Capitolo 32: I Due Capricorni

Non ci volle molto perché il tratto di scalinata che lo separava dalla mastodontica avversaria si esaurisse: entrambi correvano nella direzione dell’altro, desiderosi di affrontare una battaglia dopo lunghe attese, seppur fra loro diverse.

L’uomo, infatti, che scendeva dalla Quarta Casa dello Zodiaco aveva atteso sulle porte del tempio studiando i cosmi che esplodevano in aspre battaglie per tutto il Santuario di Atene: dapprima pochi scontri, un duello all’Arena dei Tornei; un violento confronto di forze impari lungo la strada per Rodorio; e l’altrettanto impari scontro fra Olimpia del Leone e degli sventurati avversari. Poi le battaglie, però, erano andate in crescendo: sempre più combattenti si erano affrontati lungo la strada di Rodorio ed ancora adesso l’uomo avvertiva i cosmi di tre cavalieri combattere contro qualcuno di possente; allo stesso tempo nella grande Arena duelli si erano susseguiti, fino all’ultimo, da poco conclusosi, dove Amara del Triangolo aveva vinto su un qualche avversario; e, infine, i cavalieri d’oro avevano combattuto, Munklar prima ed Ascanus dopo, cadendo questi proprio per mano del suo primo allievo, l’esiliato. Lo stesso allievo che adesso, a ciò che l’uomo avvertiva, stava soffrendo della furia di Olimpia.

La donna, dal canto suo, aveva avvertito le battaglie tempestare i gruppi a seguito del Finnico e dell’Indiano, i guerrieri neri che si erano uniti all’uno o all’altro erano per la maggior parte morti, ma avevano fornito prova delle loro capacità, così come era stato per quelli che lei aveva portato con se nell’assalto alle Dodici Case, fin dai deboli caduti nelle Stanze dell’Ariete, passando per lo Scorpione Nero sconfitto dal Sagittario ed arrivando ad Eracle e Cerbero oscuri, che avevano avuto ragione di un cavaliere d’oro, prima della battaglia che stava in quel momento vivendo. Lei, però, aveva solo osservato ed oltrepassato quelli scontri, puntando alla testa della preda più desiderata, il Sommo Sacerdote di Atena.

Questi i pensieri di Kalas ed Epona, i due Capricorni, d’oro ed oro nero, quando s’incontrarono lungo la scalinata che conduceva dalla Terza alla Quarta Casa dello Zodiaco.

"Chiederti di rinunciare immagino sia inutile, Ombra, quindi preparati alla battaglia!", furono le prime parole del santo di Atena, "Poiché Kalas del Capricorno non avrà pietà della sua stessa nera controparte, che ha aiutato a portare morte e distruzione nella casa che considera propria!", affermò deciso, lasciando che il dorato cosmo lo circondasse.

L’altra, però, rise, una risata dura e beffarda, mentre scrutava il luminoso alone che circondava il suo avversario: "Sono io che ti faccio un’offerta, cavaliere!", ribatté poco dopo, "Cedi il passo e ti darò una morte veloce, poiché la mia preda è il massimo seguace della divinità di questo luogo, colui che tanti ha inviato a morire nell’Isola prigione da cui provengo; ostacolami e la tua testa sarà la prima che reciderò, ma non l’ultima! Accetta la morte, cavaliere, per mano di Epona del Capricorno Oscuro!", minacciò decisa la donna, sollevando la mastodontica spada con la sola mano destra, tenendola alta sopra di se.

Kalas osservò l’arma per la prima volta da così breve distanza: era di ottima fattura, scura, quasi, appariva ad uno sguardo disattento, ma non era parte dell’armatura stessa, era qualcosa di estraneo alle vestigia del Capricorno Nero, qualcosa che a quella donna era stato dato per combattere, e di cui di certo sapeva fare un buon uso, se così prontamente l’aveva estratta.

Un sorriso, comunque, si dipinse anche sul viso del santo della Decima Casa: "Desolato, Ombra, ma non l’onore ed il dovere mi impediscono di lasciarti passare e puntare al Sommo Sacerdote di Atena, così come l’abitudine di avere la testa ben poggiata al mio collo mi impedisce di concederti di tagliarmela via.", rispose con beffarda ironia, preparandosi alla battaglia.

Fu però la guerriera oscura ad attaccare per prima, sollevando la gigantesca spada e calandola dinanzi a se; il violento impatto devastò il suolo dinanzi a lei, correndo incontro al cavaliere, creando un solco profondo, ma non trovando il proprio bersaglio lungo la strada, poiché lesto Kalas si spostò, portandosi sul fianco sinistro dell’altra.

"Sei scoperta!", la ammonì il santo di Atena, effettuando da diversi passi di distanza un affondo con il braccio destro, un affondo la cui energia volò rapida contro l’avversaria, che non rispose a parole, bensì con un secco movimento, sollevando e roteando la mastodontica arma, creando un cono d’energia che si aprì attorno a lei, scagliando contro il cavaliere il suo stesso attacco.

