Capitolo 7: Ostro

Quando le quattro figure arrivarono sul versante meridionale del tempio di Eolo, la prima cosa che le investì fu l’umidità: un caldo tale che, persino per loro, sfuggiti dall’Isola della Regina Nera, sembrò insopportabile.

"Non si respira qui dentro…", lamentò una delle quattro figure, i capelli sudaticci ed appiccicosi contro il viso, "Problemi? Voi della Sorellanza Oscura non sopportate il caldo?", rise divertito un secondo individuo, asciugandosi il sudore che gli imperlava la fronte.

"Fate silenzio, tutti e due.", ordinò d’improvviso una figura alle loro spalle: c’era una sottile nebbia, che occultava leggermente la loro vista, ma ambedue intravedevano le vestigia d’oro nero e, più di questo, ambedue sapevano perfettamente chi era l’uomo che li aveva guidati verso l’ingresso sud su quella piccola isola eolica.

"Sì, maestro, faremo silenzio.", disse l’uomo che poco prima aveva deriso la donna dai capelli sudaticci, che, a sua volta, fece silenzio, dato l’ordine ricevuto dal guerriero d’oro nero.

"Questa nebbia è un ostacolo da poco, non è difficile individuare il corridoio che dobbiamo intraprendere.", continuò chi comandava su quel gruppo, "Ora, muoviamoci!", ordinò ancora.

"No, non muovetevi.", suggerì pacata una voce dinanzi ai quattro guerrieri oscuri, "La nebbia è per voi un ostacolo: la nebbia è l’umidità condensata attraverso il mio cosmo, perché, invasori, spero voi non abbiate pensato, anche solo per un istante, che la Sala dell’Ostro non avesse un custode a proteggerla.", esordì la voce, mentre una sagoma si delineava in mezzo alla nebbia, fra le quattro Ombre ed il corridoio.

Si sentì, poco dopo, un rombo nell’intera sala, il rumore di un temporale, quasi sembrava, seppur non proveniva dall’esterno del tempio, bensì dalla stessa stanza in cui le Ombre si trovavano.

"Permettetemi di presentarmi, dunque, invasori, sono Ekman dell’Ostro. E questa, miei nemici, è la forza che vi abbatterà, la forza che domino.", si presentò l’uomo in mezzo alla nebbia, mentre le correnti s’agitavano sempre di più, "Furia Anticiclonica!", invocò poco dopo, scatenando una portentosa corrente d’aria, che iniziò a spazzare in mezzo alle quattro Ombre.

Un lamento di dolore proruppe da quello che era il discepolo del cavaliere d’oro nero, mentre una densa struttura d’energia sembrava circondare un’altra delle figure ed un ruggito preannunciò un cosmo che disfaceva il vento attorno a se.

"Devi fare di più, seguace di Eolo, per avere ragione di me e di chi mi segue!", esclamò la voce che poco prima aveva ruggito, quella del guerriero d’oro sporco, "Non è vero, Kurnak?", domandò pochi istanti dopo.

Fu allora, a quella semplice domanda, che l’ultimo dei quattro invasori, quello che fino ad allora era rimasto in silenzio, a chiudere la fila, si mosse, o, più correttamente, alzò leggermente il capo e lasciò che il suo cosmo esplodesse.

L’intera sala tremò, una violenza prodotta da un’energia a malapena controllata e furiosa, una potenza tale da disperdere il vento e la nebbia e, allo stesso tempo, far crollare il tetto della stanza stessa.

Quando la distruzione fu sopita, quando la polvere ricadde al suolo, assieme alle macerie, tutti e quattro i guerrieri neri ebbero modo di vedere chi li ostacolava, così come il Dominatore dell’Ostro poté osservare le figure che aveva deciso di affrontare.

Vi era una ragazza, anche piuttosto affascinante, con dei sudaticci capelli ambrati sulla fronte, un’energia cosmica brillante l’aveva coperta per alcuni secondi, evitando che il crollo la sfiorasse; c’era poi un ragazzo con spettinati capelli chino di fianco ad un massiccio uomo dalla pelle scura e gli occhi marroni, un uomo dall’armatura d’oro nero. E, dietro i tre, c’era un giovane e muscoloso guerriero dai capelli color cenere che gli scivolavano a nascondere parte del viso, un giovane il cui cosmo, per quanto ora sopito, era spaventosamente impetuoso attorno a lui.

"Ottimo lavoro, Corvo Nero, ti dimostri degno della tua fama.", esordì allora l’uomo dalla pelle d’ebano, le cui vestigia erano vagamente dorate, "Sei un elemento più che adatto a seguire il Leone d’Oro Oscuro.", rise ancora, prima di voltarsi ad osservare il loro ostacolo.

Il Dominatore dell’Ostro indossava vestigia simili, per fattura, a quelle di Oritia ed Aliseo, un misto di arancione e verde erano i riflessi sulle stesse, mentre sagome di vortici e nubi erano incise sulle stesse; un mantello bianco s’agitava, ormai sporco per i detriti, sulla sua schiena, mentre la maschera che ne celava la bocca ed il naso era simile a quello dei compagni, con incise le forme di una bocca intenta a soffiare.

