Capitolo 9: Mai arrendersi!

"Chi credi che abbia prodotto quella straordinaria esplosione?", domandò la prima delle due figure, immobili, circondate dai cadaveri bianchi dei loro nemici, "Non saprei, di certo non vi sono guerrieri nella nostra armata capaci di ciò; se dovessi azzardare un nome, credo che Garang, della Terza Armata, o Chikara della prima, potrebbero essere stati i fautori di uno di quei due potenti attacchi.", osservò l’altro, poggiandosi alla parete alle sue spalle, mentre le vestigia scure creavano un vasto mantello dietro di lui, chiudendosi sul busto.

"Ciò che mi preoccupa, Shango, è che Ayabba dovrebbe trovarsi in quella zona di questo tempio sotterraneo e non credo che nessuno di questi indigeni potrebbe provocare, scontrandosi con uno di noi guerrieri d’Africa, un effetto tanto devastante, troppo deboli sono costoro rispetto a noi…", osservò preoccupato il primo, le cui vestigia permettevano il risalto dell’agile corpo, mentre i lunghi capelli, simili ad una criniera, scivolavano sulla schiena.

"Non sottovalutare questi Areoi, come il nostro comandante diceva, potrebbero essere pronti a tutto per difendere le loro terre natie, rivelando una forza inimmaginabile.

Malgrado ciò, ammetto che anch’io temo che sia uno di quei guerrieri stranieri di cui Ntoro della Quinta Armata ci ha avvisato, l’avversario di chiunque dei nostri abbia combattuto quella battaglia. È quindi probabile che Ayabba rischi d’incontrare uno di questi stranieri, dovremmo raggiungerlo.", suggerì l’uomo di nome Shango.

"Il comandante Moyna, però, aveva ordinato di proteggere quest’area…", osservò l’altro, "No, Akongo, il mio maestro ha detto che dovevamo salvaguardarci fino alla fine del rituale che il nostro Sovrano sta eseguendo, impedendo, al qual tempo, che alcun nemico si avvicini loro, quindi, come vedi, andando verso i luoghi degli scontri, faremo ciò che ci ha chiesto e lo renderemo fiero di noi.", replicò sornione il secondo, rimettendosi in piedi ed aprendo le vaste ali della nera armatura.

"Raggiungiamo Ayabba ed eliminiamo qualsiasi guerriero che non faccia parte del nostro esercito lungo il cammino!", esclamò poco dopo Shango, "Sì, che nessuno degli indigeni e degli stranieri possa anche solo vedere l’aspetto del nostro Comandante!", concordò Akongo.

Poi, i due guerrieri africani si mossero, dividendosi, l’allievo del Comandante s’alzò in volo, mentre l’altro membro della Seconda Armata scattava veloce nella direzione di quello scontro che s’era appena concluso.

***

Non furono solo quei due membri della Seconda Armata d’Africa ad osservare l’esplosione dei cosmi di Cassandra di Canis Maior e Garang, il Gorilla Nero, anche gli altri membri dell’esercito oscuro poterono studiare quello scontro di potenze e come loro anche i diversi Areoi a difesa dell’Avaiki di Ukupanipo ed i cavalieri d’argento che fin lì erano giunti per impedire il compiersi del rituale.

Di tutti i santi di Atena, però, tre non poterono osservare il compiersi di quel rito: due di loro, Juno di Cerbero e Rumlir della Corona Boreale, infatti, erano stati intrappolati già da tempo nelle illusioni di uno dei combattenti d’Africa, malgrado loro stessi non se ne fossero ancora resi conto, contemporaneamente, però, anche un altro cavaliere era intrappolato in degli inganni psichici, Vincent di Scutum.

Rivedeva di continuo la stessa scena il giovane santo d’argento: il proprio maestro, Degos di Orione, che piangeva disperato la scomparsa dei suoi discepoli, Menisteo e Vincent, con la consapevolezza che il primo dei due era da sempre stato il migliore, il più abile, il più capace, l’unico che gli sarebbe realmente mancato.

La consapevolezza del proprio fallimento affogava lo spirito del cavaliere di Scutum, il cui corpo immobile al suolo stava lentamente perdendo anche l’ultimo alito di vita, schiacciato, soffocato da quella disperazione che Abuk aveva scatenato in lui.

Al pari del corpo, anche la mente stava sprofondando dinanzi a quelle immagini fasulle, sprofondava in un abisso di tenebra e solitudine, dove niente, se non un gelido vuoto, sembrava toccare le membra del santo d’argento, anche se, in effetti, non con il tatto avvertiva quel gelo, bensì con la propria coscienza.

"Questa è dunque la sorte che hai scelto per te e per il nostro maestro?", domandò d’un tratto una voce, intromettendosi in quel freddo vuoto, che stava avvolgendo la mente di Vincent, una voce portatrice di una leggera scintilla di luce, una luce calda, ma distante, appena visibile al giovane cavaliere che, ormai, non distingueva più il sogno dalla realtà.

