo tonfo indicava l’arrivo al suolo, poco lontano da Tawhiri.

Fu Toru dello Squalo Bianco a farsi allora avanti, con passo deciso.

"Ti ho atteso molto, comandante delle schiere di Ukupanipo! Sarai il secondo, fra le guide dei cinque Avaiki, a cadere per mia mano, dopo Moko, che di Hakona fu il diretto superiore!", lo ammonì sicuro di se Maui, osservando l’avversario fermarsi a quelle parole.

Un lampo di tristezza balenò negli occhi dell’Areoi: come Apakuera, così anche il più gioviale ed arzillo Moko, comandante dell’Avaiki hawaiano era stato ucciso; non che lui sperasse nella loro sopravvivenza, dato quanto era successo in quel lungo giorno, ma scoprire che entrambi erano morti sapendo che tutti i loro compagni e tutti i seguaci che avevano promesso di proteggere erano caduti, non gli diede certo la sicurezza che il loro trapasso fosse stato indolore, anzi, era indicativo di come quelle morti fossero state ancora più dolorose, se possibile.

"Perirai, Lucertola Malefica, te lo assicuro. E sarà il pugno di Toru dello Squalo Bianco a sancire la tua fine!", ruggì deciso il Comandante dell’Avaiki subacqueo, caricando d’energia le braccia e lanciandosi all’attacco con indicibile furia.

La potenza del diretto sinistro, però, fu bloccata a diversi decimetri dal bersaglio: il guerriero neozelandese avvertiva la corrente d’aria che impediva al suo braccio d’avanzare, un muro invisibile, che non si piegava alla pressione del pugno, un muro denso e… tiepido!

Fu allora che le parole di Maru iniziarono ad avere un senso per lui, ma non poteva ancora dirsi certo dell’idea che balenava nella sua mente, doveva saggiare quella difesa, prima di poter anche solo provare a distruggerla; così, piegando leggermente il corpo, Toru scatenò un gancio destro, che andò a gettarsi sul medesimo punto dove ancora la mano sinistra spingeva, facendo duplice forza, una forza che premeva contro qualcosa di invisibile, ma non per questo assente.

"Rinuncia, Squalo Bianco, abbraccia il tuo destino, ormai segnato!", lo redarguì Maui, senza però ottenere la minima replica dall’avversario che, invece, lasciò esplodere con maggiore decisione la bianca emanazione del suo cosmo, che esplose simile ad una maestosa creatura acquatica dietro di lui e per un attimo, il guerriero di Whiro vide giungergli addosso la belva dei mari, tanto che, perse la compostezza che fino allora lo contraddistingueva ed aprì le mani dinanzi a se, scatenando una violenta corrente d’aria, tanto forte da sollevare da terra il massiccio Areoi, spingendolo indietro di diversi passi.

Toru, però, fu lesto nel ritrovare l’equilibrio e poggiare i piedi al suolo, scattando in avanti, alla carica contro l’avversario, le braccia di nuovo colme d’energia cosmica, un nuovo gancio sinistro cozzò sull’invisibile e tiepida barriera che difendeva il nemico dalle bianche vestigia di lucertola.

"Rinuncia!", ripeté di nuovo Maui, ma non ricevette attenzione alcuna dal nemico, "Devi comprendere che non v’è speranza di vittoria per te, non puoi superare le difese che i venti mi concedono!", lo ammonì ancora.

"Non ho di che preoccuparmi delle tue difese, poiché ho capito il modo in cui controlli i venti e, come ha detto Maru, non saranno le correnti calde e fredde che domini a fermare la mia determinazione, né fermeranno la potenza del mio destro, la potenza del più potente degli animali acquatici!", ruggì deciso il comandante dell’Avaiki di Ukupanipo, il cui braccio destro era ricolmo d’energia, "Predatore dei Mari! Colpisci!", urlò determinato l’Areoi, scatenando la potenza di quel diretto nello stesso punto dove già il gancio sinistro stava tartassando le difese nemiche.

Per la prima volta, l’attacco che si scontrava con le difese di Maui non si disperse, bensì, come poté vedere Toru, iniziò ad oltrepassare la barriera di vento, che, ora colma dell’energia cosmica nemica, che su di lei premeva, si rivelò essere una condensata unione di quelle che sembravano gocce, quasi nuvole dalla forma sferica, una brina che si condensava simile ad una nebbia invisibile, fino a pochi istanti prima.