Da sotto il mantello si potevano intravedere le protezioni metalliche sulle spalle, sottili, simili quasi a bretelle che si congiungevano al pettorale, ricco di quelle particolari decorazioni, che, a sua volta, andava a congiungersi con il cinturino a gonnella.

Braccia e gambe erano appena coperti, dalle mani ai gomiti le prime, dai piedi alle ginocchia le seconde, per il resto, l’armatura lasciava il fisico scolpito dell’uomo scoperto, come se fosse stata pensata per ambienti caldi ed estivi.

I capelli di Ekman erano corti e castani, la pelle leggermente abbronzata e dai lineamenti visibilmente esotici, gli occhi sottili e del colore della sabbia, mentre scrutava con disappunto i quattro nemici dinanzi a lui, tutti ancora in piedi, tutti ancora pronti a dargli battaglia, un disappunto, che, però, dopo aver studiato la distruzione della sala, mutò verso la calma.

"Mi avete dato un vantaggio non da poco, involontariamente, permettendomi di sfruttare l’ambiente tutto per questa nostra battaglia, invasori, ora, avrete di che pentirvene.", li avvisò prontamente il Dominatore, agitando il vento attraverso il proprio cosmo.

Una potente corrente d’aria iniziò ad agitarsi all’esterno del tempio dal tetto divelto, le nubi andarono ammassandosi, vorticando, mentre la nebbia si generava, "Preparatevi, invasori oscuri!", iniziò a dire il guerriero consacrato ad Eolo, prima che un’ondata d’energia lo travolse in pieno, schiantandolo al suolo.

Ci furono alcuni istanti di silenzio, mentre il Leone d’oro nero si voltava a vedere l’autore di quel particolare attacco andato a segno: Kurnak del Corvo Oscuro.

"Vuoi questa preda?", chiese l’uomo dalla pelle d’ebano al gigante dai capelli color cenere, che non rispose alcunché, se non sollevando leggermente il capo, rivelando due occhi tetri come la pece, ricolmi d’energia cosmica.

"Va bene, non ho alcun interesse su costui. Amaltea, Iginio, andiamo!", ordinò allora colui che comandava su quel quartetto, iniziando ad oltrepassare il Dominatore dell’Ostro al suolo.

"Dove credete di andare?", domandò appena quello, iniziando a rialzarsi, ma non ebbe il tempo di parlare che subito Kurnak gli fu addosso: un violento pugno allo stomaco, seguito da una spallata, che spinsero indietro, barcollante, il guerriero di Eolo, prima che di nuovo l’altro gli fosse addosso, con un colpo, dato con i pugni congiunti, sulla fronte.

Ekman parve confuso, gli occhi s’agitarono su e giù, incapaci di mettere a fuoco il mastodontico nemico che gli sferrava un violento gancio sulla maschera che ne celava le labbra, spaccandola.

Il sordo rumore del metallo, e dei denti, che si rompevano fu l’ultima cosa che il trio di guerrieri neri udì, mentre si allontanavano.

"Quasi mi dispiace per quel nemico, affrontare da solo una bestia come Kurnak non è un destino piacevole.", ridacchiò la figura femminile fra le tre che si allontanavano, "Poco importa, in fondo ad avere fra noi il più bestiale del Sestetto nero ci perdevamo soltanto.", commentò l’altro che correva dietro all’uomo dalle vestigia d’oro sporco.

"Non sono d’accordo, Iginio: forse il Corvo Oscuro è un individuo privo d’intelletto, o pietà, una bestia che, quando scatenata, difficilmente viene domata, ma proprio per quello sarebbe stata un’ottima arma da sfruttare più in là, all’interno di questo tempio…", analizzò colui che li comandava, "Peccato che sia impossibile ragionare con Kurnak, maestro.", obbiettò l’uomo di nome Iginio, "Un vero peccato.", confermò l’altro.

Un nuovo gancio allo stomaco, piegò a metà il Dominatore dell’Ostro, che sputò al suolo sangue, misto a denti, prima che una ginocchiata sul naso lo sballottasse indietro, lasciandolo malamente al suolo.

Per qualche istante, con gli occhi offuscati dal suo stesso sangue, Ekman osservò la mastodontica figura che lo surclassava, le nere vestigia, piuttosto semplici in vero, sporche, ora, del rosso della linfa vitale che tutti quei pugni avevano strappato da lui, il cosmo, vasto ed indistinguibile per forme, che circondava quel nemico come un paio di tetre ali di morte, ma, più di tutto ciò, la furia, la folle furia omicida che si leggeva in quelle orbite scure come una notte senza stelle, una furia che sembrava, irrazionalmente, pronta a scatenarsi fino alla fine contro di lui.

"Non sei l’unico a possedere una simile furia, invasore…", balbettò appena il Dominatore, aprendo le mani dinanzi a se e scatenando la Furia Anticiclonica che prese leggermente alla sprovvista il nero guerriero, abbastanza perché Ekman riuscisse ad allontanarlo da se stesso così da alzarsi di nuovo in piedi e riprendere il controllo delle correnti.

Quando la potenza del suo attacco fu dispersa, il guerriero di Eolo vide il proprio nemico ancora in piedi, pressoché illeso, così come quasi del tutto integre erano le sue vestigia, ma ciò non importava, poiché già il vento dell’Ostro stava circondando la sala, riempiendo l’aria, agitandola, condensando le nubi attorno a loro.