"Credi che per questo abbia scelto di perdermi con il mio nemico? Per lasciare che tutti gli sforzi del maestro Degos andassero persi anch’essi, in lacrime e rimpianti?", continuò la voce distante.

"Menisteo?", domandò sbalordito il giovane santo dello Scudo, "Sì, amico mio, Menisteo di Ercole.", confermò l’altro.

"Ti sto dunque raggiungendo nel paradiso dei cavalieri?", balbettò perplesso il secondo discepolo di Degos, "Se è questo che desideri, se vuoi abbandonare la vita, perché troppo difficile ti sarebbe continuare, unico allievo del santo di Orione ancora vivo, a combattere per ciò che ci hanno addestrato, allora abbandonati alla speranza di raggiungermi per fuggire dalla disperazione che quest’illusione ti causa.", rispose l’altro con tono serio, "Sappi, però, che non ai codardi, a chi teme la battaglia e rifiuta per questo di servire la propria dea, è concesso di raggiungere il paradiso dei cavalieri!", lo ammonì alla fine.

"Codardi? Questo sono, secondo te, Menisteo?", domandò di rimando il giovane cavaliere, "Sì, questo sei se ti lasci sconfiggere da questa mera illusione! Sai bene che il maestro non piangerebbe solo la mia morte, come altrettanto bene sai di avere la forza per rialzarti, ti serve solo la volontà di sollevare il capo ed aprire gli occhi, ma preferisci questa fine, semplice, accettando l’inganno che un nemico, ormai sconfitto, ti offre! Cos’altro sei se non un codardo?", domandò ancora la voce del santo di Eracle.

"Se quella che vedo è l’illusione della guerriera africana, come posso sapere che non lo sei anche tu, che appari alle mie orecchie come la voce del mio compagno d’armi?", ribatté Vincent, "Come posso sapere che il mio amico d’infanzia ed esempio di vita, non sia ancora vivo, seppur ferito, nel luogo dov’è stato mandato in missione?", incalzò il giovane guerriero.

"In cuor tuo, sai se questa è un’altra illusione o meno, ma, al di là di questo, sai quale è stata la sorte dei nove guerrieri mandati ad Accad, ne sono certo, così come sai che abbandonarsi a questa falsa disperazione è solo un modo per evitare le vere battaglie.

Non ti chiedo di credere alla voce che ora stai sentendo, Vincent, ma in ciò che hai appreso negli anni, nelle parole e negli insegnamenti di Degos di Orione; chiediti se veramente l’altro suo allievo è caduto, se la sua morte è arrivata così facilmente, come potrebbe ora giungere la tua, se ha rifiutato la battaglia, o se, invece, si sia sacrificato fino all’ultimo per il bene dei compagni e della missione affidatagli.

Chiediti tutto ciò e trova in te una risposta, legata ai ricordi che hai degli anni d’addestramento in Grecia, poi, amico mio, apri gli occhi e continua la battaglia iniziata in quel tempio lontano, in nome di Atena, del tuo maestro e del compagno che dall’alto del Paradiso dei Cavalieri, ti osserverà combattere.", furono queste le ultime parole della voce, che, assieme a quella calda fiamma, scomparve, lasciando Vincent non in un abisso di tenebre e disperazione, ma in un mare di ricordi, immagini e voci del passato, ricordi che gli dessero le risposte che, ora più che mai, stava trovando per se stesso.

Furono quelle immagini, quei ricordi, che permisero, alla fine, al giovane cavaliere di riaprire gli occhi: era di nuovo nell’Avaiki, pronto a fare la sua parte in quella guerra.

****

La sua tattica era semplice, l’aveva già usata nel precedente tempio in cui aveva combattuto, così come in tutti i luoghi in cui la nera armata aveva portato distruzione e sgomento, quindi non l’avrebbe cambiata.

Quando la voce di Ntoro lo aveva avvisato della presenza di guerrieri europei, stranieri giunti fin lì per supportare, apparentemente senza una motivazione, gli indigeni dell’Avaiki, lui, che da Ntoro fu addestrato, non ebbe alcun dubbio sul da farsi: avrebbe atteso di trovare un piccolo gruppo di quei nemici e poi li avrebbe intrappolati in una delle sue illusioni; questa era la tattica di Anansi, il grande Ingannatore.

Ed in effetti le sue vittime le aveva trovate: due giovani stranieri, l’uno con delle grosse catene connesse all’armatura, l’altro con vestigia inaspettatamente chiare, quasi fatte di cristalli di ghiaccio per l’aspetto che avevano; non aveva nemmeno dovuto presentarsi loro, era bastato espandere il proprio cosmo per intrappolare i due ignari bersagli in un labirinto di pietra che, in realtà, non esisteva.

