Platinum Saints: I Cavalieri dello Zodiaco Cinese

Una fanfic di Andromeda La Notte

Chapter 16: L'Aquila in picchiata.

All’uscita del tempio del Ratto Malvagio, Aioria e gli altri tre cavalieri d’oro si ritrovarono allo stesso bivio che aveva separato i cavalieri loro amici; così come quelli prima di loro, decisero di separarsi. Era necessario portare soccorso su tutti i fronti e pertanto, essendo loro in quattro e quattro le vie, il partito fu subito abbracciato. Aioria, movendosi automaticamente verso il sentiero di destra, quello stesso che aveva preso Shaina, lanciò uno sguardo significativo ai suoi colleghi e, senza aggiungere altro, si incamminò sul sentiero che conduceva al tempio della Lepre – quel suo fare insolitamente quieto testimoniava la profonda inquiedutine che si agitava nel cuore e nella mente del cavaliere del Puma.

 

Milo si mosse subito dopo con altrettanta rapidità ed imboccò la strada che portava al tempio del Cinghiale Furioso, partendosene da suoi compagni con un secco: "Che Athena sia con voi!".

 

Aphrodite e Camus si ritrovarono quindi soli, con la scelta di due sentieri che li avrebbero entrambi portati verso rispettive parti del loro passato: Aphrodite poteva facilmente avvertire la presenza del suo vecchio e pacifico avversario muoversi in linea d’aria verso l’estrema sinistra del Gran Tempio di Mekar; Camus, dal canto suo, percepiva il cosmo del Cigno in direzione del tempio del Gallo, senza che però potesse dir per certo se si trattasse del suo allievo Hyoga. Il cammino sembrò ad entrambi segnato ed infatti si accordarono tacitamente. Nel momento però in cui Aphrodite mise un piede sulla scalinata che conduceva al tempio della Bertuccia Emulatrice, i due avvertirono incombere un cosmo estraneo e viscidamente minaccioso. Il cielo sembrò per un attimo oscurarsi, assumere colori e sfumature insolite per un tardo meriggio mentre, su tale sfondo innaturale, si disegnava nell’aere uno splendido arcobaleno d’energia dalla natura squisitamente maligna... Aphrodite si sentì irresistibilmente attratto dagli sprazzi di colori emanati dal bellissimo e fatale arcobaleno ed iniziò a muoversi verso di esso, come infinitamente tentato da una forza superiore. Camus, dal canto suo, fu per un attimo annebbiato dalla bellezza di quei giochi di luce ma si riprese subito, giusto in tempo per accorgersi di una terribile verità. L’arco luminoso si stava muovendo verso Aphrodite e nell’avvicinarsi, man mano che passava al di sopra della scalinata che portava al tempio della Bertuccia, tutto quello che si lasciava dietro si liquefaceva, come se del terribile acido corrosivo stesse piovendo dalla sua volta!

 

 

Ma Aphrodite non poteva sentirlo.. La forza ipnotica che l’arcobaleno esercitava su di lui era troppo forte; e ancora più forte era la pulsione estetica dell’ex-custode della docicesima casa... Proprio mentre la volta dell’arco stava per passare sopra la sua testa, Camus fu folgorato da un’idea...

 

Corse quindi sulle scalinate che portavano al tempio del Gallo, in modo da trovarsi in posizione parallela al suo compagno. Estrasse dunque le spalliere della sua armatura che, congiunte, risultarono in un’anfora dello stesso arancione ed oro delle sue vestigia; la puntò poi verso Aphrodite, appoggiandola sulla spalla a mo di piccolo cannone ed invocò:

 

 

Una luce azzura e fluorescente fuoriscì dalla bocca dell’anfora di Camus, colpì Aphrodite e lo rese acqua. La stessa acqua fu attirata magneticamente all’interno dell’anfora, proprio un istante prima che il vorace arcobaleno passase al di sopra del cavaliere della Rosa, annientandolo. Camus cominciò quindi a rovesciare il contenuto dell’anfora ai suoi piedi; questo iniziò a condesarsi ed a prender forma e figura umana.. Aphrodite si trovava adesso, piuttosto stordito, accanto all’ex-cavaliere di Aquarius.

