Capitolo 22: Orione contro Perseo

Degos di Orione era in piedi al centro dell’Arena dei Tornei, mentre si guardava intorno: alle sue spalle, appoggiata con la schiena agli spalti di pietra, Bao Xe della Musca, stanca dopo lo scontro appena conclusosi, dal versante opposto della struttura, invece, sedeva immobile il Toro d’Oro Nero, l’uomo che un tempo lui aveva conosciuto come Bjorn, con cui aveva condiviso i duri anni d’addestramento sotto Megatos del Toro, ma che adesso era tornato ad Atene assieme ad altri fuggitivi dell’Isola Prigione, per distruggere il Santuario che un tempo aveva giurato di proteggere. Un tempo ormai lontano.

Poco distante da Bjorn, che adesso si faceva chiamare Ukko, si trovavano due corpi privi di vita, quelli di Ramsey di Cefeo Nero, ucciso in battaglia da Degos stesso, e di Umba dell’Aquila Oscura, caduta per mano di Bao Xe pochi minuti prima; entrambi erano stati addestrati da Bjorn sull’Isola della Regina Nera.

Un terzo allievo era ancora seduto di fianco al suo maestro, silenzioso ed attento alla battaglia, mentre la quarta era a pochi passi da Degos, immobile dinanzi a lui, il volto celato da una maschera, i capelli verdi, come serpenti, che scivolavano ad incastonarla, le vestigia scure, ma chiaramente simili a quelle di Perseo, le vestigia che aveva ottenuto Abar, un altro degli allievi di Megatos del Toro.

Il ricordo del lontano giorno della loro investitura, il giorno in cui le vite dei quattro allievi del cavaliere della Seconda Casa presero percorsi diversi, tornò a farsi presente nella mente dell’ormai maestro di Menisteo e Vincent, riportandolo indietro.

Aveva da poco concluso la sua prova, ottenendo le vestigia di Orione, quando era giunto, il turno di scegliere il custode per l’armatura di Perseo.

Trenta giovani aspiranti cavalieri, alcuni addestrati da uomini in altri luoghi del mondo, altri discepoli di semplici soldati, altri ancora, come Abar, allevati da veri e propri cavalieri, si fecero avanti quel giorno per conquistare le vestigia d’argento e, più di esse, lo scudo della Medusa che su quelle risaltava.

Degos, come tutti gli allievi di Megatos, ne aveva sentito parlare: si diceva che fosse il più potente fra gli scudi d’argento, pari a quello dell’armatura di Scutum, non per la resistenza, di certo inferiore, ma per il potere celato al suo interno, un potere che rendeva quel particolare oggetto da difesa degno di duellare, per virtù, forse persino con gli scudi d’oro della Bilancia.

Tutti gli aspiranti custodi dell’armatura d’argento furono armati con uno scudo dalla superficie così levigata che era possibile osservarvi le immagini perfettamente riflesse sopra.

"Aspiranti cavalieri!", li richiamò all’attenzione il Sommo Sacerdote di Atena, "Siete qui riuniti per conquistare le vestigia di Perseo, l’eroe che, nell’Era del Mito, figlio di un dio ed una regina mortale, vinse contro Medusa, decapitandola, per poi salvare la principessa Andromeda dalla furia dei Mari e prenderla come sposa. Il principe di Argo, che però preferì divenire Re di Tirinto.", iniziò a narrare l’Oracolo della dea, "Come il mitico eroe, progenitore di altrettanti eroi, fu armato dalla dea Atena con uno scudo capace di riflettere le immagini attorno a lui, così anche voi siete stati armati con un oggetto simile, un oggetto che costituirà la vostra prima prova!", spiegò ancora.

"Vi affronterete, finché solo otto di voi resteranno in piedi, ma non saranno semplici battaglie, saranno scontri che potrete portare avanti solo guardando i vostri avversari solo dal riflesso sullo scudo di cui siete forniti.

Chiunque violerà questa regola, sarà squalificato.", sentenziò deciso Sion, prima di dare inizio agli scontri.

La battaglia fu lunga, leggermente bizzarra, sotto alcuni aspetti, ma, oltre una mezza dozzina di aspiranti guerrieri che furono squalificati, molti diedero prova di grandi capacità, ma alla fine solo otto brillarono per le loro qualità strategiche e per l’elevata coordinazione del corpo con gli occhi, data l’assurda situazione in cui si trovavano.

Agli otto guerrieri rimasti, furono ripresi gli scudi dalla superficie levigata ed a tutti fu dato un singolo obolo, poi, di nuovo, il Sommo Sacerdote parlò: "Il mito narra che, oltre lo scudo, Perseo ebbe tre oggetti sacri con cui combattere Medusa, oggetti che prese dalle Ninfe Stigie, ma che ottenne solo dopo aver rubato l’occhio ed il dente delle Graie. Ora, aspiranti cavalieri, ognuno di voi ha un obolo, che rappresenta uno di quei due oggetti; chi riuscirà a prendere fino a quattro oboli arriverà allo scontro finale.", concluse l’oracolo.