Agli occhi dei cavalieri stranieri, infatti, la loro corsa durava da ore, una corsa senza fine in un labirinto privo di nemici, una corsa che li avrebbe portati, una volta stremati, nelle mani di qualche altro guerriero del nero esercito, perché questi li finisse.

Anansi, di certo, non si sarebbe sporcato le mani strappando loro la vita, troppo poco valore dava alle esistenze mortali, tutte destinate a concludersi e perdersi nell’Infinito Guscio, come gli aveva spiegato, fin dal primo giorno, il suo maestro.

Non provava compassione nemmeno per Abuk, o per gli altri due membri della Quinta Armata che sapeva ormai sconfitti, al pari di tutti gli Areoi, o i guerrieri di altre divinità caduti in precedenza, o degli stessi membri dell’esercito nero sconfitti nelle passate battaglie, non erano altro che esseri che avevano compiuto il loro percorso in questo mondo per poi spegnersi e finire nel ricettacolo di anime che ben aveva imparato a conoscere.

Non si curò nemmeno dell’esplosione di energia che vide destarsi a poca distanza dalla sua posizione, per quanto, di certo, fosse indice di una qualche battaglia fra due guerrieri di eguali potenze; però, quel confronto fra fiamme e luce, gli permise di avvertire due voci nelle vicinanze dei cavalieri suoi prigionieri.

Con attenzione, Anansi guardò verso le fonti di quelle poche frasi, trovandosi ad osservare due guerrieri dalle bianche vestigia, due degli indigeni di quell’Avaiki, un uomo armato di una lancia a due lame ed una donna; gli sfortunati, però, non ebbero il tempo di accorgersi di lui, che già l’illusione, generata dal cosmo dell’oscuro combattente, si espanse verso di loro, intrappolandoli, come già i santi di Atena, in un corridoio di pietre senza fine, finché non fossero giunti dei guerrieri che potessero concludere le loro vite al suo posto.

Ad altri la fatica della battaglia: il mondo materiale della carne e del sangue non gli interessava, così come non si preoccupava delle vite dei nemici e dei compagni, tant’è che spesso, anche quando portava con successo a termine la propria strategia, altri membri della Quinta armata fallivano nell’eliminare gli avversari, portando all’infruttuosità anche le sue tattiche, ma quello non era un suo problema.

Queste le certezze dell’ultimo allievo di Ntoro, mentre osservava i suoi quattro prigionieri correre nelle celle che aveva costruito lungo le loro menti, ignari di essere gli uni così vicini agli altri, tutti così vicini a lui e tutti così prossimi alla morte.

****

La corsa di Vincent lungo il corridoio di pietra era ricominciata da pochi minuti: aveva trovato i segni del passaggio del cavaliere della Lira, ma non sapeva quanto, precisamente, questi fosse andato avanti rispetto a lui. Correva in silenzio il santo di Atena, un silenzio che fu, d’improvviso, spezzato da un sibilo sempre più potente, tanto da diventare, gradualmente, un fischio assordante sulla sinistra del cavaliere.

Non ebbe molto tempo per riflettere sulla fonte di quel fastidioso suono, l’allievo di Degos, poiché vide una nera sagoma, grande quasi quanto il suo torso, vorticargli addosso; solo con un agile balzo riuscì ad evitare il violento impatto, ma ciò non fu sufficiente, poiché un secondo fischio assordante arrivò contro di lui dalle spalle, costringendolo, una volta rimessi i piedi a terra, a spiccare un salto verso l’alto.

L’agile movimento del cavaliere, però, fu interrotto dall’impetuoso colpo doppio che raggiunse la parete sul fianco destro, che gli crollò addosso, sotterrandolo e riportando il silenzio nel corridoio.

Solo il fischio di quelle sagome nere si udì per qualche istante, mentre veloci concludevano il loro movimento circolare, tornando indietro, poi più niente, se non un respiro ed una sottile risata, ben distante dal luogo del crollo.

"Follia sperare di battere i guerrieri dell’Esercito d’Africa, una follia che ti ha portato alla morte, nemico senza nome.", sussurrò da lontano una scura figura, allontanandosi dal luogo dell’attacco con fare tranquillo: la sua caccia non era finita, aveva visto un secondo guerriero, pochi minuti prima, allontanarsi nella stessa direzione, un guerriero che sembrava portare con se uno strumento musicale.

Quel guerriero era Gustave della Lyra, il cavaliere d’argento che aveva avuto ragione di Abuk dello Sciacallo Striato e che ora correva, seppur affaticato, verso il punto indicato come meta ultima della loro battaglia; era deciso il santo della Lira nel raggiungere e vincere il sovrano di quei guerrieri neri da solo e per primo, così da ottenere la gloria che tale azione gli avrebbe portato, gloria che, ne era sicuro, avrebbe cambiato il punto di vista del suo maestro su lui e su Gwen.

La corsa del giovane santo d’argento, però, si era interrotta poco dopo aver superato il punto in cui Vincent era stato attaccato.

