Capitolo 36: L’Esito del Rito

"Desiderare tanto la battaglia, non vi porterà ad alcuna vittoria contro di me, cavalieri d’argento.", furono le prime parole che, mentre i tre cosmi brillavano, stanchi ma decisi, attorno a lui, il guerriero di Virgo Oscuro disse verso i suoi interlocutori.

"Della mia scorta di ombre argentee niente è rimasto, questo è vero, ma pensate che io sia così debole da non potervi combattere?", chiese Haoma, immobile nella medesima posizione in cui si trovava dall’inizio dello scontro, "Se ancora non ho mosso passo alcuno per attaccarvi, dovreste solo essermene grati.", sottolineò, alzando lo sguardo ad osservarli.

Sapeva già i loro nomi: Wolfgang dei Cani Venatici era il primo, il corpo segnato dalle battaglie contro ben due dei suoi allievi, ma deciso nello sguardo; alla destra del guerriero tedesco, quello che, da ciò che Haoma aveva compreso, era il suo compagno d’addestramenti, Ludwig del Centauro, dall’armatura ormai distrutta e le vistose ferite dovute agli scontri in quel piccolo corridoio di roccia; mentre sulla sinistra, armato di scudi d’argento, Zong Wu dell’Auriga, tornato dalla Cina dov’era sopravvissuto all’incontro con uno dei suoi confratelli Homines.

E proprio per volere di un altro degli Homines lui non poteva perdere tempo.

Quei tre erano avversari non da poco, se fossero stati al massimo delle loro forze, ma adesso erano stremati, feriti, avrebbe potuto avere facile ragione di loro? Sicuramente, ma avrebbe comunque speso minuti che non aveva, poiché ormai il Rito in Italia stava per concludersi, come il cosmo dell’Aborigeno rivelava distante nell’aere. Per sua fortuna, però, Haoma aveva già pensato a come allontanare quei tre scocciatori.

"Angriff der Jäger!", urlò in quel momento la voce del primo discepolo di Munklar del Sagittario, trovandosi però dinanzi ad una barriera di pura energia, sollevata dal nero nemico, "Siete davvero così desiderosi di combattere?", domandò con tono di scherno l’Indiano, "Ebbene, vi offro un nemico che di certo vorrete sconfiggere per primo, poiché se lei non sarà fermata, le ferite da voi riportate saranno state futili!", ridacchiò divertito.

Per un attimo i tre si guardarono perplessi, poi fu Ludwig a parlare: "Che intendi dire, Ombra?"; con una risata, Haoma alzò la mano indicando la strada che i cavalieri di bronzo avevano intrapreso poco prima, "I giovani che avete salvato sono ora alle prese con un nemico ben più pericoloso di me, la sadica Sedna, l’Acquario Oscuro che di sangue ama bagnarsi!", spiegò, lasciando al trio il tempo di riflettere su quelle parole.

"Acuite i vostri sensi, cavalieri, cercate fra le innumerevoli battaglie che ancora qui si combattono e scoprirete che dico il vero!", continuò l’Indiano, "Quindi vi chiedo: preferite morire contro di me, o salvare quei poveri giovani?", incalzò ancora.

Il silenzio fra i tre cavalieri d’argento fu quasi insostenibile, mentre i loro sguardi si riempivano di preoccupazione: "Avverto i cosmi di Darius e gli altri accendersi in battaglia…", confermò Ludwig, "Cosa facciamo?", domandò subito dopo, voltandosi verso i due più anziani parigrado, "Non possiamo lasciarli morire così…", urlò, quando gli altri non gli risposero.

"Virgo Oscuro sta portando avanti un rituale simile a quello che Baal ha eseguito ad Accad, lo stesso dei nemici che anche tu hai affrontato in Polinesia, se non lo fermiamo, le sorti della dea Atena potrebbero essere segnate… la nostra devozione va alla dea.", spiegò con voce strozzata Zong Wu.

"Che stai dicendo, cavaliere!?", urlò il santo del Centauro, ma un gesto di Wolfgang lo zittì: "Ha ragione, per quanto triste sia, Zong Wu ha ragione. Abbiamo dei doveri, tutti quanti noi.", ammise con voce triste il primo discepolo del Sagittario.

"Ed i vostri doveri non v’impediranno di aiutare i compagni in pericolo!", esclamò, però, d’improvviso una voce, mentre un nuovo cosmo s’espandeva in quella piccola strada verso Rodorio, un cosmo dorato e gelido, che si rivelò nell’ambiente, sbalordendo tutti i presenti, Haoma compreso.

"Questo cosmo…", balbettò sorpreso il santo dell’Auriga, "Sembra quello di Leif, altrettanto gelido, ma ben più vasto.", valutò stupito Wolfgang.

"E di Leif, in effetti, sono il maestro: Vladmir dell’Acquario, qui giunto dalla lontana Siberia con i miei discepoli, per dare aiuto nel salvare la Giustizia!", si presentò allora il cavaliere d’oro, dalle vestigia brillanti, "Già il mio primo discepolo è diretto all’Arena dei Tornei, mentre il più giovane sta riunendosi con i feriti e stanchi al di fuori delle Dodici Case, seppur entrambi, hanno trovato delle battaglie lungo la loro strada ed un’altra battaglia, a quel che pare, ci ha seguito dalla Siberia sotto la forma dell’Ombra che li ci aveva attaccato.", rimuginò preoccupato prima di volgersi verso i tre santi d’argento.

