Capitolo 4: Adunata al Santuario

La grande Arena del Tempio di Atene era un luogo abbastanza capiente da accogliere alle sue interne, decine e decine di spettatori, lungo i rigidi spalti di pietra, ed ancora più combattenti, probabilmente, avrebbero potuto sfidarsi sotto i loro occhi nell’ampio spazio dove, molto spesso, i giovani aspiranti cavalieri si fronteggiavano, sotto l’inflessibile giudizio del Sommo Sacerdote, per ottenere le sacre vestigia, quale che fosse il loro grado.

In quel luogo, così rinomato, l’Oracolo di Atena aveva richiesto l’adunata dei cavalieri d’argento, poco prima di ascoltare il resoconto del santo del Triangolo, di ritorno dalla calda Africa con notizie interessanti, questo era certo, ma, forse, anche preoccupanti.

I primi ad arrivare, bardati delle loro vestigia argentee furono tre cavalieri che di quelle terre non erano esperti, tanto da restare tutti visibilmente stupiti dalla vastità dell’Arena: erano Ludwig del Centauro, Rudmil della Corona Boreale e Juno di Cerbero.

"Cavalieri!", li salutò il giovane santo di origini austriache, facendosi avanti verso di loro, "Sapete a cosa si deve questa riunione? Cosa il Sommo Sacerdote vuole dirci?", chiese, senza far imbarazzo della sua curiosità.

"Purtroppo non ho alcuna notizia da poterti offrire in questo senso, Centauro…", disse distratto Rudmil, la cui attenzione era ormai da diversi minuti focalizzata sul luogo in cui erano stati inviati Leif e gli altri loro parigrado.

"E tu…?", incalzò l’austriaco verso l’altro giovane lì presente, "Credo di non conoscerti. Io sono Ludwig del Centauro, allievo del grande Munklar di Sagitter.", si presentò prontamente, "Piacere, cavaliere, il mio nome è Juno, Cerbero il simbolo che le mie vestigia ritraggono, mio maestro fu il nobile Edward di Cefeo.", replicò l’altro, cordialmente.

Sotto quella cordialità, però, non fu difficile notare un velo di tristezza causato da un dubbio che, lentamente, stava diventando una certezza nel cuore del giovane guerriero dalla pelle scura: il cosmo di Husheif era ormai pressoché spento.

Il dubbio ancora era presente in lui, questo era certo, in fondo vi erano dei cosmi davvero potenti che stavano dandosi battaglia in quei luoghi lontani, tanto potenti che, in confronto a quelli, la forza del cavaliere di Reticulum sarebbe stata facilmente messa in ombra, ma la preoccupazione di sapere il vecchio compagno di addestramenti morto, ottenebrava ogni speranza.

"So che sei preoccupato per il tuo compagno d’addestramento, Cerbero, credo che lo siamo tutti…", osservò, dopo alcuni secondi silenzio, l’albino cavaliere della Corona Boreale: forse, proprio perché non era il più gelido degli allievi di Vladmir dell’Acquario gli era capace intuire abilmente i sentimenti di chi gli stava intorno, oppure era quella situazione, quella continua mancanza di informazioni che divorava tutti loro con un misto di paura e curiosità, o, più probabilmente, era quella moltitudine di cosmi tanto potenti che sovrastavano quelli stremati dei cavalieri d’argento… lo stesso Rudmil aveva dovuto perdere parecchi secondi prima di captare il cosmo di Leif, ridotto ad una leggera brezza nell’aria per quanto stanco doveva essere il santo di Cetus.

"La preoccupazione è una piaga che, in questo momento, infetta tutti noi, sia come compagni d’arme, sia come maestri.", esordì d’un tratto una nuova voce, quando due figure, ricoperte dalle loro armature, entrarono nell’arena.

Il primo dei due erano un individuo noto a Ludwig e Rudmil, lo stesso veterano di diverse battaglie che li aveva accolti ad Atene, Degos di Orione, subito dietro di lui si trovava poi il suo allievo, Vincent, con indosso le vestigia d’argento, di un colore rosso acceso.

L’uomo si avvicinò sorridente al giovane Juno, un sorriso triste, ma che cercava, comunque, di rassicurare l’interlocutore, il sorriso di chi aveva la certezza che il proprio primo allievo, Menisteo, era ormai giunto nel paradiso dei Cavalieri.