Gustave, infatti, aveva trovato dinanzi a se un piccolo spiazzo pieno di quei guerrieri di grado più infimo dell’esercito nero, alcuni ancora vivi ed indenni, altri morti, trapassati da parte a parte da qualcuno, o da qualcosa, nei pressi di un piccolo specchio d’acqua, da cui i sopravvissuti stavano ben lontani.

Non il numero di nemici, né la presenza di sì tanti cadaveri, però, aveva fermato il cavaliere d’argento, poiché non riteneva nessuno di loro un vero problema per se stesso, nessuno era nemico di lui degno, bensì dei rumori di passi che sentì avvicinarsi dalla direzione opposta a quella da cui proveniva lui lo fermò: voleva vedere chi stava arrivando, per non essere di nuovo colto di sorpresa, ma avere, stavolta, la stessa a proprio vantaggio.

Era ignaro, il giovane francese, che ben altro nemico stava per raggiungerlo alle spalle … o almeno che questo sarebbe potuto succedere.

Proprio mentre la figura si allontanava, infatti, una forte esplosione d’energia ne richiamò l’attenzione: un’esplosione che proveniva dalle medesime macerie dove pensava d’aver seppellito un nemico, macerie da cui vide uscire il giovane avversario che già aveva dato per spacciato.

"Che cosa?", esclamò stupito il guerriero nero, "Troppo mi sottovaluti, soldato d’Africa, per pensare che delle semplici macerie possano avere ragione di Vincent di Scutum, cavaliere d’argento in nome d’Atena!", lo ammonì con fare sicuro il giovane allievo di Degos d’Orione.

Una risata, dopo qualche istante di silenzio, fu la replica del nuovo nemico, che si avvicinò di qualche passo, rendendosi visibile al santo di origini olandesi, "Sia dunque, che le scuri che impugno siano lo strumento del boia, non anonime pietre. Queste è il destino che ti sei scelto, ragazzo, ricordalo, quando le tetre lame caleranno sul tuo tenero collo, le scure lame di Buadza, il Bufalo Nero della Quarta Armata.", minacciò l’altro, presentandosi.

Era un individuo di certo massiccio, superava di molti centimetri il cavaliere d’argento, con il suo corpo muscoloso.

Le vestigia, in qualche modo, avrebbero probabilmente potuto ricordare quelle del cavaliere d’oro del Toro, semmai Vincent avesse potuto conoscerlo, poiché ricoprivano quasi del tutto il tronco e le gambe del guerriero, mettendone in risalto la massiccia muscolatura, ma, rispetto a quelle, erano prive degli aculei che si trovavano sopra spalliere, gomitiere e ginocchiere. Su gomiti e ginocchia, piuttosto, si trovavano delle piastre nere più spesse che ricalcavano gli zoccoli dell’animale africano a cui quelle vestigia erano ispirate.

L’elmo, poi, ritraeva il volto del Bufalo, privo delle corna, coprendo per intero la nuca e parzialmente il volto, celato da una maschera fino all’altezza del naso; le corna della creatura erano invece le due armi che il gigante teneva in mano: due grosse asce dalla lama ricurva, le stesse con cui, certamente, poco prima aveva attaccato il cavaliere d’argento.

Il guerriero nero caricò frontalmente contro l’avversario, pronto a dilaniarne le carni con una delle sue asci ricurve; Vincent fu però lesto nel sollevare il braccio che portava lo scudo dell’armatura, subendo sullo stesso l’impatto.

Le vestigia d’argento ressero al colpo, ma la violenza dello stesso fu tale da sollevare da terra il giovane santo d’Atena e scagliarlo contro le medesime macerie da cui s’era da poco rialzato, gettandolo al suolo.

"Sei ora cosciente della tua sconfitta, piccolo uomo? Non hai speranze contro Buadza. In segno di compassione, per la tua triste sorte, posso solo proporti di mostrarmi il collo, così che ti recida la testa con un singolo colpo, senza troppe sofferenze.", suggerì divertito il gigante dalle nere vestigia, risollevando le massicce asce.

"Mi dispiace, ma i miei doveri verso Atena mi impongono di rifiutare la tua proposta.", lo schernì, alzandosi a fatica, il cavaliere d’argento, cercando di non rivelare il timore e la preoccupazione che lo riempivano, mentre sentiva le ossa del braccio doloranti, così come quelle del resto del corpo.

"Se dunque non accetti la tua sconfitta, ebbene te la renderò ancora più evidente!", minacciò il guerriero del Bufalo Nero, scagliando le due massicce armi contro il nemico.

L’allievo del cavaliere di Orione non poté che sorridere debolmente dell’opportunità che il nemico gli aveva appena offerto: con tutta la forza che ancora aveva in corpo si rialzò, avanzando verso le due armi che inesorabili correvano verso di lui, decise a reciderne la vita, ed attese.