"Vi chiedo di andare voi a combattere l’Acquario Oscuro, cavalieri, non per timore di lei, ma perché, al pari vostro, ha già combattuto e, mentre costui è ben più fresco in forze e, di certo, un nemico da sconfiggere più rapidamente, quindi, con un pò di superbia forse, mi propongo come il più adatto a fronteggiarlo.", suggerì il santo d’oro.

Si guardarono fra loro i tre, poi con un cenno del capo Zong Wu confermò quello che, di certo, gli altri due speravano: "Ti ringraziamo, cavaliere dell’Acquario, e lasciamo a te questo nemico, che egli possa condividere la fine dei suoi discepoli.", affermò secco il cinese, scattando poi oltre il santo d’oro assieme ai discepoli del Sagittario.

"Sei un problema che non avevo previsto, seguace di Atena…", fu l’unico commento di Haoma, una volta rimasto solo con Vladmir, mentre si alzava in piedi, "Un problema di cui dovrò occuparmi in fretta.", concluse deciso, espandendo il possente ed oscuro cosmo.

***

Raggiungere la Prima Casa era stato doloroso, ma non difficile come rialzarsi ed uscire dalla Seconda. E non per il cadavere di Ashur dello Scorpione Nero, lì abbandonato, né per i due corpi senza vita che trovò ai piedi delle sale dell’Ariete, non che si aspettasse di più dal Triangolo e della Croce Oscuri, due pover sciocchi, che, però, gli avevano lasciato un regalo: le asce d’oro nero.

Cicno di Eracle Nero strinse i denti fino a farli stridere per l’unica e semplice azione di sollevare le due armi da terra, facendone strisciare le lame ad ogni passo che compiva verso l’esterno, incurante dei cosmi che sentiva duellare nelle Case superiori del Grande Tempio, fra cui uno gli era ben noto, memoria del suo passato, prima delle vestigia oscure, prima della Prigionia.

No, non a quella battaglia si rivolgeva l’attenzione di Cicno, bensì verso un cosmo altrettanto conosciuto che sembrava sul punto di accendersi poco al di fuori delle Dodici Case, un cosmo che portò un sorriso sul volto ferito del guerriero oscuro.

"Allora, pezzente di un musico, ancora con quelle tue note difensive? Niente di meglio puoi propormi? E che ne sarà dei tuoi compagni?", rideva divertito Duhkra del Pavone Oscuro, mentre di nuovo il Canto della Sofferenza s’espandeva attorno al nero guerriero, piegando al suolo l’ultimo dei Custodi della Regina Nera, oltre che il giovane apprendista proveniente dalla Siberia, mentre le sacerdotesse di bronzo della Fenice e dell’Apus indietreggiavano, cercando di resistere a quel singolo attacco, cui solo Gustave della Lyra sapeva tenere testa, utilizzando le note del Reticulum Vif come difesa.

"Se sta attaccando, non può allo stesso tempo difendersi, giusto?", domandò, prostrata al suolo, la discepola del Vecchio Maestro di Cina, "No.", concordò l’altra giovane dal volto mascherato, mentre entrambe lasciavano esplodere i propri cosmi, indeboliti, ma decisi, alzandosi in piedi.

"Ali della Fenice, travolgete questo folle!", imperò Diana, "Tiantang Ban!", aggiunse prontamente Xi Jan, mentre l’Uccello del Paradiso e quello Immortale si libravano assieme dalle due giovani sacerdotesse, diretti contro il medesimo bersaglio che, per la sorpresa, interruppe l’assalto contro il musico francese, volgendo ai due volatili energetici la propria attenzione.

"Un confronto? Servirebbe una voliera di più possenti creature per intimorirmi che la piccola gabbia da cui voi due siete scappate!", ammonì Duhkra, espandendo il proprio cosmo di fuoco e lasciando che si aprisse alle sue spalle, "Abbraccio dell’Impermanenza dispersi questi passerotti che si credono aquile!", urlò ancora, liberando le fiammeggianti forme della coda di pavone, che si scontrarono con i possenti battiti d’ala delle due sacerdotesse di bronzo, annullandosi a vicenda.

Alla vista del foro creatosi nel terreno fra loro, Duhkra sbuffò: "Uhm… devo essere davvero stanco per non avervi dilaniato assieme ai vostri pennuti d’energia.", valutò.

"Devi essere anche stupido, bifolco deforme, per voltarmi le spalle!", ringhiò con disappunto il santo d’argento, ricominciando le proprie melodie, ben diverse, però, da quelle finora usate per difendersi: "Serreé Moderé!", decantò il francese, stringendo il nemico fra i fili della propria arpa.

Ogni nuova nota del cavaliere d’argento provocava nuove ferite sul corpo del nero nemico, ferite da cui scivolava sangue lungo ciò che restava dell’armatura oscura.

