Capitolo 27: Esperienza e Sacrificio

L’arrivo al Santuario non fu dei più semplici, né piacevoli: aveva compiuto poche ore prima il viaggio nella direzione opposta, verso le terre del proprio allenamento, poco più a nord in Europa ed ora tornava, ma era un ritorno triste e privo di molte cose quello di Gustave della Lyra.

Aveva perso il proprio maestro, Remais di Cancer, l’uomo che lo aveva reso un cavaliere e la persona che era adesso, un uomo che lui credeva imbattibile ed onnipotente era stato cancellato dal mondo, assieme a parte del proprio maniero, da qualcuno che veramente meritava tale titolo, quel Gemini Oscuro.

Oltre il maestro, poi, il giovane santo d’argento aveva perso la propria sicurezza, vedendosi sconfitto dall’Ombra che indossava le vestigia della Lyra, le sue vestigia, e, più di questo, aveva perso molte delle proprie certezze riguardanti il suo stesso insegnante, poiché l’uomo che lo aveva sconfitto, Faust, diceva di essere stato il primo maestro di Remais e che assieme a lui vi era stata un’altra, prima di Gustave, prima di Gwen, che altri erano stati i discepoli del Cancro d’Oro e che il loro ricordo era stato cancellato dalla sua memoria ed una simile possibilità bruciava più di mille sconfitte.

Non sapeva più chi fosse l’uomo che lo aveva cresciuto, ma, più di questo, non sapeva più chi era lui veramente e quindi l’unica certezza cui sentiva di potersi afferare era il proprio ruolo di cavaliere della Lyra, per questo aveva fatto ritorno al Santuario, per trovarlo sotto attacco, da parte di cosmi oscuri e potenti come quelli che avevano invaso il castello di Remais, cosmi contro cui, ben presto, avrebbe forse avuto modo di combattere.

***

Gli scontri nell’Arena dei Tornei non erano ancora conclusi, seppur da ore ormai andavano avanti ed il luogo era ormai segnato da quel susseguirsi di battaglie.

Su un lato degli spalti, si trovavano due guerrieri dalle vestigia nere: uno, mastodontico, era il medesimo invasore che aveva scatenato quella serie di battaglie, quasi fossero un gioco con cui sollazzarsi, il Toro Oscuro, l’uomo che un tempo era stato allievo di Megatos il cavalire d’oro della Seconda Casa con il nome di Bjorn, ma che ora si faceva chiamare Ukko.

Di fianco al mastodontico individuo, la sua allieva, Sinai di Perseo Nero, discendente dalla stirpe degli Alchimisti di Mu, l’unica sopravvissuta agli scontri fino a quel momento combattuto, come i corpi senza vita di Ramsey di Cefeo Nero ed Umba dell’Aquila Oscura, facilmente dimostravano.

Sul versante opposto degli spalti, invece, sedeva Bao Xe della Musca, il corpo e le vestigia segnati dalla battaglia contro la guerriera dell’Aquila Nera, e, di fianco a lei, Degos di Orione, privo dell’armatura, distrutta durante lo scontro con Sinai e con il corpo martoriato per i due scontri combattuti fino a quel momento.

Al centro del campo di battaglia, invece, si trovavano gli sfidanti di quello che sarebbe stato l’ennesimo scontro in quella stessa arena, dove molto sangue era stato già versato lungo i secoli: da una parte, l’ultimo degli allievi del Toro Nero, Joppa della Balena Oscura, dall’altra, con ben poco delle vestigia che spesso aveva indossato, Amara del Triangolo, giunto in soccorso dei due parigrado che lì stavano combattendo.

L’allievo di Samadhi stava studiando da alcuni minuti il proprio avversario: lo sguardo duro, i sottili e sporchi capelli neri che scivolavano ad incorniciare il pallido ma massiccio viso, gli occhi scuri e maligni ed il ghigno sicuro sul volto, di quel corpulento e muscoloso guerriero nero erano un segno della sicurezza, oltre che della malignità, di quello stesso invasore, che stava, a sua volta, studiando il cavaliere d’argento, di certo non eccessivamente colpito dalle vestigia pressoché distrutte e dall’aspetto stanco e trasandato dello stesso.

"Amara del Triangolo, la tua fama ha raggiunto anche l’Isola della Regina Nera, sai?", esordì l’oscuro avversario, "Cavalieri, o aspiranti tali, che sono stati imprigionati sulla nostra bella isola e che tanto bene parlavano di Amara, il più potente fra i santi d’argenti, eppure, adesso tu a me sembri solo un pezzente, un povero sopravvissuto con le vestigia in pezzi, dov’è questa fantomatica armatura che ti ha permesso d’essere ritenuto il più potente nella vostra casta?", domandò beffardo, attendendo per qualche istante una risposta dall’altro che non arrivò.

"Sei una delusione, cavaliere, sia per ciò che vedo, sia per ciò che non sento: certo, c’è dell’ironia in questo, poiché tu sembri essere un uomo che non ama produrre suoni, mentre io d’usare suoni in battaglia sono di certo un maestro!", esclamò sornione Joppa, espandendo il proprio cosmo, che esplose in un’onda sonica.