Fu ancora una volta rapido, però, il santo del Capricorno nel compiere una capriola, portandosi al di sopra dell’attacco nemico con un salto, dopo essersi poggiato sulle mani, per poi atterrare di nuovo a terra, stavolta in posizione di guardia.

La nera nemica studiò la strana posa che il santo di Atena aveva appena preso: il braccio destro disteso in avanti, quasi parallelo al suolo, la mano aperta e rivolta contro di lei, il sinistro più sollevato, all’altezza dell’orecchio, con le dita che puntavano verso il cielo; poi, con uno sbuffo, colei che un tempo aveva nome Brienne, sollevò la massiccia spada poggiandola sulla spalla coperta dalle oscure vestigia.

"La forza non ti fa difetto, Ombra, non posso negarlo, ma non di meno sei veloce nel reagire in quella tua posizione statica, però queste due cose da sole non ti avrebbe difeso dalla Sacra Spada che risiede nel mio braccio, quindi mi chiedo: è forse la spada, o colei che la impugna ad avere un potere tale da rivaleggiare con Excalibur?", domandò con sguardo curioso il maestro di Damocle di Crux.

"Ti potrei parlare di questa mia arma, cavaliere, di come l’ho ottenuta e delle vittime che ha mietuto in nome della libertà e della salvezza della Terra, ma non sono giunta fin qui per conversare!", esordì la nemica, "Ho attraversato tre dei vostri templi senza poter combattere, sempre interrotta da qualche compagno in cerca di gloria, o vendetta, ed adesso che ho trovato una battaglia, che mi riscaldi prima del premio tanto atteso, di certo non mi fermerò per rispondere alle tue curiosità.", sentenziò dura, lasciando esplodere l’energia lungo l’arma, che mosse nuovamente, con il solo uso di una mano, spazzando l’aria fra se ed il nemico in un tondo che si espanse violento.

Kalas corse incontro a quel violento fendente energetico, balzando al di sopra dello stesso all’ultimo istante, evitando di poco il contatto, prima di eseguire egli stesso un attacco con il braccio destro, una lama d’energia che corse veloce addosso all’oscura avversaria, la quale sollevò di scatto la propria arma, compiendo una mezza rotazione che creò fra loro una nera barriera.

Barriera che, però, all’impatto con il colpo nemico, s’infranse, lasciando al cavaliere d’oro il tempo di un secondo fendente, mentre i piedi toccavano il suolo a brevissima distanza dalla nemica, un affondo che cercò di colpirla in pieno petto, ma, ancora una volta, un movimento della massiccia spada permise che lo spazzare di un’ondata energetica bloccasse il colpo avverso.

Kalas non si arrese e scattò di nuovo lateralmente, mentre già Epona sollevava l’arma, creando un nuovo solco nel terreno, assieme ad un piano energetico che correva feroce contro il cavaliere d’oro, che, però, ancora una volta si spostò sulla sinistra evitando il colpo.

La nera avversaria non gli diede il tempo di attaccare di nuovo: con violenza eseguì un tondo ad altezza del petto del cavaliere, costringendolo ad un altro salto, portandolo quasi sopra la sua testa e, all’ultimo, la Gaelica risollevò la lama, deviandone la traiettoria rispetto al terreno, creando un secondo fendente d’energia che andava ad incrociarsi, quasi, con il precedente, salendo verso il cielo ed il santo d’oro.

Kalas sorrise alla vista di quel nuovo attacco, quindi tirò indietro il braccio destro ed effettuò due veloci affondi verso quel piano energetico, perforandolo, dapprima, e distruggendolo subito dopo, prima di trovarsi a brevissima distanza dalla nemica, ancora con l’arma sollevata.

"Sei lenta!", ruggì il cavaliere, sferrando con il braccio un colpo ascendente, che avrebbe travolto l’altra prima che quella potesse rispondere con la gigantesca spada, ma, ciò che il santo di Atena non si aspettava fu il movimento della mano mancina.

Al singolo gesto della guerriera oscura, un muro di roccia si sollevò, un muro con una tale carica d’energia cosmica da contenere l’intera potenza dell’attacco del cavaliere d’oro, che, sbalordito, indietreggiò, portandosi in posizione di guardia, mentre la pietra si ritirava nel terreno.

"Ammetto di averti sottovalutata, guerriera nera: pensavo che fosse l’arma a darti il più delle tue forze, ma è il contrario!", esclamò colpito il cavaliere, "Certo, è una lama di ottima fattura e tu sei capace nell’usarla, ma il solo allungo avrebbe dovuto rallentarti nella difesa, immaginavo, senza aver pensato ad altri aspetti dei tuoi poteri!", si complimentò, "D’altronde, quel che mi è stato raccontato delle passate battaglie con voi Ladri di Divinità, mi avrebbe dovuto dare, cosa che, in effetti, ho fatto!", concluse con un sorriso, prima di muovere ambedue le braccia.

