Capitolo 14: Il peso delle incertezze

Akab della Vela Nera fu sbalordito da ciò che vide: non solo il potere dell’Ariete Oscuro andava accrescendosi, quasi invadendo quei luoghi, riempiendosi di qualcosa di estraneo e maestoso, ma d’improvviso un’altra figura entrò nella sala che lui avrebbe dovuto difendere.

Una figura dalle vestigia d’oro nero, "Hai già iniziato, Aborigeno? Molto bene.", esordì la figura, che altri non era se non Pesci Oscuri, "Non potevo certo attenderti oltre, Greca, già il cosmo dell’Indiano stava portando avanti la propria parte del compito affidatoci ed ora anche Giano. Ben presto anche gli altri cinque entreranno in azione, di certo.", affermò quello, senza rivolgerle il minimo sguardo.

"Vero. Abbiamo molti obiettivi da raggiungere oggi, ma adesso che tutti gli Homines si sono messi in moto, senza più usare l’Esercito d’Africa, o gli alleati dell’Accadico, avremo di certo successo.", suggerì l’altra.

"A tal proposito: i guerrieri neri che ti seguivano?", domandò con superficiale curiosità l’Ariete Oscuro, "Il cosmo della Gru è già spento, una delusione per l’allievo a cui avevo mostrato che poteva generare fiamme di pura malvagità; la Mosca sta ancora combattendo, a quanto pare, così come ben presto spetterà alla Lucertola, non appena lui ed il suo avversario si renderanno conto di trovarsi nella medesima sala.

Ho fatto loro giusto dimenticare il mio passaggio.", ridacchiò alla fine la donna, espandendo il proprio cosmo ed entrando in sintonia con quello dell’alleato e di altri dispersi per il globo.

Poco capì l’allievo del Sagittario Nero di ciò che quei due guerrieri d’oro oscuro stessero dicendo, se non che già uno dei suoi compagni d’addestramento, Kirin, stava per iniziare a combattere, così come molti altri nel tempio di Eolo.

***

Iulia dell’Altare osservava con attenzione il nemico dinanzi a lei: gli occhi spenti e viola, che sembravano cercare qualcosa nascosto oltre la sua maschera d’argento, la pelle abbronzata, i corti capelli scuri e vestigia che, chiaramente, richiamavano quelle della Mosca, questi era il suo nemico, che si era presentato poco prima come Icaros.

"Vuoi restare per molto ad osservarmi, malridotta seguace di Atena, oppure possiamo passare allo scontro? Luxa non durerà per molto ancora, temo, in fondo non ha mai brillato per qualità fra noi cinque, forse per la natura stessa del suo addestramento! Ma Kirin e Joppa dicevano che serviva un quinto elemento per il nostro gruppo, quindi lo accettammo.", esordì pacatamente Icaros, come se stesse parlando di qualcuno non così vicino com’era il guerriero della Gru Nera, intento nella sua battaglia.

"Così parli di un tuo compagno, Ombra malefica? Siete dunque individui privi d’ogni forma d’onore e lealtà voi?", domandò di rimando Iulia, portandosi in posizione di guardia, "Onore e lealtà? Belle parole di cui potrebbero riempirsi la bocca gli allievi del Sagittario Nero, forse, che potrebbero essere di qualche interesse per altri gruppi, come la Sorellanza Oscura, o il Sestetto, ma per me, che sono uno dei discepoli del Leone d’Oro Nero, sono solo questo: belle parole, senza senso e finalità!", ribatté deciso il nero nemico, espandendo il proprio cosmo.

"Multitudo Terroris, attacca!", imperò Icaros, liberando lo stormo di tetre mosche che rapide si lanciarono contro la sacerdotessa guerriero, che fu lesta nel rispondere espandendo il proprio di cosmo, "Speciosae Scudis, a me!", invocò prontamente l’allieva di Sion, sollevando i rossi petali di difesa, che contennero la carica dei neri insetti.

"Bel trucco, sacerdotessa di Atena, ma quanto potrà servirti, mi chiedo.", ridacchiò il nero nemico, prima che le oscure mosche iniziassero a ronzare fastidiose sulla parete difensiva della guerriera d’argento.

"Forse hai pensato che lo Sciame del Terrore fosse mera distrazione per indebolire la concentrazione di quel seguace di Eolo, ma questo mio attacco ha una natura ben più versatile!", avvisò prontamente Icaros, "Può distrarre, confondere, permettendo agli alleati di colpire, oppure può lentamente rodere il corpo, o le difese, dell’avversario, come in questo caso!", rise divertito il nero guerriero, mentre già Iulia poteva notare i rossi petali lentamente dilaniati dalle feroci mosche.

In condizioni diverse, probabilmente, la sacerdotessa dell’Altare avrebbe semplicemente accresciuto le dimensioni delle scarlatte difese di cui era munita, ma dallo scontro con il Quinto Artiglio d’Africa, le riserve d’energia che da anni conservava all’interno delle vestigia di cui era custode erano considerevolmente scemate, riducendosi ancora di più nella battaglia contro Mawu del Mamba Nero ed infine contro il Re d’Africa stesso.