"Ora, assaggia a pieno la Furia Anticiclonica!", ruggì il Dominatore dei Venti, condensando tutta la potenza di quelle vaste nubi in una corrente antioraria che si scagliò dall’alto del cielo contro il guerriero nero, schiantandolo al suolo, sotto il peso di una potenza che sembrava quasi la mano di un titano.

Non da un titano, però, aveva intenzione d’essere schiacciato Kurnak, poiché già nella sua mente ritornavano le parole che aveva sentito solo qualche ora prima: "Ho una missione per voi.", così aveva esordito Cicno, quando si erano divisi.

Dei membri del Sestetto Nero, la metà erano andati ad Atene, uno aveva seguito il proprio insegnante nelle sparute missioni per colpire i cavalieri di Atena, mentre due erano diretti lì, al tempio di Eolo, e proprio con quei due Eracle Oscuro aveva parlato prima di dividersi.

"Da anni ormai questo posto non è più lo stesso: i cavalieri d’oro nero sono stati per la maggior parte rimpiazzati, solo Luis ed altri quattro sono ancora al comando della vecchia guardia, ma anche così, il fatto che molti dei nuovi comandanti, o presunti tali, possano uscire e tornare su questa prigione così facilmente mi ha sempre incuriosito ed ora permettono a tutti noi di uscire.", così aveva iniziato Cicno, prendendoli in disparte.

"Io andrò con il gruppo di Atene, degli altri, solo voi siete gli unici, oltre me, che non sono allievi di nessuno di questi nuovi guerrieri d’oro nero, quindi ve lo chiedo apertamente: cercate qualsiasi informazione… voglio capire quale è il loro vero obbiettivo. Non m’interessa di questo tempio siciliano, per me può andare in frantumi, con i suoi custodi ed i cavalieri neri all'interno, ma voglio scoprire il più possibile!", aveva ordinato.

Poi, quando era rimasto da solo con Kurnak, aveva aggiunto altre indicazioni per quello che da sempre era il suo più fidato braccio destro, poiché tale il Corvo Nero si considerava.

E fu proprio quella considerazione che lo portò a ruggire ancora più forte contro quel vento così avverso, espandendo il proprio cosmo e dandogli una forma a lui ben nota, "Kraz!!!", urlò e le vaste ali di nere piume energetiche si generarono tutte attorno a lui, espandendosi e liberando un’ondata di puro cosmo che disperse quel vento.

"Kraz" come il nome di una delle stelle del Corvo, da ciò che gli aveva spiegato proprio Cicno, addestrandolo.

Perché era stato il guerriero di Eracle Nero l’unico ad accettarlo realmente, fin dal suo arrivo sull’isola prigione.

Kurnak era nato in un piccolo villaggio nei Balcani; non aveva mai conosciuto la madre, morta nel darlo alla luce ed il resto di quella che sarebbe dovuta essere la sua famiglia, il padre e tre fra fratelli e sorelle, non lo aveva mai realmente accettato.

Il giovane, infatti, era nato con un particolarmente sviluppato microcosmo, tanto da, nel momento stesso in cui era nato, dilaniare il corpo della madre per l’energia scaturita nell’azione stessa di venire al mondo.

Il concetto stesso di microcosmo, però, era del tutto ignoto al piccolo villaggio di pastori in cui aveva avuto i suoi natali, era stato etichettato come un demonio, un essere maligno ed era stato scacciato, a vivere nei boschi, a crescere nei boschi. Non aveva mai saputo il vero nome che gli avrebbe voluto dare la madre, non aveva mai realmente visto il padre, o i fratelli, per un certo periodo gli orsi, o i lupi, gli erano stati vicini, ma anche le bestie, intimorite da un così vasto ed incontrollato potere, lo scacciavano.

E lo stesso accadeva con gli uomini: diverse famiglie, trovandosi un piccolo vagabondo mal ridotto, per un breve periodo lo tenevano con se, però, al primo scatto d’ira, al primo momento d’incontrollabile rabbia, il vasto microcosmo di Kurnak esplodeva, distruggendo tutto.

Arrivato all’età di dieci anni, risalendo, in parte viaggiando con delle carovane, in parte da solo lungo i boschi, l’Europa fino a raggiungere il mar Baltico, il giovane e solitario ragazzo aveva già ucciso diverse decine di persone, anche per quello, quando fu trovato da un uomo del Nord, Kurnak non fu adottato ed addestrato, ma scacciato ed inviato sull’Isola della Regina Nera. La sua unica colpa: un potere che nessuno gli aveva mai spiegato come controllare.

Per altri cinque anni rimase da solo sull’isola prigione: nessuno lo avvicinava fra gli altri abitanti, i pochi che cercavano di approfittarsi di lui ne subivano le ire, così Kurnak era diventato il mostro silenzioso della Regina Nera. Questo finché non arrivò Cicno.

Non sapeva da dove arrivasse, quando si presentò dinanzi a lui, rivolgendogli pochi semplici parole, piene di superba baldanza: "Sei chiamato il Mostro Silenzioso di questa prigione! Occuparmi di te sarà il primo passo per dimostrare a tutti che non si scherza con Cicno, l’allievo ripudiato di un cavaliere d’oro di Atena!", si era presentato e solo quello era bastato perché Kurnak lo etichettasse come un’altra delle sue vittime.

