Nèmesis.

 

Admeto trovò la sposa intenta a cercare di chiudere le ante di legno della finestra. Si era alzato un vento fastidioso, decisamente fresco per quella stagione. In cielo banchi di nuvoloni scuri nascondevano a macchie le stelle baluginanti, limpide e lontane. Il giovane avanzò verso l'amata, che a causa del grembo prominente non riusciva a sporgersi fino a raggiungere i gancetti che tenevano aperte i due pannelli di legno sul muro esterno. Admeto le fu dietro in pochi istanti, poggiandole le mani sulle spalle la invitò a scostarsi. Il corpo agile dello sposo non impiegò che un attimo a sporgersi allungando le braccia al di fuori, oltre il rettangolo che costituiva il perimetro della finestrella, e se non fosse stato per le raffiche di vento che infastidivano la sua azione, sospingendo con forza decisa le imposte di legno contro la parete spoglia, Admeto avrebbe terminato il tutto senza difficoltà.

"Questo vento così all'improvviso... è strano non trovi?"

Osservò Alcesti che spense il piccolo lume, che Admeto aveva portato dalla camera da letto e che aveva posato momentaneamente sul tavolo, accanto ad Omero. Ora restava solo la lampada ad olio ad illuminare flebilmente la stanza.

"Già è strano, il cielo era così chiaro fino a poco fa" le rispose Admeto non appena ebbe chiuso anche i vetri.

"Speriamo solo non si metta a piovere" aggiunse, pensando che l'indomani sarebbe dovuto uscire in mare con i compagni, ed una giornata di pioggia avrebbe reso il lavoro alquanto disagiato. Il giovane uomo si avvicinò alla sposa, sfiorandole le labbra con un tenero bacio.

"Sei stanca, mia adorata?" chiese accarezzandole le gote. La donna scrollò il capo, in segno di diniego.

"Affatto, fa solo un po' male la schiena."

Premuroso, il giovane la circondò con entrambe le braccia, iniziando a massaggiare piano la schiena provata della sposa.

"Sai..."

Admeto iniziò la frase tenendo lo sguardo fisso in quello della giovane donna.

"...mi piacerebbe sapere che aspetto avrà questo bambino."

Per un attimo i due rimasero in silenzio, occhi negli occhi come sempre facevano quando volevano trasmettersi a vicenda sensazioni e pensieri che a parole non avrebbero potuto esporre al meglio. Era stato così fin dal primo istante in cui si erano trovati e riconosciuti, al Santuario della Vergine Atena. Alcesti, gli occhi umidi di lacrime, prese fra le mani il volto dell'amato sposo e appoggiò la sua fronte calda a quella di Admeto, ancora fresca di vento.

"Lo vorrei tanto anch’io" sussurrò, mentre le lacrime finalmente libere di cadere le rigavano le guance. 
"Alcesti, non piangere".

"Che ne sarà di loro?" questa era la pena che tormentava il cuore della giovane, e che ella finalmente sfogò.

"Il sommo Shion non li lascerà soli, vedrai" la fiducia di Admeto nel vecchio Pontefice non era mutata rispetto al passato.

"Admeto, ma non capisci? Se il loro destino sarà di servire la dea… questo può voler dire solo una cosa..." la giovane donna al colmo dello sconforto si aggrappò con entrambe le mani al petto ampio e muscoloso dell'amato sposo.

"Alcesti..."
"La guerra santa, Atena sta per rinascere e loro.."

"Alcesti..."

"Io speravo che perlomeno loro potessero vivere un’esistenza normale!"

"Alcesti, se anche nel loro destino è scritto che saranno al fianco di Atena nella lotta contro Ade, questo non vuol dire che vi perderanno la vita" le fece osservare l'uomo, adagiando le proprie mani su quelle della donna, e frizionandole delicatamente.

"Non prenderti gioco della mia debolezza, Admeto!" protestò la giovane con una certa intensità, i begli occhi azzurri si accesero.
"Non intendo farlo. Ma vedi io... io sento che questa generazione di sacri guerrieri non sarà come le altre! Mi basta stare accanto ad Aiolos per esserne certo."

Affermò con assoluta sicurezza e senza celare nel tono della voce un pizzico di orgoglio nel riconoscere il figlio come futuro santo, devoto alla dea dagli occhi lucenti. Quello che egli non era riuscito a diventare.

"Admeto..."
"L'hai avvertito, non è così? Il cosmo di nostro figlio. E' ancora debole, indistinto. La sua luce è ancora senza riflessi ma è in lui!"

"L'ho avvertito anch’io, un cosmo nascente, limpido" confermò la giovane donna, rapita dal genuino entusiasmo dell'amato.

"Aiolos è speciale, come ci ha detto il sommo Shion quel giorno. E' destinato a compiere grandi gesta al fianco di Atena. E come lui sarà anche questo bambino."
"Si."

Ormai del tutto rassicurata dalle parole piene di fiducia e speranza di Admeto, la giovane donna gli rivolse un sorriso di assenso.

"Dobbiamo avere fiducia in loro, mia adorata Alcesti" disse infine l'amato sposo, asciugandogli le lacrime che ancora si ostinavano a scivolare sulle belle gote della donna.
"Si, qualunque cosa accada..."