"Lamento del Cetaceo!", queste le parole che echeggiarono nell’aere prima che un’ondata d’energia esplodesse contro Amara, sollevandolo dal suolo e quasi travolgendolo, prima che il santo d’argento riuscisse a riprendere l’equilibrio ed atterrasse con attenzione al suolo, leggermente ferito ad un braccio, ma comunque ancora concentrato ed impassibile.

"Non sei poi così male come avversario…", ridacchiò Joppa, osservando l’altro e concentrando di nuovo il proprio cosmo, pronto a continuare la battaglia.

"Ancora non parli?", domandò irrequieto il nero nemico, "Allora, ti concedo di ascoltare!", ruggì deciso, liberando di nuovo il Lamento del Cetaceo, ma stavolta Amara si fece trovare pronto, aprendo le braccia dinanzi a se e disegnando la difesa energetica che così bene lo distingueva: "Trigono Pneumatos!", invocò l’emanazione del cosmo del guerriero, sollevando la barriera d’energia che impedì all’ondata avversa di travolgerlo.

"E così che vuoi combattere, muto? Giochi di luci ed energie contro i miei attacchi? Speri che le tue forze difensive riescano a vincere la mia potenza alla lunga? Ti posso rassicurare: stai sbagliando! Ho appreso almeno una cosa su quella dannata Isola Prigione, la pazienza! Giusto, maestro?", rise divertito alla fine Joppa, voltandosi verso il proprio insegnante.

"Hai appreso tante cose negli anni di prigionia, così come in quelli precedenti, ragazzo, ma di certo non la pazienza, piuttosto, direi, la ferocia.", ridacchiò Ukko, dal proprio scranno, osservando impassibile anche quello scontro.

"Che posso dire, in fondo sono stato il secondo dei vostri allievi, che avete scelto ancor prima di giungere sull’isola prigione, ma, al contrario di Ramsey, fin lì non vi ho seguito, ma vi ho preceduto, qualcosa dovrà pur contare quella stessa attesa, in fatto di pazienza.", aggiunse soddisfatto, volgendosi poi di nuovo al proprio avversario.

"Lascia stare ciò che dice il mio maestro! La pazienza è una mia virtù, cosa che, però, non si può dire della pietà!", ruggì Joppa, liberando di nuovo la potenza del Lamento del Cetaceo, che spinse indietro Amara, malgrado la barriera energetica che il cavaliere d’argento aveva sollevato.

Non ebbe, però, stavolta il tempo di riprendere l’equilibrio, il santo del Triangolo, che già il suo avversario aveva espanso il cosmo che lo circondava, "Eco della Balena, a me!", imperò deciso il guerriero oscuro, prima che un vortice di onde sonore e luce avvolgesse Amara, attirandolo verso Joppa che, prontamente, lo investì con un violento pugno allo stomaco, trovandolo disorientato da quella presa energetica.

"Ha superato le difese di Amara!", esclamò sbalordito Degos, sollevandosi in piedi, "Non credevo ci fosse qualcuno capace d tanto!", balbettò preoccupato.

"Perché non avete mai incontrato prima il mio ultimo discepolo qui presente.", rise, dalla propria posizione, il Toro Nero, "I poteri di Joppa vanno oltre ciò che si può vedere, o sentire! Ogni suo attacco produce onde sonore che raggiungono e danneggiano l’udito, oltrepassando qualsiasi difesa, proprio perché non sono forze fisiche, ma molto meno tangibili!", iniziò a spiegare l’oscuro guerriero.

"E sapete cosa è legato all’udito?", domandò retoricamente Joppa, voltandosi verso i due santi d’argento sugli spalti, "L’equilibrio! Lo stesso che il così famoso cavaliere del Triangolo ha ormai danneggiato, un danno che si va incrementando ogni volta che un mio attacco, diretto, o mediante le tecniche che padroneggio, lo raggiunge!", rise soddisfatto, mentre il guerriero di Atena alle sue spalle si rialzava.

"Maledetto! Se il nobile Amara non fosse stanco per la battaglia in Polinesia, avrebbe già avuto ragione di te!", lo accusò prontamente il cavaliere di Orione, "Può essere, vecchio, ma questo non cambia che, oggi colui che viene detto il più vicino ai santi d’oro nella vostra casta, cadrà per mano di Joppa della Balena Nera.", ribatté con un sorriso malefico, volgendosi di nuovo verso il suo avversario.

"Non se io avrò qualcosa da dire in tal senso!", avvisò allora la voce di Bao Xe, mentre la sacerdotessa d’argento si alzava in piedi, pronta ad assistere l’altro sul campo di battaglia, "Una donna, o un vecchio, o entrambi, cosa mai potreste fare in più? Siete stanchi, feriti tanto quanto il muto e su tre, solo una ha appena un’armatura a proteggerla! Non vi temo singolarmente, figuriamoci assieme!", rise ancora l’oscuro avversario.