"Volevi che ti mostrassi il caldo vento del Nord? Ebbene, eccolo! Matuu!", ruggì di rimando Maui, liberando quella condensazione di piccole gocce, che esplosione in un’ondata di calore lancinante, andando a scontrarsi con il furioso predatore marino liberato dall’altro Areoi.

La furia dei due cosmi continuò a duellare ancora per qualche istante, prima che entrambi fossero scagliati indietro, distanziati dall’esplodere delle loro energie, che fece tremare l’intera sala, costringendoli ad occupare qualche secondo per riprendersi e ritrovare l’equilibrio, per quanto il guerriero di Whiro riuscì, semplicemente pilotando le correnti attorno a se con il cosmo, a trovare come fermarsi e rimanere in piedi, mentre l’altro dovette compiere una mezza capriola per riuscire a poggiare al suolo le mani ed ottenere così l’attrito necessario a frenarsi.

Anche Tawhiri e Maru, malgrado le ferite, furono risvegliati dall’esplodere di quel cosmo e spinti a rialzarsi, affiancandosi al loro comandante, che ora osservava deciso e furioso il nemico. "Come hai potuto osservare, Lucertola Malefica, le tue aspirazioni ad ascendere ai miti della Polinesia, sono ben lungi dall’avverarsi! Hai sottovalutato la nostra esperienza e determinazione e questo è stato il tuo primo errore! Credevi fosse che nessuno di noi si fosse accorto del vento che usi per difenderti, ben diverso da quello con cui ci scagliavi lontano? Per primo il mio compagno d’addestramenti me ne ha dato indizio, poi l’ho scoperto io stesso: la tua difesa è come una condensazione di nubi, generate dall’incontro delle correnti calde e fredde, come dici tu, il vento del Nord e del Sud rispettivamente. Mi è bastato interrompere il contatto fra le due correnti, produrvi una crepa con il mio cosmo, perché la potenza dell’attacco sferrato con il destro ti raggiungesse, o almeno vi arrivasse vicino.", spiegò determinato lo Squalo Bianco.

"Hai visto bene, mi complimento, mio confratello polinesiano, anzi, mi complimento con tutti voi che siete riusciti a muovermi dalla mia posizione, potrei perfino risparmiarvi la vita se mi promettete fedeltà eterna e giurate di diventare miei seguaci nel compimento di questo cambiamento epocale!", esclamò soddisfatto Maui.

"Seguaci come Laka? Che non aveva interesse per niente che non fosse se stessa? No, non tradirò mai i pesci ed i mari della Polinesia, che per colpa tua sono privi del loro Signore!", ringhiò Tawhiri, espandendo il proprio cosmo.

"La stessa fedeltà che hai richiesto ai fratelli Aremata, costringendoli a combattere ed uccidere chi era loro amico? No, mai tradirò i compagni caduti, mai tradirò l’unica persona a cui avevo offerto la mia stessa esistenza, la donna da me amata, per colpa dei tuoi intrighi, ormai persa.", ribadì deciso Maru, sollevando l’arma pronta alla battaglia.

"Vuoi che ci affidiamo allo stesso cambiamento epocale con cui hai confuso Tuna, costringendolo a tradire i compagni? No, mai lo farò! Hai saputo ingannare chi era debole di spirito ed accecato dall’insoddisfazione, ma mai avrai vittoria facile su di me. Preparati a cadere.", ruggì infine Toru, dalle mani già colme di energia devastante.

"Folli! Voi non capite e rinunciate per questo all’ultima speranza di salvezza! Ebbene, cadrete!", minacciò di rimando il guerriero di Whiro, "Come hai ben dedotto, Toru, grazie a Hakona Tipu ed a Matuu creo la mia difesa, poiché il secondo vento genero per tale fine, mentre il primo è parte stessa del mio cosmo, reminiscenza della mia passata natura di semplice uomo.

Ora, però, basta pensare alla difesa, vi scaglierò addosso quel vento che finora avete avvertito come brezza, quando vi spingevo via.

Ecco, dopo il Sud ed il Nord, il terzo vento che fu soggiogato ai tempi della Leggenda, il vento dell’Est, che muove le correnti impetuose dell’Oceano! Ecco Matagi!", invocò il traditore degli Areoi, liberando una corrente gelida, ma, altresì, mille volte più impetuosa di quanto non fosse stata quella che avevano fino a quel punto affrontato i tre seguaci di Ukupanipo.