Il braccio destro s’alzò verso il petto della nera guerriera, mentre il sinistro calò, parallelo all’altro, da sopra il capo del cavaliere, generando due fendenti dorati che corsero assieme contro il medesimo bersaglio, sovrapponendosi e raddoppiando la potenza del colpo, che trovò dinanzi a se, un tondo energetico nemico, facilmente sbaragliato dal duplice attacco di lama, che scalfì con determinazione la successiva muraglia di pietra, per poi fermarsi dinanzi alla massiccia spada, ricolma del cosmo del Capricorno Oscuro.

"Se questo è il massimo della preparazione cui ti sei sottoposto, allora sono io ad averti sopravvalutato, cavaliere d’oro, sei poco più potente del bambino che ho malmenato ieri nella fucina fra le montagne dell’Asia che nascondevate.", rise divertita Epona, sollevando di nuovo la massiccia spada.

"Sei stata tu ad invadere il santuario nel Jamir ed uccidere il più giovane dei discepoli del Sommo Sacerdote?", domandò disgustato Kalas, "Hai massacrato un semplice apprendista, malgrado la tua forza? Non hai vergogna nell’ammetterlo?", incalzò disgustato.

"In tre abbiamo assalito quel luogo, ognuna di noi con una motivazione differente!", ammise con un sorriso beffardo la donna, "Tre guerriere che hanno rubato il potere di divinità da ogni parte del mondo contro un ragazzino, appena capace di controllare il cosmo? Uno scontro di certo alla pari.", la schernì con disappunto il santo di Atena.

"Non giudicarmi, poiché la tua dea ha deciso di usare dei mocciosi inesperti come pecorelle da massacrare nelle sue guerre! Io ho seguito le mie consorelle con l’unico obbiettivo di danneggiare questo Tempio ignobile e generatore di ogni male nel mondo! L’Inuit prova piacere nel torturare i bambini, non io! A me interessa la salvezza della Terra e la gioia delle battaglie!", ruggì decisa Epona, agitando di nuovo la massiccia spada e creando una gigantesca rete di affilati piani che corsero contro il cavaliere di Atena.

"Sei folle, Ladra di Divinità, folle ed inconsapevole!", avvisò l’altro, avanzando verso il reticolo nemico, generandone uno con le proprie braccia, creando decine e decine di fendenti di luce, che s’infransero contro l’attacco nemico, permettendogli di avanzare contro l’avversaria.

Con un secco movimento, Kalas si aprì la strada addosso all’Ombra del Capricorno, sferrando un doppio fendente parallelo con le braccia, creando una nuova onda nello spazio fra se stesso e l’altra, a cui la guerriera nera rispose con un altro cono energetico, che, però, s’infranse, costringendola ad evocare la roccia, stavolta, contro cui l’assalto si fermò.

"Speravo che usassi la medesima strategia di prima!", esclamò allora il cavaliere d’oro, portatosi alle spalle della nemica, il braccio sinistro ancora intento a sostenere il muro dinanzi a lei ed il destro che impugnava la massiccia arma al suolo.

Con un urlo furioso la guerriera roteò su se stessa, colpendo il santo del Capricorno con la lama, che cozzò sull’armatura dorata incrinandola, ma ciò non impedì a Kalas di affondare il proprio braccio destro nell’addome nemico.

Quando il cavaliere di Atena fu spinto indietro, entrambi sanguinavano notevolmente: il custode della Decima Casa era al suolo, dolorante, mentre l’Oscura sua controparte si ergeva immobile, con la mano sinistra stretta alla ferita che le segnava ora le carni e le vestigia.

"Mi definisci inconsapevole, seguace di una divinità, eppure tu ti sei lanciato in un attacco che sarebbe anche potuto risultare suicida e per cosa? Una ferita al mio addome? Ben misera cosa rispetto a ciò che ti procurerò e che procurerò al vostro primo seguace.", ringhiò, le gengive intrise di sangue, la nera nemica.

"La tua è una folle ossessione, Ladra…", la accusò Kalas, iniziando a rialzarsi a fatica.

"Non ho mai rubato niente in vita mia! Non è quella la colpa per cui i miei primi fratelli mi scacciarono, rinchiudendomi sull’Isola Prigione che tanto amorevolmente voi, guerrieri della Giustizia, gestite!", ribatté con tono offeso quella, sputando sangue sugli scalini che li dividevano, in segno di disprezzo.

"Nemmeno io provo orgoglio per l’Isola della Regina Nera, ma è giusto che criminali così potenti da non essere incarcerati secondo le leggi degli uomini comuni, siano tenuti lontani dalle genti che potrebbero soffrire per causa loro.", ribatté il santo d’oro.