"Tu sei il secondo discepolo di Edward, giusto? Il cavaliere di Cerbero. Io sono Degos di Orione, un tempo compagno d’addestramenti del tuo maestro, ricordo ancora le lunghe giornate passate con lui ed Abar ad addestrarmi, sotto l’attenta supervisione del venerando Custode della Seconda Casa, il nostro ormai defunto insegnante.", ricordò con un sorriso il santo con il volto ricolmo di cicatrici.

Vincent osservava in silenzio il proprio maestro, mentre questi stava chiacchierando con il cavaliere di Cerbero; l’attenzione del discepolo di Degos non era focalizzata su Ludwig, così come quella del santo del Centauro non cercava il suo avversario di poche ore prima, in fondo la loro lotta era stata generata dalla tensione del momento, non vi era alcun rancore fra loro, tanto più che, in quel momento, entrambi avevano preoccupazioni diverse su cui focalizzarsi.

Non sapeva quali fossero i cosmi dei compagni di Centauro e Corona Boreale, ma era facile per Vincent cercare e riconoscere la presenza del suo caro compagno d’addestramenti: Menisteo.

Lo aveva cercato da subito, sondando quei luoghi lontani in cerca della presenza dell’uomo che considerava un fratello maggiore, ma non lo aveva trovato; più e più volte aveva scrutato fra quei cosmi, riconoscendone anche alcuni, suppose quelli delle due sacerdotesse d’argento e di Husheif, ma, per quanto avesse cercato, Vincent non riusciva a trovare la minima traccia della presenza del cavaliere di Eracles.

La preoccupazione per la sorte dell’amico in quella missione era infine diventata una triste certezza, quando aveva rivolto uno sguardo al maestro, il cui viso era stato rigato da lacrime di dolore; mai, a memoria di Vincent, Degos aveva pianto dinanzi a loro, nemmeno quando il cavaliere di Reticulum gli aveva portato la notizia della morte di Edward di Cefeo, certo, allora si era rattristato ed aveva rifiutato per alcuni giorni il cibo, tanto che ambo i suoi allievi si erano preoccupati per la salute del santo di Orione, ma non lo avevano visto piangere, aveva sopportato in silenzio quel dolore.

La perdita di Menisteo, al contrario, aveva incrinato persino la maschera di quieta serenità di quel guerriero che entrambi avevano preso come modello, forse più il maggiore fra i due discepoli, giacché, per Vincent, anche il compagno d’addestramento era un esempio da seguire, o almeno lo era stato fino al momento della morte.

I pensieri del giovane cavaliere furono comunque interrotti quando sentì la voce del maestro: "Sì, questi è il mio secondo allievo, divenuto da poco tempo uno dei santi d’argento.", affermò Degos, indicandolo a Juno.

"Piacere, sono Vincent di Scutum.", si presentò allora il compagno d’addestramenti di Menisteo, rivolgendo un pacato sorriso a colui che aveva avuto come insegnante Edward di Cefeo.

Passarono alcune decine di minuti, in cui i cinque santi di Atena lì presenti cercarono di parlare gli uni con gli altri, seguendo l’incessante esplodere di battaglie, fra le terre della Mesopotamia, dove ancora avvertivano cosmi a loro noti, sussultando, alcuni, di gioia nel sentire quelle forze vitali di cui tanto gli premeva, ma altresì avvertivano anche l’esplodere di una guerra lontana, in terre sconosciute, al di là dei mari ai più di loro noti, una guerra fra forze ignote ai più.

L’attenzione dei più fu poi catturata dall’arrivo di tre nuove figure: le sacerdotesse d’argento.

Ad aprire il terzetto erano Cassandra di Canis Maior e sua sorella Agesilea dell’Aquila, note ai più fra i presenti, solo, forse il cavaliere di Cerbero non aveva avuto modo di conoscerle, e quello del Centauro.

Dietro le due consanguinee avanzava, con fare più infastidito, una terza sacerdotessa guerriero, dalle vestigia e dall’aspetto ignoto ai più, ma che Degos di Orione non tardò a riconoscere: "Nobile Iulia, anche lei è stata richiamata qui al Santuario?", domandò prontamente il cavaliere anziano, avvicinandosi alla ragazza.