I loro corpi furono sollevati dal terreno e gettati alti contro le pareti superiori della vasta sala di pietra, mentre crepe, per il solo contatto con quella corrente d’aria ed energia, si aprivano sulle bianche vestigia a forma di pesce, provocando urla di dolore da parte dei tre guerrieri, prima che la forte raffica del vento d’Oriente si fermasse, gettandoli al suolo, sanguinanti e stremati.

Per alcuni secondi, in silenzio, Maui li guardò, prima che un ironico cenno di risata nascesse dalle sue labbra: "Buffo come proprio da Oriente giunga per voi la fine, come ad Oriente si trova l’Isola di Pasqua, dove l’inizio della mia Leggenda ha avuto origine.", rise fra se.

"A tanto arriva il tuo ego?", lamentò dolorante Toru, rialzandosi leggermente, "Consideri la tua isola natia il luogo dove ha avuto inizio la tua leggenda?", domandò ancora, ma l’altro accennò un sorriso di superiorità nel rispondergli con parole che lo sorpresero: "Non perché sull’Isola di Pasqua il mio vecchio me stesso ha avuto i natali, lo considero il luogo da cui ha avuto inizio la mia Leggenda, bensì perché lì incontrai per la prima volta gli uomini che mi proposero di unirmi alle schiere di rivoluzionari che cambieranno l’ordine del mondo! Lì ebbe inizio il mio cambiamento!", spiegò con evidente soddisfazione il guerriero traditore dei polinesiani.

"Che cosa vuoi dire?", incalzò ancora lo Squalo Bianco, "Ti racconterò dell’inizio delle mie gesta, quando dal semplice uomo, Hakona, che un tempo ero, iniziai il mio mutamento nell’eroe mitico che ora sono diventato. Che questa storia sia il tuo commiato al mondo, l’origine della forza che ti sconfiggerà, come già ha sconfitto le divinità a te tanto care, è giusto che tu la conosca.", concluse divertito il combattente di Whiro, iniziando poi il suo racconto.

"Ero tornato al mio villaggio natio per un lutto causato dalla malvagità dell’uomo, un’azione inconsulta di uno stupido che aveva portato alla dipartita di un famigliare a me caro.", iniziò a raccontare Maui, "I parenti di Hakona desideravano che fossero gli uomini dell’Avaiki di Rongo, il dio della Pace, che risiedevano sulla nostra isola, a celebrare il rito funebre; in fondo, la persona che aveva abbandonato questo mondo era sempre stata una persona di pace, buona con tutti e, proprio per questo, era caduta sotto le mani della sconsideratezza umana.

Fu chiesto a Hakona, che, in fondo, era un Areoi al pari di quelli che abitavano l’Avaiki, di richiedere per tale rito, ma il primo giorno, il seguace del dio Pili non poté entrare attraverso quelle ampie porte: non perché non vi fosse nessuno ad accoglierlo, ma semplicemente perché il cosmo del divino Rongo non lo considerava degno, trovava il suo cuore impuro, privo del sentimento di pace necessario!", esclamò furibondo il traditore.

"Fu così il primo giorno, che Hakona passò dinanzi alle porte, dando la colpa al suo senso di giustizia, forse, al suo desiderio che il responsabile della morte di quella sua parente, lo sciocco che in uno scatto di follia l’aveva portata alla morte, venisse punito come meritava.

Il secondo giorno, però, non fu diverso: ancora quel desiderio nella mente di Hakona, ancora il compito di porre quella richiesta fra i suoi doveri famigliari, ed ancora le porte che non si aprivano al suo passaggio.

Così anche il terzo, finché non accadde qualcosa di inatteso, di incredibile per Hakona, e per me che da lui ho avuto origine: la madre della vittima, una donna anziana, che non aveva voluto incontrare il carnefice, che non aveva alcun interesse nel punirlo, poiché ciò non gli avrebbe di certo ridato quello che aveva perduto, a suo dire, chiese d’entrare nell’Avaiki e le fu concesso! Lei riuscì ad ottenere il rito funebre, per il giorno successivo.