"Se continui così, strapazzatore di note, ben presto anche le mie orecchie inizieranno a sanguinare!", avvisò Duhkra, apparentemente disinteressato al dolore fisico dei fili che stringevano il corpo, "Inoltre ho già un altro guerriero che attende di concludere il nostro scontro, anche se, in vero, ancora non lo sa, quindi non posso offrirti tutta l’attenzione che, tra l’altro, nemmeno meriteresti!", continuò, lasciando esplodere il cosmo infuocato attorno a se, "Eccoti comunque l’Abbraccio dell’Impermanenza! Che ti conceda quel minimo di attenzione che meriti!", concluse, rilasciando il proprio attacco.

Alte fiamme iniziarono a vorticare attorno al nero guerriero, prendendo le forme della coda di un Pavone, prima che una voce attirasse la sua, di attenzione: "Sei tu che sbagli ancora una volta, Duhkra! Non solo il musico ti è avversario, o forse lo hai dimenticato?", domandò Diana della Fenice, prima che il battito d’ali dell’immortale volatile vorticasse contro di lui.

L’uomo del Sestetto Nero ebbe appena il tempo di spezzare i fili d’energia che lo imprigionavano, grazie ai poteri dell’Anitya, ma già veloce correva contro di lui il mitologico rapace di fuoco, quando, improvvisamente, qualcosa lo fermò, una barriera invisibile che lo protesse, prima che un nuovo cosmo echeggiasse in quello spazio, divenuto un ennesimo campo di battaglia.

"Anche tu, Diana, sembri aver dimenticato che Duhkra del Pavone Nero ha cinque compagni che gli sono fedeli tanto quanto lui lo è a loro!", esclamò una voce di donna, mentre una figura giungeva in salto, atterrando poco dietro l’allieva del Vecchio maestro di Cina, colpendola con un violento calcio e spingendola lontano, catturando l’attenzione di tutti su di se.

"Sinai!", esclamò il Pavone Oscuro intravedendo la compagna d’arme, "Che piacere vederti!", continuò sorridente.

"Dovevo immaginarlo", rifletté la sacerdotessa di bronzo, osservando la nuova giunta, "dove si trova uno del Sestetto Nero, si trovano gli altri!", lamentò fra se.

"Non è del tutto vero, purtroppo.", s’intromise subito Duhkra, "Megara e Kurnak sono in Italia al momento, mentre non ho un’idea precisa di dove sia Yan Luo…", rifletté il guerriero dal corpo segnato da molte cicatrici.

"E Cicno?", chiese ancora Diana, prima che lo sguardo deforme del Pavone Nero incontrasse la maschera di Perseo Oscuro, "Credo che tutti quanti siamo curiosi di avere una risposta a questa domanda.", ipotizzò il primo, mentre la seconda lasciava esplodere il tetro cosmo che le apparteneva: "Ma non tu non saprai mai quale essa sia!", ringhiò quest’ultima, lasciando materializzare il potere del Kibisis attorno a se.

"Non vincerete, Ombre, non qui, non ora!", esclamò la sacerdotessa della Fenice, lasciando esplodere il cosmo fiammeggiante, mentre un secondo brillava alle spalle di Perseo Oscuro: "Pensavi di avermi vinto con un singolo attacco?", chiese la giovane compagnia d’addestramenti di Zong Wu, "Ben altro ci vuole per sconfiggere i cavalieri di Atena!", continuò la fanciulla di Apus.

"E qui ci sono ben più dei tre che vedete, come guerrieri consacrati a quella dea!", aggiunse ancora la voce di Kal, ultimo discendente dei guardiani dell’Isola della Regina Nera, "Anche senza delle vestigia ed un’investitura, siamo tutti fedeli alla Giustizia!", concluse il giovane Lashnar, dal debole e gelido cosmo.

"Due contro cinque, una battaglia quasi equilibrata.", rise allora Duhkra del Pavone Nero, rivolgendo il proprio sguardo al silenzioso Gustave della Lyra, che lo studiava con le dita già pronte a pizzicare lo strumento musicale.

 

***

Avevano seguito i due uomini all’interno della grotta: "Non è poi così differente dal nostro Avaiki… mi sarei aspettato un luogo più subacqueo, per così dire.", furono i primi commenti di Moko di Tiki nell’osservare l’ambiente roccioso e nemmeno troppo umido in cui si stavano inoltrando.

"Eppure, tu, Comandante dell’Avaiki di Pili, dovresti ben conoscere le virtù della dura pietra.", replicò gentilmente il maestoso Oro, "In fondo, specie fra la tua gente, più che nel tempio sull’Isola di Pasqua, o presso quello consacrato alla dea Ira, vi erano grandi conoscenze sulle virtù della terra.", continuò.

"Virtù della terra?", ripeté disgustato Tawhiri, "Non hai solo abbandonato l’Avaiki di Ukupanipo ma anche rinnegato il Signore dei Pesci tutti? A tanto è arrivata la tua abiura?", domandò con disappunto.

"Non per abiura sono dette le sue parole, Areoi della Torpedine, ma credo, piuttosto che qui, dinanzi a noi, ci sia un gigante che conosce le antiche vie della forgiatura e riparazione delle vestigia dei nostri avi. Mi sbaglio forse?", domandò palesando un sorriso verso il gigantesco interlocutore l’uomo dell’Avaiki di Pili.