"Sì, il mio maestro ha richiesto il ritorno mio, come di Amara, per la missione che ben presto ci ordinerà di compiere, seppur non capisco a cosa serva la presenza di quasi tutti i cavalieri d’argento in questa arena…", osservò con leggero disappunto la sacerdotessa guerriero, "Forse vorrà spiegare a tutti come mai ci ha richiamato qui dai nostri luoghi di addestramento. Osando addirittura reclamare la presenza dei cavalieri d’oro.", obbiettò una voce, intromettendosi nella discussione.

Sia la sacerdotessa dell’Altare, sia gli altri presenti si voltarono, scrutando l’infastidito volto del santo della Lira, l’allievo di Remais di Cancer.

"Forse ti disturba seguire gli ordini dell’Oracolo della dea, cavaliere?", si lamentò Iulia, "Quando questi vanno contro la volontà del mio maestro, certamente.", replicò secco l’altro, volgendo uno sguardo sdegnato alla maschera d’argento che gli si volgeva impassibile.

"Dunque tu ritieni di maggior valore la volontà di un singolo custode dorato rispetto a quella del Sommo Sacerdote che tutti ci governa e guida?", incalzò ancora la sacerdotessa, "No, io ritengo la volontà del grande Remais assoluta e sovrana. Egli è l’unico che mi può dare ordini e dire cosa fare, se egli non mi avesse detto di raggiungere questi luoghi, per seguire gli ordini di questo Sacerdote di Atene, sarei ancora nella bella villa francese in cui sono cresciuto.", sbottò infastidito il ragazzo.

Quelle parole irrigidirono molti dei presenti, sbalorditi da tale evidente insubordinazione, ma più di tutti parve che proprio Iulia ne fosse rimasta disgustata, come la sua stessa voce tradì.

"Sai almeno di chi stai parlando, cavaliere? Il Sommo Sion è uno degli ultimi sopravvissuti della passata Guerra Sacra, egli ha perso amici, compagni e legami in quei lontani giorni e malgrado ciò ha scelto di consacrare la propria vita alla dea Atena. E tu oseresti opporti agli ordini che il più fedele seguace della Giustizia ti rivolge? Per cosa poi, per il legame con i vizi delle terre dove hai ricevuto l’investitura?", domandò infuriata la guerriera.

"Poco m’importa di un vecchio, ormai prossimo all’essere rimbambito, né di una dea che non ho mai visto, tanto più che è una donna; ma ti avviso, femmina, offendi ancora le terre di Francia che appartengono a Remais di Cancer ed avrai di che pentirtene!", ruggì Gustave, puntando l’indice contro Iulia.

"Blasfemo!", urlò la sacerdotessa, lasciando esplodere un cosmo luminoso tutto attorno a se, "Queste tue parole rasentano il tradimento!", lo accusò furiosa.

"Attenta, femmina! Avrai ben altre sventure che non delle guerre da affrontare se solleverai il pugno contro Gustave della Lyra!", minacciò l’altro di rimando, portando le mani allo strumento musicale che teneva con se.

"Cavalieri!", esclamò Degos di Orione, portandosi fra i due, subito seguito dal proprio allievo e da Ludwig, che si pararono il primo dinanzi alla sacerdotessa guerriero ed il secondo a fermare il parigrado francese.

"Nobile Iulia, crede forse che il suo Grande Maestro sarebbe lieto di saperla intenta a combattere una battaglia con un proprio parigrado? Sa bene quanto il Sommo Sion sia legato a tutti i santi di Atena ed auspichi per loro, costantemente, la pace.", osservò con voce calma verso la sacerdotessa dell’Altare.

"E tu, Gustave della Lira, sei qui per un motivo, esatto? È forse quello di aizzare battaglie con altri cavalieri tuoi pari per grado?", domandò inseguito verso il ragazzo francese.

"No, sono qui perché il mio maestro Remais me lo ha ordinato. Sono qui per combattere secondo la volontà del Santuario al posto suo, giacché egli è rimasto in Francia.", rispose secco l’allievo di Cancer. "Allora, cavaliere, attendi che sia il Santuario a dirti quali nemici affrontare, non aizzare battaglie contro chi ti dovrebbe essere alleato.", suggerì Degos.

"Non mi interessa avere una femmina per alleata, ma su una cosa ti do ragione, guerriero di Orione: attenderò la volontà del Santuario e la seguirò fino in fondo per la guerra a venire.", concluse infastidito Gustave, prima di voltarsi ed andarsi a sedere a diversi passi di distanza, su un macigno che s’ergeva nello spiazzo dell’Arena.