Quando la prima delle due armi gli fu più vicina, Vincent si spostò, portandosi le armi sulla propria sinistra, la stessa posizione in cui si trovava il suo scudo, arma che il giovane cavaliere portò dinanzi al busto, mentre compiva un leggero salto, iniziando una rotazione sul proprio asse verticale.

Il cavaliere sapeva bene che le armi del suo nemico avevano un effetto boomerang, per così dire, una naturale capacità di tornare indietro verso il proprio padrone, quindi il tempo disponibile per attaccare l’avversario mentre questi era sprovvisto dell’arma più potente era davvero poco, quindi avrebbe tentato il tutto per tutto, con la medesima tecnica che lo aveva difeso dalle abilità psichiche della prima nemica.

"Lawine van het schild!", urlò il cavaliere d’argento, rilasciando la propria emanazione cosmica sotto forma di una pioggia di luce, che si diresse con violenza verso il guerriero del Bufalo Nero, il quale, leggermente sorpreso, non poté che sollevare le braccia, contro cui i dardi di luce andarono a cozzare, provocando fori e leggere ustioni sulle carni di Buadza, costretto ad indietreggiare di qualche passo.

"Pensi che queste piccole scintille di rivalsa ti saranno sufficienti per avere ragione di me, straniero? Ebbene, preparati, perché la tua tenue fiamma della vittoria sarà spenta da un vento scuro.", sibilò, mentre si difendeva, il guerriero africano. "Respiro del Bufalo!", urlò poco dopo Buadza, scatenando una corrente d’aria che, dal suo corpo, scaturì raggiungendo e variando del tutto la traiettoria delle asce, che ancora continuavano la loro corsa in avanti.

Le due armi, dirette da quel vento energetico, compirono una parabola ascendente, portandosi al di sopra del cavaliere di Scutum che, completamente impreparato ed indifeso per quel nuovo attacco, fu investito violentemente da ambo le armi; la prima ne fermò la rotazione e l’attacco, la seconda, poi, colpì violentemente Vincent alla spalla destra, squarciando le vestigia e le carni del giovane santo olandese, che cadde al suolo, sanguinante.

Un’esplosione d’energia catturò a quel punto l’attenzione di Buadza, "Sembra che qualcuno stia combattendo poco lontano da qui…", mormorò con disappunto, asce in mano, mentre già voltava le spalle al corpo sanguinante dell’avversario al suolo, "l’altra mia preda mi sarà stata tolta.", obbiettò con dispiacere.

"Quale altra preda?", sibilò una voce alle sue spalle, stupendolo quando, voltatosi, rivide il giovane nemico rimettersi in piedi, seppur sanguinante, "L’altro guerriero, quello che ha sconfitto lo Sciacallo Striato della Quinta Armata.", spiegò l’altro con tono tranquillo.

"Dunque a lui puntavi fin dall’inizio?", domandò ancora il santo di Scutum, ora di nuovo pronto allo scontro, ricevendo, in tutta risposta, una risata di Buadza.

"No, a nessuno stavo puntando, ragazzo. Ho già sconfitto ogni nemico che s’era messo sulla mia strada finora, ma gli ordini dati dal mio maestro sono chiari: eliminare ogni guerriero che non faccia parte dell’Armata d’Africa, ogni nemico dei combattenti della Savana che ostacola il nostro cammino di conquista.

Gli stessi ordini dati a me ed al resto della Quarta Armata già in Russia, nelle terre del Medio Oriente ed in India, durante tutta la nostra avanzata; ed io seguo alla lettera gli ordini del mio maestro, il grande Acoran, generale dell’Esercito Nero.", spiegò, sollevando l’ascia sinistra per indicare Vincent, "Tu per me non sei niente di più che un ostacolo al compimento del mio dovere.", concluse deciso.

Un sorriso si dipinse allora sul viso affaticato del santo d’argento, "Non siamo poi così diversi, guerriero africano, anch’io agisco per seguire la volontà del mio maestro, in qualche modo, poiché egli, come me, è fedele alla dea Atena, e, come mi ha ricordato poco prima di questa battaglia il mio più caro amico, che con me ha condiviso le fatiche per diventare cavaliere, non posso rifiutarmi di combattere.", concluse, espandendo il suo cosmo.

"Parole da vero guerriero, te ne do atto, europeo, ma non per questo ti salverai dalla furia delle asce del Bufalo Nero!", minacciò di rimando Buadza, caricando frontalmente il nemico con le due possenti armi.

Il primo colpo fu dell’arma di sinistra, che andò a cozzare contro lo scudo del cavaliere d’argento, ma lesta già l’ascia di destra stava preparandosi a spazzare la cinta del nemico, con l’unico intento di reciderla dal resto del corpo; più veloce fu però il giovane olandese che, facendo leva sulle gambe, compì un rapido movimento all’indietro, sfruttando tutta la violenza del primo impatto fra il suo scudo e l’ascia mancina.