Non aveva riposato dalla fine dello scontro in Polinesia, poche ore, il tempo di riorganizzarsi, poiché subito era scoppiata l’invasione delle Ombre malefiche al Santuario e lì, nel Tempio di Eolo, eppure aveva rifiutato la proposta di Damocle di Crux di affiancarsi a Cassandra di Canis Maior, ma non per superbia, bensì per dimostrare che era una leader degna di tale ruolo, poiché, fra quei cinque cavalieri d’argento, era lei a comandare, ed altro non sarebbe potuto essere! Era Iulia dell’Altare, allieva del Sommo Sacerdote, doveva guidarli lei, nel modo corretto.

Fu proprio per questo che la sacerdotessa scelse di lasciar defluire il proprio cosmo dalle sue difese, abbassandole, mentre già sul terreno ben altri fiori andavano germogliando: "Bulbifera Solis!", invocò, circondando lo spazio fra se ed il nero nemico con i gigli color arancione, che iniziarono a brillare, poco intensamente, ma in alta quantità.

"Tecniche da far invidia ai Pesci ed al Capricorno nero, per quel poco che so di loro, ma ben scarsa utilità avranno contro di me, che di tutt’altre arti sono maestro e prosecutore!", ribatté pacatamente la Musca Nera, lasciando che il suo sciame spaziasse fra quei fiori, diretto contro la guerriera di Atena.

Fu allora, però, che l’altra accennò un gesto della mano, ben poca cosa, che, però, lasciò detonare con violenza i molteplici fiori, devastando lo spazio che divideva i due combattenti ed investendoli entrambi, schiantandoli a diversi metri di distanza l’uno dall’altra.

Ci volle qualche secondo alla sacerdotessa guerriero per riaversi, un tempo breve, ma, sul campo di battaglia, un tempo che avrebbe potuto costarle la vita, se non fosse stata abbastanza fortunata da investire anche l’avversario con quella tecnica esplosiva.

Icaros era ancora al suolo, come poté facilmente notare Iulia, rialzandosi ed avanzando con passo accorto verso il nero nemico, il cui corpo era ora segnato da molteplici ferite ed ustioni, mentre le tetre vestigia avevano più e più crepe ad adornarle adesso.

Fu un lampo, un istante di ritardo, quello che sorprese l’allieva di Sion, il tempo necessario alla Musca Oscura per volgersi in piedi e rivolgerle contro la mano destra, "Stimulus Terroris!", urlò deciso il nero nemico, oltrepassandola.

"Buona la tua strategia, guerriera di Atena, non avendo delle buone difese hai puntato ad un ampio effetto offensivo per sconfiggermi, ma non è stato sufficiente ed ora cadrai, e non per mia mano, ma per i tuoi stessi rimpianti.", bisbigliava già la voce di Icaros, prima che un forte ronzio costringesse Iulia a portare le mani alla nuca, cadendo in ginocchio.

"Spergiura!", fu una voce ciò che prese forma dal forte ronzio, una voce nota, che costrinse Iulia ad alzare la testa, scoprendo di non essere più presso l’Ingresso di Ponente del Tempio di Eolo, ma in un’ampia sala nera.

"Spergiura!", urlò ancora la voce, prima di mostrare la propria origine, il viso asciutto, il fisico magro, il corpo segnato da indicibili ferite e prossimo alla decomposizione, di Ilio dello Scultore, il secondo degli allievi di Sion.

"Ilio?", balbettò la sacerdotessa dell’Altare, "Spergiura!", ripeté il giovane cavaliere, "Perché mi dici ciò?", domandò lei di rimando, "Perché avevi promesso che mi avresti sempre aiutato e protetto, non ricordi?", incalzò quello e, alla memoria della guerriera ritornarono i giorni dell’addestramento.

Quando lei stava ormai completando il proprio di addestramento, prossima all’investitura con le vestigia dell’Altare, quelle che, fin dai tempi del Mito, spettavano al più fidato consigliere del Sommo Sacerdote, in quel periodo un giovane ragazzino era stato condotto alla presenza dell’Oracolo di Atena, un ragazzo dai lineamenti strani, di certo orientali, ma con qualcosa di antico e misterioso, dei lineamenti che, seppur segnati dall’età, aveva visto anche sul volto del proprio insegnante.

Durante i primi giorni di addestramento, Iulia era stata sempre d’aiuto al piccolo Ilio, preparandolo per cosa gli sarebbe spettato da fare in futuro: apprendere i segreti della riparazione delle sacre armature, un grande onore, che a lei non era stato permesso di conoscere.

"L’invidia ti ha portato a voltarmi le spalle, vero? Sapevi che ero vittima dell’attacco di qualche nemico, ma non sei corsa in mio soccorso, mi hai lasciato lì, a morire, da solo, invocando il nome tuo e del maestro!", lo accusò ancora l’ombra di Ilio.

"Ero stata inviata in un’altra missione dal nostro maestro, stavo guidando altri santi di Atena nella liberazione di un tempio sacro!", cercò di rispondere l’altra.

"E quale ottima guida sei stata!", accusò una seconda voce, prima che una figura quasi trasparente, un riflesso di luce, si mostrasse alla sacerdotessa, con le fattezze di Vincent di Scutum, così come lo aveva visto all’interno del Guscio Infinito di Ntoro della Testuggine.