 

 

Così dicendo, Camus fece cenno al collega di voltarsi. Lo spettacolo che si presentò agli occhi di Aphrodite era inquietante.. Dove prima c’era una scalinata scavata nella dura roccia, adesso si trovava il vuoto di un burrone senza fondo. La strada tra loro ed il tempio della Bertuccia Emulatrice era stata completamente distrutta.

 

 

Intanto, nella casa del Ratto Malvagio, Lemnonsin e Marin stavano espandendo i rispettivi cosmi, pronti entrambi all’assalto finale.

 

 

Il cavaliere del Ratto preparò il suo colpo mortale, la pioggia di creature fameliche che aveva battezzato Hailing Rats, la grandine di ratti.

 

 

Il cumulo nero di animali voraci partì dalle braccia di Lemnosin per raggiungere Marin che, in tutta risposta, si slacciò velocemente il nastro reticolato che le cingeva la vita ed esclamò:

 

 

La fascia si trasformò seduta stante in una formidabile rete energetica che permise alla sacerdotessa di intrappolare al suo interno l’orda feroce che Lemnosin le aveva sguinzagliato contro. Sfilatisi poi i bracciali dal polso destro, li utilizzò per sigillare la rete, il cui interno continuava freneticamente ad agitarsi. Poi, la rete iniziò a risplendere di luce abbagliante ed a svuotarsi progressivemente, come divorando il proprio contenuto. Infine riprese la sua forma originale.

 

 

Lemnosin era talmente irato da non rendersi conto che la sua avversaria era ormai al di fuori del suo campo visivo. Prima che potesse capire come mai, Marin gli piombò addosso, con lo scatto animale di un’aquila affamata!

 

 

Con uno sforzo non indifferente, Marin mosse le braccia insieme e riuscì a spiccare un salto, portandosi appresso l’avversario. Una volta in aria, lo fece capitombolare a rapidità inumana per più di una volta, per poi lasciarlo cadere a peso morto verso il terreno. Poi prese lei stessa la picchiata e, una frazione di secondo dopo che Lemnosin ebbe toccato il suolo, lo raggiunse violentemente alla nuca con il volo dell’Aquila Reale, completando quell’articolata ma violentissima versione del suo colpo originale. L’assalto del Rapace Imperiale aveva dunque avuto effetto. Lemnosin era inerte e definitivamente sconfitto e Marin aveva avuto ragione di un Platinum Saint. Come un’"aquila dalla testa bianca" che, afferrata la tartaruga, la porta in alto e la precipita contro gli scogli per vincere una corazza altrimenti a lei insuperabile, Marin aveva sapientemente utilizzanto il principio fisico d’azione e reazione per vincere la difesa del Platinum Cloth del Tenente. Se il cavaliere non fosse stato una semi-divinità, il suo collo sarebbe di certo stato spezzato, nonostante l’elmo.

 

 

Marin potè d’un tratto avvertire tutta la stanchezza che le veniva dall’aver usato, per la prima vera volta, il suo cosmo all’apice della sua potenza. Cadde in ginocchio, in un attimo di debolezza ma soddisfatta di aver avuto la meglio sul suo avversario, il quale era ancora a terra, senza dare segno di vita alcuno.

 

Pochi secondi dopo, il cosmo del cavaliere del Ratto tornò flebilmente a bruciare e questi alzò il viso, già di suo non angelico ma adesso ridotto ancor peggio dal violento urto.

 

 

Marin prese la scatola dalle mani del Tenente ed iniziò lentamente ad allontanarsi da lui, perdendosi presto nel buio di quel tempio dalle fattezze di tunnel. Fu allora che Lemnosin iniziò a sghignazzare...