"Che intendi dire?", s’intromise ancora Tawhiri, "Un Areoi è un guerriero che serve le divinità della Terra, del Cielo e del Mare. Questo intende dire: come i cavalieri di Atena nostri alleati usano la Polvere di Stelle ed altri materiali provenienti dal cielo, come le costellazioni da cui traggono forza, così gli Areoi, legati agli spiriti del mondo, traggono dalla creta e dalla roccia la fonte primaria per rianimare le loro armature.", affermò con voce seria Arohihori della Tartaruga Marina, avvicinandosi agli altri, mentre ancora Tuifi e Toru camminavano più indietro, guardandosi con beffardo senso di sfida l’un l’altro.

"Non mi sorprende che tu sappia qualcosa in tal senso, ragazza, sei la degna allieva di Tiotio.", si complimentò Oro, "In effetti mi avrebbe sorpreso di più sentire lo Squalo Bianco parlare in tal modo.", ridacchiò Moko, facendo un cenno con il capo, prima che il gruppo di polinesiani si fermasse dinanzi ad un’ampia sala interna nella grotta.

Su un piccolo altare rilucevano due armature bianche e brillanti, "Ecco le uniche due armature rimaste dell’esercito di Ukupanipo!", esclamò il giovane Tuifi, avanzando ed oltrepassando gli altri: "Le vestigia dello Squalo Balena, del mio zio e maestro e poi le più belle fra tutte, l’Halipron! La Piovra dai Sette Tentacoli! La mia armatura!", esclamò, tronfio di soddisfazione, mostrando le immacolate corazze di cui erano padroni.

"Con due sole armature, per quanto in ottime condizioni, però, non potremo avere facile vittoria sui Ladri che hanno colpito le nostre divinità!", sottolineò Moko, "Quindi, vecchio gigante, dovremo lavorare parecchio per riparare tutto in breve!", suggerì verso Oro poco dopo.

"Che intendi dire?", domandò sorpreso Toru, "Giusto… tu non ci ascoltavi poc’anzi…", rifletté laconico l’uomo consacrato a Pili, "Ma sembra che lo Squalo Balena conosca, al pari mio, i segreti per la riparazione delle nostre vestigia e che questo luogo sia, altresì, ricco della roccia adatta per quel tipo di lavoro.", spiegò, avanzando e tastando il terreno poco lontano; "In un giorno, forse meno, riusciremo a riparare tutte e quattro le nostre armature.", ipotizzò infine.

"Così potremo finalmente combattere questi Ladri di Divinità che hanno fatto delle nostre isole il loro nascondiglio!", concordò soddisfatto Toru.

"Ben presto anche gli Areoi torneranno sui campi di battaglia per la guerra finale!", concluse lo Squalo Bianco.

***

Per alcuni secondi Virgo Oscuro ed Acquarius si osservarono: le vestigia che brillavano di luci diverse, oscure per colui che aveva osservato la propria discepola e gli altri che aveva portato con se uccidere e venire uccisi; brillanti per l’uomo che aveva difeso i propri allievi in Siberia, solo per condurli in un ben più terribile campo di battaglia.

"Un cavaliere d’oro, non avevo ancora avuto il piacere di incontrarne uno, né durante questa lunga giornata, né in precedenza… ho però un’elevata esperienza in santi d’argento e bronzo.", ridacchiò Haoma, spezzando il silenzio che era intercorso fra loro.

"Vuoi saggiare la differenza? Scoprire se la fama dei custodi dorati è meritata, Ombra?", domandò con voce fredda Vladmir, "È dunque voglia di battaglia che ti ha portato qui ad Atene? Pensavo fossi qui per proteggere la tua dea, il tuo credo!", esclamò di rimando l’oscuro avversario, "Ma invece mi accorgo che, assieme ai due giovani che ti hanno seguito, sei qui solo per incendiare ancora di più il fuoco della battaglia!", criticò divertito l’Indiano.

"Se mi conoscessi, Ladro di Divinità, sapresti che mai incendiare è il mio fine, bensì l’esatto contrario!", avvisò il santo d’oro, "Ed ora basta con le chiacchiere, Ombra della Vergine, prepara le tue difese, se ne possiedi, poiché ti saranno utili, poiché questa di Vladmir dell’Acquario è la Polvere di Diamanti!", urlò, scatenando la gelida corrente di freddi cristalli.

L’attacco del santo di Atena, però, si perse contro la fredda roccia alle spalle di Virgo Oscuro, mentre la figura del nemico scompariva, riapparendo alla sua sinistra: "Un patetico tentativo di successo il tuo, cavaliere! Colpi segreti come questi poco possono contro chi ha già intrapreso la strada verso l’illuminazione!", avvisò sicuro l’Indiano, "Ammetto, però, che la curiosità di affrontare uno dei dodici custodi mi stuzzica! Ho poco tempo da concederti, ma me lo farò bastare!", concluse deciso.

"Parole piene di superbia e sicurezza le tue, Ombra, parole che Vladmir sarà ben lieta di ricacciarti in gola!", ribatté con determinazione il Custode dell’Undicesima Casa, lasciando esplodere il gelido cosmo tutto attorno a se.