Fu una lotta più equilibrata e ricca di sorprese quella, dove molti giovani aspiranti cavalieri brillarono per determinazione, ma solo due riuscirono a vedere la fine degli scontri: Abar ed il mastodontico allievo del cavaliere di Andromeda, un uomo di nome Gregor.

Era un gigantesco mostro di malvagità il guerriero che si trovava dinanzi al compagno d’addestramenti di Edward, Degos e Bjorn: lui da solo aveva ucciso dieci, se non di più, degli aspiranti al titolo di cavaliere di Perseo, non ultimi i tre che aveva affrontato nella seconda delle prove; fu solo grazie all’astuzia ed alla prontezza del proprio cosmo che, alla fine, Abar ebbe ragione di lui, costringendolo all’incapacità.

I ricordi dello scontro finale stavano ancora rivivendo nella mente del cavaliere di Orione, quando la sua avversaria si lanciò alla carica, lasciando esplodere il proprio cosmo, tetro ed oscuro, come il cielo notturno, ma, allo stesso tempo, duro e freddo come il terreno di montagna.

"Sogni ad occhi aperti, santo di Atena? Permettimi di mostrarti la tetra verità del tuo presente!", minacciò la guerriera, "Kibisis, spalancati!", imperò la fanciulla, aprendo le mani dietro di se e richiamando serpentiformi figure nere che corsero contro il maestro di Menisteo e Vincent.

"Non così in fretta!", ribatté prontamente il cavaliere d’argento, le fiamme che già circondavano il suo braccio destro, "Brazo del guerrero!", invocò, liberando il vortice di fiamme, attorno cui le fameliche creature oscure andarono ad avvolgersi, attirandolo a loro e lasciando che il fuoco venisse catturato dall’ombra e scomparisse al suo interno.

"Le creature che abitano nella Kibisis sanno fare buon uso di ciò che gli fa compagnia nella mistica sacca!", rise divertita la nera guerriera mascherata, "La Kibisis?", ripeté perplesso Degos, lo sguardo chiaramente sbalordito dalla reattività dell’altra, "Sì, la sacca in cui Perseo, nel Mito, nascose la testa della Medusa, una sacca da cui posso far uscire ben utili oggetti, quando necessario. Un potere che ho in comune con una cara amica: Yan Luo!", spiegò l’avversaria, "Anche se, al contrario suo, ben più abile nel manipolare è il cosmo di Sinai di Perseo Oscuro!", ruggì ancora, prima che dalle tenebre che ancora aveva alle spalle scaturissero nere serpi fiammeggianti, che incrinarono il terreno correndo verso il cavaliere d’argento e travolgendolo.

"Patetico, insulso, cavaliere di Atena…", lo ammonì la donna mascherata, "Capisco perché la mia stirpe vi ha tradito, ma non come abbiate fatto ad imprigionarli!", lo schernì.

"La tua stirpe?", balbettò il guerriero di Orione, rialzandosi confuso, "Esatto, vecchio mio!", esclamò allora la voce di Ukko, tonante come un temporale in avvicinamento, "Forse prima non mi sono espresso chiaramente, ma, al contrario di Umba, ingiustamente incarcerata, di questo mio ultimo allievo, giustamente incarcerato, di Ramsey, che fin lì mi ha seguito; al contrario di tutti loro, Sinai è nata sull’Isola della Regina Nera.", spiegò divertito, "Vuoi raccontare tu la tua storia, mia cara allieva?", domandò con cortesia il Toro Oscuro, lasciando alla discepola la parola.

"Discendo dai primi Alchimisti dell’Isola di Mu, coloro che non si piegarono ad aiutare Atena, che si rifiutarono di seguire i suoi cavalieri e creare per loro le armature d’oro, d’argento e di bronzo.", iniziò a raccontare la ragazza mascherata, "La mia gente fu accusata, scacciata e finì rinchiusa sull’Isola che voi chiamate la Regina Nera e lì scoprirono chi fosse la Vera Regina, la vera divinità a cui si legarono: Ate!", continuò con tono deciso la giovane, espandendo il cosmo tetro.

"Ate?", domandò il cavaliere d’argento, "Sì, la dea dell’Ingiustizia, una dei dodici figli di Eris, la perfetta controparte di Atena, la dea che tu servi, vecchio! Per lei crearono ottantotto armature oscure, ma mai ci furono abbastanza guerrieri per indossarle. Nemmeno ora sono tutte qui presenti, per diverse ragioni.", commentò con una nota di disappunto, "La maggior parte di chi le indossa è feccia, criminali e pazzi, ma vi sono anche individui che elevate capacità, come i miei compagni del Sestetto Nero, che già adesso spopolano nel vostro Santuario! Non senti anche tu, vecchio, i loro cosmi bruciare in battaglia?", domandò alzando le braccia, ben consapevole di Cicno e Duhkra che combattevano in punti diversi del tempio di Atene.