"Non avrai bisogno di temere i miei compagni ed amici, guerriero nero, poiché solo io sarò il tuo avversario!", esclamò allora una voce, la voce generata dal cosmo del cavaliere del Triangolo, di nuovo pronto a continuare la battaglia.

***

Toru dello Squalo Bianco osservava con curiosità il giovane guerriero mezzosangue dinanzi a lui: l’allievo di Oro era per metà di sangue polinesiano, maori forse, per metà di sangue europeo, evidentemente, ma, malgrado ciò, l’uomo che aveva combattuto al fianco del suo maestro, aveva addestrato quel ragazzo, rendendolo, probabilmente, l’ultimo Areoi ancora presente sulla terra a non aver mai partecipato ad una vera battaglia, anche se sembrava desideroso di perdere tale primato.

"Allora, marmocchio, a te la prima mossa!", esclamò prontamente il Comandante dell’Avaiki di Ukupanipo, il corpo atletico e possente segnato dalle battaglie del giorno conclusosi, il cosmo possente come la belva marina che rappresentava e che ora lo circondava in un’evanescente figura d’energia.

"Marmocchio? Vecchio tu piuttosto! Per te io sono Tuifi, tuo prossimo comandante!", ribatté quello, espanendo il proprio di cosmo, fluente come le onde del mare ed altrettanto impetuoso nella forza con cui lo circondava.

Con uno scatto, Tuifi fu addosso a Toru, impugnando le due armi che portava alla cinta e scuotendole nel poco spazio che ancora li divideva, fendendo il terreno ed emettendo scintille d’energia che, per forma e colore, sembrava quasi vera e propria schiuma del mare.

"Sciocco, da questa distanza, le tue fruste sono inutili!", obbiettò Toru, che già stava sollevando la mano per raggiungere il collo del giovane avversario, il quale, però, accennò un sorriso, mentre le due armi scivolavano, come onde, sul terreno, risollevandosi ed avvolgendosi alle possenti braccia dell’Areoi.

"Mai sottovalutare le mie fruste, non sono simili alle armi dell’armatura che indosso, ma sono comunque utili a bloccare uno stupido bestione come te!", esclamò tronfio il giovane, tirando verso il busto le impugnature delle armi, sbilanciando il più anziano combattente e spingendolo quasi verso il suolo.

Fu allora che il cosmo dello Squalo Bianco esplose, vasto e possente, travolgendo e disarmando il giovane, che rotolò al suolo, prima di rimettersi in piedi, "Sono l’ultimo comandante dell’Avaiki di Ukupanipo, ragazzino, non mi inginocchio dinanzi a nessuno, né contro gli invasori Africani, né dinanzi a te, piccolo pesciolino che ti credi grande nel tuo pozzo d’acqua!", avvisò sicuro il gigante maori.

"Parla pure, vecchio, ora vedremo che sai fare sul serio!", lo sfidò sicuro il giovane, su un ginocchio, mentre apriva le mani dinanzi a se, liberando delle scie d’energia che si connessero immediatamente alle due fruste, ancora avvolte sulle braccia dell’altro, fruste che parvero prendere vita, iniziando a risalire il corpo del guerriero polinesiano.

"Telecinesi?", domandò in quel momento Tawhiri che stava osservando il susseguirsi degli attacchi con gli altri, "No, è qualcosa di molto più strano… un legame profondo fra il guerriero e l’arma che usa, mediante il cosmo… il suo potere è legato a qualcosa di diverso.", ipotizzò Arohihori, volgendo poi lo sguardo verso l’anziano Oro, seduto poco lontano.

"Esatto, allieva di Tiotio, il legame fra Tuifi e le sue armi è diverso da quanto potrebbe sembrare ad un occhio disattento, non l’ho mai addestrato ad utilizzare poteri psichici, non ne possiedo nemmeno io, ma partendo dalle mie conoscenze sono riuscito a plasmare quel poco che lui già sapeva, date le basi di addestramento che aveva ricevuto.", raccontò il massiccio ed anziano guerriero.

"Che intendi dire vecchio guerriero?", domandò allora Moko di Tiki, "Devi sapere, mio buon ospite, che la storia di Oro e del suo pronipote Tuifi è piuttosto contorta e complicata: quando seppi, infatti, che la figlia di mia sorella era morta nel dare alla luce il figlio del suo amore con un giovane marinaio francese ora partito per la Libia, abbandonai questo mio atollo dove da anni ero in ritiro, per cercare questo ultimo parente rimastomi, ma solo raggiunto il Mediterraneo scoprì che il padre era morto lungo il viaggio ed il giovane, ormai orfano viveva in quella terra straniera.

Arrivai tardi per trovarlo, allora, poiché già un altro uomo, un seguace di non so quale divinità, lo aveva preso con se, fu solo un caso che, mentre li seguivo in mare, diretti verso un’isola nel sud dell’Africa, un potente temporale colpì la loro nave ed io riuscii a salvarlo.