Nello spostarsi, Vincent fu abbastanza reattivo da approfittare della stessa forza cinetica inflittagli dal colpo nemico, così da espandere al qual tempo il proprio cosmo ed emettere la pioggia di luce propria del Lawine van het schild, l’attacco che prendeva il nome dall’Ammasso Aperto, presente all’interno della costellazione di Scutum e che scaturiva dall’unione del cosmo del giovane cavaliere con il movimento del suo corpo, rendendo i fasci energetici più difficili da bloccare.

Il guerriero del Bufalo Nero, però, sollevò in tempo le proprie asce, portandole a difesa del corpo e lasciando che fossero le due armi a subire su di se la miriade di attacchi avversi.

"Pensi che basti questa tua misera tecnica a darmi problemi? Dovrai fare di meglio per avere ragione di me, europeo!", avvisò il combattente africano, "Specie considerando la tua posizione precaria.", aggiunse, scatenando poi il Respiro del Bufalo, che investì con violenza Vincent, sbilanciandolo e gettandolo contro la parete di roccia a diversi metri dietro di lui.

Subito Buadza gli fu addosso, una volta finito l’assalto del cavaliere, caricandolo con l’ascia sinistra, che fu prontamente parata dallo scudo del cavaliere, che si ritrovò a sprofondare di alcuni metri nella roccia, mentre già l’altra arma nera calava contro la sua testa; il santo di Scutum, però, fu lesto nel caricare con ambo le gambe contro il corpo del nemico, spingendolo indietro, lasciando che la possente arma destra si piantasse nel terreno dinanzi a lui, ottenendo così il tempo per portare un violento gancio destro, carico d’energia cosmica, con cui spinse indietro il guerriero nero.

Il Bufalo Nero, però, non s’arrese e subito scagliò contro l’avversario le sue due armi possenti che, da quella breve distanza, non avrebbero avuto problema alcuno ad investirlo, né avrebbe avuto modo di pararle entrambe.

Fu allora che il santo d’argento caricò il proprio cosmo attorno a se, sollevando lo scudo, "Schild van de Koning!", urlò il cavaliere di Atena, mentre l’energia cosmica attorno a lui andava ammassandosi, creando una vera e propria barriera, che aumentò di dimensioni, partendo dallo scudo sul suo braccio e deviò le due possenti asce, schiantandole contro due pareti sui lati.

Dapprima sorpreso, Buadza osservò l’avversario immobile in quella posizione difensiva, poi, con fare sicuro, rilasciò ancora una volta il proprio cosmo sotto la forma del Respiro del Bufalo, spingendo ancora una volta le due corna ricurve contro il comune bersaglio, che, però, rimase inamovibile ed impossibile da ferire alle armi oscure.

"Non puoi superare lo scudo del Re, la difesa ultima del cavaliere di Scutum, la mia difesa ultima; ispirata al Re Polacco a cui la costellazione dello Scudo è dedicata. Rinuncia ad attaccarmi, ora la nostra è una situazione di stallo.", lo ammonì con tono sicuro Vincent.

"Al contrario, non è uno stallo il nostro.", ribadì sicuro l’altro, mentre le asce tornavano nei suoi pugni possenti, "Se fosse stato un vero stallo, fin da subito avresti fatto uso di questa tecnica, immagino ci sia un qualche difetto insito in questa tua difesa e, sono certo, che il mio prossimo attacco lo svelerà, poiché ora dovrai affrontare l’arma che mi donò il potente Acoran.", minacciò Buadza, sollevando sopra il capo le due lame, che già splendevano d’energia cosmica, un’energia che, condensandosi, sembrava prendere le dimensioni di una maestosa montagna.

"Quella che vedi dietro di me è la forma di ciò che si abbatterà su di te, la vera e propria potenza delle terre d’Africa, la Grande Montagna, da cui prende nome questo attacco.", spiegò con voce sicura il guerriero nero, "Kilimanjaro!", tuonò infine.

Una gigantesca ondata d’energia scaturì dalle due armi nemiche, scaricandosi sul terreno, che fu aperto come burro dalle lame del Bufalo Nero, frantumandosi fino ad incontrare l’ostacolo che rappresentava, sul suo percorso, il cavaliere d’argento, la cui difesa rimase inamovibile dinanzi a quella potenza offensiva, che, dopo una pressione di alcuni secondi sullo scudo cosmico che proteggeva Vincent, si aprì in due ondate d’energia, che andarono fermandosi sulle pareti accanto al cavaliere, frantumandole e lasciandole cadere sul santo di Scutum che, comunque, rimase immobile.

"Superflua difesa la tua, se alla fine sei stato sommerso dalle pietre…", sottolineò, osservando le macerie, Buadza, ma, quando già stava per voltarsi, per allontanarsi, il rumore dei ciottoli che scivolavano lo portò a volgere di nuovo l’attenzione verso la posizione del cavaliere di Atena, ancora in piedi ed immobile nella stessa posa difensiva.