Un mormorio di disappunto fu tutto ciò che, invece, aggiunse Iulia, prima di allontanarsi a sua volta, nella direzione opposta.

"Maestro…", esordì a quel punto Vincent, volgendosi verso Degos, "chi è quella sacerdotessa? Come mai la trattate con tale deferenza?", domandò il giovane incuriosito.

"Iulia dell’Altare è la prima discepola del Sommo Sacerdote, una dei due giovani che, in questa generazione, furono da lui addestrati.", fu la prima spiegazione del cavaliere di Orione, che poi continuò a voce più bassa: "Corrono voci secondo cui l’Oracolo l’abbia addestrata più per un debito verso qualcuno dei suoi passati compagni, della passata Guerra Sacra, che non perché legata alle stelle di cui egli è custode, o per le abilità affini, così come pare abbia fatto con il giovane santo di Bronzo dello Scultore.", raccontò al discepolo ed al giovane santo del Centauro, l’unico così vicino da poter ascoltare quelle parole.

Cassandra ed Agesilea avevano osservato distrattamente l’acceso battibecco, solo le parole del cavaliere della Lira le avevano, effettivamente, stupite, parole che ben poco avevano di quella dedizione alla dea Atena che loro due avevano appreso, che era stata loro inculcata fin dai primi giorni d’addestramento.

"Quel cavaliere non sarà di certo qualcuno di cui fidarsi…", osservò la sacerdotessa dell’Aquila, volgendo lo sguardo verso la sorella, malgrado entrambe portassero le maschere d’argento proprie del loro grado.

"Stai calma, Agesilea, e ricorda sempre che, nel momento della battaglia, la percezione dei compagni cambia, così come cambiano le donne e gli uomini nel mezzo dello scontro: trovarsi dinanzi al rischio della morte muta i comportamenti e solo in quel momento vedrai la vera identità di qualcuno.", la ammonì con calma Cassandra. Era lei la sorella maggiore, quella che aveva ricevuto l’investitura con due anni d’anticipo, vivendo, così, anche delle piccole missioni per conto del Santuario, quando ancora Agesilea si addestrava presso la loro insegnante; e delle due era, forse, anche quella più pacata, che non si lasciava andare agli scatti d’ira che spesso avvincevano la sacerdotessa dell’Aquila, come l’ultimo, avvenuto circa una settimana prima, con Dorida, lo stesso che aveva portato quasi ad uno scontro fra le tre.

"Hai ragione, Cassandra.", esordì allora la minore, "dovrò aspettare il campo di battaglia per scoprire la vera natura di tutti loro, e probabilmente anche la mia.", commentò con voce pensierosa l’altra.

"Una cosa però mi dispiace…", aggiunse pochi attimi dopo Agesilea, "Cosa?", chiese di rimando la maggiore delle due sorelle, "Non aver visto il vero carattere di Dorida.", sibilò ironica.

"Avrai modo di farlo in futuro, ne sono certa. Sopravvivremo a queste battaglie e potrai scoprire come si comporta la sacerdotessa della Sagitta innanzi alla morte, e chissà, magari salvarle la vita.", scherzò Cassandra; "Roderebbe dalla rabbia in una situazione del genere.", rispose l’altra, lasciandosi sfuggire una risata che contagiò anche la sacerdotessa di Canis Maior.

Passò quindi altro tempo, forse un’ora, forse meno, poi Agesilea si mosse, rivolgendo una domanda sottovoce alla sorella, che scosse il capo, alzando le spalle, segno che non sapeva cosa risponderle; fu allora che la sacerdotessa dell’Aquila si mosse in direzione di Degos di Orione.

"Maestro Degos, mi scusi…", esordì pacatamente la guerriera, "ma quanti altri cavalieri d’argento dobbiamo aspettare? Escludendo Dorida, la maestra Bao Xe e tutti gli altri inviati nella missione in Mesopotamia, chi è ancora assente?", domandò incuriosita.

"Delle ventiquattro vestigia d’argento consacrate ad Atena, solo ventuno hanno tuttora un custode… direi che, considerando i nove in missione, mancano solo il Cavaliere del Triangolo, il mio vecchio compagno d’addestramenti, Abar di Perseo, e l’allieva di quest’ultimo, la sacerdotessa di Lacerta.", rispose, dopo aver fatto mente locale, il veterano.