"Mi hai condotto alla morte, sacerdotessa dell’Altare, se non mi fossi sacrificato avremmo potuto vincere contro il Quinto Artiglio? Non credo proprio! Se non avessi dato volontariamente la mia vita, ossessionato dall’azione altruistica di Menisteo, saresti viva? Non prenderti glorie che non ti appartengono! Accetta piuttosto le colpe di essere stata un pessimo comandante!", la accusò, mentre già la figura del cavaliere della Corona Boreale gli si affiancava, dilaniata dagli artigli del Re Leone d’Africa.

"Siete venuti nel nostro tempio ad aiutarci, eppure ho perso la vita, come molti dei miei compagni e come il mio amato, dopo di me.", aggiunse una nuova voce, femminile, prima che anche Tara del Diodon si mostrasse, la bellezza che le era propria raggrinzita per il veleno del Mamba Nero.

"Non è vero…", balbettò appena la sacerdotessa.

"Spergiura!", ricominciò ad urlare l’ombra di Ilio, "Incapace!", fecero eco i due spiriti dei cavalieri d’argento morti durante le ultime battaglie in Polinesia, "Traditrice!", aggiunse il cadavere dell’Areoi, in un costante ronzio di critiche ed insulti che spinse di nuovo in ginocchio la discepola di Sion, costringendola a premere con forza le mani contro il capo.

Un ronzio che fu superato da un’accusa ancora più pesante: "Assassina!", un urlo che provenne da una sagoma dalle vestigia dorate, un uomo dall’inusuale bellezza ed eleganza, il cui viso, però, sembrava ormai asciutto di ogni liquido, rinsecchito, come la pelle delle mani, ormai raggrinzita.

Una mummia, quasi, che però Iulia non ebbe difficoltà a riconoscere: "Nobile Raphael…", balbettò nel vedere l’ultimo cavaliere dei Pesci del Grande Tempio, lo stesso che, ormai in tarda età, aveva donato il proprio cosmo alle vestigia dell’Altare, perché ne contenessero il potere.

"Ti ho donato le mie ultime forze, ti ho offerto qualcosa che ad un semplice guerriero d’argento non sarebbe mai dovuto spettare e quale risultato hai ottenuto? Sei sempre stata impavida ed imperiosa con tutti, finché quel cosmo non hai dovuto sacrificare contro un nemico, ben consapevole che altri, ancora più forti, sarebbero giunti dopo! Hai fatto un uso sbagliato del potere che avevi! Hai condannato i compagni, quelli che già sono caduti a causa delle tue scelte e gli altri, quelli che già stanno combattendo, prossimi alla morte qui e poi ad Atene!", accusò, rivelando quattro figure che si stanziavano silenziose in fondo all’ampia e nera area.

Quasi perde un battito del cuore Iulia nel riconoscerli: vide Cassandra, il corpo dilaniato da un qualche veleno che ne aveva raggrinzito i muscoli; Damocle, di fianco a lei, il petto perforato da un’arma di qualche tipo; Dorida, decapitata, che teneva la propria testa mascherata con la mano sinistra; Gwen insozzata di sangue oltre ogni immaginazione.

"Sono morti, tutto perché non hai saputo compiere le giuste in battaglia.", la accusò ancora quello che appariva come il cavaliere d’oro dei Pesci, "Sei un’assassina!", urlò.

Fu in quella cacofonia di insinuazioni ed accuse, in quel caos di immagini che roteavano attorno a lei, che la sacerdotessa dell’Altare avvertì un cosmo amichevole e familiare avvolgerla, non le parlò, ma quella sensazione risvegliò in lei un ricordo del passato, un ricordo dei giorni in cui proprio Ilio aveva iniziato i propri addestramenti.

Erano alla Tredicesima Casa dello Zodiaco, lì, il Sommo Oracolo di Atena stava iniziando il giovane apprendista ai segreti delle vestigia e lì aveva chiamato, quella mattina, anche la sacerdotessa d’argento.

"Continua ciò che ti ho spiegato, Ilio, torno presto.", aveva detto Sion, non appena l’altra allieva era giunta, "Cammina con me, Iulia, parliamo.", aveva aggiunto verso questa, allontanandosi nelle sale del Sommo Sacerdote.

"Ben presto, mia giovane allieva, dovrai affrontare le prove per l’investitura.", esordì, dopo un breve silenzio, Sion, "Sono pronta, maestro!", aveva replicato lesta l’altra, ricevendo un sorriso gentile dall’anziano, "Ne sono convinto.", aveva concordato.

"Non per questo ti ho chiamato, ma per parlarti delle vestigia che, sono certo, a breve indosserai, quelle dell’Altare.

Come già ti dissi anni fa, furono quelle le vestigia del mio defunto maestro, Hakurei, uno dei due sopravvissuti alla precedente Guerra Sacra, uno dei due, assieme a suo fratello Sage, mio predecessore come Oracolo della dea, che ci guidarono nell’ultimo scontro contro il signore degli Inferi.", iniziò a spiegare Sion.