"Chi vi dà il diritto di decidere chi deve essere punito in tal modo?", domandò rabbiosa l’altra, "Fui incarcerata dai Druidi miei confratelli, perché, a loro dire, non seguivo le leggi di pace e riflessione del nostro culto! Fui scacciata dalle foreste della Francia settentrionale solo perché avevo cercato di difenderle dalla fame insaziabile degli uomini, che rubano alberi, terra e roccia alla natura per farne oggetti di loro piacimento!", raccontò.

"Difendevo la terra tutta ed i miei fratelli, anziché congratularsi, mi accusavano di agire seguendo la via della violenza, inadatta alla nostra gente! L’ipocrisia dei miei cosiddetti fratelli mi disgustava oltre ogni limite, non potevo sopportarla oltre, sono stata quasi felice quando mi hanno condannato all’esilio.", ruggì, prima di calmarsi.

"Poi ho scoperto quale era la vera violenza e ho capito che, forse, i miei primi confratelli avevano in parte ragione: non con la violenza contro gli uomini si può salvare il mondo, poiché anche uccidendo un uomo che agisce in modo sbagliato, finché l’idea che lo muove è ancora vivida, altri prenderanno il suo posto.

La colpa non è di voi, sciocchi seguaci, ma delle divinità che venerate, divinità che non fanno altro che dirsi Sovrani di questo o di quel luogo, di un paese, di un elemento, di un concetto, dimenticando che tutto deriva dall’unica, grande, Madre.

E la tua dea, cavaliere, non è da meno!", lo accusò infine, indicando Kalas con la massiccia spada, "Ho visto decine di giovani, ogni anno, finire nell’Isola prigione, decine di fanciulli che non sapevano controllare i loro poteri, alcuni avrei anche voluto ucciderli con le mie stesse mani, persino Ashur, quel vile dello Scorpione Oscuro, meritava la morte che infine ha avuto, ma c’erano delle persone, come Sedna, la cui unica colpa era stata quella di essere troppo deboli ed innocenti. Una colpa che hanno pagato con un’esistenza vissuta nelle tenebre, quando avrebbero potuto brillare nell’amore della Madre!", esclamò, il terreno stesso che vibrava all’infiammarsi del suo cosmo.

"Per tutte queste vittime innocenti io combatto, per loro evoco fieri destrieri in questa battaglia, affinché tu venga travolto dalla loro potenza!", aggiunse, mentre la roccia stessa si spaccava attorno ad Epona, dando forma a grossi cervi di pietra e legno, "Nature des Chevaux!", imperò e le bestie si lanciarono addosso al santo di Atena.

***

Quando la Sacerdotessa della Fenice aveva visto la fanciulla con le vestigia di bronzo e la maschera, fu quasi prossima ad un sospiro.
Trasportarsi ad Atene non era stato facile: lo scontro sull’Isola della Regina Nera, la sconfitta, le condizioni in cui era stato ridotto Kaal; tutti fattori che l’avevano stremata, oltre che preoccupata, tanto che adesso, barcollando con l’amico d’infanzia che si sosteneva sulle sue spalle, vedere la giovane la rassicurò, persino osservare il malridotto cavaliere che avanzava dubbioso alle sue spalle.

"Chi siete?", domandò subito proprio l’uomo appena sopraggiunto, "Il mio nome è Diana, sacerdotessa della Fenice proveniente dall’Isola della Regina Nera e lui è Kaal, ultimo discendente della stirpe dei guardiani dell’Isola stessa.", rispose, accennando all’amico privo di sensi, poggiandolo al suolo.

"Guardiani piuttosto scadenti se dovevano sorvegliare le Ombre che hanno assalito tutti noi.", lamentò proprio il musico, prima che l’altra sacerdotessa guerriero si voltasse verso di lui, "Sei proprio un tipo simpatico, cavaliere della Lyra!", sbottò, prima di rivolgere un inchino, così da salutarli, ai due.

"Il mio nome è Xi Jan dell’Uccello del Paradiso, allieva del Vecchio Maestro dei Cinque Picchi, piacere, guerrieri dell’Isola della Regina Nera.", si presentò la ragazzina, prima di voltarsi verso l’uomo dietro di lei.

"Io sono Gustave della Lyra, ed a causa della vostra incapacità nel mantenere i prigionieri dell’Isola della Regina Nera dove dovevano essere, ho perso il mio maestro oggi, per mano di Gemini Oscuro.", ringhiò con disappunto l’altro.

"Allora ritieni fortunato nel non averlo accompagnato nell’Ade, dato che la potenza di Giano supera ogni immaginazione.", ribatté dura Diana, prima di volgersi verso la giovane sacerdotessa.

"Cercavo un luogo sicuro dove far riposare il mio compagno di viaggio, prima di prendere parte agli scontri: sapresti indicarmene uno?", domandò cordialmente, prima di ricevere un cenno di diniego da quella: "Purtroppo no, sono giunta da poco qui ad Atene, assieme al mio compagno d’addestramenti, che sta tuttora combattendo…", spiegò quella con voce chiaramente preoccupata.