"Quali sono le armature senza un custode?", chiese, incuriosito dal discorso Ludwig, "L’Ofiuco, in questa generazione, non ha avuto un possessore, in più, i cavalieri del Pavone e di Cefeo, sono morti da alcuni anni. Il primo di vecchiaia, il secondo, purtroppo, per un male mortale.", spiegò prontamente.

"Il mio maestro, Edward di Cefeo…", osservò cupo Juno, "Sì, compagno per me ed Abar sotto la guida di Megatos del Toro, l’ultimo custode della Seconda Casa, morto di vecchiaia anch’egli.", ricordò tristemente Degos.

"Il maestro Edward, però, non fu ucciso da una malattia, bensì dal veleno di un nemico.", obbiettò allora il cavaliere dalla pelle scura, sbalordendo Degos per primo.

"Queste sono notizie che non puoi dare tu!", ordinò allora Iulia, alzandosi di scatto e portandosi vicino al parigrado con cui aveva viaggiato dall’Africa.

"E chi dovrebbe darle?", domandò addolorato l’allievo di Edward.

"Lascia che sia io a parlarne, Cerbero.", esclamò allora una voce, prima che un breve corteo entrasse nella sala; un corteo di cinque figure, fra cui spiccava quella del Sommo Sacerdote.

Il gruppo appena arrivato catturò l’attenzione di tutti i presenti; ad aprire la fila era un cavaliere d’argento, come le vestigia dimostravano, qualcuno che fu riconosciuto da Degos, Juno e Iulia come Amara del Triangolo; subito seguito da un santo dalle vestigia dorate, il cui elmo risaltava per le due corna che lo adornavano, questi era Kalas di Capricorn.

I due si portarono alla sinistra del Sommo Sacerdote, fermatosi dinanzi al gruppo di nove santi d’argento; alla sua destra, poi, si posizionò il cavaliere dall’armatura alata, Munklar di Sagitter e, subito accanto a lui, l’ultimo dei Custodi Dorati presenti al Santuario.

Il fisico snello lasciava intuire la natura atletica e guerriera di quella persona, le vestigia del Leone brillavano scintillanti, mentre sottili e lisci capelli rosati scivolavano fin sulle spalle, coprendole parzialmente e facendo risaltare ancora di più la maschera d’oro che celava il viso di quella Sacerdotessa guerriero.

"Maestra Olimpia…", sussurrò con orgoglio Agesilea, rivolgendo lo sguardo verso l’insegnante proprio e della sorella, Olimpia del Leone.

"Lieto di trovarvi tutti qui, cavalieri d’argento.", esordì il Sommo Sacerdote, notando lo stupore sul volto di Degos d’Orione, che ben sapeva della mancanza di Abar e della sua allieva, "Perseus e Lacerta sono stati inviati in missione, il compito che spetta loro è ben diverso dal vostro.", si affrettò ad aggiungere.

"Suppongo che molti di voi sapranno della missione in Mesopotamia, dove è stato inviato persino il cavaliere di Scorpio, come supporto per i nove santi d’argento che lì si trovavano; alcuni, probabilmente, avranno anche fatto supposizioni, in questi anni, sul perché dell’aumento dei cavalieri addestrati, dato come, nei quasi due secoli successivi all’ultima Guerra Sacra, ho sempre ridotto il numero di santi di Atena rispetto al totale di 88 custodi per altrettante armature. Ebbene, ora è giunto il tempo che vi esponga molto sugli avvenimenti che ci hanno portato a questo momento presente, così che sappiate a cosa andrete incontro.", spiegò con voce grave l’Oracolo di Atena, scrutando dalla propria maschera cerimoniale tutti i presenti.

"Dieci anni fa, un inatteso nemico si rivelò presso la cascata dei Cinque Picchi, in Cina, agli occhi del mio compagno di passate battaglie, l’anziano Maestro di Goro-Ho.

Questo nemico misterioso si rivelò essere un guerriero d’impressionanti capacità, un uomo dal cosmo quanto mai singolare e, ancor di più, dalla volontà d’acciaio; purtroppo, però, la sua volontà lo aveva diretto verso un piano folle quanto malefico, un progetto che lo rendeva nemico della dea Atena, oltre che di qualsiasi altra divinità: egli voleva estirpare i diversi culti dal mondo degli uomini.", concluse il Sommo Sacerdote, leggendo lo stupore nel viso dei presenti.

