Capitolo 1: Attacco al Regno marino

 

Azzurro era il soffitto sotto cui era seduta la figura ornata di dorate vestigia, ma non l’azzurro ricco delle bianche nuvole del cielo, bensì un colore quasi blu, frastagliato dall’incresparsi delle onde, un colore che indicava che la volta sotto cui la solitaria figura riposava era in realtà il Mare, territorio sacro al dio Nettuno.

Proprio a Nettuno lui, ultimo dei Mariners di quella generazione, era consacrato, e con estrema tristezza e solitudine rimaneva seduto, per giorni interi sarebbe potuto restare in quella posizione, non perché gli fosse gradita, o quant’altro, ma per il vuoto che quei luoghi sconfinati, ma privi di vita, trasmettevano; questa era la sua triste realtà, la realtà dell’ultimo Generale dei Mari: Kain di Shark.

Per un breve periodo era rimasto presso sua sorella, Esmeria, regina di Cartagine, specie durante la convalescenza successiva al duro scontro con i Quattro Cavalieri, aveva avuto modo di riposare nella sua terra natia, ma adesso, dopo diversi mesi, quasi un anno, di quiete, era dovuto tornare nel luogo che aveva giurato di proteggere, non per un pericolo immediato, ma per una sensazione.

Era avvenuto tutto in una mattina, mentre osservava dalle proprie stanze a Cartagine le infinità del mare, in quel momento aveva sentito qualcosa, un’energia distruttiva e malefica, circondare le acque a lui tanto care, questo lo aveva convinto a tornare ai propri obblighi di Generale dei Mari.

Ora, però, Kain era solo nello sconfinato regno di Nettuno, in attesa di un segnale di ciò che aveva temuto, o di qualche altro pericolo, vicino o lontano, che fosse.

Vagava per quelle terre silenziose ripensando a come, quando era divenuto Generale dei Mari, quei luoghi fossero ricchi delle voci di soldati, guerrieri e dei suoi parigrado; un sorriso si accennò sul volto del figlio di Ikki nel ripensare a Neleo, Argo e gli altri compagni caduti nelle battaglie passate.

Per tutto il periodo della lotta contro Urano, Ponto, Gea ed i Quattro Horsemen, Kain aveva avuto modo di soffrire per la caduta dei compagni, la tristezza ed il rimorso più volte lo avevano logorato perché non era stato d’aiuto a nessuno di loro, ma adesso, al rammarico aveva fatto posto la solitudine, l’abbandono di chi, in un luogo immenso come il Regno dei Mari, resta unico guardiano, solo a camminare in un abisso senza limite.

Il suo unico gemello era anch’egli caduto, e come lui anche altri due fratelli minori, certo gli restavano ancora la sorella e diversi alleati che poteva, a buon conto, definire amici, ma il suo ruolo di Generale dei Mari lo costringeva a vivere in difesa di quel Regno sottomarino che da solo doveva custodire da pericoli e minacce.

Non il suo compito era però pesante per Kain, non quella solitudine che gli avvolgeva il cuore e la persona lo dilaniava, ma il silenzio che faceva da cornice a tale solitudine; la coscienza di essere solo in un luogo immenso e desolato poteva sopportarla, ma la totale assenza di niente che andasse oltre la sua mente ed il suo corpo, questo produceva terrore nella mente del Generale di Shark, questo significava per lui essere solo.

E dopo giorni e giorni, però, questa solitudine, quel dì in cui osservava dalla propria colonna dell’Atlantico Settentrionale il mare che per lui era un cielo, in quel giorno il silenzio fu rotto, non da una voce amica, bensì da un rumore alieno, il suono cupo di qualcosa che si muoveva nei dintorni della sua colonna, un suono che fu subito seguito dal prorompere di un cosmo oscuro pari, quasi, al cosmo che lui stesso, durante le lunghe battaglie, aveva saputo rivelare, ma terribilmente nero e feroce.