"Ti sbagli, cavaliere! Non vi è superbia nelle mie parole, solo certezza nelle capacità che possiedo, ma puoi definirmi sicuro, sicuro di riportare ordine nel mondo, concedendo agli uomini, ciò che coloro che vennero prima di noi ebbero modo di avere: la via dell’illuminazione! L’ascensione ad uno stato superiore, quello che le divinità ci precludono. Ammetto, ripeto, la mia curiosità e d’altronde, per chi ha sentito tanto parlare dal suo maestro di voi, cavalieri d’oro, la curiosità penso che, in fondo, sia un peccato di poco conto.", sentenziò quieto l’altro, "Dai il meglio di te, , custode dorato, Haoma del Virgo Nero, farà altrettanto.", concluse, prima che una seconda figura apparisse alla destra di Vladmir, che non poté nascondere un leggero stupore nel vedere un secondo Vergine Nero.

Un’ondata di gelo circondò il cavaliere, disegnando dei cerchi di ghiaccio che invasero l’ambiente, raggiungendo ambedue le figure di Haoma, che, però, leste scomparvero, non appena raggiunte dal freddo cosmo del santo di Atena.

"Sei degno della fama che vi circonda, cavaliere: determinato e devastante anche solo nell’espandere il tuo cosmo, ma ben poca cosa per chi si aspettava tali capacità dai difensori di questo Santuario!", lo apostrofò il nemico.

"Parli come se già ci conoscessi, siete dunque ben informati su di noi, invasori?", domandò Vladmir, volgendosi di scatto alle spalle, scoprendo ben quattro Haoma osservarlo con le nere vestigia brillanti.

"No, non tutti noi ben vi conosciamo, ma al pari di altri confratelli, il Finnico ed il Cinese, da un cavaliere di Atena sono stato iniziato ai segreti del cosmo, prima che mi distaccassi per una divergenza d’opinioni, una volta completato l’addestramento.", spiegarono all’unisono le quattro immagini.

"Discepolo di un santo della Giustizia sei dunque? E chi era il maestro che hai tradito, rivoltandoti contro ciò in cui egli credeva e contro quanto di più sacro vi è al mondo?", incalzò ancora il cavaliere d’oro, mentre, all’unisono, le figure facevano segno di diniego con il capo.

"Questo, seguace di una Divinità, è un particolare che non mi sento costretto a rivelarti.", tagliò corto Haoma, "Preparati piuttosto a raggiungere la pace dei sensi: un più che adatto riposo! Osmé Anatolikou!", invocò infine il nemico, espandendo il proprio cosmo.

Vladmir osservò attentamente la sagoma di un fiore di Loto sbocciare alle spalle dell’Ombra nemica, mentre un dubbio si delineava nella sua mente, assieme ad un ricordo del passato; immagini che, però, presto furono richiamate nei meandri della mente del cavaliere, mentre le braccia delle quattro figure nere iniziavano a disegnare un semicerchio, intorno cui i petali del fiore parvero scivolare, come prossimi a perdersi nel vento.

Ma non nel vento si perdevano i petali del Loto, bensì andavano a costituire una corona che si delineò fra i due nemici, brillante nel suo vorticare, mentre l’energia cosmica avversaria confluiva all’interno, "Perditi nel Fiore dell’Oriente, cavaliere!", imperò l’Indiano, liberando alla fine quella massiccia energia.

Rapido fu Vladmir nel sollevare le braccia dinanzi a se, generando uno spesso muro di ghiaccio che si andò a chiudere in sua difesa, contenendo per alcuni istanti la potenza dell’oscuro nemico, prima di disfarsi e lasciare che Virgo Oscuro osservasse come non vi era più nessuno dietro lo stesso.

"Kolito!", sentenziò impassibile la voce del cavaliere d’oro, anticipando l’apparizione di diversi anelli di ghiaccio che cingevano d’assedio tutte e quattro le figure nemiche.

"Sei abile negli attacchi, straniero!", ammise il santo di Atene, "Ma non pensare di essere l’unico a saper generare illusioni per confondere l’avversario.", ammonì, mentre gli anelli di fredde energie si stringevano sempre di più sui quattro bersagli.

"Illusioni? Cavaliere, mi sottovaluti se pensi che sia solo questo il mio potere!", ribatté pacatamente Haoma, scomparendo da ognuno dei quattro gruppi di anelli di ghiaccio, per poi riapparire poco più lontano, stavolta sulla sinistra del santo d’oro, in tre diverse posizioni.

"Davvero credi che ti stia sottovalutando, o è forse il contrario?", domandò beffardo Vladmir, mentre sollevava il dito su una delle figure e, con stupore comune, ognuna di loro notò uno strato di ghiaccio sulla propria armatura.

"Puoi incrementare, o ridurre, la temperatura dei tuoi attacchi a piacimento! Sono stato uno sciocco a non comprenderlo subito: la mia sicurezza ha annebbiato la percezione degli eventi che mi circondavano.", si lamentò con se stesso Haoma, "Ma più di questo, mi devo complimentare per la velocità con cui hai saputo manipolare il tuo stesso cosmo, non tutti avrebbero potuto infierire così su di me.", ammise ancora.

Haoma picchiettò, o più correttamente tutti gli Haoma picchiettarono, all’unisono sulle nere vestigia, osservandole andare in pezzi lì dove il ghiaccio era più spesso, "Armature di scarse virtù queste dell’Isola della Regina Nera, ben presto me ne priverò, per ascendere al mio ruolo di Homo Novo! Ma fino ad allora porterò i segni del gelo che hai saputo infliggergli come vanto per la mia battaglia vinta!", esordì.