 

Quando infatti Marin fu prossima all’uscita del tunnel, nel rigirare il piccolo trofeo tra le mani, questo s’accese di fioca luce bianca... La sacerdotessa si sentì irresistibilmente tentata di aprirlo. E così fece.. Ma nel momento stesso in cui si rese conto che la scatola era assolutamente vuota, i muri a lei circostanti iniziarono ad esalare gli odori terribili dell’Asphixia Flatulence; Marin aveva appena azionato il meccanismo dell’ultima trappola mortale di Lemnosin! Assolutamente impreparata ad una tale evenienza, il cavaliere di Athena non riuscì in tempo ad abbandonare la casa del Ratto e, dopo che la flatulenza mortale oltrepassò lo strato metallico della sua maschera, la sacerdotessa-guerriero cadde a terra, inerte.

 

 

Il Sergente, dal canto suo, si era appena rialzato, ridacchiandosela per la sua bell’azione.

 

 

D’un tratto, un cosmo maestoso s’accese, all’interno del Rat’s Tunnel; quella nuova imponente presenza si preannunciava incredibilmente offensiva e, col suo rendersi tangibile, una spirale di vento caldo spazzò via gli odori nauseabondi che spiravano all’interno del Tempio. Lemnosin avvertì dunque una voce profonda rimbombare nell’antro di cui era signore..

 

- Mostrati, chiunque tu sia! – gracchiò l’ormai stanco cavaliere di platino.

 

"Ratto! Dovrei mostrarmi ad un essere lurido ed infame come te?? E per fare cosa, di grazia?" tuonò la voce.

 

 

"Taci!" lo interruppe la voce. "Non meriti nemmeno che a te mi manifesti, pusillanime!"

 

Un fascio di energia fiammante raggiunse Lemnosin in pieno stomaco, privandolo dei sensi all’instante. Mentre ancora il Sergente volteggiava in aria, una presenza si distinse dal buio e si addentrò più a fondo all’interno del tunnel. Poco dopo, quella stessa ombra prese in braccio Marin e raccolse il talismano da lei ottenuto.

 

Nell’arco di alcuni minuti, due figure riapparvero alla luce d’un arco di Luna, sorto ormai su Mekar, essendosi oramai fatto notte. L’uomo che reggeva Marin tra le braccia aveva ancora in se il furore delle stelle. La sua splendida armatura emanava una luce intensissima che, rifulgendo nel buio, sembrava aprirsi un varco nella notte. Poggiato il corpo della sacerdotessa ad una roccia posta al lato destro dell’uscita del tempio del Ratto Malvagio, si chinò su di lei.

 

 

Un sorriso triste si dipinse sul volto provato del cavaliere.

 

 

Mentre così diceva, il cavaliere fu avvolto da una sfera d’energia bianca che lo smaterializzò all’instate.

 

- Ikki!!! – gridò Marin, per un attimo atterrita. Subito dopo, però, riconobbe l’essenza benevola di quel cosmo e si tranquillizzò.. Corinto della Capra aveva dunque chiamato anche Phoenix a se.

 

 

Ikki della Fenice e Corinto si trovano faccia a faccia all’interno del Tempio della Capra, la sabbia chiara all’interno della clessidra del Capitano scorreva lenta. Come ai suoi compagni prima di lui, Corinto aveva proposto l’allenamento all’interno del suo tempio. Come i suoi compagni prima di lui, ed ancor più, Phoenix era molto sospettoso...

 

 

Ikki era titubante. La sua natura di uomo diffidente gli consigliava di non abbassare la guardia; eppure c’era qualcosa, nel microcosmo di Corinto, che gli ispirava genuina fiducia.

 

"Chi sei, cavaliere della Capra?" si chiese Phoenix, pensieroso.

 

 

Un nitrito sinitrò squarciò d’un tratto la quiete sonora del Tempio della Capra. D’improvviso un enorme ferro di cavallo in platino saettò a velocità ultrafisica verso la gola di Phoenix. Corinto fece appena in tempo ad estrarre il Vello del Ciclope e a proteggere Ikki con esso, che altrimenti sarebbe stato decapitato. Lo stesso portentoso vello riportò gravi danni, rimanendo sfilacciato in più punti. Il mortale marchingegno ritornò poi nella mano di colui che l’aveva lanciato, colui che Corinto non aveva percepito arrivare!