"Dunque, fanciulla, la vendetta e la devozione ti guidano? Non per la Giustizia aneli?", chiese Degos, ricevendo una fredda risata dall’altra: "Non cerco Giustizia, ma nemmeno vendetta, da troppo tempo la mia gente vive sull’Isola della Regina Nera per avere più di queste puerili necessità! No, solo la devozione, verso la divinità cui mi ritengo consacrata e, più di lei, verso i compagni del mio Sestetto, solo questa mi guida, permettendomi di dominare la Kibisis!", ruggì, aprendo di nuovo il tetro abisso dietro di se.

Nuove ombre serpentiformi uscirono da quelle tenebre, lanciandosi contro il cavaliere di Orione che, stavolta, fu pronto a contrattaccare: "Se pensi di vincermi con una singola tecnica, per quanto ma capace e mutevole essa sia, ragazza, ebbene preparati, perché di un’arma analoga sono fornito anch’io!", esclamò di rimando, "Cinturion Escarlata!", invocò subito dopo.

Fiamme gigantesche si formarono dalle braccia del guerriero, dispiegandosi in una grossa frusta scarlatta, che legò assieme le forme nere create da Sinai; "Pensi davvero, vecchio guerriero di Atena, che io sia meno informata di Ramsey sulla natura del tuo potere?", ridacchiò Perseo Oscuro, mentre le creature generate da Kibisis mutavano di forma, da serpenti ad un gigantesco destriero di ombre, un destriero che aveva molto di più di un famelico felino dalla coda di pesce, anziché di un vero e proprio cavallo.

Il mostro di tenebre parve spezzare la frusta di fuoco, ma quella, a sua volta, mutò di forma, dividendosi dal corpo dell’orrore nero e diventando uno scudo, contro cui gli artigli della belva di Sinai andarono a cozzare, ritirandosi, mentre già l’arma da difesa di nuovo mutava in una grande rete, che rinchiuse il felino oscuro al suo interno.

Fu solo allora che la rete di fuoco iniziò a vorticare: spire di fiamme che stridevano le une sulle altre, artigli rossi, gialli e bianche che si allargavano verso l’esterno, ma, allo stesso tempo, dilaniavano la creatura di tenebre al loro interno, finché, alla fine, la spirale ritornò una lunga cintura scarlatta e si avvolse di nuovo al braccio del cavaliere di Orione.

Con sguardo serio e sicuro, Degos si rivolse all’avversaria mascherata, "Arrenditi, discepola di Bjorn, e la battaglia si concluderà senza che tu debba subire la medesima sorte dei tuoi compagni! Continua a combattere e ben presto li raggiungerai!", affermò secco il santo di Atena.

Fu la risata di Ukko, tonante nell’arena, la prima risposta che ricevette: "Pensi davvero che basti quel tuo trucchetto per vincere questa mia allieva? Eppure Ramsey ed Umba avrebbero dovuto farvi capire che non guerrieri da poco io ho addestrato!", lo ammonì deciso il Toro Nero, "Sinai, mostragli le tue abilità!", imperò.

L’attenzione di Degos si volse di nuovo alla sua avversaria, scoprendo solo in quel momento come la maschera oscura che le copriva il volto stesse diventando ancora più nera, mentre il cosmo che la circondava non si espanse nell’ampia sacca dietro di lei, ma s’avvolse alla maschera e da essa iniziò a scivolare, come fiumi di tenebre, "Kuné…", bisbigliò la voce della ragazza, mentre le tenebre scivolavano via, lasciando niente al loro passaggio.

Sinai di Perseo Nero era scomparsa da dinanzi il cavaliere di Orione.

***

Seduto, sul proprio trono, il Sommo Sacerdote seguiva le battaglie: Ascanus che combatteva una violenta battaglia alla Terza Casa, l’inizio del combattimento di Kalas lungo le scale che conducevano alla Quarta, il discepolo di Munklar che fronteggiava un nemico ai piedi della Meridiana dello Zodiaco, mentre l’altro andava in soccorso dei cavalieri di bronzo.

Tutti quelli scontri ed altri ancora, presso il Tempio di Eolo, così come in Siberia e sull’Isola della Regina Andromeda, dove ancora si combatteva, mentre già la pace era tornata anche in Cina, lasciando che nuove battaglie, però, esplodessero sull’Isola della Regina Nera.

Proprio i cosmi che s’accendevano su quella prigione procuravano le maggiori preoccupazioni all’oracolo di Atena: inizialmente non se ne era reso conto, troppo confusi, troppo vasti e simili i poteri che stavano agitandosi sull’Isola prigione, nel tempio di Eolo e lì, al Santuario, ma adesso lo avvertiva, avvertiva quei cosmi che vibravano all’unisono.

Il potere dei Ladri di Divinità era particolare, Sion lo aveva dovuto ammettere tempo prima, prima ancora dello scontro ad Accad, dove alla fine si erano rivelati; però ciò che stava accadendo quel giorno era peggio di quanto mai avesse immaginato, peggio del rapimento di Shamash, peggio del furto delle divinità tutte della Polinesia, diverso da entrambe.