"Com’è possibile? Persino l’attacco migliore trasmessomi dal mio maestro?", esclamò stupito il guerriero d’Africa, ignaro di come, in effetti, la potenza del Kilimanjaro avesse scosso perfino la difesa assoluta dello Scudo, per quanto non fosse riuscito a vincerla, ma, ancora di più, inconsapevole dei dubbi che in quel momento agitavano l’animo di Vincent.

Lo Schild van de Koning, infatti, era sì una difesa assoluta, ma, come la prima tecnica d’attacco del cavaliere d’argento si basava la cinetica unita all’accendersi del cosmo, allo stesso modo la difesa assoluta necessitava dell’assoluta immobilità per essere utilizzata, questo implicava che, se il suo avversario si fosse spostato, il discepolo di Degos avrebbe dovuto scegliere fra restare a difendersi, oppure andare dietro al nemico.

In cuor suo, però, il giovane santo di Atena aveva già deciso: non sarebbe stato un codardo, non sarebbe rimasto tutto il tempo sulla difensiva, avrebbe attaccato, ma, per fare ciò, doveva agire con cautela, doveva trovare un modo per avere un vantaggio sul guerriero nero, un modo per dividerlo dalle sue asce e gli effetti dell’attacco appena subito gli avevano dato un’idea in questo senso.

Vincent di Scutum abbandonò la sua posa difensiva, scattando su un lato con un movimento veloce, sorprendendo lo stesso Buadza, che, con qualche secondo di ritardo sui movimenti avversi, sollevò sopra la testa le due asce, "Dove credi di scappare, ragazzo? La sagoma del Kilimanjaro già adombra il tuo destino!", minacciò il Bufalo Nero, calando le due armi ricolme d’energia cosmica contro l’altro.

L’allievo di Degos fu però svelto nell’eseguire un salto laterale, subendo una ferita molto profonda all’altezza della spalla sinistra, incrinando visibilmente persino lo scudo per la potenza dell’attacco nemico, ma evitando, così, che metà del corpo fosse spazzata via, così come successe al muro alle sue spalle, che crollò su se stesso.

Buadza, a quel punto, sollevò sopra il capo ambo le asce, scagliandole con feroce contro il nemico, così come aveva fatto più volte in precedenza.

Vincent fu pronto: con un veloce movimento dello scudo deviò la prima, quella sulla sua sinistra, quindi si abbassò sul ginocchio destro, lasciando correre dietro di se la destra e, da quella stessa posizione, caricò tutta la propria forza nelle gambe, spiccando un salto ed espandendo al qual tempo il cosmo luminoso, "Lawine van het Schild!", urlò, scatenando l’attacco.

La pioggia di luce, però, non si diresse verso il nemico scuro, bensì volò di fianco alle due asce, cadendo violenta contro le pareti di roccia che le circondavano e lasciando che decine e decine di pietre cadessero, in una frana improvvisa, sotterrando sotto tutte quelle rocce le due armi nere.

Questa, però, era solo la prima parte dell’attacco del cavaliere d’argento che, poggiato di nuovo il piede destro al suolo, compì un altro salto, quasi una capriola, che mutò in un avvitamento a mezz’aria, un avvitamento con cui si gettò in picchiata contro il Bufalo Nero.

"Spiraal van het Schild!", urlò il compagno d’armi di Menisteo, investendo con un violento calcio l’addome dell’armatura nera, mandando in frantumi quella parte delle vestigia oscure e lasciando che il guerriero nemico cadesse al suolo, ferito.

Vincent stesso atterrò a fatica sul terreno, sanguinante per i colpi subiti fino a quel momento, ma ora più sicuro di avere la vittoria nelle mani: "Arrenditi, Buadza della Quarta Armata. Ora che sei privo delle tue armi, non hai speranza più di battermi. Risparmiami la battaglia, così come io desidero risparmiarti la vita.", propose il santo d’argento.

Una risata soffocata fu però la replica del massiccio africano, "Risparmiare? Forse il tuo maestro ti ha spiegato il senso di questa parola, ma per Acoran, il Mietitore, ciò non è possibile: la resa è un segno di debolezza inaccettabile nel nostro esercito, così come la pietà.", spiegò con tono serio Buadza, rialzandosi in piedi e volgendosi verso il cavaliere.

"Mi hai privato delle corna, è vero, ma un Bufalo Nero non ha solo quelle come proprio strumento per vincere, anche la forza bruta di questa bestia africana è rinomata nelle mie terre, la stessa forza che ora calerà su di te, come massiccia montagna!", avvisò il combattente d’Africa, sollevando le braccia sopra il capo, quasi avesse ancora con se le asce.

"Shira!", ordinò secco il guerriero, calando gli arti verso il terreno e scatenando così un’ondata d’energia tale da scuotere il terreno e spostare l’aria in un’unica lama di vento che veloce corse contro Vincent, il quale, in tutta risposta, sollevò lo scudo, reggendo con lo stesso parte dell’impatto, malgrado le ferite sul suo corpo s’aggravassero ad ogni nuova prova della forza del nemico.