"Durante i giorni di guerra, però, il nobile Sage cadde per imprigionare nuovamente lo spirito di uno dei due dei Gemelli, Thanatos, la Morte. Fu così che al mio insegnante toccò il ruolo di Oracolo, seppur solo per un breve periodo, fingendosi suo fratello per non indebolire le certezze delle nostre schiere, per non portare lo sconforto.", continuò a raccontare, mentre già Iulia riusciva ad intravedere, dalla propria maschera, la tristezza calare sugli occhi del Sommo Sacerdote.

"La notte prima di partire per l’assalto al castello dove sapeva che avremmo trovato l’altro dei due Gemelli Divini, Hypnos, il Sonno, il maestro mi parlò, raccontandomi parte degli anni passati in attesa, oltre due secoli preparandosi alla nuova guerra, oltre due secoli in cui combatterono tante piccole guerre, spesso andando egli stesso in missione per conto del Santuario, un periodo in cui il nobile Sage dovette, per lo più, restare al Grande Tempio, poiché importante era il suo ruolo nello stesso.

Egli era l’Oracolo di Atena, il comandante delle schiere sacre della Giustizia e come comandante sapeva che da lui dipendevano molte vite, dalle sue scelte, dalle sue strategie. Era consapevole, Sage, del rischio cui ogni piano era soggetto, ma, mi raccontò allora il mio maestro, era questa la grandezza di suo fratello come comandante: accettava il peso delle proprie scelte.

Questo è ciò che deve fare un vero comandante, scegliere per il bene comune, spesso anche inimicandosi i propri compagni, se necessario, ma sempre accettando le conseguenze delle proprie azioni, poiché potrà venire il giorno in cui un piano, o un’azione, che in quel momento sembrava adatta, risulterà invece azzardata, portando alla morte di qualche cavaliere, ma tutti noi abbiamo consacrato la nostra vita alla Giustizia, quindi, per quanto doloroso, dobbiamo essere pronti al sacrificio e, allo stesso tempo, quelli fra di noi che guidano l’esercito di Atena, devono anche essere consapevoli delle responsabilità e sopportarle in silenzio, senza farsi piegare dal peso delle stesse.

Ricordalo sempre, allieva mia: un vero capo non si vede da come impartisce gli ordini, ma da come sopporta il peso degli stessi.", gli disse quel giorno il maestro.

Un ricordo che rinfrancò la mente di Iulia, mentre calde lacrime scivolavano dalla maschera d’argento, "Perdonatemi, se potete, so di aver portato alcuni di voi alla morte, ma non posso restare così, mera bandiera che sopporta il vento della propria incapacità, devo piuttosto combattere contro il nemico che ho dinanzi, per onorare la vostra memoria!", esclamò, lasciando esplodere il proprio cosmo, la sacerdotessa guerriero.

Icaros osservava soddisfatto il proprio successo: la sacerdotessa di Atene era china al suolo, il corpo piegato dalla frustrazione che aveva tenuto nascosta dentro di se per chissà quanto tempo!

Dei due allievi del Leone d’Oro Nero, Icaros era colui che risvegliava il ronzio della coscienza, come amava definirlo ogni tanto, quelle mancanze, quelle insicurezze, quei dubbi, che ogni persona porta dentro di se, ma cerca di nascondere con azioni baldanzose. Un modo di fare di certo differente da quello di Iginio, o del possente Medonte, ma adatto a lui, che della Mosca Nera, era il guerriero.

Con queste pensieri in mente, il tetro invasore si volse verso l’altro campo di battaglia, scrutando ciò che restava di Luxa della Gru Oscura, sbuffando dinanzi al compagno, o presunto tale, caduto, prima di rivolgere la propria attenzione al Dominatore dei Venti che lì riposava, osservandone le carni ustionate e ferite.

"Probabilmente non servirebbe nemmeno che lo colpissi con uno dei miei attacchi, basterebbe poco perché egli cada, ma meglio andare sul sicuro!", ghignò Icaros, rivolgendo sullo stesso l’indice, "Stimulus Terroris!", imperò, pronto ad infierire sul Dominatore, prima che un’impronta cosmica scivolasse nella sala, distraendolo e richiamando la sua attenzione sulla sacerdotessa di Atena.

"Chi osa?", esclamò sorpreso il nero guerriero, sentendo quel cosmo scivolare anche oltre la guerriera di Atene e raggiungere persino il seguace di Eolo dietro di lui, rinfrancandolo quasi e portandolo ad aprire di scatto gli occhi, liberando una fresca, ma violenta, folata di vento, che spinse indietro Icaros, portandolo ad atterrare, con una capriola, proprio al centro fra i due avversari adesso di nuovo in piedi.

***

Era confuso, Coriolis, Dominatore consacrato ad Eolo: ricordava di essersi diviso dai compagni, di aver indossato le vestigia che gli erano proprie, impugnato l’arma con cui aveva affrontato già alcune battaglie, ai tempi del Tradimento di Luis, per poi raggiungere l’anticamera che gli era propria.

Tutto ciò ne era sicuro, ed era anche sicuro di aver avvertito uno strano cosmo invadere la sala centrale del Tempio, lì dove si trovava l’altare con l’Otre dei Venti, dopo di ciò, però, solo confusione.