Da allora mi sono occupato io di completare il suo addestramento, come è giusto che fosse, per un giovane delle nostre terre.", concluse con tono pacato l’anziano gigante.

"Dunque il ragazzo non solo è per metà europeo, ma addirittura stava per essere addestrato in Africa? Una vita tumultuosa la sua.", ridacchiò Moko, prima di concentrarsi di nuovo sulla battaglia in atto.

Toru e Tuifi, intanto, stavano ancora combattendo, o, più correttamente, il comandante dell’Avaiki di Ukupanipo stava divincolandosi dalle fruste dell’altro che da lontano ridacchiava di quella situazione, "Questo è dunque il potere del comandante di uno dei Cinque Avaiki? Forse definirmi l’ultimo degli Avaiki, nel senso di loro ultima difesa, poco fa, è stato sbagliato… credo di essere l’unica difesa possibile se anche i tuoi compagni, vivi o morti che siano, non avevano nessuna scintilla di potere migliore della tua!", lo derise con soddisfazione il giovane allievo di Oro.

"Parli troppo, ragazzo, e di cose che ben poco capisci! Cosa ne sai tu di battaglie? Cosa ne sai di vedere tutti i propri compagni massacrati? Quel poco che ti ha detto il tuo anziano maestro, forse!", ruggì Toru, lasciando, per la prima volta, esplodere veramente quel furioso cosmo candido che tanta devastazione aveva portato fra le nere schiere d’Africa.

"Hai visto tu i giovani discepoli delle schiere di Ukupanipo massacrati da invasori spietati? Hai combattuto contro uomini che credevano di avere dinanzi a se prede, quindi più simili ad animali, che non persone, hai dovuto affrontare in battaglia quello che credevi uno dei tuoi amici più fedeli e mettere in dubbio la tua stessa condotta come comandante? Dimmi piccolo, hai dovuto fare qualcosa di tutto ciò?", ruggì ancora lo Squalo Bianco, "Se lo hai fatto e sei sopravvissuto allora non avrai problema alcuno a reggere contro la furia del mio pugno, altrimenti preparati, poiché questa è la forza a cui mi sono aggrappato in quei cupi momenti!", imperò infine il comandante, le dita chiuse e brillanti d’energia, mentre correva contro il giovane imbambolato dinanzi a tanta devastante potenza.

Lesto fu il ragazzo nel sollevare le proprie difese, per quanto lo stupore ed il timore si andavano confondendo sul suo volto, quando scivolando dal suolo, correnti candide d’energia acquatica danzavano come spirali attorno al giovane Areoi per proteggerlo dall’assalto dell’altro, una difesa che, però, non resse dinanzi alla potenza dello Squalo Bianco, che oltrepassò lo sgorgare d’acqua ed investì in pieno petto il giovane spingendolo diversi passi indietro, fino a farlo malamente volare al suolo.

Rotolò per alcuni metri Tuifi prima di fermarsi e rimettersi in piedi, pulendosi gli abiti e tastandosi la pelle contusa: "Bel colpo, Squalo Bianco, ma adesso basta giocare! Vuoi propormi tutti i tuoi dolori morali? La tua incapacità ti ha impedito di salvare i compagni di cui parli! Ora ti mostrerò il pugno fermo che deve avere un vero capo, ti mostrerò il mio pugno!", ruggì il meticcio Areoi, mentre l’energia cosmica circondava per intero le braccia e grosse onde s’alzavano dietro di lui.

"Fermo, cosa hai intenzione di fare?", sbottò stupito Oro, alzandosi di scatto, "Stanne fuori, zio, ormai è una questione fra me e questo comandante di pesciolini!", affermò deciso il giovane, "Ha ragione, nobile Squalo Balena, che siano i nostri pugni a decidere di chi è la ragione!", confermò secco l’altro, il cosmo che brillava feroce intorno a lui.

"Colosso degli Oceani, travolgi!", imperò subito dopo Tuifi, scatenando un gigantesco vortice d’energia acquatica.

"Fauci dello Squalo Bianco, divorate!", urlò di rimando il Comandante degli Areoi, portando avanti i propri di pugni.

Grande fu lo stupore degli altri Areoi che osservavano lo scontro sull’atollo nel vedere l’esito di quel confronto.

***

"Hai parlato con sicurezza poc’anzi, cavaliere del Triangolo, ma non ho ancora visto alcun vero attacco da parte tua!", rideva Joppa, osservando il santo d’argento immobile, poggiato su un ginocchio, che lo studiava, chiaramente affaticato.

Il discepolo di Samadhi aveva in effetti tentato di colpire il guerriero della Balena Oscura, ma quando un’ondata d’energia s’era diretta contro l’allievo del Toro Nero, tutto ciò che era seguito era un’esplosione sonora che aveva stordito non solo Amara, ma anche i suoi due parigrado poco lontani.

"Vuoi riprovarci, cavaliere?", ridacchiò il nero avversario, malgrado ben consapevole che il santo del Triangolo non potesse sentirlo; questo, però, non fermò Amara da condensare il proprio cosmo nelle mani, "Trigono Anatoles!", invocò prontamente il cavaliere, liberando la geometrica ondata energetica.