La prima volta, il Rito con cui venivano sigillate le divinità era durato giorni, poiché, da ciò che gli era stato riferito da Ascanus, solo uno dei partecipanti al Rito era un vero Ladro di Divinità; la seconda volta, una singola lunga giornata era bastata, poiché, in diversi punti della Polinesia, i membri di quella blasfema schiera si erano impegnati in tale rituale.

Quello che stava accadendo quel giorno, però, era sembrato inizialmente diverso: non aveva compreso Sion, non da subito, come il cosmo di uno dei guerrieri d’oro nero giunti ad Atene non fosse semplicemente in comunione con l’ambiente, ma stesse entrando in sintonia con l’essenza stessa del Santuario e, allo stesso tempo, qualcuno stava facendo qualcosa di simile nel tempio di Eolo, mentre il resto delle forze d’invasione combatteva in ambo i luoghi.

Ora quei due cosmi sembravano seguire le direttive di una terza e più possente presenza, proveniente dall’Isola della Regina Nera, la stessa presenza che aveva annientato Remais di Cancer, ne era certo, la stessa presenza che adesso era affiancata da altre due, una feroce, che aveva combattuto in Cina, e l’altra oscura ed atavica, che sembrava superare le barriere stesse del tempo e dello spazio, raggiungendo ambedue i Ladri di Divinità intenti nel loro rituale e dando forza e vitalità a quelle oscure arti di cui tutti loro erano maestri.

Quella consapevolezza lo preoccupava, ma, allo stesso tempo, aver concesso al cavaliere del Triangolo la possibilità di partecipare alle diverse battaglie, lo rassicurò: Amara era un guerriero valido, un santo di Atena che per lunghi anni aveva vissuto e combattuto secondo le necessità del Santuario ed anche adesso stava per compiere il suo dovere.

Sion stesso gli aveva suggerito un modo per uscire dalle Dodici Case senza dover combattere con i nemici che li volevano raggiungere: l’Altura delle Stelle. L’oracolo di Atena aveva spiegato al nobile cavaliere come raggiungerla dalla Sesta Casa e da lì come discenderne per ritrovarsi nei pressi della Meridiana dello Zodiaco, da cui avrebbe poi potuto continuare verso uno dei campi di battaglia limitrofi.

Non c’era molto di più da fare, ormai, si disse Sion, se non attendere e sperare per l’esito di quella giornata di battaglie.

***

Il suo nemico sembrava confuso e questo divertita immensamente Sinai di Perseo Nero: le capacità della Kuné erano paragonabili a quelle del vero elmo di Hades che il mistico Re di Tirinto aveva usato per vincere Medusa, ma provenivano non dal mito, o almeno non da quello di Perseo.

Era stata Sinai, con l’addestramento avuto e mediante alle abilità che le sue origini gli avevano concesso, a rendersi capace di tanto!

Le avevano raccontato che suo cugino, il defunto cavaliere dell’Ariete Nero, possedeva abilità simili alle sue, veli di tenebra che sapeva tessere assieme ed usare a piacimento per muoversi e combattere, ma il misterioso alleato di Ukko, poiché era chiaro a Sinai che, come molti altri, anche quel tipo di nome Wuluwaid era uno dei "confratelli" del suo maestro, uno di quelli che lo chiamavano il "Finnico".

Qualcuno dei suoi parenti le aveva persino suggerito di vendicare il cugino, ma lei non era una stupida, non si sarebbe gettata alla cieca contro un guerriero d’oro nero, avrebbe atteso e collaborato con il proprio maestro, ma, più di questo, avrebbe seguito gli ordini di Cicno, l’unico vero comandante che riconosceva per se fra quella feccia.

Un tempo, le avevano raccontato, quando era ancora piccolo, che l’esercito nero sarebbe dovuto essere uno schieramento di uomini baldi e spietati, di assassini, certo, ma non squallida e semplice feccia scaricata sull’Isola della Regina Nera e così assetata di potere da prendere quelle patetiche copie delle vestigia dei cavalieri di bronzo, armature d’infima qualità, le peggiori fra tutte le nere armature.

Quel sogno era ancora l’obbiettivo di Sinai e vedeva in Cicno questa possibilità: lui non era Medonte, assetato di gloria, non era Ashur, un mostro di perversione, non era Luis, un patetico e vuoto guerriero dei Venti caduto, ma non era nemmeno il suo maestro, o uno dei suoi otto compari! Persino Brienne era stata rovinata da quel Gemini Oscuro, che era chiaramente il loro capo! Un tempo, per quanto fervida credente in Madre Natura, Brienne del Capricorno Nero era una donna valida e coraggiosa, che portava onore alle proprie tetre vestigia, adesso, con il nome di Epona, era solo un’altra di quel gruppo di ossessionati.

Cicno era migliore di tutti loro, lei ne era certa, lo avrebbe seguito in ogni suo progetto e se lui diceva di combattere contro i santi di Atena, allora lei lo avrebbe fatto, come sentiva già combattere Duhkra ed Eracle Nero stesso!