Ciò che, forse, nessuno dei due aveva previsto erano le qualità dell’altro: dove il Mostro Silenzioso vinceva in bruta potenza, il nuovo abitante dell’Isola lo sorpassava in esperienza e tecnica; dove il primo attaccava alla cieca, sfoderando pura ed incontrollata energia, l’altro rispondeva con precisione e furbizia nell’uso del cosmo.

Alla fine, dopo uno scontro durato ore, entrambi erano finiti in ginocchio, nel terreno, sanguinanti, esanimi, mentre decine di altri prigionieri li osservavano, pronti ad avventarsi su entrambi, probabilmente.

Solo l’intervento di Megara, la compagna per la vita di Cicno, come lui stesso l’avrebbe poco dopo presentata, e di pochi altri, impedì ad entrambi di morire, poiché, inaspettatamente per Kurnak, il suo avversario di quel giorno chiese alla fanciulla di curare anche il Mostro Silenzioso.

Fu così che, per la prima volta, il disadattato e scacciato ragazzino che dai Balcani era arrivato, involontariamente, fino ad una piccola isola nell’Oceano, conobbe la gratitudine e, dopo poco, anche l’amicizia: Cicno, infatti, si offrì di addestrarlo ad apprendere come controllare il microcosmo e liberare in modo più controllato il vero potere di cui era padrone, in cambio, chiedeva soltanto di poter usufruire di quella inattesa opportunità per migliorarsi reciprocamente.

Per anni si addestrarono tutti e tre assieme, loro due e Megara, prima che anche Dukhra, Sinai e Yan Luo si unissero a loro, solo quando avevano tutti quanti ottenuto un’armatura nera ed erano ormai diventati guerrieri temuti e rispettati su quella piccola isola prigione.

Proprio durante gli addestramenti, Cicno notò una cicatrice sulla spalla di Kurnak, che ricordava vagamente la forma di una piuma: forse per scherzo, forse per qualche strano collegamento di idee, colui che sarebbe diventato Eracle Nero, propose all’altro di puntare alle vestigia del Corvo Oscuro e, così, gli parlò delle stelle della costellazione di cui quella stessa armatura era la tetra controparte e da lì, quello che era stato il Mostro Silenzioso, scelse i nomi per i propri attacchi.

"Kraz!", ruggì ancora una volta Kurnak, scatenando la furiosa potenza delle ali di piume energetiche contro il Dominatore dell’Ostro, schiantandolo nuovamente contro le macerie che ormai ben caratterizzavano quello che era stato l’ingresso meridionale del Tempio di Eolo.

Non aveva alcun particolare risentimento contro quel servitore del Dio dei Venti, ma, d’altronde, per la maggioranza delle sue vittime, nemmeno aveva mai provato vero odio, il Corvo Nero, però, al contrario di molti di quelli, questo particolare nemico doveva morire perché lui potesse proseguire con quanto richiestogli da Cicno.

Doveva indagare su quali fossero i veri interessi di quei nuovi guerrieri d’oro oscuro, senza trovarsi in mezzo negli scontri che li avrebbero avvantaggiati; doveva compiere la sua parte, per poi studiare dall’esterno l’obbiettivo dell’Ariete e dei Pesci Neri. Per quella semplice richiesta avrebbe ucciso ed abbandonato tutti coloro che non facevano parte del Sestetto Nero.

Una nuova ondata d’energia, intanto spingeva ancora di più nel terreno il dolorante Ekman, schiacciato dalla pressione del potere nemico, ma non ancora spezzato: "Attacca quanto vuoi, gigante…", balbettò infatti il Dominatore dei Venti, alzando lo sguardo, ma non verso il nemico che infieriva su di lui, bensì sul cielo di là dello stesso, un cielo, nuovamente, denso di nubi, un cielo verso cui il guerriero alzò la mano destra, chiudendo poi il pugno, prima che il rombo di un tuono echeggiasse sopra di loro, tanto da far voltare persino Kurnak.

"Mai sentito parlare dei temporali estivi di queste parti?", chiese con un ghigno divertito il Dominatore dell’Ostro, prima che una violenta serie di fulmini si scatenasse al suolo, investendo non una, ma più e più volte la nera Ombra del Corvo, lasciandolo immobile, fumante dalle pelle ora ustionata, mentre il guerriero di Eolo si rialzava in piedi.

Le vestigia erano in pezzi, il volto era ridotto ad una maschera di sangue, ma aveva avuto la dovuta concentrazione, Ekman dell’Ostro, sufficiente a guidare le correnti di vento perché si combinassero in quella densa serie di nubi, permettendogli di sferrare il proprio attacco, un attacco non particolarmente potente, ma sufficiente per dargli il tempo di rialzarsi e prepararsi ad attaccare con maggiore determinazione.

"Sei ben più potente di me, guerriero nero, lo ammetto.", esordì il Dominatore dei Venti, "Ma manchi delle capacità di concentrazione che io ho appreso in anni di addestramenti, anni utilizzati per capire come controllare al meglio il vento del Sud, anni sotto la supervisione e la guida di uno degli ultimi Guardiani dell’Isola, un discendente dei primi consacrati di Eolo in persona.", spiegò, mentre le correnti d’aria iniziavano a ruotare sopra le loro teste.