L’acuta risata non arrivò alle orecchie del guerriero di Atena, ma il suo avversario la emise comunque, mentre, l’attacco esplodeva a pochi metri dalle nere vestigia della Balena, provocando una gigantesca voragine nel terreno e travolgendo il santo d’argento, spingendo, addirittura, indietro Degos e Bao Xe.

Quando la furia di quel confronto fu quietata, Joppa si voltò verso il Toro Nero, "Maestro, mi dispiace ammetterlo, ma Ramsey ed Umba dovevano essere davvero dei pessimi guerrieri se non sono riusciti a sconfiggere della gente così mediocre!", sbottò con disappunto Cetus Oscuro.

"Non tutti hanno la tua predisposizione per la distruzione, mio buon allievo.", ridacchiò Ukko, "Non è vero, Sinai? Tu non avresti devastato tutto in questo modo.", rise allora anche il discepolo, mentre l’altra restava in silenzio, quasi concentrata su altro.

"Sì, è vero.", rispose allora l’uomo che un tempo usava il nome di Bjorn, "Il tuo carissimo capo nel Sestetto nero ha appena ucciso un cavaliere d’oro, seppur, probabilmente gli è costato la vita.", confermò l’uomo.

"Maestro!", esclamò allora una voce alle spalle di Joppa, la voce della sacerdotessa della Musca, che per prima si rimise in piedi, "Non è possibile…", balbettò.

"Invece è vero, guerriera di una divinità! Un cavaliere d’oro è caduto, il secondo in questa giornata, per mano di un semplice soldato d’argento nero! Certo, uno dei più capaci, forse il migliore dopo Omega, Abar e Tolué, ma sempre un guerriero di rango inferiore al tuo insegnante!", affermò con tono deciso il Toro Nero, prima che il cosmo di Cetus Oscuro esplodesse in un’onda sonora, spingendo indietro Bao Xe, che cadde al suolo, vicino a Degos.

"Cicno è sopravvalutato!", urlò Joppa, attirando verso di se il cavaliere del Triangolo con l’Eco della Balena, "Un borioso buffone che ha rinunciato ad un’armatura ed un ruolo fra i cavalieri di Atena per cosa? Una donna?", sottolineò furioso, sferrando un primo pugno contro il corpo privo ormai di vestigia del santo di Atena, "S’è circondato con due disadattati, un idiota, una fanatica e quella femmina di cui ancora non si è voluto liberare! Quale sarebbe la sua grandezza?", continuò, sferrando un altro pugno.

"Io mi sono alleato con Icaros e poi sono stati altri ad avvicinarsi a noi, quel piccolo egocentrico di Luxa, quel represso di Kirin e quel buffone di Perez, tutti insulsi rispetto ad un maestro del terrore ed un uomo potente come me, ma ci sono stati utili in molte occasioni, utili per dimostrarci il gruppo più potente fra i neri guerrieri d’argento, utili per massacrare quei patetici insetti di bronzo oscuro!", ruggì ancora, il pugno che infieriva sul fianco di Amara.

"Io sono Joppa, la più potente delle Cinque Bestie e non sarò mai inferiore ad uno del Sestetto Nero, né ad altri!", urlò di nuovo, sferrando un ultimo pugno contro il cavaliere d’argento.

Grande fu però la sorpresa nello sguardo furioso di Cetus Oscuro quando l’altro, il volto ed il corpo tumefatti per i pugni subiti, si spostò all’ultimo, evitando quel singolo gancio sinistro, fu solo allora che il discepolo di Ukko si rese conto che il santo d’argento aveva sempre mantenuto le mani nella posizione che già aveva visto usare poco fa, "No…", ebbe appena il tempo di bisbigliare, mentre il cavaliere di Atena affermava, attraverso il proprio cosmo, "Trigono Anatoles!", travolgendolo con il bagliore energetico.

"Hai azzardato troppo, invasore nero, è per questo hai fallito.", esclamò l’emanazione cosmica di Amara, "Il tuo potere è particolare, questo è innegabile, il colpo con cui mi hai privato dell’equilibrio, danneggiandomi l’udito, è arduo da contrastare, ma proprio da quella menomazione che mi hai prodotto, ho saputo trovare un modo per scoprire il segreto dietro la difesa che hai dimostrato di possedere, una difesa sonora, che tutto distrugge lontano da te, una difesa che non hai nemmeno tentato di sollevare quando ti ho colpito a breve distanza, proprio perché sapevi che non avresti potuto difenderti da quella.", volle sottolineare il cavaliere d’argento.

Non poteva sopportare quelle parole Joppa di Cetus Nero, per tutta la sua vita aveva cercato di primeggiare e non sarebbe stato un malridotto cavaliere d’argento ad impedirglielo, ora che era così vicino alla sua vera ed unica metà, dimostrarsi il più potente di tutti.