Il santo di Orione allargò le braccia, fiamme incandescenti dalla lunga cintura di fuoco che il cavaliere d’argento stava agitando attorno a se, ma questo non preoccupava l’oscura guerriera, invisibile ed abbastanza lontana dall’arma dell’avversario, o almeno tale era la sua condizione, dato ciò che sapeva della tecnica altrui.

Il Toro Nero le aveva spiegato la particolare natura della Cintura di Orione: un costrutto di fuoco vagamente paragonabile ad una catena, ma, quella particolare arma poteva mutare, come già aveva visto fare durante i precedenti assalti, tramutarsi in una prigione, o in uno strumento d’offesa o di difesa.

"Adesso basta, Perseo Nero, è tempo che questo scontro si concluda! La guerra non aspetta i tuoi comodi purtroppo!", esclamò con triste determinazione proprio il compagno d’addestramenti del suo maestro, sollevando la fiammante cintura, che si chiuse in un disco, forato al centro.

Il cavaliere iniziò a roteare il disco infuocato che s’ampliò sempre di più, creando delle ondate di fiamme che bruciavano il terreno intorno a lui, allargandosi di continuo.

Se il volto non fosse stato mascherato e l’intera sua figura celata dalle ombre che il cosmo sapeva generare, Sinai sarebbe stata scoperta a sorridere: la Kuné, l’elmo di Hades nel mito, era uno strumento per l’invisibilità, quello che circondava Perseo Nero era molto di più.

Il disco di fuoco di Orione raggiunse, infatti, Sinai, ma non la colpì, le fiamme furono deviate, malgrado ciò che, in realtà il cavaliere d’argento vide, non capendo la posizione dell’altra finché fu troppo tardi, o almeno finché non sarebbe dovuto esserlo.

"Degos! Le ombre!", urlò l’altra seguace di Atena, proprio nel momento in cui Sinai stava compiendo un balzo, oltrepassando le fiamme poste intorno al suo nemico, scatenando un vortice di tetra energia contro quello.

Fu un attimo, un secondo appena, mentre l’anziano cavaliere si guardava intorno, il tempo necessario perché notasse come le fiamme sembravano riflesse in modo innaturale, inverso rispetto al loro corretto movimento, proiettando ombre che non combaciavano con la realtà dell’ambiente circostante.

Quel semplice indizio bastò per spostarsi velocemente, un movimento rapido, quasi istintivo, mentre dei fori s’aprivano nel terreno, danneggiando in modo appena leggero le vestigia di Orione, senza ferire il cavaliere d’Atena, che rimase a guardarsi intorno per alcuni istanti, chiedendosi come le fiamme della Cintura non fossero riuscite ad individuare l’avversaria, o colpirla, finché un’assonanza, un ricordo, ritornò alla sua mente, un ricordo di una vecchia giornata d’addestramenti e delle parole che Megatos aveva rivolto a lui e gli altri discepoli.

"Il Muro di Cristallo…", rifletté sorpreso il maestro di Menisteo e Vincent, guardandosi attorno; "Ci sei arrivato, vecchio mio? Bravo!", rise la voce tonante di Ukko, "Anche il vecchio Ariete Nero possedeva una tecnica simile, ma solo in parte: da ciò che vidi, lui creava un vero e proprio muro di tenebre, non di cristallo.", spiegò con soddisfazione il Toro Oscuro.

"In realtà, Bjorn, sai meno di quanto immagini! La tecnica di cui parlavo era il Muro di Cristallo del Sommo Sacerdote, forse non ricordi, ma una volta il maestro Megatos ci parlò di quando aveva visto l’Oracolo farne uso, ai tempi del suo, di addestramento. In qualche modo, la tua allieva sembra conoscere la medesima tecnica.", ribatté Degos, prima che fra le fiamme la nera figura di Sinai si palesasse, seppur solo in parte.

"Il vostro Sacerdote si dice che faccia parte della stirpe di Mu, è ovvio che, al pari mio, anch’egli conosca alcuni dei segreti degli alchimisti da cui entrambe le nostre famiglie sono state generate.

La Kuné è più del semplice Elmo del mitologico Perseo, è un mantello di oscurità che riflette la luce circostante e che allo stesso tempo mi protegge dagli attacchi nemici.", raccontò con orgoglio Sinai, "Osserva bene la mia maschera, guerriero di Orione, sarà l’ultima volta che la vedrai, prima che la morte cada su di te!", concluse, prima di sparire di nuovo nei riflessi delle fiamme, avvolta dal manto di tenebre che sapeva generare.

"Non basterà così poco per vincere sui guerrieri di Atena, giovane discendente degli Alchimisti! Quella che usi è una tecnica che appartiene ai consacrati della dea della Giustizia dall’era del Mito, non puoi sperare di vincermi solo con questo! La battaglia è ormai conclusa, a tuo svantaggio!", imperò sicuro Degos di Orione, ritraendo le fiamme verso di se fino ad estinguerle.