Aveva avvertito una presenza alle sue spalle? Oppure era stata solo la sua immaginazione e, quand’anche tale fosse stata l’origine di quella presenza, perché gli sembrava che qualcuno avesse rubato forse anche un’ora della sua vita?

Della battaglia che aveva sentito scoppiare nella sala di Tramontana, ora non avvertiva più niente: né il cosmo del secondo nero nemico, né quello di Oritia, solo la sacerdotessa di Atene giunta in loro soccorso all’Ingresso Nord era ora in movimento verso il corridoio.

Dello scontro che aveva sentito iniziare nella sala di Levante, quello fra un qualche misterioso nemico e due nuovi alleati, ora non sentiva più niente, se non i cosmi dei due seguaci di Atena, poiché tali di certo erano, in movimento.

Della battaglia nella sala di Ponente, invece, ora avvertiva che anche Aliseo vi aveva iniziato a partecipare, così come avvertiva due nuovi scontri, di cui non ricordava d’aver sentito l’inizio, uno nelle vicinanze dell’Ingresso dell’Ostro e l’altro nell’Anticamera di Scirocco.

Oltre tutto ciò, cosa più sconcertante, Coriolis stava osservando un individuo dinanzi a se, un guerriero dalle vestigia nere, nel cui sguardo vedeva la medesima confusione.

"Pisces Oscuri, che tu sia maledetta!", ringhiò quello, rendendosi forse conto in quel momento dei fatti e portandosi in posizione di guardia.

"Non so chi tu sia, invasore oscuro, ma oltre alla tua vita, reclamerò da te delle risposte, sappilo!", esordì di rimando il Dominatore dei Venti, pronto alla battaglia.

***

Icaros della Musca Nera osservava i due nemici dinanzi a lui, con un certo sollievo: da una parte, aveva una sacerdotessa di Atene, le vestigia ridotte a molteplici frammenti, piuttosto mal ridotte, il corpo segnato da altre battaglie, di certo quelle che aveva avvertito combattere nei giorni precedenti; dall’altra, un dominatore di Eolo, anch’egli con l’armatura ridotta a diversi segmenti spezzati, il corpo segnato da molteplici ustioni, frutto dello scontro da poco concluso con Luxa della Gru Oscura.

"Avresti dovuto accettare la fine che ti avevo offerto, guerriera di Atena, una morte fra le sofferenze dello spirito sarebbe di certo risultata meno dolorosa di una fra i dolori del corpo.", la apostrofò il nero invasore, prima di volgersi verso l’altro: "E tu, seguace di Eolo, avresti fatto meglio a non risvegliarti… il tempo di un incubo e la tua sofferenza sarebbe finita.", aggiunse, espandendo il proprio cosmo, "Ora, per entrambi, sarà tempo di soffrire molto di più!", li ammonì, liberando la Multitudo Terroris contro di loro.

"Insieme, Dominatore di Eolo!", suggerì allora Iulia, reagendo prontamente: "Speciosae Scudis!", invocò, sollevando la barriera di petali scarlatti, mentre già un nitrito echeggiava nell’aere, "Destrieri del Vento, sbarazzatevi di queste mosche fastidiose!", imperava Aliseo, liberando la possente carica d’energia, con cui travolse lo Stormo bloccato dai gigli rossi dell’Altare.

"Avete trovato nella collaborazione l’arma per fronteggiarmi? Me ne compiaccio per voi, ma non è abbastanza, non quando ancora posso ricorrere al Murmur Terroris!", urlò deciso Icaros, liberando un forte stridere che costrinse entrambi i guerrieri al suolo.

Cercò subito di rialzarsi la sacerdotessa dell’Altare, alzando lo sguardo verso le due figure che con lei stavano combattendo in quella sala, per trovarvi, oltre loro, anche le medesime sagome che poco prima avevano cercato di piegare il suo spirito.

"Non succederà di nuovo, ormai ho compreso il peso del comando!", bisbigliò fra se l’allieva di Sion, scoprendo però, che, adesso, il ronzio non era solo nella sua mente, ma già logorava le articolazioni del corpo, rovinando ulteriormente le vestigia già distrutte, riaprendo le ferite da poco rimarginatesi.

Sorte migliore non era toccata ad Aliseo che, nel tentativo di alzare lo sguardo, vedeva attorno a se gli sguardi di Noto, Coriolis ed Oritia, sguardi accusatori, perché egli era il successore di Luis, il grande traditore! Perché sapeva che non avrebbe mai potuto togliersi di dosso quella fama negativa, anche se di niente lui era colpevole.

Questi dubbi, queste frustrazioni, quasi, fecero ignorare al Dominatore di Ponente il dolore che logorava ulteriormente il corpo segnato dalla battaglia appena conclusa.

"Sei riuscita, guerriera di Atena, a superare l’ostacolo mentale che le mie tecniche portano dinanzi alle mie vittime, me ne compiaccio per te, ma il Ronzio del Terrore è ben peggiore arma dello Sciame e della Puntura, poiché unisce l’offensiva mentale ad una fisica molto più dolorosa e massacrante.", avvisò tranquillo il nero nemico, volgendo lo sguardo ad Aliseo, "E tu, carnefice di Luxa, ben minori speranze di vittoria hai, poiché al dolore del corpo, per te, si unisce quello dello spirito!", aggiunse soddisfatto.