Lo aveva capito da bambino, quando, figlio di un piccolo mercante arabo, in un anonimo emirato, era soggetto delle prepotenze di ragazzini più forti, o semplicemente più ricchi di lui, una condizione che lo aveva aiutato a crescere, ad ottenere la forza con cui, a soli dodici anni, era guardato con rispetto e timore persino dagli adolescenti e, qualche volta, anche dagli adulti.

Quella stessa forza gli aveva permesso di essere notato dal suo maestro, che allora si faceva chiamare Bjorn, un uomo dal grande potenziale, come gli era apparso allora, più forte di chiunque avesse incontrato in tutta la sua infanzia, che portava con se un ragazzino, Ramsey, il suo primo allievo.

Joppa divenne il secondo e per un lungo periodo seguì Bjorn nel suo pedinare un cavaliere di Atena, Abar di Perseo, così gli aveva detto che si chiamava, un suo vecchio amico, o nemico, a seconda delle giornate e dell’umore dell’insegnante.

Poi, però, dopo un paio d’anni, al giovane arabo venne a noia quella vita di addestramenti ed inseguimenti, così attaccò Abar, da solo, senza informare Bjorn o Ramsey, pensava di poterlo sconfiggere, uccidere, ma si ritrovò dinanzi ad un’amara verità: non aveva la forza, né poteri sufficienti per vincere quelle vestigia d’argento e quel cosmo possente, che lo piegarono, vincendolo e portandolo, prigioniero, sull’Isola della Regina Nera.

Fu lì che Joppa continuò ad allenarsi come autodidatta, uccidendo, dimostrando la propria forza e ferocia contro tutti gli altri abitanti dell’isola, scoprendo che c’erano molti tipi diversi di forza e diventando fra i più potenti dei neri guerrieri, secondo ai Quattro, oltre che a coloro che indossavano le vestigia d’oro oscuro, ma pari, per quello che in molti dicevano, a Cicno, Kurnak, o, persino, a Faust, patetico musico.

Per anni, anche dopo che il suo maestro lo raggiunse sull’isola, assieme a Ramsey, facendosi chiamare Ukko, anche mentre addestrava Umba e Sinai, anche quando ormai Joppa si era dimostrato il più feroce delle Cinque Bestie, che aveva riunito assieme ad Icaros, per tutto quel periodo, Cetus Oscuro non voleva altro che dominare su tutto e tutti, finché qualche giorno fa non era arrivata l’occasione.

Fu la guerriera di Cancro Nero, bellissima, malefica e dallo sguardo sempre pieno di perverso desiderio, almeno quando si rivolgeva a lui, o ad Omega, per quel che Joppa aveva notato, che alcuni giorni prima gli parlò: "Abbiamo una piccola missione per voi Cinque Bestie, Cetus.", esordì lei, "Un massacro, che ben si addice al titolo di cui tu ed i tuoi quattro compari vi fate fregio!", esclamò.

"Dimmi pure, la cosa sembra interessante!", ribatté prontamente lui, mentre anche Icaros e Perez s’avvicinavano per ascoltare; "I guerrieri di bronzo oscuro sono ormai un peso per noi, da vivi, ma la loro morte offre un uso ben più pratico di quelle carcasse illuminate da un debole cosmo e rivestite di scure e patetiche armature.", spiegò lei, "Sarà Carena Nera a guidare il massacro, ma voi dovrete dare il meglio del peggio di cui siete capaci!", rise divertita.

E loro accettarono, malgrado i dubbi di Kirin, le Cinque Bestie circondarono i guerrieri di bronzo oscuro, assieme ai Due Negromanti, allo Scudo Nero, al Centauro ed a pochi altri, tutti guidati da Omega nell’uccidere ed esultare della loro selvaggia violenza, mentre dall’alto Ariete, Gemelli e Cancro neri li osservavano.

Alla fine di quel massacro poi, il corpo ancora circondato dal cosmo sonoro, Joppa poté udire, grazie ad una meno rinomata abilità in suo possesso, le parole che i tre guerrieri d’oro nero si dicevano.

"Un peccato che il Corvo Oscuro non si sia voluto unire a questo massacro, sarebbe stato interessante saggiare anche la sua di furia…", valutò Wuluwaid, "Un problema da poco: se né lui, né il seguace di Atena scacciato hanno voluto dimostrare la loro lealtà alla nostra causa, non saremo noi ad inseguirli per ottenere la loro lealtà. Li useremo, come tutti gli altri che non c’interessano realmente.", tagliò corto l’uomo che indossava la maschera amorfa e le vestigia dei Gemelli Neri.

"Vero, mio caro, se Cicno non ha in se quel fuoco di vendetta e ferocia che tanto m’attrae in tutti coloro che abbiamo qui riunito per questo piccolo sollazzo, questo massacro, saranno lui e Kurnak a perderne: noi Homines otterremo dei nuovi compagni da quelli qui presenti, basteranno per gli ultimi rituali, ne sono certa.", affermò con voce eccitata la donna di Black Cancer.