"Quella minaccia, rappresentata da un solo uomo, in quel momento, scomparve così com’era apparsa, portando con se ciò che cercava nelle terre di Cina.

L’anziano Maestro, però, non tardò nell’avvisarmi, attraverso uno dei suoi allievi del tempo; non ci volle molto per giungere alla conclusione che, per quanto non fosse la minaccia che attendevamo dalla fine della passata Guerra Sacra, questo misterioso individuo, e chiunque avesse seguito la sua causa, sarebbero stati nemici nostri e della dea Atena.

Fu per questo motivo che, dieci anni fa, fu deciso di aumentare il numero di cavalieri dei diversi ranghi, così da avere un esercito più pronto per questa guerra.

Allora vennero assegnate anche altre missioni: quattro cavalieri furono incaricati di cercare tracce di questi nemici misteriosi, Altare, Triangolo, Cefeo e Perseo.

I primi due iniziarono dei viaggi, ricercando ogni possibile legame con i Ladri di Divinità, come li rinominammo, nelle terre d’Europa e d’Asia.

I due discepoli del cavaliere del Toro, al contrario, preferirono iniziare ad addestrare degli allievi, scegliendoli proprio durante i loro viaggi, in cerca di notizie su questi nemici misteriosi.", raccontò Sion, aspettando che quelle nuove notizie fossero dai più acquisite e comprese.

"Ben poche furono però le risposte trovate, solo dopo il loro passaggio si rinveniva qualcosa: alcuni templi e culti antichi nel Sud-est asiatico, culti nel Nord dell’Asia, ai confini con l’Europa, altri minori in medio oriente, ancora divinità di minor spessore dell’Africa sub sahariana, tutti i loro culti, nel giro di pochi giorni, in questi anni, sono stati distrutti.

Annientati i seguaci di quelle divinità, rasi al suolo i templi e completamente cancellati i cosmi degli dei stessi.

Ve ne fu qualche traccia, del loro passaggio, persino in Europa, nelle zone sotto l’egemonia degli Zar di Russia, o, un raro caso, nell’Italia centrale, avvenimenti fra di loro distanti nel tempo, ma tutti segnati dalla stessa metodica distruzione di ogni simbolo dei culti politeistici lì praticati.

Per molto tempo questi attacchi sono stati confusi, quasi disordinati, solo un avvenimento, due anni fa, ci diede una chiave di lettura a molte di quelle ondate di distruzione….", continuò a raccontare, prendendo poi una pausa.

"La morte di Edward di Cefeo.", parole che, da sole, sbalordirono Juno, che assieme agli altri cavalieri d’argento ascoltava.

"Il Maestro dell’Isola di Andromeda, infatti, incontrò un esercito nero, guerrieri d’Africa, intenti a cercare un’antica forma di sigillo divino, per ciò che è stato di recente scoperto dal cavaliere del Triangolo.

Un sigillo capace di contenere il potere di più divinità, qualcosa che, in vero, credevamo possedessero già, ma che pare abbiano ottenuto solo in quel lontano e triste giorno.

Quella battaglia ci permise anche di scoprire che l’Esercito nero d’Africa era al servizio di questi Ladri di Divinità, forse volontariamente, forse per un puro caso, ma erano legati a questi nemici che da tanto cercavamo di ritrovare e, proprio perché si servivano di forze alleate, ci era stato impossibile trovare loro tracce.

Così le nostre ricerche dei Ladri di Divinità continuarono seguendo le orme lasciate dall’esercito nero, fautore della maggioranza delle distruzioni di templi di cui vi ho già parlato, finché, qualche giorno fa, non accadde qualcosa di strano.", spiegò il Sommo Sacerdote, interrompendosi di nuovo: ormai la battaglia ad Accad era conclusa, nessun cosmo stava più espandendosi ed esplodendo nel pieno degli scontri, anzi, l’uomo che aveva rubato il potere di Shamash era ormai morto, con gran dolore di Sion, però, alcuni dei cavalieri d’argento non davano più segno di vita, non ne avvertiva il soffio energetico da quella distanza… in due erano morti e lui temeva non fossero che i primi.