"La Cintura Scarlatta è un’arma che offre maggiore maneggiabilità, rinunciando alla potenza d’attacco, mentre il Braccio del Guerriero ha un’elevata potenzialità offensiva, ma riduce al minimo l’area dove poter attaccare.", ricordò il cavaliere d’argento.

"Resta quindi una sola arma con cui affrontarti, guerriera invisibile, la più potente di tutte, la stessa che ha già sconfitto Ramsey prima di te!", avvisò il santo di Atena, "Llama Nebula!", urlò subito dopo, liberando una muraglia di fiamme che lo circondò, allargandosi ovunque intorno al cavaliere, prima che questi sollevasse le braccia.

"Finalmente intendi fare sul serio, Degos! Bravo!", si complimentò la voce di Ukko, "Ma chissà se riuscirai a colpire Sinai con la tua tecnica, anche se usata al meglio!", lo sfidò beffardo il Toro Nero.

"Lo vedremo subito, Bjorn!", affermò sicuro il cavaliere di Atena, mentre la muraglia di fiamme si sollevava in cielo, ripiegandosi, diventando una gigantesca sfera di fuoco, una meteora, priva di pietre al proprio interno, ma incandescente e scarlatta.

Per qualche breve secondo Degos attese, studiando l’ambiente circostante, guardandosi attorno, finché non la individuò: una deformazione fra i corretti riflessi e le ombre che quel piccolo sole da lui creato avrebbe dovuto generare.

"Llama Nebula, travolgi il bersaglio!", invocò di nuovo Degos, rilasciando il gigantesco meteorite di pure fiamme, scagliandolo ad alta velocità nella posizione dove si trovava poco prima la variazione dell’ambiente, schiantandolo al terreno.

Quando le fiamme toccarono con violenza il terreno, un ventaglio di fuoco s’espanse, divorando la roccia in direzione degli spalti dove si trovavano il Toro Nero e l’ultimo dei suoi discepoli.

L’attacco fu violento, devastante e tale da frantumare il mantello di tenebre che nascondeva e proteggeva Sinai, spingendola al suolo, le vestigia ormai danneggiate ed il corpo malamente caduto sulla roccia, con striature di sangue che, assieme alle fiamme, coloravano l’oscurità di quelle vestigia.

Il cavaliere di Orione si avvicinò con passo calmo: non aveva riportato ferite più gravi di quelle dello scontro precedente, mentre ora, per la prima volta, l’avversaria aveva subito un evidente contraccolpo dai suoi attacchi.

"Arrenditi, Perseo Nero, che tu non debba fare la medesima fine dei tuoi due compagni d’addestramento! È triste strappare via una vita, non vi trovo alcun piacere, quindi, ti prego: arrenditi.", affermò secco Degos, fermandosi a pochi passi dall’altra.

Con fatica Sinai si rialzò, la maschera ancora integra impediva di vedere i veri lineamenti sotto quei tetri occhi neri di metallo, "Credi che sia così facile vincermi?", domandò, con leggera sofferenza nella voce la guerriera, "Non è stato facile con Umba e non lo sarebbe stato nemmeno con Ramsey se non avesse voluto apprendere le tecniche del vero Cefeo, tecniche che in nessun modo gli appartenevano!", lo ammonì la nera avversaria.

"Noi siamo ombre e come tali non dobbiamo possedere ciò che brilla alla luce di Atena, ma ciò che Ate ci concede di avere!", ruggì decisa, il cosmo, tetro e serpentiforme, che s’espandeva attorno a lei.

Un’altra risata di Ukko echeggiò nell’aria: "Lo ammetto, la ragazza è molto devota, forse troppo per i miei gusti attuali, ma non posso negare che abbia anche delle potenzialità e che questa sua ossessione per non apprendere le tecniche di Perseo sia, in fin dei conti, uno svantaggio per te!", ruggì soddisfatto il Toro Nero.

"Ti sei chiesto, cavaliere di Orione, perché non possiedo lo scudo della Medusa?", domandò allora Sinai, facendo un passo avanti, mentre il dubbio, che già era balenato nella mente di Degos, ora trovava conferma con quelle parole, "Esisteva una sua controparte oscura, lo ammetto, ma quando ho ottenuto queste vestigia, ho fatto ciò che nessun alchimista prima di me aveva fatto: ho rimodellato le mie vestigia per meglio servire la divinità a cui sono fedele!", raccontò Sinai.

"La ragazza è effettivamente un po’ invasata.", ridacchiò la voce di colui che era stato Bjorn.

"Hai distrutto lo scudo?", domandò sbalordito Degos, rendendosi conto solo allora di cosa l’altra stesse dicendo, "Non l’ho distrutto, gli ho dato una nuova forma, la stessa che stai osservando da quando abbiamo iniziato questo scontro, la stessa cui ti rivolgi ogni volta che vuoi parlarmi e guardarmi in viso, cavaliere!", avvisò con tono superbo la voce della nera guerriera.

"La maschera!", esclamò sgomento il santo di Atena, "Esatto!", ribatté rapida quella, espandendo il proprio cosmo.