Non sapeva di cosa parlassero, non sapeva chi fossero questi Homines, ma una cosa a Joppa era certa: lui si era dimostrato migliore di Cicno, migliore delle altre Bestie Nere e di molti altri dei presenti, di certo, e forse addirittura migliore di Omega stessa, se non al suo stesso livello.

Proprio per queste certezze l’essere ridotto a seguire il proprio maestro e dover combattere per ultimo contro dei nemici ridotti allo stremo lo faceva infuriare, ma molto di più lo avrebbe fatto infuriare perdere contro quello stupido muto!

Fu questa consapevolezza a far risollevare il nero Cetus ed espandere il cosmo attorno a lui: "Pensi che io sia avventato, guerriero di Atena? Permettimi di mostrarti qualcosa di cui hai solo scalfito la superficie con la tua percezione, il potere ultimo dell’Eco della Balena, un avatar di puri suoni!", ruggì furioso Joppa, prima di venire circondato dal cosmo sonoro che lo avvolse come un gigantesco cetaceo d’energia.

La sorpresa si palesò leggermente negli occhi di Amara, mentre ancora il nemico parlava: "Vedi, cavaliere? La difesa di cui poc’anzi parlavi, che pensavi di poter superare semplicemente avvicinandoti a me, quella difesa è anche superba forma d’attacco, un attacco che ti schiaccerà!", imperò deciso il nero avversario, agitando il braccio sinistro, cui subito rispose la coda d’energia, schioccando, pronta a schiacciare il santo del Triangolo.

***

La furia dello Squalo Bianco proveniente da Toru e la possanza del Colosso marino che Tuifi rappresentava, si scontrarono con violenza sulla spiaggia di quel piccolo atollo; forse avrebbero travolto anche gli areoi intenti ad osservarli, se il cosmo di Arohihori non si fosse sollevato, come la testuggine di una tartaruga, a difendere lei ed i due compagni di passate battaglie, mentre già il potere di Oro si manifestava attorno a lui, proteggendolo, poco lontano.

La furia dei due attacchi, intanto, prendeva forme bestiali: fauci che si dibattevano fra spire d’energia, spezzando e frantumando, lasciando che i pugni del guerriero polinesiano avanzassero, insieme alla sua mastodontica figura, raggiungendo alla fine il giovane avversario mezzosangue.

Grande fu lo stupore di Tuifi nel vedere il Colosso degli Oceani travolto, dilaniato, ma fu comunque pronto al successivo impatto, un impatto che, inaspettatamente, non avvenne, lasciandolo ad occhi spalancati dinanzi al massiccio e visibilmente ferito Areoi dello Squalo Bianco, immobile con i pugni vicinissimi al suo petto.

"Perché, vecchio? Perché hai fermato il tuo pugno?", balbettò sorpreso Tuifi, "Perché, ragazzo, tu sei un Areoi, tanto quanto me, quanto gli altri che qui sono riuniti, quanto quelli che sono caduti durante l’invasione degli Africani.", rispose pacato Toru, "Forse non sei stato addestrato in un Avaiki, come tutti noi, ma qui, su questo atollo, sotto lo sguardo attento di un uomo le cui qualità sono indiscutibili quanto quelle del mio insegnante e di colei che mi precedette nel comando dei consacrati ad Ukupanipo, ma di certo sei uno di noi.", continuò, ispirando con un pò di fatica, "E troppi guerrieri della Polinesia sono caduti in troppo poco tempo per l’orgoglio e la cecità dei loro compagni e comandanti.", concluse.

Sarebbe forse caduto su un ginocchio lo Squalo Bianco, ma leste due braccia lo sostennero, quelle di Tawhiri che già s’era avvicinato al campo di battaglia, "La volontà di Ukupanipo vive in te, Squalo Bianco.", si complimentò l’Areoi della Torpedine.

Anche Arohihori ed Oro si avvicinarono ai due duellanti, "Allora, Tuifi, cosa ne pensi? Ci seguirai, o hai intenzione di proclamarti nuovo comandante degli Areoi?", domandò con tono cordiale la guerriera della Tartaruga Marina.

Il massiccio mezzosangue scrutò in silenzio prima lei, poi l’uomo che aveva affrontato in battaglia ed infine il prozio, quindi s’inginocchiò, "Vi seguirò! Mi hai dimostrato che oltre la forza, vi sono anche il sacrificio e la determinazione, Toru dello Squalo Bianco. Hai il mio appoggio e la mia fedeltà, oltre al mio pugno, per questa futura battaglia.", concluse Tuifi.

"Ed avrai anche la mia vita e la mia saggezza, oltre alla forza che possiedo e l’ospitalità della nostra casa!", aggiunse il gigantesco Oro, poggiando una mano sulla spalla di ambo i combattenti, "Venite a riposare, curare le ferite, la battaglia ci attenderà ancora domattina.", suggerì il guerriero dello Squalo Balena.

"Ottimo consiglio, vecchio Areoi!", esclamò allora Moko, rimasto indietro a scrutare l’atollo, "Direi che se la tua casa è come penso che sia, allora riposare non potrebbe che far bene, e non solo a noi quattro.", suggerì sornione il polinesiano con il simbolo del Tiki.