I due giovani si abbracciarono stretti, Admeto avendo premura di non esercitare troppa pressione sul grembo della donna. Quando si discostarono l'uno dall'altra, Admeto prese la lampada ad olio dal tavolo per illuminare la breve distanza che separava la cucina dalla stanza da letto. Ghermendo nella sua la mano della sposa si apprestava a farle strada quando Alcesti si fermò di colpo.

"Admeto!" chiamò e quando questi le si volse incontro, la giovane lo osservò per qualche istante "Io... sono felice d'averti incontrato ed amato".
"Lo sono anch’io, mia adorata. Questi anni con te, e con Aiolos sono stati meravigliosi. Non ho nessun rimpianto. Grazie a voi".

E sporgendosi appena in avanti, le carezzò le labbra con un bacio leggero. "Nemmeno io, mio amato Admeto, nemmeno io ne ho."

Ed insieme entrarono nella loro stanza. La notte, nonostante il forte vento che soffiava fragoroso al di fuori, trascorse serena nella quiete della piccola casa.

 

L’alba era ancora lontana ed Admeto era già sveglio. Accanto a se nel letto Alcesti dormiva ancora, sdraiata supina il petto le si alzava e abbassava ad intervalli regolari. Il giovane le si avvicinò, osservando con tenerezza l’espressione serena del suo volto. E sfiorandole la fronte con le labbra fece per alzarsi. La donna lo chiamò piano, per non svegliare il piccolo Aiolos che dormiva beato nel lettino accanto. 

"Admeto, è ancora presto…" disse, la voce impastata di sonno. L’uomo le si fece nuovamente vicino, questa volta la baciò sulle labbra.

"Non riesco a dormire. Tu resta qui e riposa tranquilla."

E così dicendo scese dal letto, prese i sandali in mano, il necessario per vestirsi, e senza fare rumore si diresse in cucina. Alcesti, incapace di riprender sonno, ignorò il suggerimento dello sposo e lo raggiunse. Admeto era seduto al tavolo, una tazza profumata e calda di buon caffè in mano.

"Non ho mai incontrato persona più cocciuta!" l’apostrofò il giovane, non appena la vide sulla soglia della porta, scrollando il capo lentamente.

"Ti preparo qualcosa da mangiare per il pranzo".

Alcesti ignorò nuovamente le proteste dell’altro e si diresse alla piccola credenza sopra la cucina, dove erano stipati pane duro e formaggio dall’odore forte. Al di là del bosco il mare echeggiava lamentoso, disturbato da poderose raffiche di vento. La voce affannata delle onde penetrava nel fitto boschetto di pini, e si univa allo stormire delle masse di foglioline aguzze, anch’esse attraversate da ampie folate.

"Devi proprio andare?" chiese la giovane in apprensione per il tempo alquanto minaccioso.

"Vedrai che con l’alba il vento cadrà" tentò di rassicurarla l’amato, ma con risultati scarsi. Admeto ripose la tazza sul legno chiaro del tavolo, accanto vi era ancora il libro che la sera prima aveva letto al figlio e la lampada ad olio che aveva acceso appena sveglio. Raggiunse la sposa e la cinse da dietro con le sue forti braccia, più rassicuranti di qualsiasi altra parola, poggiando il mento glabro sulla spalla nuda della giovane dove scivolavano lunghe ciocche di capelli lasciati liberi.

"Non temere…" le sussurrò nell’orecchio "…andrà tutto bene" e con le mani delicate sfiorava il grembo nel quale il figlio, che non avrebbe mai conosciuto, dormiva sereno, ignaro di quanto accadeva al di fuori di quel rifugio sicuro.

"Papà!"

I due giovani si voltarono di scatto verso il piccolo Aiolos, che assonnato stava in piedi sulla porta che dava nella cucina.

"Papà, posso venire con te?" chiese il piccolo, stringendo le manine in pugni stretti stretti.

Admeto ed Alcesti si guardarono sorpresi, il bambino non era solito chiedere al padre di portarlo con sé, perlomeno non con quel tono tanto angosciato. Il giovane ritrasse le braccia dal corpo morbido dell’amata, le sfiorò una guancia con un bacio lieve per poi dirigersi verso il figlio. Giunto di fronte al piccolo Aiolos, Admeto si lasciò scivolare all’altezza del bambino.

"Papà, non andare" implorò Aiolos, senza neanche sapere il perché.

Il padre lo guardò per qualche istante stupito dall’inconsueto atteggiamento del figlioletto, poi sollevò la mano che grande si andò a posare sulla testolina del piccolo, lisciando i riccioli arruffati. Admeto sorrise teneramente a quel bambino che tanto amava.

"Portami con te, papà!" chiese ancora Aiolos, gli occhioni verdi tremuli e lucidi di lacrime non piante riflettevano come specchi la luce degli occhi del giovane uomo, verdi e sinceri anch’essi.

"Non posso."

Rispose infine Admeto con tono deciso ma mite.

"Tu devi restare a casa ed avere cura della mamma e del tuo fratellino. Ricordi, me l’hai promesso?"

Il piccolo annuì timidamente e sprofondò nell’abbraccio del padre.

Mentre lasciava la sua casa, Admeto si voltò più volte indietro. Alcesti ed il piccolo Aiolos erano lì fermi, sull’uscio della porta. La madre teneva il figlio stretto al suo fianco. Il giovane uomo scolpì nel suo cuore quell’immagine, con il tocco indelebile dell’amore profondo che univa per entrambi.

E lentamente si avviò verso la spiaggia.