"Raggiungiamo le Dodici Case, non credo esistano posti più sicuri dove fermarsi…", ipotizzò Gustave, "Io devo comunque parlare con il Sommo Sacerdote, per avere soddisfazione per la morte del mio Maestro!", sottolineò, riprendendo la strada, senza nemmeno preoccuparsi che le due fossero d’accordo.

Il gruppo, comunque, non fece molta strada prima di trovare un ragazzo seduto vicino ad una roccia, gli abiti erano chiaramente fin troppo pesanti per l’ambiente ateniese, ma il giovane non se ne preoccupò, piuttosto si mise in posizione di guardia, nel vederli avvicinarsi, per poi rilassarsi e farsi loro incontro, presentandosi: "Mi chiamo Lashnar.", esordì, "Apprendista del cavaliere dell’Acquario.", sbalordendo i presenti con quelle parole.

"Il tuo maestro è qui?", domandò subito Gustave, "Un cavaliere d’oro che possa seguirmi per andare a vendicare il grande Remais!", esultò, "Sei folle, Lyra?", balbettò Diana, prima che il giovane apprendista riprendesse la parola: "Il maestro e Leif si sono divisi, mi hanno ordinato di attenderli qui, mentre loro andavano a dar manforte agli altri cavalieri impegnati in battaglie qui ad Atene.", spiegò con voce incerta.

"Ottima notizia, anche perché mi sono stancato di seguirvi e vedervi riunire sempre di più!", esclamò una voce poco lontano, alle spalle del gruppo di seguaci di Atena, una figura dalle mal ridotte vestigia d’argento nero, mentre avanzava dalle ombre contro di loro.

Subito le due sacerdotesse di bronzo si misero in guardia, ricevendo una sonora risata in risposta: "Per favore, bambine, toglietevi di torno! Specialmente tu, Diana, dovresti ben sapere chi hai davanti e quanto poco le tue possibilità, con il bel secondino privo di sensi, siano adesso!", esclamò divertito il nemico, mentre tutti osservavano il volto ed il corpo segnato da decine e decine di cicatrici, che ne deformavano i lineamenti.

"Duhkra, Pavone Nero, ti riconoscerei fra mille di tuoi simili, con tutte quelle orrende cicatrici, ma non pensare di poter avere ragione di ben tre cavalieri di Atena da solo!", ribatté sicura la guerriera della Fenice, "E perché no? Sono appena morto per mano di un ben più potente santo d’argento, che tuttora è fra l’incudine della cara Tureis ed il terribile martello del mio maestro Haoma, anche se non se ne rende conto, mentre voi siete un ottimo passatempo in attesa che il più di questa insulsa invasione si concluda!", rispose sicuro quello.

"Due piccole sacerdotesse, un apprendista, un malandato musico e quel patetico esempio di guardiano, niente che mi possa intimorire.", li derise ancora.

"Un malandato musico? Così mi definisci, mostro? Ebbene, preparati a cadere sotto le mie note!", lo sfidò apertamente Gustave, facendosi avanti, oltrepassando con disinteresse le due giovani dalle vestigia di bronzo.

Un sorriso ancora più deforme si dipinse sul viso deformato dalle cicatrici del suo interlocutore oscuro.

***

Kalas si guardò attorno: cinque cervi di pietra s’erano generati al comando dell’Oscuro Capricorno, bestie superbe, nel guardarle attentamente, ma al qual tempo evidentemente minacciose, poiché rapide si lanciarono addosso al cavaliere di Atena.

Il santo d’oro, però, si mosse veloce, spostandosi sulla propria destra, quasi danzando nell’evitare la carica della prima di quelle creature, cui rispose con un secco movimento del braccio sinistro, dividendola a metà, compiendo al qual tempo un balzo per evitare la carica di altre due di quelle creature, atterrando poi due scalini più in alto, osservando da quella posizione sopraelevata le quattro bestie rimaste e scoprendo, con leggera preoccupazione, che la quinta stava ricongiungendo i propri lembi.

"Ostiche queste tue bestiole…", valutò il cavaliere di Atena, prima di permettersi un sorriso, "Ma niente che non possa affrontare!", aggiunse, lanciandosi di nuovo all’attacco, mentre già la mano dell’oscura avversaria si sollevava, con la massiccia spada rivolta contro il sole, scatenando un fendente che corse feroce addosso al santo d’oro, e le creature di pietra si mossero di conseguenza: due sul fianco destro, due sul sinistro ed una balzava veloce seguendo l’ondata tagliente d’energia.