"Ora, addio, guerriero nero, i tuoi compagni ben presto ti raggiungeranno, ma intanto, per te, ecco di nuovo la mia Furia Anticiclonica!", invocò deciso Ekman, scatenando ancora una volta la pressione del proprio colpo.

Ed ancora una volta Kurnak si oppose, sollevando le braccia e pilotando attraverso le stesse l’immane energia che gli era propria; forse più lento, di certo più stanco e ferito, ma il Corvo Nero contrastò con quanta più potenza avesse in corpo la Furia Anticiclonica, prima di rispondere a quel medesimo attacco con il Kraz.

Il contrasto delle due energie schiacciò entrambi i combattenti al suolo, in ginocchio, mentre le nubi andavano di nuovo addensandosi, segno delle correnti fredde generate dal contrasto di tanto calore e vento al livello del mare, in parte, ma soprattutto del modo in cui il consacrato di Eolo dominava i venti.

Aveva, infatti, previsto quella semplice eventualità, Ekman dell’Ostro, e si era preparato di conseguenza, pronto a tentare la sorte con la migliore delle sue armi, la stessa che aveva appreso dopo gli anni d’addestramento, dopo i viaggi e lo studio delle correnti e delle maree.

Era di origini egizie, il dominatore del Vento del Sud, figlio di pescatori, e, quando ancora era un adolescente, aveva abbandonato il proprio piccolo villaggio sulla costa, imbarcandosi su una nave mercantile, sognando di vedere il mondo, di gustare di quella libertà, della vista di tutti quei luoghi oltre l’orizzonte che la sua piccola baia gli offriva. E per molti anni ci era riuscito: aveva solcato tutti gli oceani, viaggiato per i mari del Nord e del Sud del Mondo, visitato l’Asia e l’America, oltre, ovviamente, all’Europa.

Una sera, la prima volta che tornava nel Mediterraneo dopo quasi un decennio, Ekman era di vedetta sull’albero maestro della nave, gustava l’orizzonte che si apriva dinanzi a lui, in un misto di ricordi dell’infanzia passata sognando cosa vi fosse oltre quel piccolo mare, che allora gli sembrava così vasto, e di ciò che in effetti aveva visto ed appreso; mentre era perso in quei pensieri, una voce gli giunse all’orecchio: "Davvero una bella vista, non c’è che dire."

Il ragazzo si guardò attorno e fu a dir poco sconvolto nello scoprire un uomo che galleggiava a mezz’aria, sorretto da calde correnti d’aria.

Aveva corti capelli castani, occhi color nocciola e dei lineamenti chiaramente grechi, per origine, seppur avevano qualcosa di vagamente più duro, forse di nordico; indossava una giacca senza maniche, fatta con la pelle di un qualche animale, e dei lunghi pantaloni scuri ed osservava con tranquillità lo stupito marinaio che lo studiava pietrificato.

"Non fare quella faccia, amico, che vuoi che sia chiedere così poco al vento? Poi, oggi, soffia proprio la corrente che io domino, non è difficile per me farne buon uso.", scherzò l’altro, mentre Ekman si voltava ad osservare la bandiera della nave, intuendo che il vento era un vento meridionale, ma non riuscendo a capire immediatamente di quale si trattasse.

"Sei forse uno dei Jinn del mito arabo?", chiese sbalordito il marinaio, "Non so di cosa tu stia parlando…", esordì quello, indicandolo poi con la mano aperta, "Ti avviso, però, se mi dai della sirena, ti lancio sul ponte della nave e ti guardo spalmarti sulla stessa.", lo ammonì con un sorriso bonario.

"Mi chiamo Noto e sono uno dei servitori del dio Eolo, uno dei Dominatori dei Venti.", si presentò poco dopo, scivolando anch’egli all’interno del piccolo spazio in cui Ekman era seduto di vedetta.

"Un servitore di Eolo?", domandò il marinaio, "Sì, il signore dei Venti presso il monte Olimpo, nel mito greco. Non hai mai sentito parlare di lui? Eppure, credo che tu sia stato a lungo sulle navi, abbastanza da conoscere tutte le storie e le superstizioni degli uomini di mare… non posso credere che non ve ne sia nessuna sul Signore dei Venti, in fondo, Poseidone sarà colui di cui solcate le acque, ma le vele sono mosse grazie alla volontà di Eolo.", obbiettò l’uomo.

"Sì, so chi è, ma il Monte Olimpo, il signore dei Venti, Poseidone sovrano dei Mari, sono tutti miti, della Grecia e della Roma antiche, così come gli Jinn e molti altri che ho udito in tutti i miei viaggi.", ribatté Ekman stupito.

"Il mito è il modo in cui l’uomo razionalizza ciò che va oltre la sua comprensione, ma le divinità antiche esistono, molte non si curano degli uomini, alcune ne pretendono i servizi, poche fanno del bene alle umane genti.

Ti posso dire che ci sono interi eserciti sopiti, eserciti che combattono grandi guerre per il destino del mondo, mentre la gente comune nemmeno lo immagina.", raccontò Noto.