Si mosse quindi il Generale dei Mari, rapido, guidato da quella percezione estranea e forte della velocità della luce, l’ultimo seguace di Nettuno scattò verso il punto da cui aveva sentito provenire quel cosmo e lì trovò il rumore e la folla.

Un folto gruppo di uomini erano lì dinanzi a lui, sembravano quasi incuranti delle leggi fisiche che il dio dei Mari aveva dato al suo regno, poiché non camminavano come lui sulla superficie marina, bensì nuotavano a mezz’aria, incuranti, quasi, della gravità, che grazie al cosmo di Nettuno, circondava l’intero regno sottomarino.

"Chi siete?", urlò il Generale dei Mari, ma nessuna risposta fu data alla sua domanda, lo stuolo di figure, ancora non molto nitide all’orizzonte, si avvicinò nuotando e ben presto Kain li vide e rimase sbalordito: erano decine di uomini, guerrieri dai volti tutti diversi, ma egualmente assenti, privi di luce, o follia, nei vacui occhi che, almeno nelle prime file, il figlio di Ikki riuscì a distinguere, ma non fu questa la cosa che lo stupì di più, bensì le vestigia che costoro indossavano.

Le armature degli invasori, poiché tali erano, ricordavano in modo impressionante le vestigia dei soldati dei Mari, gli stessi guerrieri che Kain aveva avuto modo di addestrare prima dell’assalto dei titani di Urano, un tempo che ormai al Generale sembrava lontanissimo, ma queste erano nere come la pece.

"Chi siete?", tuonò di nuovo il Mariner di Shark, ma nuovamente non ricevette risposta, bensì una nuova avanzata del gruppo nemico che gli fu tanto vicino da iniziare un attacco.

Kain era pronto alla lotta, ma solo quando se li trovò dinanzi capì che tipo di attacco avrebbero portato: infatti solo quando furono poco più di due palmi dal suo viso vide ciò che vi era fra quei soldati neri, una sottile trama bianca, una rete d’energia cosmica che scaturiva dal corpo di uno per entrare in quello dei suoi compagni vicini, una vera e propria filatura cosmica che li univa tra loro, come fossero uno stormo di pesci congiunti da un filo tagliente. E taglienti erano questi nemici, subito il Generale se ne accorse quando vide che quelli più vicini al suolo laceravano la terra ad ogni avanzata, con l’addome e le gambe, mentre nuotavano in parallelo con quel terreno che avrebbe dovuto attirarli a se.

"Di certo, finire in mezzo a quel cunicolo di fili cosmici mi sarebbe fatale", si convinse il figlio di Ikki che subito caricò il proprio cosmo nella mano destra, scatenando il colpo che tante volte gli era stato di supporto nelle battaglie, "Galaxian Explosion", esclamò infatti, mentre la spropositata potenza dell’Esplosione Galattica investiva la prima fila di quei misteriosi, quanto silenziosi, invasori, travolgendola.

In decine caddero fra quei soldati nemici, travolti dalla potenza di quell’attacco, ma ciò non bastò poiché la seconda fila di quello stormo avanzò impassibile, travolgendo i compagni caduti e quelli che, evitando l’attacco perché distanti dal suo centro, avevano interrotto il contatto con la rete d’energia cosmica.

Nuovamente allora il Generale dei Mari li colpì e nuovamente il suo attacco non servì a niente, poiché la terza fila spazzò via i resti della seconda, lasciando solo i cadaveri al suo passaggio, senza però, far apparentemente diminuire la maestosità della grande muraglia di soldati invasori.

Una risata d’improvviso proruppe da dietro le file di soldati, bloccandone l’avanzata, "Sembri stupito, guerriero dei Mari, eppure mi era stato assicurato che tu, Kain, lo Squalo d’Oro, eri sopravvissuto perché il più potente del passato esercito di Nettuno, ma vedo che solo davanti al nostro esercito a Stormo devi indietreggiare tremante", osservò ironica la voce, mentre lo stesso figlio di Ikki notava di essere andato indietro di qualche passo.