Molti parenti ebbero il permesso di varcare quelle porte, il giorno dopo, anche chi provava rancore ben evidente, ne ebbe il diritto, ma Hakona no! Egli… io, dovetti restare fuori dal tempio, non mi fu concesso di presenziare alla morte di una delle persone con cui avevo passato la mia infanzia, la mia giovinezza, prima di accettare di seguire le divinità delle mie terre! Proprio una di quelle divinità mi considerava indegno, mi scacciava!", ruggì infuriato Maui.

"Cieco di rabbia e rammarico, vagai per un’isola quel giorno quasi vuota, e, sul versante orientale della stessa, mi ritrovai circondato da tre uomini incappucciati, seduti su alcuni degli alti moai che contraddistinguevano quella costa: dapprima non li avevo notati, era come se fossero apparsi dal nulla, eppure i loro cosmi, o almeno quelli di due di loro, erano immensi, più vasti di quanto mai avessi avuto modo di percepire o vedere.

Secondo i miei canoni del tempo, i loro poteri erano più grandi di quelli di Moko, o persino dei tuoi, Squalo Bianco: erano cosmi immensi.", spiegò con voce, ora, quasi rapita.

"Chiesi loro chi fossero, per quale motivo si trovassero nelle terre sacre alle divinità polinesiane, ed essi mi risero in faccia, affermando che gli dei che veneravo erano tanto ciechi alle mie richieste di poter onorare le persone care, quanto lo erano alla loro presenza su quella stessa isola, che ormai da quasi dieci anni abitavano stabilmente, nascondendosi fra i suoi vulcani, insieme ai loro compagni.

Hakona, allora, li etichettò come nemici, e cercò di colpirli con i suoi insulsi poteri, ma bastò che uno di loro, lo stesso che lo aveva schernito, agitasse una mano, ed il vento del Sud fu disperso, inghiottito nel nulla, senza avere la minima possibilità di colpire uno dei tre che aveva dinanzi.

Quello stesso uomo continuò a parlare, dicendo che comprendeva come mi sentivo, rifiutato dai miei stessi dei, ma che non era per la sola sete di giustizia che Rongo non mi aveva concesso varcare le porte del suo Avaiki, non solo per quello, ma per la sensazione che, di certo, mi agitava il cuore da sempre: la certezza che per me, per la mia gente, ci fosse un futuro migliore di quello che la devozione alle divinità ci prospettava.

Quei tre mi si avvicinarono, quello dal cosmo più debole mi rivelò il suo volto: non era molto diverso dal mio, disse di essersi da poco unito a quel gruppo di uomini illuminati, che egli proveniva dagli altipiani australiani, che come me aveva vissuto tutta la vita credendo che le divinità giudicassero equamente le sorti degli uomini, ma che quelle stesse divinità avevano lasciato le sue terre in mano alle malattie, alle schiavitù ed alle calamità naturali.

Mi disse che gli uomini non potevano essere giudicati per le loro azioni nell’altra vita, più che in questa, da entità che non si curavano e non manifestavano in alcun modo il loro benestare; ma Hakona non fu molto catturato dalle sue parole.

Fu invece l’uomo che per primo aveva parlato a conquistare la mia attenzione: mosse semplicemente le mani e d’improvviso, ci ritrovammo in altri luoghi, oltre i confini della Polinesia, luoghi a me ignoti, in cui i templi delle antiche divinità, e di quelle moderne, erano egualmente distrutti dalla furia di un Esercito Oscuro come la notte, ma portatore di un concetto diverso di libertà, un Esercito che aveva raso al suolo ogni culto che aveva incontrato lungo il proprio cammino.", ricordò con tono soddisfatto Maui.

Il giorno dopo, tornai su quel versante dell’Isola e di nuovo lì incontrai quel trio di figure ed essi mi offrirono una nuova visione di quel mondo al di fuori della Polinesia, una visione, con cui, stavolta, mi ritrovai in India, assieme ai quei tre esseri, ad osservare l’esito di una battaglia dell’Esercito Nero e lì potei parlare con l’uomo che li guidava, il loro Re, lo stesso che poc’anzi ha aperto quelle porte di pietra.", volle sottolineare il traditore degli Areoi.