"Che intendi dire?", gli chiese sorpreso lo Squalo Bianco, "Lo vedrai, buon gigante, lo vedrai.", rispose contento l’altro, prima che tutti e sei si spostassero verso l’interno delle grotte.

***

Quando la coda d’energia schiantò al suolo, un ghigno di disappunto si dipinse sul viso di Joppa, contrariamente alla felicità e sicurezza su quello di Degos, nel vedere Amara spiccare un salto, oltrepassando la densa struttura energetica che circondava il nero avversario.

Il discepolo di Samadhi atterrò al suolo poco distante la posizione di Ukko del Toro Nero, incerto sulle gambe, a causa del precedente attacco di Cetus Nero, ma splendente nel cosmo argento chiaro che lo circondava.

"Dove pensi di scappare?", ruggì furioso l’oscuro nemico, scuotendo di nuovo la grandissima struttura che lo circondava, prima che il cetaceo d’energia cercasse di divorare la terra ed il cavaliere, distruggendo tutto ciò che entrava nelle sue ampie fauci.

Fu svelto il santo di Atena nel compiere il proprio salto, un salto che, però, non fu fatto per allontanarsi dalla gigantesca creatura nemica, bensì per lanciarsi contro la bocca aperta, disegnando con abilità un ampio triangolo dinanzi a se.

"Trigono Pneumatos!", imperò Amara, sollevando la barriera difensiva.

L’esplosione che seguì quel semplice confronto fu devastante: per alcuni secondi un bagliore brillò nel pomeriggio ateniese dell’arena, prima che un eco assordante riempisse l’aere, travolgendo tutti gli spettatori, persino Ukko, che dovette sollevare le braccia per impedire d’essere sospinto indietro dal potente ultrasuono.

Quello di cui, però, nessuno si avvide, era la figura che si stagliava alta in cielo, al di sopra del cetaceo d’energia, una figura che, a ben vedere, non era intenta in un salto, bensì, rimaneva immobile, ritta sulle gambe, poggiata contro la belva sonora, con solo un triangolo di luce a dividerlo dalla stessa.

"Che cosa?", sbottò sbalordito e furioso Joppa, agitando l’emanazione del proprio potere, cercando di abbattere l’uomo con un violento colpo di coda: "Credi di essere divertente? Ti prendi gioco di me, cavaliere?", domandò irritato il nero nemico.

"Al contrario, nero invasore, ho dovuto riflettere molto per arrivare a questa soluzione, che solo il tuo aiuto mi ha permesso di applicare!", rispose l’emanazione cosmica di Amara, prima che, nello stupore generale, il santo del Triangolo si lasciasse scivolare all’interno della gigantesca creatura d’energia, illeso nel suo volo verso il suolo.

"Ora a noi, guerriero oscuro: Trigono Anatoles, che la luce d’Oriente rischiari le tue oscure intenzioni!", invocò il santo d’argento, liberando il proprio potere.

Joppa era impreparato: non riuscì a sollevare difesa alcuna, non riuscì nemmeno a spostarsi per evitare quel nuovo attacco, poté solo esserne travolto, il corpo perforato con violenza da quel singolo fascio d’energia luminosa, che si spense sul medesimo suolo dove, pochi istanti dopo, anche Cetus Nero cadde.

Poco distante, su quel medesimo terreno, si poggiò anche Amara del Triangolo, mentre già il gigantesco cetaceo d’energia scompariva attorno a loro.

"Ho dovuto sacrificare l’udito per abbatterti, guerriero nero, non posso che complimentarmi per le tue capacità.", esordì il santo di Atena, "Questo eco energetico era una barriera invalicabile che usavi contemporaneamente per offendere e difenderti; un’arma invincibile contro chi non riusciva a valicarne i confini.

La tua sfortuna è stata costringermi ad espandere ulteriormente il cosmo, nel momento in cui hai indebolito il mio udito fin quasi all’annullamento: mi è bastato far vibrare le mie difese lungo le stesse frequenze energetiche da te utilizzate e ho potuto attraversare la bestia che avevi creato.", spiegò pacatamente la voce cosmica del cavaliere.

"Addio, Balena Nera, qui si conclude il tuo sogno di distruzione.", concluse Amara, liberando il proprio cosmo e travolgendo con lo stesso l’ultimo degli allievi del Toro Oscuro.

E fu proprio Ukko che, in un’esplosione di fulmini, apparve poco dopo fra i tre cavalieri d’argento.

"Sinai, porta il corpo di Joppa vicino a quelli degli altri tuoi compagni caduti.", ordinò deciso il Finnico, prima di volgere il capo verso Degos e Bao Xe, "E voi tre, seguaci di una divinità, attaccatemi tutti assieme, poiché è l’unica vaga speranza che avrete per ferirmi, anche solo minimamente.", tuonò infine, prima che lampi e saette brillassero attorno a lui.

Lo scontro continuava.