"Oltre i grandi eserciti, ci sono anche quelli più piccoli, il cui ruolo non è combattere, ma custodire le reliquie dei tempi passati, oggetti consacrati degli stessi dei. E fra loro, i Dominatori dei Venti, di cui anch’io faccio parte.", continuò, mentre il soffiare di una calda corrente agitava i capelli di entrambi, "Dominatori, cui ti propongo di unirti, poiché tale è la volontà della divinità che seguo.", concluse, ora più serio.

"Che cosa? Perché? Perché io?", domandò incerto Ekman, "Perché un traditore si è annidato fra noi, cercando di rubare la sacra reliquia che custodiamo, un traditore che ha ucciso la metà di noi e, fra gli altri, anche mio padre.", rispose con voce triste Noto.

"Ora sono qui perché il Vento stesso ti ha scelto, per il tuo desiderio di libertà, di vedere cosa c’è oltre il piccolo orizzonte che conosci, perché sa che tu sei degno di custodire e dominare uno degli otto Venti Cardinali, per questo sei stato scelto, per dominare l’Ostro, che fu di mio padre.", aggiunse poco dopo.

Non fu facile per Ekman accettare quella realtà, ma ciò che quello strano individuo gli proponeva era così incredibile, così straordinario che il giovane marinaio si disse che sarebbe stato stupido perdere tale occasione, così accettò e partì assieme al misterioso uomo che volava sospinto dalle calde correnti.

E per lungo tempo, dopo quel giorno, si allenò a dominare il vento del Sud, a scoprirne i segreti e le vie, finché, quando ottenne le vestigia dell’Ostro, Noto lo prese da parte, per concedergli una nozione che non gli era ancora propria.

"Come ben sai, Ekman, i nostri venti non sono poi così dissimili: correnti calde che provengono da meridione e, entrambi, sono soggetti ad un particolare effetto, entrambi si favonizzano.", esordì quel giorno l’altro.

"Favonizzarsi, cioè come il dominatore di Levante?", chiese ironico l’ex marinaio, "Non confondiamo le gemme con i sassi…", lo schernì l’amico, "Un vento che si favonizza è un vento che dopo essersi raffreddato subisce una corrente di caduta, normalmente dopo precipitazioni avvenute in montagna.", racconto ancora Noto, "Come ben sai, però, le nostre capacità ci permettono di manipolare le correnti e le nubi, di creare l’alta e la bassa pressione: di fatto, allenandoti, riuscirai a generare un vento caldo di caduta anche senza il bisogno di tutte le naturali condizioni climatiche ed ambientali.", gli spiegò l’altro dominatore.

Fu l’urlo di Kurnak a riportare il ferito Dominatore al presente: il suo avversario era di nuovo in piedi, pronto, il cosmo che brillava tetro ed immane dietro di lui, mentre un boato in cielo annunciava una piccola nuvola colma di pioggia, che iniziò a scatenarsi proprio sul campo di battaglia che un tempo era l’ingresso meridionale del Tempio.

"Sei potente, Ombra Nera, potente e determinato… una vera sfortuna, per me, che tu sia stato il mio primo avversario: forse, contro qualcuno di meno capace avrei avuto vittoria più facile, ma, non per questo mi arrenderò, o indietreggerò.", esordì dinanzi al massiccio avversario, il guerriero dell’Ostro, "Ho un amico cui consacrare i miei sforzi, per la memoria di suo padre, che prima di me ha dominato il Vento del Sud, non posso cedere il passo, finché un alito di vita ancora mi anima, quindi, fatti avanti, Ombra, così che possa disperderti!", lo sfidò deciso Ekman, prima che uno stormo di fulmini iniziassero a tempestare il terreno, producendo fori e bruciature fra le macerie, dirigendosi con determinazione nella loro ricerca del nero invasore, ma non trovandolo mai.

Kurnak, infatti, capito il particolare potere di quel suo avversario, non era più rimasto immobile, in attesa che la furia della tempesta lo investisse, bensì ora scattava, muovendosi veloce fra le saette che balzavano sul terreno, fino a raggiungere di nuovo il Dominatore dell’Ostro, colpendolo con un violento gancio sinistro allo stomaco.

Ekman, stavolta, fu però svelto nel bloccare con le proprie mani quella dell’avversario, "Non penserai di scappare, vero?", domandò ironico, prima che una serie di fulmini investisse ambedue i guerrieri, bruciando le loro carni e danneggiando ulteriormente le vestigia che indossavano, lasciandoli poi cadere in ginocchio, l’uno dinanzi all’altro.

Fu allora che il temporale s’interruppe e, velocemente, le nuvole iniziarono a diradarsi e quello era ciò che il Dominatore attendeva, l’opportunità di scatenare tutta la potenza del vento che in Italia veniva chiamato Favonio, ma, come Noto gli aveva spiegato, aveva anche altri nomi, fra cui uno proveniente proprio dalle sue terre.

"Ti chiamo a me, vento del Sud, cadi sul mio avversario, travolgilo con tutta la tua potenza!", invocò Ekman, "Colpisci, Hamsin!", concluse, mentre la furiosa corrente cadeva decisa verso i due combattenti ancora inginocchiati uno dinanzi all’altro.

La pressione di quell’ondata d’energia e vento incandescente schiacciò quasi al suolo il Corvo Nero, lasciando illeso il Dominatore dell’Ostro, poco lontano, che avvertì comunque il calore insopportabile, rimanendone stordito, tanto da quasi non accorgersi di come il suo nemico non si fosse piegato dinanzi a tanta potenza, bensì stesse cercando di rialzarsi, di deviarla, sollevando il braccio sinistro verso il cielo e caricando di immane energia il destro, che, poco dopo, proruppe in un montante.