"Guerriero di Eolo, vinci i tuoi dubbi! Prendi consapevolezza di chi sei!", suggerì, con voce strozzata, Iulia, cercando di bruciare il proprio cosmo a sufficienza per rialzarsi in piedi.

Quelle parole, così come la leggera risata di scherno di Icaros, arrivarono alle orecchie di Aliseo, assieme ad una percezione che andava oltre il semplice udito, la percezione dei cosmi che già stavano combattendo e, su tutti, quello di Lothar, suo amico e compagno nella sventura, il nuovo Dominatore dello Scirocco, succeduto all’altro traditore di Eolo.

Ricordava ancora, Aliseo, come un giorno, mentre si addestrava, fu avvicinato da quello che allora era, come lui, un apprendista del Tempio: Lothar, appunto.

Il ragazzo aveva il capo rasato, la carnagione abbronzata tipica di chi aveva vissuto a lungo sotto il sole cocente ed i lineamenti che tradivano le sue ascendenze arabe.

"In questo culto sono quindi accettati uomini e donne di tutte le fedi? Qualcosa che non credevo immaginabile.", esordì proprio Lothar, indicando il crocifisso che, ai tempi, ancora il giovane ispanico teneva al collo. "Sì, è vero. In questo luogo, sei libero di essere chi preferisci e ritieni più adatto alla tua natura: siamo liberi come il vento a cui siamo consacrati.", confermò con un sorriso timido Aliseo.

"Non lo trovi buffo? Siamo liberi come il vento, eppure ci facciamo chiamare i Dominatori del Vento, poiché lo controlliamo, togliendogli la sua libertà? Sembra quasi una contraddizione in termini…", suggerì l’altro, aprendo la mano e lasciando che l’aria fluisse, portando dei granelli di sabbia, lungo la stessa, "O almeno, questo è ciò che il mio maestro, Favonio, ha cercato di spiegarmi. Un discorso complicato, in vero.", ammise con un mezzo sorriso l’altro.

"Favonio è il tuo maestro?", chiese stupito Aliseo, catturato da quella definizione, così discostante dalla logica propria di tutti i Dominatori, che dicevano di essere allievi di Eolo stesso, poiché ognuno di loro aveva da solo appreso come controllare il proprio vento dinanzi all’Anfora sacra.

"Sono io a definirlo così, ma egli mi ha chiesto di non farlo dinanzi ad altri, poiché sarebbe ingiusto verso il Signore dei Venti, sembra.", ammise, dopo essersi guardato intorno, l’arabo, "Però, è stato Favonio a strapparmi alla mia vita precedente e lui mi ha dato suggerimenti su come domare il vento che m’è proprio, quindi ritengo sia giusto che lo chiami maestro.

Se non maestro, come? Salvatore? Poiché ha dato senso ad un’esistenza altrimenti vuota.", aggiunse ancora.

"Vorrei aver avuto la tua stessa fortuna, amico mio.", fu il primo commento di Aliseo a quella confessione, "La nostra bella comandante, Okypede, mi ha scelto e concesso questa forma estrema di libertà, ma non ho mai avuto qualcuno che mi guidasse nei miei addestramenti, non come Ekman, l’ultimo di noi tre nuove reclute, né come Oritia, che dalla nostra bella guida riceve spesso suggerimenti, al pari di te con Favonio.

No, per me non ho avuto parole, o consigli, specialmente non dal Dominatore di Libeccio, che pare disprezzarmi senza un vero motivo, né tanto meno da Coriolis, così distante e disinteressato alle persone.", ribatté triste lo spagnolo.

"Allora, permetti a me di darti un consiglio, amico cristiano, lo stesso che mi diede il mio maestro: il Vento è libertà e quindi per sua natura non si piegherà mai ad essere dominato, non cercare di domarlo, semplicemente apri con lui il tuo cuore, mostragli cos’è per te la libertà.", suggerì pacato con un sorriso, "E, allo stesso tempo, non preoccuparti degli sguardi altrui, gli stessi che spesso anche a me rivolgono, poiché saranno i fatti e le azioni che compiremo negli anni, in questo sacro luogo, a definirci, non le azioni compiute da chi è venuto prima di noi.", concluse, dandogli una gentile pacca sulla spalla.

E quel contatto, Aliseo, parve sentirlo anche in quel momento, un contatto che lo rinvigoriva, che gli ridava certezza e forza, spingendolo a rialzarsi, al pari della seguace di Atena al suo fianco: entrambi feriti, privi ormai di difesa alcuna, ma con un cosmo che ancora brillava e soffia, carico di determinazione e volontà.

Fu in quel momento, che forse per la prima volta, i due guerrieri videro nello sguardo del nero invasore del vero e proprio sbigottimento: "Come fate ad essere in piedi? Il dubbio ed il dolore dovrebbero avervi piegato ormai!", accusò Icaros, guardandoli con stupore.