Il cavaliere, però, reagì prontamente spostandosi sulla sinistra e compiendo un balzo elegante verso l’alto, compiendo una veloce rotazione sul proprio busto, eseguendo, al qual tempo, una coppia di veloci fendenti, due mezze lune dorate che si unirono nell’affondare contro le due bestie di pietra che si trovavano sotto di lui, distruggendole all’impatto, mentre già il cavaliere, con una piroetta a mezz’aria, compieva un secondo attacco, simile al precedente, contro la bestia che si trovava dietro le altre.

Solo quando era ormai prossimo al terreno, Kalas si rese conto della maestosa figura dalle vestigia d’oro oscuro che gli stava arrivando contro, la massiccia spada pronta a colpire, troppo vicina per evitarla.

Un urlo fu tutto ciò che il Capricorno dorato emise nel subire l’impatto fra il proprio braccio, intento a fendere, e la grossa lama nemica, un impatto che lo sbalzò indietro, ferito e dolorante, a sostenersi l’arto sinistro, piegato in modo innaturale, mentre il suo sguardo, vagamente confuso, si fermava sull’arma nemica, distrutta nelle mani di Epona.

"Hai sacrificato un braccio per spezzare la mia spada.", constatò la donna, "Un sacrificio inutile, ora che dovrai fronteggiare i miei destrieri con una sola arma in tuo possesso!", aggiunse, prima che, ad un suo cenno, le cinque creature si lanciassero alla carica del santo di Atena.

Il cavaliere d’oro sorrise a quelle parole e scattò contro le bestie di pietra, raggiunse con rapidità le prime due, mentre un’altra, sulla sua sinistra già s’approssimava, con un balzo Kalas evitò la terza creatura che investì con devastante potenza una delle sue sorelle, frantumandola all’altezza del corpo.

Il santo del Capricorno, intanto, ancora in salto, sferrò un veloce fendente a rotazione sulla quarta creatura, dividendola a metà e creando, al qual tempo, un profondo solco nel terreno, in cui la quinta bestia di pietra rimase intrappolata.

Proprio quando, però, il cavaliere stava per rifiatare, la prima delle creature che aveva evitato gli si lanciò addosso, colpendolo sul braccio già infermo. Kalas si dimostrò abbastanza reattivo da affondare la mano destra nel collo della bestia, emettendo l’affilato cosmo tramite quel singolo attacco, tanto violento da distruggere in diversi frammenti la creatura di roccia.

Con affanno, il custode della Decima Casa rivolse lo sguardo prima all’oscura sua controparte, poi alle bestie dalla stessa evocata, osservando una di loro rigenerarsi, dopo essere stata divisa a metà e le altre due rialzarsi.

Solo l’animale che era stato investito dalle corna del suo simile e l’ultimo, che aveva distrutto al prezzo di ulteriori ferite al braccio, rimasero immobili, dilaniati in maniera così drastica da non riuscire più a riformarsi.

"Sembra che abbia trovato una falla nella tua tecnica, Ombra…", osservò lieto il cavaliere d’oro, "Una piccola falla, ma mi chiedo quanto ancora potrai usarla a tuo piacimento senza subirne danni! Ed anche vinte le mie cinque bestie di pietra, cosa farai? Speri di vincere il potere della Terra che mi ha generato in queste misere condizioni?", domandò Epona, "Cadrai, seguace di divinità, prima del tuo padrone e, come lui, soffrirai una decapitazione ben più rude di quella che avresti avuto finché la grande spada in mio possesso era stretta e funzionale nelle mie mani! Pagherete nel più brutale dei modi per la prigionia di tanta gente!", minacciò decisa.

"Credi forse che io apprezzi la prigionia cui molti sono condannati sull’Isola della Regina Nera? Il mio primo discepolo fu condannato a tale sorte per aver semplicemente protetto un’amica!", sbottò infastidito Kalas, "Ho tentato di salvarlo, ma la diplomazia ha vinto sulla verità degli eventi, costringendolo alla prigionia!", esclamò, lasciando brillare il proprio cosmo.

Quelle parole bruciarono nella gola del cavaliere nel momento stesso in cui le disse, poiché erano un’ammissione che l’idea della sua nemica non fosse poi così sbagliata, un’ammissione del dubbio e della rabbia che per lungo tempo lo aveva consumato, del motivo per cui aveva deciso di addestrare Damocle in un antico tempio a Cipro, anziché al Grande Tempio, così come stava facendo con il più grande.

Per i lunghi anni dell’addestramento del suo secondo discepolo, Kalas aveva sofferto al ricordo della prigionia del primo, finché non aveva avuto modo di parlare con Ascanus, giunto in visita al piccolo tempio presso l’isola ellenica, "Il Sommo Sacerdote comprende il tuo risentimento, tutti lo comprendiamo. Se fosse stata Bao Xe al posto di una di quelle fanciulle, avrei fatto lo stesso probabilmente, avrei tentato in tutti i modi di difenderla; chiunque fra noi cavalieri d’oro lo avrebbe fatto, magari qualcuno si sarebbe anche ribellato, non credi?", domandò cordialmente il santo dello Scorpione.