"La battaglia che si è appena conclusa, nelle terre che furono dell’antica Mesopotamia, quello è l’avvenimento che ha reso tutto più strano.", continuò, chinando il capo rattristato, l’Oracolo di Atena.

"Inizialmente era apparsa come la richiesta di soccorso da parte di chi non comprendeva le particolarità del cosmo, imbattutosi in un esercito che tornava nelle proprie terre, o magari in pochi e sparuti guerrieri, probabilmente sopravvissuti a qualche culto che l’Esercito Nero aveva spazzato via, data la posizione di passaggio dall’Africa all’Asia, che quel luogo ricopriva.

Almeno questa fu la prima teoria mia e del cavaliere dello Scorpione…", ammise con rammarico.

"Non immaginavamo, però, la verità dei fatti, nemmeno quando i cavalieri lì inviati ci avvisarono del piano che questi guerrieri, gli Ummanu, avevano in mente: richiamare sulla terra Shamash, il Giudice Divino, persino in quel momento avevamo pensato ad una battaglia che avrebbero voluto scatenare questi accadici contro i Ladri di Divinità, però, quando il rituale ebbe inizio e l’immenso cosmo del Giudice fu attirato in modo tanto violento verso la città che ha visto il susseguirsi degli scontri, nei tre giorni passati, solo allora riuscì a comprendere che non era il bene del dio che stavano facendo.

Il cosmo sembrava attirato, quasi strappato ai luoghi che gli erano propri, segno della vera intenzione di chi aveva iniziato quel rituale, per tale motivo sono stati mandati dei rinforzi in due ondate e, forse, sono riusciti ad uccidere il Ladro che ha rubato il cosmo di Shamash.

La stranezza insita in tutto ciò era proprio nella visibilità del rituale: mai, prima d’ora, aveva avvertito il ratto di una delle divinità, mai prima d’ora si erano rivelati in modo così palese, ma, cosa ben più rilevante, non vi era traccia dell’Esercito Nero fra i guerrieri degli Ummanu, almeno dalle informazioni che ricevetti nei giorni scorsi.

Solo alla fine del rituale ho potuto avvertito ciò che, probabilmente, volevano tenerci nascosto: un altro attacco, con un numero maggiore di guerrieri, nelle lontane terre della Polinesia.", concluse il Sommo Sacerdote, che ancora avvertiva il susseguirsi delle battaglie lontane, al di là dei confini noti ai più.

"Proprio per questo siete stati riuniti, cavalieri d’argento: quando i guerrieri dell’Esercito Nero, se effettivamente di loro si tratta, abbatteranno tutte le difese in quelle terre lontane, inizieranno un nuovo rituale. Se hanno fatto tanto per renderci ciechi al loro primo assalto in quei luoghi, ciò indica che quei templi devono avere una rilevanza particolare nel loro piano.

La casta di Bronzo non è adatta ad una missione del genere, al contrario, i Custodi dorati resteranno qui al Santuario, per presiedere alla difesa delle Dodici Case, qualora i nemici tentassero una seconda azione d’attacco, distraendoci con un nuovo rituale di eguale raggio.

Assieme ai custodi dorati, resterà il più anziano di voi, Degos di Orione, che meglio di tutti conosce il Santuario di Atene, gli altri nove cavalieri, guidati dal santo del Triangolo, si dirigeranno nei luoghi delle bat…", ma le parole morirono in gola all’Oracolo di Atena quando avvertì l’inizio di un nuovo rito, simile a quello attuato su Shamash, ma di proporzioni ben maggiori, dato l’alto numero di cosmi divini che sembravano essere attirati verso un unico luogo.

"Hanno già iniziato… non vi è tempo da perdere, santi d’argento, vi aspetta la battaglia. Che la dea Atena sia con voi, pregherò per l’esito positivo di questa guerra.", ordinò secco Sion, ricevendo, in risposta, l’inchino degli antistanti.

Pochi minuti ed il gruppo di cavalieri della casta mediana fu pronto per la battaglia, riuniti, tutti e dieci, ai piedi del Santuario.

"Fai attenzione in battaglia, Vincent, mi raccomando.", furono gli ultimi suggerimenti di Degos al proprio allievo, "E ricordati di seguire sempre gli ordini del nobile Amara, egli è il più forte fra tutti noi.", si affrettò a continuare.