"Medusa Oscura!", urlò subito dopo Sinai, liberando un bagliore d’energia dal volto, un bagliore oscuro e tenebroso che prese alla sprovvista il maestro di Menisteo e Vincent, il quale poté solo indietreggiare di qualche passo, sollevando le braccia a difesa del corpo.

Ci volle qualche secondo perché Degos di Orione si rendesse conto di essere ancora cosciente, "Non so quale sia il fine ultimo della tua tecnica, guerriera nera, ma non mi hai reso pietra!", avvisò deciso il cavaliere di Atena, "Ne sei convinto?", ridacchiò la voce dell’avversaria, mentre questi si rendeva conto di non potersi muovere.

Bastò un istante perché il maestro di Menisteo e Vincent comprendesse: il suo corpo era ancora libero, ma le vestigia erano diventate pietra, che adesso sentiva fredda ed immutabile, intrappolarlo.

"Medusa è spesso considerata una manifestazione delle perversioni umane, di quelle intellettuali, così come le sue sorelle Gorgoni lo erano di sensazioni più carnali!", spiegò con tono pacato Sinai.

"Il cavaliere di Perseo usa il vero potere di Medusa, poiché della sua testa Atena gli fece dono, ai tempi del Mito; ma l’Ombra di Perseo non può fare altrettanto, l’Ombra di Perseo usa l’essenza stessa di Medusa.

E quale perversione è più oscura che dover combattere con la mente un unico immane dubbio: restare prigionieri del proprio corpo, o liberarsi di ciò che ci protegge?", chiese la voce di lei.

"Quella prigionia è solo un inizio, cavaliere, ben presto il morbo si espanderà ai vestiti ed al tuo stesso corpo, intrappolandoti, stavolta per sempre, nella dura pietra! Sei pronto a soffrire questa fine, o intendi combattere, distruggendo le stesse vestigia che tanto orgogliosamente indossi?", domandò beffarda Sinai, alla fine.

"Non lasciargli tempo per decidere!", ordinò d’improvviso il Toro Nero, "Finiscilo, adesso!", imperò ancora.

Con una scrollata di spalle, Sinai espanse il proprio cosmo: "Sembra che il mio maestro decida evitarti tale agonia, o forse ti teme, non saprei, ma di certo è tempo di concludere la battaglia!", affermò, mentre ombre, intanto, andavano formandosi attorno a lei, prendendo l’aspetto di oscure ed affilate lame, "Non preoccuparti, sarà una fine veloce ed indolore, la stessa che poi offrirò anche all’assassina di Umba.", concluse, volgendo solo per un istante il proprio sguardo mascherato verso Bao Xe, immobile sugli spalti.

Fu proprio quello stesso istante a salvare la vita di Degos: la lama nera, infatti, saettò contro il cavaliere d’argento, ancora intrappolato nelle vestigia ridotte in pietra, quando un bianco bagliore s’intrappose fra il collo di Degos e l’arma di Sinai, un bagliore a cui seguirono poche parole.

"Trigono Pneumatos!", invocò una voce lontana, mentre una sagoma, quasi del tutto priva di vestigia, se non per i frammenti semidistrutti sul corpo, si palesava sul campo di battaglia.

"Cavaliere del Triangolo!", esclamò subito il maestro di Menisteo e Vincent, riconoscendo il parigrado, "Ti credevamo alle Dodici Case!", aggiunse subito Bao Xe della Musca, scendendo anche lei sul campo di battaglia, con un balzo, rallentata solo dalle ferite subite.

"Lo ero, ma troppo a lungo ho atteso, immobile mentre altri combattevano anche per me, ho chiesto al Sommo Sacerdote la possibilità di partecipare agli scontri ed egli me l’ha concessa!", spiegò l’emanazione cosmica del cavaliere di Atena.

"Non so chi tu sia, cavaliere dalle vestigia distrutte, ma se pensi di potermi intimorire, davvero ti sbagli! Ho un nemico che ormai diverrà presto una statua di pietra, una seconda ferita e stanca ed ora tu? Cadrete tutti in onore della divina Ate!", li avvisò sicura Sinai, prima che il cosmo di Degos esplodesse con violenza incredibile, distruggendo le vestigia di Orione e lasciandolo in piedi, seppur ormai privo d’ogni difesa.

"Credi davvero che basti così poco per intimorirmi? Non solo le vestigia a farmi cavaliere, ma la devozione ad Atena, ragazzina!", lo ammonì prontamente il santo d’argento, prima che una serie di fulmini scavassero il terreno interrompendo la battaglia e rivelando nuove figure nell’Arena dei tornei.

"Il tuo scontro è finito, Sinai, lo dichiaro un pareggio!", affermò secco il Toro Nero, rivolgendo lo sguardo, duro e deciso, al proprio compagno di passati addestramenti, prima di spostarlo verso il nuovo cavaliere d’Atena sopraggiunto.