"Battaglia vinta? Nuove vestigia? Homo Novo? Di cosa vai cianciando, Ombra?", domandò sorpreso e leggermente confuso Vladmir, "Sono in preparazione nuove armature per noi Homines, così ci facciamo chiamare: il frutto di un lavoro lungo anni; un lavoro costituito dalla scomparsa di molte divinità, i cui cosmi hanno reso le leghe di armature, appartenenti ad eserciti ormai distrutti, molto più resistenti, capaci di rivaleggiare con le vostre dorate protezioni.

Il tutto perfezionato grazie alla polvere di stelle che il vostro Sommo Sacerdote teneva nascosta nel lontano oriente, lì dove Capricorno ed Acquario Nero, assieme ad un’altra consorella, sono andate a conquistarle, uccidendo chi la proteggeva.", affermò sereno Haoma, sorridendo sornione all’altro.

"Avete attacco il Jamir ed ucciso Ilio, il giovane discepolo del Sommo Oracolo?", domandò sgomento il cavaliere, "Sì, se tale era il ruolo del ragazzino che, mi è stato raccontato, è caduto nel difendere quel palazzo, allora sì, lo abbiamo fatto.", rispose secco l’avversario, espandendo il proprio cosmo ed allargando ancora le braccia di tutte le sue copie.

Stavolta, però, il cavaliere d’oro si fece trovare pronto, congiungendo le braccia sopra il capo: entrambi portando il proprio cosmo al parossismo.

"Osmé Anatolikou!", urlò Virgo Oscuro, "Aurora Execution!", rispose l’Acquario, liberando l’energia del Loto Sorgente contro la scorrere delle Divine Acque, in un confronto di luce, profumi pungenti e gelide correnti.

***

"L’ultimo dei guardiani dell’Isola della Regina Nera e l’attuale patetica fanciulla che indossa le vestigia della Fenice! Finalmente potrò vendicare la mia gente per secoli di prigionia!", esultò Sinai, evocando i neri tentacoli d’energia del Kibisis, volgendo la propria attenzione verso Kal e Diana di Phoenix, i due guerrieri provenienti dall’Isola Prigione.

"Perseo Oscuro!", lamentò la sacerdotessa di bronzo, "Un’altra del Sestetto e per di più discendente dei primi Alchimisti rinnegati di Muu, che ai tempi del Mito tradirono Atena!", ricordò Diana.

"Esatto! Gli alchimisti, come li chiamate voi, servi di Atena! Gli stessi che presero a modello l’armatura che oggi tu indossi, sacerdotessa, quelle stesse vestigia che dai tempi del Mito nessun cavaliere più indossò!", confermò l’altra, "Fino alla mia ascesa alla loro custodia.", la corresse subito la guerriera di Atene, "Errato! Tu non sei un cavaliere, tu sei solo una sacerdotessa guerriero, una devota di Atena, sì, ma una ragazza, non del medesimo titolo di quel musico più fregiarti, quindi, mia cara, da adesso alla fine di questo nuovo secolo, ancora si dirà che le vestigia della Fenice non hanno avuto un cavaliere ad indossarle per millenni, anzi, entro breve, forse nessuno più ricorderà nemmeno la divinità che servi!", esclamò decisa Sinai.

A quelle parole, le serpi d’ombra che circondavano l’oscura guerriera si affilarono, diventando lame taglienti, "Ma nessuno di voi vivrà abbastanza da vedere quel giorno, non crucciarti di ciò!", assicurò, lanciando all’assalto le tenebrose estensioni d’energia, contro cui il battito d’ali della Fenice e quello dell’Apus si alzarono assieme, cercando di contenerne il potere.

Fu allora che Kal si lanciò alla carica, veloce e silenzioso, ma non abbastanza perché l’oscura avversaria non lo notasse, muovendo uno dei tentacoli e lasciando che ostacolasse la strada dell’ultimo dei guardiani.

Fu però Diana a sfruttare quella minuscola apertura per incrementare la potenza del proprio attacco, travolgendo la nera nemica con il possente volatile di puro fuoco.

L’urlo dell’Oscuro Perseo arrivò alle orecchie di Duhkra, che, però, era circondato su due lati, anche se, agli occhi del Pavone Nero, i suoi due avversari erano piuttosto dei passatempi: un ragazzino senza armatura ed un musico dalle vestigia danneggiate. Fu proprio verso quest’ultimo che il nero invasore si voltò, sorridendo: "Mi rendo conto solo ora, musico, che anche tu, come me, possiedi una cicatrice che rovina il tuo bel faccino…", ridacchiò, notando subito la smorfia di sorpresa e vergogna dipingersi sul volto dell’altro.

Gustave della Lyra fu, in effetti, sorpreso: erano passati anni, la cicatrice era, ormai, ben poco visibile, per di più ogni giorno la copriva con del trucco, ma dopo la battaglia in Polinesia non ne aveva avuto modo ed ora quel mostro, quel invasore pieno di cicatrici, la notava? Il segno lasciatogli da Gwen anni prima? La vergogna e la rabbia si mischiarono nell’animo del francese, che subito iniziò a suonare il proprio strumento.