"Chi dice questo?", domandò ironico Gustave della Lira, poco distante da allievo e maestro, "Lo dicono i fatti, egli è un virtuoso guerriero, il più forte fra tutti, capace di comunicare anche privandosi della parola.", sottolineò il cavaliere di Orione.

"Proprio il suo rifiutare i suoni lo rende, invece, uno stolto incapace.", rise fra se il santo di origini francese, ricevendo di rimando gli sguardi diffidenti del cavaliere dello Scudo e del suo insegnante.

"Cavalieri!", echeggiò allora l’emanazione cosmica di Amara, "Un nemico sconosciuto e minaccioso ci attende, che non teme l’ira degli dei, tanto da derubarli dei loro cosmi! Siate pronti per la battaglia che vi troverete a fronteggiare, contro guerrieri del genere, e seguitemi!", ordinò secca la voce del santo del Triangolo.

Pochi secondi ed il Santuario di Atene fu vuoto dei suoi custodi d’argento, solo Degos di Orione rimase lì, immobile e solo; proprio per questo, finalmente, poté sfogare le lacrime che gli rigavano il cuore, per la perdita del primo discepolo, che ormai sapeva morto, e per la preoccupazione sulla sorte del secondo.

***

Cuzco è una città del Perù, si trova al di sopra dei tremila metri dal livello del mare.

Agli inizi del novecento, lo sviluppo urbano della città non era ancora consistente, tanto che le rovine di Machu Picchu, situate a poco più di 100 km, non erano ancora conosciute.

Allo stesso modo, non erano conosciuti alcuni santuari dedicati alle diverse divinità dell’antico Impero Inca, che nella città di Cuzco aveva la propria capitale.

Molti di questi templi erano costruiti ad alta quota, sulle montagne più alte della cordigliera delle Ande Peruviane, così da poter essere più vicini al Hanan Pacha, il mondo di sopra dove risiedevano le divinità, e molte di esse avevano Santuari a loro consacrati, santuari in cui celebravano rituali sacri i diversi sacerdoti, circondati da ben pochi guardiani.

In uno di questi santuari, quello del dio Urcaguary, signore dei metalli, poco meno di un’ora dopo l’inizio del rituale nel tempio subacqueo di Ukupanipo, apparvero tre figure.

"Sarebbe questo il tempio Inca?", domandò uno dei nuovi giunti, gli occhi sottili e marroni che si guardavano intorno annoiati, "Sì, il santuario che dobbiamo visitare è questo.", concordò una seconda voce, prima che due occhi color giallo marcio, incredibilmente brillanti, scrutassero le pareti decorate da ritratti della vita di Urcaguary.

"Adesso le definiamo delle visite?", incalzò il primo che aveva parlato, "Non siamo qui per estirpare l’insulsa entità che adorano. Ricordati a cosa miriamo.", lo ammonì la terza figura, i cui occhi erano di un rosso acceso.

"Miriamo a reliquie di guerre passate… lo so.", si lamentò il primo, "Siamo sicuri che non abbiano un esercito questi sacerdoti?", chiese, pochi passi dopo, uscendo dal corridoio nel salone centrale, dove decine di uomini, alla vista di quei nuovi giunti, si voltarono, armati di lance e spade.

"L’esercito Inca seguì il dio Inti in una guerra sacra, quasi tre secoli fa, per la conquista delle Americhe, furono i guerrieri sacri del Nord e del Centro America a distruggere l’armata del Sole Incas e sigillarlo.", spiegò l’uomo dagli occhi color giallo marcio.

"Il che rende meno divertente la nostra attuale missione.", obbiettò con disappunto il primo, sollevando le mani, che si rivelarono arricchite da dei tatuaggi.

I seguaci delle divinità Inca, intanto, avevano circondato i tre, puntando contro di loro le armi e minacciandoli.

"Ditemi, sacerdoti Inca, voi come onorate gli dei?", domandò con sorda ironia l’uomo dagli occhi marroni, prima che dalle dita scaturissero lame d’energia cosmica simili ad artigli.

Urla assordanti echeggiarono dinanzi a chi si pose contro quel primo guerriero, urla che si sommarono a quelle dei nemici degli altri due intrusi.

In pochi minuti, il Santuario di Urcaguary fu invaso dalla disperazione e dalla violenza.

Nel frattempo, la vera Guerra stava iniziando in Nuova Zelanda.