"La resistenza ti fa onore, guerriero europeo, così come la tattica usata è stata degna di nota, ma, purtroppo per te, la forza del Bufalo Nero è insostenibile, simile a montagna, come ti ho detto.", avvisò l’altro, continuando a far pressione con l’emanazione del proprio cosmo.

"Schilt van de Koning!", replicò, serrando i denti, il santo di Atena, sollevando la sua migliore difesa, che resse perfettamente all’attacco nemico.

Accortosi che il suo assalto era ormai inutile, Buadza si fermò, ma non s’arrese, poiché, il tempo di un respiro fu quello a lui sufficiente per il suo successivo attacco, il Respiro del Bufalo, che lesto si mosse ai fianchi di Vincent, puntando verso le pietre dove erano sepolte le due asce.

L’allievo di Degos, però, s’accorse del cambio di bersaglio e, abbandonata la posizione difensiva, caricò fisicamente il nemico con lo scudo dell’armatura, costringendolo ad indietreggiare di qualche passo, prima di investirlo con un violento montante destro al mento, che mandò a terra il massiccio africano.

"Se speri d’avere la possibilità di recuperare le tue armi, ebbene ti sbagli.", avvisò deciso l’olandese, "Non di meno ci proverò… poiché ogni volta che usi quella tecnica difensiva non hai modo di ostacolare i miei attacchi, o le mie azioni, o mi sbaglio? A nessuno è concesso di usare insieme di tecniche, quindi, quando penserai a difendere te stesso, io mi preoccuperò di riottenere il mio vantaggio in armi.", replicò l’allievo di Acoran.

"Sia dunque…", sussurrò con voce titubante il giovane cavaliere, "nessuna difesa più a proteggermi da te, nessuna posizione d’attesa.", continuò, sganciando lo scudo dal braccio sinistro.

"Come te non m’arrenderò e come te, ora, non attenderò più gli attacchi, bensì agirò.", esclamò, lanciandosi alla carica con un agile salto.

"Spiraal van het Schild!", urlò il cavaliere, iniziando la torsione del proprio corpo per darsi maggiore velocità e potenza offensiva, "Shiba!", replicò deciso il guerriero del Bufalo Nero, scatenando la lama di vento ed energia contro il corpo nemico, che ne fu deviato, tanto da schiantarsi contro il terreno dell’Avaiki, sanguinante.

"Parole coraggiose, ma futili: chi è abituato alla difesa non può mai diventare abile nell’attacco in pochi istanti.

Non confondere la determinazione con la capacità.", lo ammonì Buadza, sollevando ancora il braccio, pronto a calare l’ultimo colpo.

Vincent, però, fu lesto nel rimettersi in piedi con una capriola, malgrado le gambe doloranti ed a spostarsi sulla propria sinistra, lasciando che la lama d’energia lo mancasse, prima di compiere un nuovo salto, che stavolta lo portò quasi a sfiorare il soffitto dell’Avaiki, mentre già un altro colpo del guerriero d’Africa correva contro di lui a mezz’aria, un colpo impossibile da evitare.

Il cavaliere d’argento, però, non tentò di evitarlo, bensì, con una semirotazione del busto, lasciò che l’attacco lo raggiungesse alla spalla sinistra, spingendolo leggermente verso il suolo, ma dandogli altro una maggiore velocità di rotazione, "Spiraal van het Schild!", invocò a quel punto il giovane olandese, puntando direttamente contro il nemico ad una velocità superiore a quella a cui era capace di muoversi di norma, complice l’energia del fendente nemico, che aveva saputo sfruttare a suo vantaggio.

Buadza, d’altronde, non aveva riflessi sufficienti a spostarsi, l’unica possibilità che il massiccio guerriero della Quarta Armata vedeva dinanzi a se era contrastare il colpo nemico con un nuovo fendente, così, sollevato il braccio, espanse il proprio cosmo. "Shiba!", urlò l’africano, emettendo la lama energetica, contro il corpo dell’avversario.

Vincent, però, consapevole di questa reazione nemica, piegò leggermente il proprio corpo durante la picchiata, proprio all’ultimo momento, lasciando che il taglio della lama lo raggiungesse alla zona già debole della spalliera sinistra, ma, allo stesso tempo, colpendo indisturbato allo sterno del Bufalo Nero, lì dove non vi erano più vestigia a difendere le carni del guerriero.

L’impatto fra i due attacchi non fu simile a quello che, poco prima, avevano provocato la sacerdotessa di Canis Maior ed il Gorilla Nero, ma provocò comunque nuove frane nelle mura dell’Avaiki, lasciando che decine e decine di macerie sotterrassero i due combattenti, celando così agli occhi di tutti chi fosse il vincitore e chi lo sconfitto, alla fine.