"Muori!", ruggì Gustave, "Reticulum Vif, travolgi!", urlò ancora, liberando il proprio attacco, senza rendersi conto di come il nero nemico sorridesse; "Canto della Sofferenza!", invocò allora Duhkra, bloccando l’assalto avverso con il proprio e respingendolo.

Avrebbe anche potuto avere ragione del suo nemico, il Pavone Nero, se una seconda voce non si fosse introdotta nel loro scontro: "Diamond Dust!", urlò infatti il ragazzino privo d’armatura, riuscendo a colpire non il guerriero oscuro, ma il musico stesso, spostandolo e salvandolo dalla traiettoria del Dukka devastante.

Avrebbe quasi voluto fargli i complimenti, Duhkra, a quel moccioso privo d’armatura, ed, al qual tempo, avrebbe voluto ridere delle lamentele del musico francese, mentre si rialzava e riflettere sulla strategia migliore per sconfiggere ben cinque nemici, per quanto, al pari suo e di Sinai, fossero anche loro stanchi ed indeboliti, ma non poté fare niente di tutto ciò, che già una sagoma apparve alle spalle dei loro avversari ed urlò un’unica parola, tale da far sorridere lo sfregiato discepolo di Haoma. "Agriocsoiros!"

Il gigantesco Cinghiale di Erimanto, composto di fiamme color ruggine, compì una veloce e devastante corsa, travolgendo la ragazzina della Fenice, schiantandola a metri di distanza, stordita, non gravemente ferita, ma confusa, mentre già l’ultimo dei guardiani correva al suo fianco e gli altri servitori di Atena si volgevano ad osservare l’ultimo arrivato.

Stanco, privo quasi delle vestigia che gli erano proprie, segnato da delle punture sanguinanti, con in mano due asce d’oro oscuro, Cicno di Eracle Nero avanzava incerto sul campo di battaglia: "Siete sopravvissuti fin qui, non mi aspettavo di meno da voi due!", furono le prime parole che rivolse ai propri compagni del Sestetto, incurante dei nemici che adesso lo osservavano, prima di cadere su un ginocchio.

E fu verso di lui che corsero all’unisono Duhkra e Sinai, distogliendo l’attenzione dagli apprendisti, dal musico francese e dalle due sacerdotesse guerriero, aiutandolo a rialzarsi, prima che lo sfregiato guardasse il proprio volto deturpato sulla maschera della discendente degli Alchimisti.

"Megara…", bisbigliò soltanto Cicno, "Sì, dobbiamo raggiungerla, lei può curarlo.", convenne, dopo qualche istante, Perseo Oscuro, "Il luogo dove ci era stato detto di incontrarci alla fine delle invasioni.", suggerì allora Duhkra, ricevendo un cenno d’assenso dall’altra.

"Volete abbandonare la battaglia? Fuggite dunque?", li apostrofò Gustave, che li aveva nitidamente sentiti; "Non da te fuggiamo, cavaliere della Lyra, ma bensì corriamo ad onorare un giuramento che da sempre tiene noi sei uniti, forse i migliori nell’intero esercito delle Ombre!", affermò orgogliosa Sinai, "Il giorno della vendetta per la mia gente è solo rimandato, non preoccupatevi di ciò!", imperò ancora, prima di lasciar esplodere il cosmo stremato, assieme al Pavone Nero e lasciare Atene, portando con loro Cicno, ormai quasi privo di sensi.

***

La densa ondata di luce dell’Acquario e la vorticante energia di Virgo oscuro iniziarono a diminuire d’intensità, dopo lunghi istanti, rendendo più facile osservare i combattenti sui lati opposti del lungo corridoio di roccia.

Vladmir e Haoma erano in piedi, uno dinanzi all’altro, "Ho perso troppo tempo… il Rituale in Italia è concluso. Eolo è stato catturato, Atena, no… dannazione…", bisbigliò l’Indiano, mentre le vestigia oscure s’incrinavano fino a frantumarsi in più punti, dove il bianco colore del ghiaccio si sovrapponeva al nero dell’armatura.

Fu solo allora che il cavaliere dell’Undicesima Casa cadde in ginocchio, scuotendosi la testa, "Che succede?", balbettò fra se il maestro di Leif, "Il gelido potere che ti appartiene è stata il mio nemico più insidioso!", fu la prima risposta di Haoma, avanzando verso il nemico, "Ho dovuto attendere perché il potere del Profumo d’Oriente facesse effetto su di te.", ammise, rialzandosi in piedi.

"Che cosa?", domandò confuso e stordito il custode d’oro, "L’attacco che per due volte hai creduto d’aver evitato, Osmé Anatolikou, non è un’arma che uccide i nemici, ma solo che li fa assopire, sprofondandoli nel sonno ristoratore che i fumi del Loto trasportano.

Haoma è il dio del Sonno indiano ed io non sono qui per uccidere i cavalieri d’oro, ma per distruggere il vostro patetico culto!", esclamò deciso il guerriero invasore, prima di lasciare esplodere il proprio cosmo, sollevandosi a pochi centimetri dal suolo e riprendendo la posizione meditativa che aveva mantenuto dall’inizio di quella giornata di battaglie.

Il cosmo di Virgo Oscuro s’espanse per tutto il Santuario; suo obbiettivo, catturare l’essenza della dea che in quei luoghi dimorava dall’era del Mito, lasciare che essa venisse catturata dai confratelli che attendevano sull’Isola Prigione.