"Dobbiamo servire il Grande Tempio… vuoi arrivare a questa conclusione, amico mio?", tagliò corto quel giorno Kalas, che sentiva l’amaro gusto della vergogna mescolarsi alla rabbia, "No, voglio dire che noi serviamo la Giustizia e che spesso la Giustizia non è sempre così lineare come amiamo credere. Non esiste il bianco ed il nero, se fosse così, nelle Guerre Sacre i cavalieri di Atena non morirebbero mai! Si potrebbe addirittura dire che non dovrebbe esserci Guerre Sacre!", valutò il cavaliere dell’Ottava Casa.

"Quindi quello che successe quel lontano giorno è un esempio del grigio colore della Giustizia?", domandò di rimando il Custode del Decimo Tempio, "No, è un triste esempio di come la Giustizia assoluta non esiste, ma esistano solo giustizie relative e che ciò che il Sommo Sacerdote ed i cavalieri di Atena devono fare è compiere il possibile per il relativo sia il più vicino possibile all’assoluto.

Il tuo sacrificio è stato accettare ciò che accadeva, così come per molti altri, fra cui il Grande Sion stesso.", rispose schietto Ascanus.

Quel discorso fu la ragione, assieme all’investitura di Damocle, per il suo ritorno al Santuario ed ora, pochi anni dopo, Ascanus era morto proprio per mano di quello stesso allievo che il santo dello Scorpione avrebbe difeso, se fosse stato il suo discepolo.

La Giustizia, ed il destino, avevano un contorto senso dell’umorismo.

L’ultimo pensiero di Kalas fu interrotto dallo scatenarsi dei restanti tre animali di roccia, che in parallelo correvano addosso al santo d’oro, pronti e decisi a scatenare tutta la loro furia.

Il cavaliere si dimostrò ancora una volta pronto nel difendersi, correndo addosso alle bestie, ma compiendo all’ultimo un balzo laterale, compiendo una parabola a mezz’aria e lasciando che il cosmo dorato brillasse sul braccio destro, "Ecco il modo in cui questa battaglia si concluderà, guerriera oscura, osservare brillare le stelle del Capricorno!", esordì il santo di Atene, "Estrellas de la Triada!", invocò Kalas, sferrando una velocissima serie di fendenti contro le tre creature.

Gli affondi brillarono nello spazio al di sotto del cavaliere come le stelle del Capricorno, che formano un triangolo nel cielo, investendo con furia violenta l’animale di pietra centrale, mentre gli altri due, quasi seguendo la volontà della loro padrona, compivano due abili cambi di traiettoria, disegnando due semicerchi nelle diverse direzioni, puntando entrambi al cavaliere, nel momento stesso in cui stava per poggiare al suolo i piedi.

Il maestro di Damocle ebbe un momento di smarrimento nel vedere il duo di animali che stava per investirlo con violenza, tanto da effettuare un veloce fendente con il braccio destro, dividendo a metà la bestia alla sua destra, ma restando scoperto rispetto a quello sulla sinistra.

Non ebbe nemmeno il tempo di voltarsi Kalas che una voce echeggiò, mentre una sagoma oscurava il sole sopra di lui: "Infinity Break!".

Decine di dardi d’energia cosmica piovvero contro la creatura di roccia che stava per investire il fianco sinistro del cavaliere del Capricorno, prima che il suo parigrado del Sagittario atterrasse accanto a lui, sorridendo; "Scusa per il ritardo, amico mio.", esordì cordiale Munklar, volgendo lo sguardo verso la nera figura che aveva oltrepassato con un balzo.

"Lieto di vederti, cavaliere! Speravo di poter vincere da solo contro questa tetra copia, ma devo ammettere che ha armi non da poco al proprio servizio.", affermò di rimando Kalas, sollevando il braccio destro ad indicare l’ultima bestia che si riformava dinanzi a loro.

"Non mi aspettavo di meno da costei, il cui cosmo era evidentemente superiore a quello del Profanatore di Delfi, pari a quello di altre Ombre che hanno invaso il mondo quest’oggi e di quello di alcuni dei nemici dei nostri allievi dei giorni passati!", ammise il santo del Sagittario, concentrando il cosmo nel braccio destro.

Con uno scatto, i due cavalieri corsero assieme addosso alla bestia di roccia, per poi dividersi: Kalas si portò alla sinistra dell’animale, sferrando un violento tondo ascendente, subito seguito da un fendente a martello, che divise in quattro pezzi il bersaglio, prima che il dorato cosmo di Munklar, alla destra della creatura, esplodesse in una pioggia di strali luminosi, riducendo in piccoli frammenti i diversi segmenti dell’ultimo dei cervi di terra, che crollò senza più riformarsi.