"No, Ombra malefica, il dubbio non è un ostacolo, poiché da quelle debolezze che cercavi di mostrami ho saputo trovare la forza per migliorare!", ribatté decisa Iulia, "Ed il dolore del tuo attacco è ben poca cosa, dopo aver affrontato in battaglia nemici molto più valorosi, quali erano le Belve d’Africa!", aggiunse espandendo il proprio cosmo e lasciando che decine di gigli arancioni germogliassero attorno al nemico.

"Delle incertezze che in me cercavi di scatenare, so bene la ragione ed il modo in cui risolverle! Pensavi d’intimorirmi con qualche piccolo spettro del passato? Moscerini ben più fastidiosi ho saputo scacciare!", lo ammonì Aliseo, "E per il dolore fisico, moschito, con tutte le ustioni che ho addosso, il tuo ronzio è ben poca cosa!", rise ancora, liberando la corrente di vento che gli era propria.

"Bulbifera Solis!", imperò a quel punto Iulia dell’Altare, "Brezza di Zefiro!", gli fece eco Aliseo di Ponente, "Multitudo Terroris!", fu lesto nel ribattere Icaros della Mosca Nera.

I bulbi luminosi esplosero, deflagrando e disperdendo lo sciame tenebroso, agitandolo quel tanto perché la corrente di vento di Ponente trovasse la propria strada in quel percorso, investendo in pieno il proprio bersaglio, sollevandolo da terra, frantumando ciò che restava delle sue vestigia e lasciandolo ricadere malamente al suolo.

Fece quasi per alzarsi, il nero nemico, quando avvertì una fitta al petto, un giglio bianco che stava iniziando a germogliare dal corpo di lui: "Martagonae Mortis!", sibilò allora la sacerdotessa di Atena, avvicinandosi all’altro.

"Non sforzarti oltre, Ombra della Musca, ormai il tuo tempo è giunto.", avvisò l’allieva di Sion, facendo qualche ulteriore passo avanti, poggiando le mani sul fiore che germogliava, "No, non mi sforzerò oltre, sacerdotessa di Atene, ma sappi che ben presto ci rivedremo in Ade: forti sono le vostre volontà, lo ammetto, ma questi colpi che di me hanno avuto ragione? Niente potranno contro i quattro guerrieri d’oro che ci hanno guidato fin qui.

Che sia il misterioso Ariete, il Sagittario che da questi luoghi proveniva, i Pesci Oscuri, che con te condivide la passione per i fiori, o il mio possente maestro, il Leone, poco importa: chiunque di loro incontrerete in battaglia, avrà di voi ragione. Vivete con questa ulteriore certezza.", bisbigliò infine Icaros, mentre la vita andava via dal suo corpo, assieme alle ultime forze, assorbite dal giglio bianco, che subito Iulia attirò a se.

"Un ottimista questo tipo!", sbottò allora Aliseo, tastandosi una delle tante ferite, "Quasi più simpatico di quel pazzo piromane!", ridacchiò ancora, prima di volgere lo sguardo ai diversi campi di battaglia.

"Cosa preferisci fare, seguace di Atena? Io andrò a supportare i miei compagni, sei con me?", chiese educatamente il Dominatore di Ponente, ricevendo uno sguardo da quella maschera d’argento, prima che Iulia si alzasse in piedi, "Sì, guerriero di Eolo, andiamo incontro alle prossime battaglie, ho anch’io dei compagni a cui riunirmi.", concordò lei, lasciando con l’altro l’Ingresso di Ponente.

Homines 7: Temujin

"Sicuro di questa scelta, fratello?", gli aveva chiesto quel lontano giorno una delle due persone lì presenti con lui, "Come sono sicuro che questa vita non mi aggradi!", aveva risposto lui, guardando all’altro, mastodontico ed immobile, quasi confuso fra le tenebre, mentre il terzo era seduto in disparte, apparentemente incurante di quanto stava succedendo.

"La divinità che servivano ci ha dimenticato, al mondo, di certo, siamo ignoti, di fatto, siamo divenuti i Perduti… il che, fratelli miei, è molto ironico.", commentò la sagoma seduta, prima che lui facesse un passo avanti.

"Non resteremo per sempre i perduti, farò tornare tutti noi nel mondo degli uomini! Che la Triade possa manifestarsi di nuovo alle umane genti e che gli dei, specialmente colui che ci ha tradito, abbiano di che piangere nel rivederci!", esclamò, espandendo il proprio cosmo, che subito entrò in sintonia con quello degli altri due.

"Buona fortuna, fratello.", disse il gigantesco individuo nell’ombra, "Prepareremo i nostri ed i tuoi uomini per il momento in cui torneremo a calpestare la Madre Terra.", assicurò e quelle furono le ultime parole che sentì da loro.

Quando si risvegliò, era in un luogo a lui del tutto sconosciuto, in una vasta landa senza fine, una steppa bellissima a vedersi, un luogo che, dopo alcuni giorni di marcia in cerca di forme di vita, scoprì essere la Mongolia.

Trent’anni erano passati da quel giorno, un periodo in cui spesso aveva temuto di non poter rispettare la promessa fatta, finché non aveva incontrato lui: Giano.

Assieme avevano sviluppato un progetto che l’altro aveva solo iniziato ad elaborare, dandogli una forma, una struttura ed un esercito, più eserciti mediante inganni e promesse, ed ora, finalmente, erano prossimo al suo obiettivo, come il suo degno compagno al proprio.