Grande fu la soddisfazione di Haoma quando sentì quella stessa essenza prossima ad essere intrappolata, grande tanto quanto i due cosmi che d’improvviso avvertì circondarlo: uno era vicino, si trovava presso l’ultima delle sale del Santuario, lì dove da quasi due secoli aveva visto diversi cavalieri susseguirsi nella loro devozione alla dea della Giustizia, l’altro era molto più lontano, dall’altra parte del mondo, dove dal medesimo lasso di tempo compiva il proprio dovere di guardiano ai più antichi nemici di Atena.

Quei due cosmi, simili ad un maestro Ariete dorato ed una possente Tigre dagli affilati artigli, impedirono che il Loto sbocciasse in tutto il proprio splendore, spezzando il rituale che, la breve battaglia con Vladmir aveva ridotto d’intensità ed evitandone così il compimento.

Cadde al suolo Virgo Oscuro, la rabbia che brillava negli occhi: "Maledetti vegliardi! Avete sfruttato l’unica occasione concessavi da questo insulso cavaliere d’oro per farmi fallire!", lamentò fra se, rialzandosi e portando la propria attenzione verso il santo dell’Undicesima casa, stordito dagli effetti dell’attacco subito.

Stava per muoversi verso il nemico al suolo, l’Indiano, quando un varco d’energia, nero ed oscuro come un abisso, si palesò dinanzi a lui, piegando la realtà che lo circondava.

In silenzio, Haoma osservò quel evento inatteso, poi chinò il capo, una smorfia di rabbia gli si dipinse in volto, mentre si volgeva verso il cavaliere dell’Acquario: "Concluderemo un’altra volta, se sarò vivo…", bisbigliò, scomparendo ed abbandonando Atene.

Vladmir di Acquarius non ebbe modo di impedire quella fuga, poiché, una volta scomparso il nemico, cadde al suolo, prigioniero di un sonno incontrollabile, mentre altre battaglie, dopo quelle appena conclusesi, andavano verso il loro naturale esito al Grande Tempio.

Homines 19: L’Italico

Non riusciva ancora a muoversi al meglio mentre, in quel globo di luce che rendeva impossibile osservarli, Favonio si allontanava dal Tempio di Eolo, osservando con disinteresse i restanti scontri che lì si combattevano ancora, più interessato ai ricordi che quel luogo, ormai distrutto, stavano risvegliando in lui.

Trent’anni prima, era solo un ragazzo pieno di sogni, desideroso di libertà, che inseguiva quelli stessi ideali di cui il padre gli parlava spesso, ideali che condivideva con il cugino Austro che, come lui, si addestrava nel risvegliare il proprio cosmo, in attesa del giorno in cui i venti lo avrebbero chiamato.

Era invidioso di Austro, lo era stato per un certo periodo, nel vederlo diventare Dominatore dell’Ostro, ma poi si era detto che anche lui avrebbe avuto il suo momento, anche lui sarebbe diventato uno dei sacri guardiani dei Venti ed accadde, in effetti, ma nel modo meno atteso: suo padre, Raul del Levante, morì, una malattia che non si sapeva come curare, una malattia che aveva spezzato il suo corpo dall’interno, una malattia che lasciò la sala Orientale priva di custode.

Fu suo cugino ad accoglierlo fra i Dominatori, a dirgli che il Vento di Levante lo aveva scelto e quel giorno, Favonio scoprì come il desiderio di rendere orgoglioso il proprio genitore avesse l’amaro sapore di doverne prendere il posto.

Forse era stato quello il momento, forse era avvenuto dopo, quando Austro era stato scelto come Comandante dei Dominatori, per quanto fosse più giovane, più debole: in fondo suo cugino sapeva rendere calda l’aria, sapeva scatenare tempeste ed intensificare l’umidità nell’ambiente, ma cosa ciò in confronto al potere di piegare le menti altrui? Un potere di cui forse Favonio non faceva vanto, ma che, di certo, era innegabile.

In tutta onestà, comunque, il Dominatore di Levante non avrebbe saputo dire quando la sua insofferenza iniziò, non sapeva dire quando iniziò a desiderare tutto ciò che era degli altri: voleva il comando del Tempio, voleva il rispetto e l’obbedienza di tutti loro, voleva persino la piccola ed affascinante Oritia, a cui s’era una volta presentato sotto le spoglie di Luis per cercare d’istigarla, trovandosi, però, ostacolato dalla presenza di Austro.

Voleva tutto e proprio suo cugino gli tolse anche l’ultima speranza di ottenerlo, quando gli annunciò che ben presto si sarebbe ritirato, per vivere gli ultimi anni con la moglie ed avrebbe dato il comando alla più forte dei nuovi Dominatori, Okypede.

Non aveva potuto accettare oltre, s’era mosso, usufruendo della fedeltà di Luis e Gairan, ma quel piano non era andato come sperato.

Ora, però, grazie alla sua alleanza con gli Homines avrebbe avuto tutto ciò che voleva e sarebbe stato lui a comandare sui Venti!

Lui, Favonio di Levante, anzi, era più giusto che d’ora in poi si facesse chiamare l’Italico, Eolo.