"In quel momento, così come i due uomini dai cosmi più vasti, Ogum mi parve quasi una divinità, un superbo dio della Guerra che devastava tutto ciò che le suole delle sue nere vestigia toccavano, un essere onnipossente, che aveva abbattuto un altro culto, così come fatto negli anni precedenti, come egli stesso mi spiegò.

Parlai per ore con quello stesso uomo e con gli altri tre, mi descrissero il mondo che volevano creare, un mondo Nuovo, privo di divinità che giudicavano e guidavano gli uomini, ma fatto solo di uomini che guidavano i loro simili, un mondo che mi affascinava, poiché comandato da quelli che io descriverei come degli eroi, ciò che noi, Areoi, dovremmo in effetti essere.

Quando, però, alla fine di quel racconto, mi fu detto che, dopo la Thailandia e l’Indonesia, sarebbe toccata la stessa sorte di distruzione anche ai culti polinesiani, Hakona ne uscì sconvolto. Reclamò di tornare subito sulla sua isola natia e lì, abbandonò quei tre uomini, cercando riparo dalla distruzione che aveva visto, e che si prospettava anche per le divinità che aveva promesso di servire.

Il sesto giorno, poi, Hakona tornò nell’Avaiki di Pili, presso le isole Hawaii, e lì parlò con il suo comandante, Moko, raccontandogli non tutti i particolari di quanto aveva visto, ma solo dandogli un’informazione: che un esercito invincibile ed oscuro avanzava lungo un percorso che li avrebbe condotti alle nostre terre, avvisandolo del rischio che i vari Areoi e le loro divinità, correvano.

Il comandante dalle vestigia di Tiki parve oscurarsi in volto dalla preoccupazione: era sempre stato un uomo allegro, poco incline alla serietà ed alla durezza del comando, ma in quel momento non aveva tempo per gli scherzi, se ciò che il suo soldato gli aveva riferito era vero, doveva avvisare i pari degli altri quattro templi; eppure, Hakona aveva una domanda da porre, una domanda che fece: <<Ma non sarebbe un mondo migliore se fossimo noi uomini a comandarlo, anziché gli dei?>>, non furono subito le parole a rispondere per Moko, bensì un duro gesto della mano, che sbalzò a terra l’altro, con un pugno, poi il primo guerriero di Pili parlò.

<<Posso immaginare la tua sofferenza, a seguito della persona persa, ma come puoi, solo per questo, abbandonare il credo che ti ha riscaldato da sempre? La fede negli dei è insita in ogni uomo; la ricerca di qualcosa di più della loro semplice esistenza, di poteri più grandi a cui affidarsi, per trovare conforto e speranza, nel momento del bisogno. Come puoi cercare di ripudiarli? Se fossero gli uomini da soli a comandarsi, cosa ne sarebbe delle speranze per ciò che vi è dopo la vita mortale?>>, chiese a Hakona e lì, il vecchio me stesso, non ebbe come rispondergli.

Tutta la notte, però, rimembrò quelle parole, mentre Moko era assente, partito per incontrare gli altri comandanti degli Avaiki, come, credo, tu ben sappia, Squalo Bianco.", affermò, prendendo una pausa, perché l’altro ricordasse.

Ed in effetti, Toru ricordò; ricordò di quando lui, Moko ed Apakuera, si erano riuniti nel tempio della dea Ira con il comandante di quell’Avaiki, privi solo della presenza di chi governava le schiere di Rongo, schiere votate alla Pace e non alla guerra.

Lì l’Areoi di Tiki aveva parlato delle dicerie rivoltegli dal suo secondo in comando, e lì quello dello Squalo Bianco aveva accennato alla preoccupazione di Tuna ed al vaticinio che aveva offerto Tiotio della Piovra, prima di abbandonare il proprio ruolo, ma tutti e quattro avevano concordato semplicemente di continuare a mantenere sotto addestramento i propri guerrieri, troppo sicuri della distanza che divideva la Polinesia dal resto del mondo, ignari che proprio nelle loro isole si nascondevano, a ciò che ora il nemico gli stava confessando, i fautori di quelle guerre.

"Quando Moko tornò, mi raccontò che non avevate preso nessuna vera scelta, quasi vi foste piegati alla volontà delle vostre divinità e foste sicuri della fede nelle stesse, e fu allora che decisi.

La notte stessa partii per tornare nella mia isola natia e lì incontrai quel gruppo di uomini che voleva sfidare gli dei, e non vidi solo tre individui, ma un ben più folto insieme di genti provenienti da culti diversi.