I due cavalieri d’oro volsero la loro attenzione verso la comune avversaria solo per scoprire, per restare sbalorditi da ciò che stavano osservando: lentamente, ma inesorabilmente, Epona del Capricorno Oscuro veniva assorbita dalla dura roccia, inghiottita nel terreno già fino alle gambe quando i due la notarono.

"Avete vinto i destrieri della Natura, i miei complimenti, seguaci di una divinità, ma se credete che tanto basti per aver ragione di me, che degli Homines Novi faccio parte, allora ben poco sapete del nostro vero potere!", sentenziò decisa la guerriera nera, "Non ho bisogno di un’arma per combattere, la Terra stessa mi è madre e compagnia in battaglia! Preparatevi, cavalieri, poiché la morte vi chiamerà nel più duro e violento dei modi!", aggiunse, quando ormai anche la testa stava per scomparire nel terreno.

Non ebbero il tempo di reagire Kalas e Munklar, semplicemente, udirono una frase, quando la nemica era ormai scomparsa: "Fille du Rocher!", poche parole che sembrarono provenire dal terreno sotto i loro piedi, poche parole che indicavano l’inasprirsi della battaglia.

Homines 18: Il Maya

Quando arrivò rimase quasi sbalordito: non ricordava fosse così facile superare gli anelli sottostanti.

La prima cosa che lo colpì fu scoprire che tutto era rimasto come un tempo, l’intero cerchio era simile al giorno in cui lo aveva abbandonato: rigoglioso e verdeggiante.

Bastò una vibrazione del suo cosmo per incenerire tutto e lasciare solo polvere e distruzione attorno a se! Un sorriso gli si dipinse sul volto, mentre scrutava la desolazione del Sesto Cerchio, finché non la vide, splendida ed immobile così come l’aveva lasciata, la sua armatura.

Da quanti anni non la indossava? Cinque, forse più? Nemmeno lo ricordava! Ricordava il litigio, l’abbandono del Tempio e la scelta di scoprire se il mondo potesse avere qualcosa di meglio da offrirgli.

Aveva lasciato le vestigia che gli apparteneva lì, al Sesto Cerchio, e poi sopportato i silenziosi sguardi pieni di giudizi degli altri suoi compagni di un tempo.

Tutto questo aveva creato una grande rabbia in lui, una rabbia che fu saziata, seppur solo in parte, quando raggiunse l’Europa, dopo aver vagato per le terre dei suoi antenati, e lungo il vasto oceano, incontrando lì quelli che, secondo antiche leggende, erano stati nemici delle schiere di cui aveva fatto parte: i Bersekers di Ares.

Era rimasto oltremodo disincantato da questi servitori del Signore della Guerra di Grecia! L’unico che sembrava vagamente pericoloso, Igor, il guerriero con la Lancia, risultò soltanto un patetico esaltato, ossessionato dal vendicarsi di qualcuno che aveva abbandonato Ares per Eolo.

Le sue ossessioni finirono quando lo ridusse ad un ammasso di ceneri e niente più, assieme ai pochi rimasti fra i suoi seguaci.

Pochi giorni dopo, incontrò gli Homines.

Un rumore lo richiamò al presente, il rumore di passi che echeggiava nell’ormai desolato deserto di ceneri che era diventato il suo Cerchio, un rumore che lo spinse a raggiungerne la causa.

"Cercavi qualcosa, Wo?", chiese, apparendo alle spalle della figura femminile appena arrivata, che gli rivolse un sorriso divertito, "Sei tornato, Xul! Da quanto tempo!", commentò lieta la donna, le cui vestigia sembravano risplendere di mille diversi colori, una particolarità che solo fra quella che un tempo era la sua gente si poteva trovare.

"Tanto tempo, è vero! Abbastanza perché io capisca, adesso, quale deve essere il reale obiettivo delle Sentinelle.", rispose lui, "Un obiettivo di cui parlerò con il nostro buon Re!", aggiunse sicuro.

"Vuoi parlare con Re Ch’en? Dopo quello che è successo?", domandò visibilmente sorpresa l’altra, "Il Re si trova sulla Vetta, non al Quinto Cerchio! Io ti lascerei anche passare, per il gusto di vedere cosa potrebbe succedere, ma gli altri non saranno di certo così collaborativi.", avvisò, con un sorriso sul viso parzialmente nascosto.

"Non ti preoccupare degli altri, non mi vedranno nemmeno passare.", rise l’uomo che lei conosceva come Xul, prima di avvolgersi in un vortice di ceneri incandescenti.

"Ci vedremo presto, quando tutto sarà cambiato!", avvisò tranquillamente, scomparendo dal Sesto Cerchio.

Lui non era più solo Xul, una delle Tredici Sentinelle, lui adesso era uno degli Homines, colui che veniva soprannominato il Maya, colui che aveva scelto per se il nome di Xototl!

E ben presto tutti i suoi vecchi compagni, la sua gente come forse amavano ancora definirsi, avrebbe scoperto cosa aveva in mente per il loro futuro.