In quel momento, mentre schiere di guerrieri neri e di loro confratelli, così come si amavano chiamare, stavano combattendo in diverse aree del Mediterraneo, ed anche in altri luoghi, loro due, con il Cinese, si trovavano sull’Isola della Regina Nera.

I tre guerrieri di bronzo oscuro che gli giravano attorno, lo guardavano con superiorità, e perché non avrebbero dovuto: essi avevano delle corazze, per quanto deboli, mentre lui solo una casacca tipica delle terre della Mongolia, da cui aveva fatto credere a tutti di proveniva, complici anche i suoi lineamenti ed il nome che aveva scelto per presentarsi loro. Temujin.

Un urlo richiamò l’attenzione dell’Homo verso Flemeth del Delfino Oscuro, che cercò di raggiungerlo con un calcio rotante in volo, venendo facilmente schivata.

Aveva sentito parlare dei Black Four, dagli Homines celati fra i guerrieri neri: Titos dell’Orologio era un degno allievo di Syrin, di cui era anche l’amante, a quel che aveva spiegato lui l’Indiano, conosceva qualche trucco riguardante la distorsione delle percezioni, ma niente di più. Trucchi che non erano bastati contro Giano.

Sandor della Fornace, invece, era stato un compagno di scorribande di Nesso, prima che venissero catturati ed imprigionati sull’isola, dove aveva affinato il proprio controllo del fuoco, da ciò che gli aveva raccontato l’Etrusca, ma non abbastanza da riscaldare Giano.

Flemeth del Defino era una ragazza che brillava per le sue capacità di fuga, una guerriera che aveva risvegliato in se il microcosmo molti anni addietro, fuggendo da tutte le carceri del mondo umano, prima di finire lì, sull’Isola Prigione, ma dalle scarse capacità offensive.

Capacità a cui sublimava il suo compagno: Caio dell’Orsa Maggiore, un guerriero che il Cinese aveva, una volta, definito, notevole.

Fu proprio quello a lanciarsi contro Temujin, cercando di raggiungerlo con una pioggia di pugni ad una velocità sostenuta, pugni che, però, non trovarono mai il bersaglio, poiché già l’Homo s’era spostato alle sue spalle, lasciando l’altro ad affondare i pugni nelle tenebre.

"Arrendetevi, guerrieri neri, vi concederò una morte veloce.", li apostrofò allora l’uomo dagli occhi color oro, prima che questi lasciassero esplodere i propri cosmi, "Arrenderci? Sei solo veloce, niente di più!", avvisò decisa Flemeth, scattando in balzo acrobatico, compiendo diverse rotazioni sul proprio asse verticale, mentre l’energia cosmica che da lei si generava, iniziava a diventare simile ad un nero cono vorticante contro il bersaglio privo d’armatura.

"Non solo lei devi temere, straniero!", aggiunse Caio, il cosmo che brillava con un feroce orso alle sue spalle, prima che questi aprisse la mano, rilasciando un’ondata d’energia, "Mano Violenta di Hokuto!", urlò con furia devastante il massiccio guerriero nero, "Spirale devastante!", fece eco la sua compagnia, in caduta contro il comune bersaglio.

Temujin sollevò le braccia, una diretta verso Flemeth, l’altra contro il possente artiglio d’energia, "Heisé Qu!", imperò subito dopo, mentre il cosmo attorno alle sue mani sembrava aprire le tenebre, svelando qualcosa al di là dello stesso, uno spazio privo di confini, oscuro ed infinito, in cui la violenza dell’attacco di Caio venne inghiottita, così come la guerriera del Delfino Nero.

"Flemeth!", urlò il giovane dell’Orsa Maggiore Oscura, "Che cosa le hai fatto?", ruggì furibondo, "Vi avevo promesso una morte veloce, ora, lei vagherà per l’eternità nelle tenebre senza fine.", ribatté pacato Temujin, prima di puntare gli occhi dorati contro l’altro, "Ed a te non andrà affatto meglio!".

Con uno scatto l’Homo fu addosso al guerriero oscuro e con un secco pugno sfondò il pettorale dell’armatura nera, costringendo l’altro a piegarsi, senza più fiato, prima di congiungere i pugni e calarli, a martello, sulla schiena dello stesso, frantumando anche la parte dorsale delle vestigia, prima di prendergli la testa fra le mani e sollevarlo da terra.

Olyvar della Fenice Oscura, che osservava dall’esterno quella scena, rimase sbalordito nel vedere l’atletico, ma comunque asciutto, uomo privo di vestigia sollevare per la testa il mastodontico guerriero dell’Orsa Maggiore Nera, sentendo poi le urla disperate dello stesso, mentre la stretta del suo carnefice si faceva sempre più pressante, tanto che, alla fine, il corpo privo di cranio di Caio cadde al suolo, mentre Temujin si puliva le dita dal sangue, dai capelli e dalle ossa, volgendo lo sguardo verso l’ultimo rimasto dei tre nemici che avrebbe dovuto eliminare.

Questa era la potenza del secondo in comando fra gli Homines.