Fu quello il momento in cui abbandonai per sempre la natura di Hakona per diventare Maui di Whiro; fu allora che capii quanto grande fosse il loro progetto e come ciò che si stava per creare era un insieme di uomini che sarebbero diventati i nuovi eroi del mondo mortale! I salvatori e creatori di un Mondo Nuovo, un mondo di cui farò parte, come suo fautore.

Ecco, perché, sull’Isola di Pasqua, nelle estremità orientali della Polinesia, ha avuto origine la mia Leggenda.", concluse il traditore degli Areoi, guardando ai tre nemici che ancora stavano al suolo dinanzi a lui.

"E da Est giungerà anche il vento che vi spazzerà via, ultimi resti delle passate credenze di questi luoghi! Dopo l’Avaiki di Rongo, caduto per primo; dopo quelli di Ira, Lono e Pili, distrutti da chi mi seguiva e dalle schiere del Nero Esercito, cala dunque l’epilogo anche sul santuario di Ukupanipo.

E questo epilogo proviene da Oriente ed il suo nome è quello del Terzo Vento! Ecco Matagi!", urlò infine l’Areoi di Whiro, scatenando la devastante potenza di quella corrente d’aria, che sollevò di peso i tre guerrieri polinesiani, schiantandoli ancora una volta contro il soffitto della sala.

Fu proprio mentre le urla, a stento trattenute, di dolore dei tre Areoi echeggiavano nella sala, duellando con il fragore del vento e la soddisfazione che scaturiva da Maui che avvenne l’inatteso: un’esplosione, un rumore sordo, ed il vetro che permetteva di osservare il mare al di fuori del tempio si frantumò, come mai era successo dalle sue origini, lasciando che l’acqua invadesse la sala, fino a metà, prima che il Respiro della Polinesia si preoccupasse di creare una bolla d’aria, per bloccare lo scorrere di quelle inattese acque oceaniche.

Non servirono che quei pochi secondi perché Toru, Maru e Tawhiri ricadessero al suolo e, d’improvviso, attorno a loro aprissero decine e decine di figure, tutte dalle bianche vestigia, tutte figure note, di guerrieri del tempio di Ukupanipo e di quello di Pili; riconobbero, sia i tre guerrieri, sia il loro nemico, le sagome di Tara, Kohu, Peré, Atanea, i fratelli Aremata, Ono, Iwa e tutti gli altri compagni ormai morti.

"Vedi chi hai davanti a te, Hakona? Vedi le vittime del tuo tradimento? Sono spiriti che reclamano una giustizia mortale, una giustizia che, di certo, ti sarà più gradita di quella divina, una giustizia che sarà soddisfatta solo alla tua morte!", minacciò una voce di donna, che Maui non riconobbe.

"Chi siete? Cosa vuol dire tutto ciò?", esclamò con disappunto il traditore degli Areoi, "Siamo coloro che pensavi morti, coloro che non hanno dimenticato il tuo vile agire e che per questo ti puniranno! Siamo sfuggiti agli Inferi solo per vederti andare lì per primo.", ringhiò una seconda voce, che lasciò sbalordito colui che la sentiva, poiché gli era ben nota: "Non puoi essere tu, io ti ho ucciso!", ruggì il combattente di Whiro in tutta risposta.

"Avresti dovuto indirizzare meglio il tuo colpo, Lucertola Malefica, poiché sono tornato per riscuotere la tua vita!", esclamò deciso l’altro, mentre le molteplici sagome scomparivano nella luce, lasciando, in una sala dove ora l’acqua arrivava alle ginocchia di tutti, i tre guerrieri che avevano combattuto fino a quel momento nell’Avaiki di Ukupanipo, il Respiro della Polinesia, e due nuove figure.

"Tartaruga Marina, dubitavo che potessi essere così facilmente sconfitta!", esordì lieto Toru, nel vedere una dei due nuovi giunti, prima che un sorriso si affacciasse al suo volto nel notare chi era l’altro che li aveva raggiunti: "Comandante del tempio di Pili, sono felice che ti sia unito alla battaglia!", concluse, rivolgendosi a Moko di Tiki.

Ora erano cinque gli Areoi che avrebbero affrontato quel comune avversario, l’uomo che li aveva traditi tutti.