"Gienah!!!", imperò Kurnak e quasi si poté vedere le forme del tetro becco disegnarsi dal braccio sollevato verso il cielo, mentre un gracchiare sembrava echeggiare nell’aria e mordere quella corrente discendente.

L’esplosione d’energia che ne seguì echeggiò nell’aere e fece tremare l’intero campo di battaglia, tanto da superare le urla dei due guerrieri che lì si affrontavano.

"Hamsin, scatenati! Per me, per Noto, per suo padre Austro e per il divino Eolo!", invocava ancora Ekman, mentre nella furia delle proprie grida, anche Kurnak concentrava con sempre maggior furia la potenza del becco nero che era Gienah, non solo per se stesso, ma per il debito che sentiva di avere verso Cicno, per la lealtà che lo legava all’altro membro del Sestetto Nero, per Megara, che si trovava in un altro dei corridoi di quel tempio, persino per Dukhra, con il suo strano senso dell’umorismo, per Yan Luo, che viveva quasi sempre nel silenzio, al pari suo, e per Sinai, altrettanto schiva, ma devota al loro comune comandante, Eracle Nero, tanto quanto lui.

Entrambi i combattenti stavano bruciando tutte le loro forze, portando i loro cosmi al parossismo, distruggendo quanto si trovava nella zona meridionale dell’isola eolica, e lo facevano per motivi incredibilmente simili, per quanto, il silenzio del nero guerriero e l’incapacità di comunicare fra i due non gli avesse permesso di capire questa triste, e macabramente ironica, verità.

Alla fine, un’ultima esplosione d’energia riportò il silenzio e la calma su quel campo di battaglia, lasciando macerie e polvere ad aleggiare sul caos più completo.

***

Nella sala centrale del tempio di Eolo, sembrò quasi che una leggera corrente riportasse frammenti delle mura esterne, o questo fu, almeno, ciò che parve a Noto, quando, aprendo la mano, vide dei piccoli sassolini scivolargli sulla stessa.

Richiuse il pugno, il Dominatore dei Venti, alzandosi in piedi di scatto, e volgendosi verso le quattro armature ancora riposte sull’altare votivo al divino Eolo; non ci volle molto perché una di quelle vestigia rispondesse al richiamo del cosmo dell’uomo, riconfigurandosi a protezione del suo corpo, lasciandolo quindi pronto a raggiungere il corridoio meridionale.

"Dove stai andando, Noto?", domandò d’un tratto una voce di donna, bloccandolo, "Dove sto andando mi chiedi, Okypede? Dove pensi che vada? Raggiungerò la mia anticamera e da lì poi continuerò verso sud, verso l’ingresso dell’Ostro, per vedere le condizioni di Ekman e per affrontare qualsiasi suo nemico abbia avuto la sfortunata, per lui, idea di percorrere la strada che porta alle correnti che mi competono!", sbottò l’altro, rivolgendo uno sguardo pieno di disappunto alla donna che li comandava.

"Fin troppo a lungo siamo rimasti qui, fermi, in attesa. Non dirmi che non lo senti anche tu! Oritia, Aliseo ed ora Ekman, il loro cosmo è fievole brezza, appena palpabile nelle ampie sale di questo tempio, mentre del prode Favonio non si hanno tracce e già una dozzina buona di cosmi avversi si stanno disseminando per gli otto corridoi! E non credo di essere l’unico a pensarla così.", aggiunse, voltandosi verso le altre due figure lì presenti.

Ci fu qualche attimo di silenzio, poi fu proprio Lothar a parlare: "Ha ragione, comandante, è tempo che anche noi si vada a combattere. Anch’io sono preoccupato per Favonio e per Aliseo, principalmente, vorrei poter correre in loro aiuto subito, ma non posso dividermi in due e, soprattutto, non posso muovermi da qui, senza avere prima il vostro ordine.", aggiunse con tono triste.

"Io sono stanco di attendere questo ordine, ormai. Il traditore è tornato, con un esercito al suo fianco, già tre, forse quattro di noi, sono caduti, e siamo ancora qui, in attesa di cosa? Di essere presi d’assedio su tutti e quattro i lati?", domandò, indispettito, Noto.

Okypede rimase in silenzio, volgendo lo sguardo verso l’ultimo dei presenti, che, a sua volta, s’alzò in piedi: "Comandante, so che sperate nell’aiuto dei cosmi che sono giunti nel nostro tempio, ma, allo stesso tempo, è nostro dovere di Dominatori dei Venti combattere per primi alla difesa di queste sale e questo è ciò che Oritia, Aliseo, Ekman e Favonio stanno già facendo… non abbiamo il diritto di restare oltre qui e, soprattutto, non sarebbe strategicamente corretto attendere che ci stringano da tutti e quattro i lati.", propose l’ultimo.