 

 

Nel frattempo però, Ikki aveva preso una risoluzione: quella di lanciarsi contro l’affascinante Colonnello, e di precipitarlo nel vuoto che attorniava il Tempio Spirituale della Capra. Con questo piano in mente, si gettò contro il nemico ma questi, con una veemenza incomparabile, gli assestò un calcio all’indietro che lo colpì in pieno volto. Phoenix aveva provato su di se gli zoccoli del Divino Cavallo di platino. Corinto, nel tentativo di arrestare la rovinosa caduta del suo protetto, fece ricorso ai suoi poteri telecinetici, riuscendo solamente ad alleviare l’urto contro il suolo del giovane cavaliere.

 

 

Ancora di spalle, il Colonnello reggeva ora fra le labbra uno splendido giglio dai petali di platino. Prima ancora che Corinto potesse rendersi conto di quanto stesse accadendo, Bellerofonte lo scagliò oltre le sue spalle. Il Capitano della Capra tentò invano di fermare il volo nefasto del fiore con la telecinesi.. Nulla! Il fiore andò a conficcarsi nello spesso cristallo della arcana Clessidra, che finì in pezzi. Corinto era allibbito.. Ancora una volta Bellerofonte aveva portato un colpo che lui non aveva potuto arrestare. Ma fu solo un istante di fuggente confusione, perchè il Capitano ebbe una brillante folgorazione... Adesso sapeva come salvare la vita di Phoenix. Fortuna nella sventura, il danno portato alla clessidra stava per ritorcersi contro lo stesso Bellerofonte.

 

 

Volgendosi di scatto verso Ikki, Corinto a lui disse solennemente:

 

 

A quest’ambigua affermazione, Ikki lo guardò spiazzato alquanto, come cercando di intravedere, oltre lo strato nero metallico della sua maschera, una qualche spiegazione. Corinto gli sorrise... ed ancora una volta, il cavaliere di Athena fu smaterializzato e teletrasportato in un luogo molto lontano da lì.

 

 

Nel dire ciò, Corinto accese il suo immenso cosmo, in modo tale che l’energia delle stelle iniziasse a fluire nelle sue mani.. L’arco ed il fuso di Shana si materializzarono e così anche la fatale lana stellare a loro propria. Bellerofonte si rese conto che lo scontro che lo avrebbe attesso sarebbe durato più a lungo del previsto e, sapendo che l’ansia e la fretta lo avrebbe addirittura allungato e difatto giocato a suo sfavore, prese la risoluzione che gli parve più opportuna, in quel momento.

 

 

Poi, così com’era venuto, disparve.

 

Corinto guardò il Vello del Ciclope, semidistrutto, e la clessidra, della quale non rimanevano ormai che frammenti e sabbia sparsa al suolo. Per finire, s’accorse di un’altra terribile verità: uno splendido giglio in oro bianco gli si era conficcato nel petto, e stava assorbendo la sua energia, fiorendo di essa. Se non fosse stato per le vestigia di platino, che erano state comunque perforate, il fiore malefico si sarebbe conficcato in profondità nel petto del cavaliere della Capra, uccidendolo. Come la rosa bianca propria al cavaliere della dodicesima casa, anche questo fiore parassita impediva alla vittima di estrarselo via con le proprie mani. Corinto si sentì indebolire, mancare... Per sua fortuna, la telecinesi era, tra i suoi svariati poteri, quella che richiedeva la minor quantità di energia. Proprio facendo ricorso alle sue ultime forze, riuscì ad estrarre il giglio dai petali di platino con la forza del pensiero; questo, non appena toccato il suolo, sfiorì all’istante. Il cavaliere della Capra cadde in ginocchio, stremato.

Quattro erano stati i colpi portati da Bellerofonte e, per quattro volte, le sue difese erano state eluse...