"Amara del Triangolo non è guerriero da poco, anche se privo d’armatura, e tu sei ferita, quindi direi di lasciare questa battaglia all’ultimo dei miei allievi, sei d’accordo, Joppa?", domandò Ukko all’altra figura che lo aveva seguito fino al centro dell’arena.

"Sì, maestro, sarà un piacere.", sentenziò deciso il guerriero che indossava vestigia nere, vestigia simili a quelle di Cetus, come facilmente Bao Xe poté notare.

La battaglia continuava nell’Arena dei Tornei.

Homines 12: l’Indiano

Ben poco restava dell’esercito di Ombre dell’isola della Regina Nera, ma questo non gli importava, poiché non la loro sopravvivenza era il suo compito, no, prima dell’inizio della battaglia, quello stesso giorno, Giano aveva preso da parte lui e Wuluwaid, spiegandogli cosa desiderava da loro.

"Voi avrete un compito speciale oggi, come altri, ma diverso dal loro.", aveva esordito la voce dietro la maschera senza forme, "Le schiere d’Ombre attaccheranno i templi dei seguaci di divinità, ma voi, confratelli, sarete la vera arma con cui colpiremo le divinità.

Indiano, che hai capito come tutto sia un uno, dovrai diventare un uno con il cosmo che circonda il Santuario, il cosmo della loro dea, la stessa per cui finora hanno ostacolato i nostri piani.

Aborigeno, le tue doti di mimesi sono difficilmente superabili, tu dovrai raggiungere la sala centrale del tempio del Vento, lì dove l’essenza della divinità è più viva, grazie anche ad un’antica reliquia, per ciò che ci è stato riferito.

Altri combatteranno per uccidere i seguaci delle divinità, voi, combatterete per liberare il mondo dai suoi parassiti di olimpica origine, non tutti forse, ma almeno alcuni, legati ai cosmi che oggi cingeremo nelle nostre mani.", aveva spiegato loro.

L’indiano non aveva avuto niente da ridire su tale piano, semplicemente, aveva chiesto di poter scegliere per primo quali guerrieri d’argento nero portare con se in battaglia.

Aveva scelto Ippolita, perché come una freccia sarebbe stata lanciata contro il nemico provocando quanto più danno possibile, dilaniando, ferendo ed uccidendo e, in effetti, tali erano stati i risultati delle azioni della mancata sacerdotessa di Atena, mentre rivolgeva i propri neri fulmini contro i suoi stessi passati compagni.

Aveva scelto Gwyvin, perché lo scudo nero era un’arma terribile nelle sue mani, mani sporche di sangue fin dalle sue vite precedenti, a sentirlo parlare, mani che avrebbero con abilità saputo spazzare via quanto rimasto delle forze che Ippolita non avrebbe finito, per quanto, alla fine, erano state quelle stesse forze a distruggere lo scudo.

Aveva poi scelto i migliori fra i suoi allievi: Duhkra e Tolué.

Il Pavone Nero era quello che meglio aveva appreso da lui, il più simile, nel modo di combattere, al suo, seppur aveva distorto le lezioni di filosofia e, soprattutto, era stato avvinto dal carisma di Cicno, diventando parte del Sestetto Nero, lui, che più di Syrin avrebbe meritato di comandare sui guerrieri d’argento oscuro. Non sentiva più il suo cosmo adesso, ma sapeva che, come il suo tanto amato comandante, nemmeno Duhkra poteva essere ancora caduto, era certo che avrebbe ancora avuto un ruolo negli scontri a venire, ma non sapeva quale, per quanto, ammise con se stesso l’Indiano, era curioso di scoprirlo.

L’ultima difesa che gli restava, mentre il rituale stava per giungere alla sua conclusione, era Tolué, la sua più fedele e potente allieva: migliore sotto ogni punto di vista degli ormai defunti Kevan e Syrin, più leale ed obbediente di Duhkra ed invincibile grazie alle tecniche in suo possesso.

Lei gli avrebbe concesso il tempo necessario, avrebbe ucciso i nemici che si trovavano sul suo percorso ed ottenuto una facile vittoria in onore del proprio maestro, ma questo poco importava per lui, alla fine Tolué, come tutti gli altri era solo un piccolo segmento di un "Uno" più vasto, un piccolo segmento meno consapevole di lui, che, per quanto indossasse le vestigia di Virgo Nero, ben poco amore aveva per i cavalieri della Sesta casa che sapeva essere per lo più asceti e santoni, il tipo di uomini che più odiava.

I suoi egoistici sentimenti, però, non erano importanti adesso: avrebbe avuto ragione della mentalità individualista che tutti i seguaci delle divinità politeistiche di Grecia professavano, avrebbe sradicato l’essenza stessa della dea Atena dal suo stesso Santuario e nel farlo, avrebbe gioito.

Atene sarebbe caduta, già un cavaliere d’oro era stato sconfitto, proprio da Cicno, e gli altri lo avrebbero raggiunto presto, per mano della Gaelica, ma sarebbe stato lui a privare il mondo di quella dea che così tanti uomini aveva mandato alla guerra.

Lui, l’Indiano, l’Homines di nome Haoma.