Un profondo sospiro preannunciò la replica di chi guidava i guerrieri dei Venti: "Avete ragione, sono stata una sciocca a sperare che non ci sarebbero state per noi guerre da combattere.", concordò, "Andremo nelle quattro anticamere, del Maestrale, del Grecale, dello Scirocco e del Libeccio, ma nessuno di noi si dovrà muovere dalla sala che gli spetta per raggiungere i quattro ingressi. Sono certa che chi, fra Oritia, Aliseo e gli altri sarà ancora vivo, ci raggiungerà ed altrettanto faranno i cavalieri di Atena giunti in nostro supporto.", ordinò secca la giovane.

"La nostra priorità è la difesa della sacra Otre dei Venti, concordo.", esordì l’ultimo che aveva parlato, richiamando su di se le proprie vestigia, così come fece poi Lothar ed Okypede stessa, prima che tutti e quattro abbandonassero la sala centrale del tempio di Eolo, pronti ad affrontare le battaglie che ben presto li avrebbero raggiunti.

***

Una figura atterrò in mezzo alle macerie dell’ingresso meridionale.

Quando erano arrivati in prossimità di quelle isole, in pieno mar Tirreno, si erano divisi in modo da raggiungere i luoghi degli scontri il più velocemente possibile e, di tutti loro, proprio lei aveva deviato verso l’ingresso meridionale, ma mai avrebbe immaginato, nel raggiungerlo, di trovare delle correnti d’aria così ostili ed un tempo che sembrava essersi scatenato in una tempesta solo in quel piccolo spiazzo, impedendole di osservare lo scontro che lì si combatteva.

Aveva avvertito i due cosmi intenti a duellare dando il massimo delle proprie abilità, così come aveva sentito altre battaglie volgere alla conclusione già da alcuni minuti ed altre scoppiare, almeno in due casi riconoscendo persino le particolari impronte energetiche di due dei compagni che con lei avevano condiviso le battaglie dei giorni passati.

Consapevole del rischio di uno scontro, stava ora camminando fra quelle macerie con fare attento, circospetto quasi, finché, vicino a quello che sembrava il varco di un corridoio, vagamente sommerso da detriti e macerie, la nuova giunta non trovò un corpo senza vita: era un guerriero, il viso tumefatto e la pelle segnata da percosse ed ustioni piuttosto recenti, le vestigia, o almeno ciò che ne restava, erano di un misto di verde ed arancione, macchiate dal sangue delle ferite subite e, più di tutto, dallo squarcio che aveva fracassato il cuore del guerriero lì dinanzi a lei.

"Ti sei battuto con ardore, chiunque tu fossi, seguace di Eolo.", ipotizzò la nuova arrivata, chiudendo gli occhi dell’altro e fermandosi, quando avvertì un rumore sommesso dietro di lei, un rumore che, in pochi istanti, proruppe in un boato d’energia, rivelando un altro guerriero.

Ferito, i capelli scomposti, lo sguardo folle ed un cosmo immane ad avvolgerlo, un massiccio individuo dalle nere vestigia, quasi completamente in pezzi, si stagliava ora dinanzi alla donna che, a lui, appariva con una maschera d’argento in viso.

"Non so chi tu sia, Ombra Malefica, ma hai dinanzi a te Dorida della Sagitta, pronta a combatterti.", esclamò subito la sacerdotessa di Atena, ma l’altro non replicò e nemmeno attaccò.

Non era negli obbiettivi di Kurnak combattere i seguaci di Atena, non in quel momento almeno, così, lasciando di nuovo esplodere il proprio cosmo, il Corvo Nero spiccò il volo, allontanandosi con velocità all’orizzonte.

La sacerdotessa della Freccia fu quasi tentata di inseguirlo, ma già i cosmi di Gwen e Damocle combattevano in altre sale di quel tempio e come loro anche quello di Cassandra e quello che, immaginò, apparteneva alla sacerdotessa dell’Altare; non poteva abbandonarli per inseguire un nemico ferito, quando altri, di certo più in forze, la attendevano all’interno del tempio, così, Dorida voltò le spalle a quel misterioso avversario e corse verso il corridoio che già la attendeva.

***

Nel corridoio meridionale del tempio di Eolo, intanto, già il Leone d’oro nero guidava l’avanzata dei suoi due seguaci, finché non raggiunsero un bivio che si apriva dinanzi a loro e, incisi sugli architravi dei percorsi che potevano scegliere, due parole scritte in italiano: "Libeccio e Scirocco", lesse il guerriero d’oro oscuro, volgendosi poi verso la strada che avevano percorso, alla cui estremità opposta sembrava si fosse concluso lo scontro.

"Amaltea, tu resta qui.", ordinò d’improvviso il nero comandante, "Chiunque, fra Kurnak o il nemico arrivi da quel corridoio, sarai tu ad accoglierlo.", spiegò, prima di volgersi verso il proprio allievo: "Iginio, tu andrai in quella direzione, io nell’altra.", aggiunse, indicando al discepolo quale dei due cunicoli avrebbe dovuto prendere.

"E ricordate: prendete le vite di tutti i nemici che vi si pongono davanti, combattete con fierezza e determinazione, poiché di tutti i dodici guerrieri d’argento oscuro che hanno invaso questo tempio, voi siete alle dirette dipendenze di Medonte del Leone Nero ed il mio nome deve sempre incutere timore, tanto in chi mi segue, quanto in chi si oppone a me.", tagliò corto il guerriero d’oro oscuro, incamminandosi poi nel corridoio che aveva scelto per se.