"Chi sei tu, che parli con tanta baldanza?", domandò allora il Generale dei Mari, riprendendo la posizione di guardia e fu allora che si sentì un semplice schiocco di dita che lasciò aprirsi le schiere di soldati invasori, creandone un corridoio al centro.

Da quel corridoio apparve una figura, nera come i soldati che gli stavano intorno, ma dalle vestigia ben più caratterizzate.

Due pinne dorsali costituivano le sue spalliere, squame nere di un oro oscurato i gambali e la protezione per il corpo, mentre quella che doveva essere la coda del pesce si trovava, come elmo, sul suo capo ed infine la testa di un malefico squalo era scomposta sulle sue braccia.

"Sono un seguace dell’Oscurità più profonda", affermò l’uomo presentandosi; il volto era chiaro, i lineamenti sottili non davano ombra alcuna sulle origini caucasiche dell’individuo, gli occhi, piccoli e verdi, scrutavano il generale di Shark, le cui vestigia erano piene ancora dei segni delle passate battaglie, i capelli, neri e sottili, erano appena visibili sotto l’elmo.

"Tu che sei chiamato lo Squalo d’Oro, non hai bisogno di sapere il mio vero nome, chiamami semplicemente Tigre Nera, poiché uno Squalo Tigre è il mio simbolo e nere le vestigia che indosso", concluse la figura prima di lanciarsi in un secco assalto frontale verso Kain.

Il figlio di Ikki riuscì a seguire con gli occhi l’assalto, ma la velocità di esecuzione era tale che solo all’ultimo si poté muovere per evitare il diretto allo stomaco, ma questo fu il suo errore: valutare quell’attacco come un diretto, poiché subito si aprì il pugno dell’invasore nero, tramutandosi in una feroce artigliata, che dilaniò le vestigia di scaglie, lasciando fluire del sangue dal corpo del giovane. L’attacco non si fermò però con quel primo colpo, infatti un secondo affondo montante con la mano fu portato dal misterioso nemico, ma stavolta Kain fu più svelto e con dovuta abilità bloccò il braccio avverso con il proprio, che brillava dell’energia cosmica che gli era propria.

"Troppo lento", sussurrò allora il nemico, sferrando già un colpo al volto con la mano libera, ma anche quello fu bloccato da un veloce gesto di Kain, che prontamente strinse le mani, espandendo il proprio cosmo contro il nemico, per poi sollevarlo da terra, facendo leva sulla propria forza fisica e schiantarlo contro una parete rocciosa dietro di se.

"Grosso errore, soldato dei Mari, ora ti ritroverai fra incudine e martello", avvisò sorridente il nemico, mentre, rialzatosi di scatto, caricò il cosmo oscuro intorno alle mani, proprio in quel momento, Kain notò che la schiera di strani soldati alle sue spalle aveva ripreso a muoversi, spostandosi dietro di lui e serrando nuovamente i ranghi e con quelli anche la rete d’energia cosmica.

"Ora puoi scegliere, servo di Nettuno, o venire dilaniato dallo Stormo, oppure provare la potenza furiosa del mio attacco, non tentare di saltare, ti sarebbe inutile dato l’elevato muro che c’è dietro di te", continuò il nemico, certo del proprio vantaggio, mentre il suo nero cosmo si tramutava in una violenta corrente d’aria ed acqua che circondava le mani, "Zanne vorticanti", tuonò poi, mentre dalle mani aperte, che rappresentavano la bocca dello Squalo Tigre, proruppero dei vortici d’energia che dilaniarono il terreno sotto i piedi di Kain, correndo contro di lui in modo furioso.

Il generale dei Mari era cosciente della situazione in cui si trovava, era stato un atto troppo istintivo il suo, di gettare proprio dal lato opposto il nemico, pensò a quanto lo avrebbero criticato e deriso i compagni per una così vistosa stupidità, ma non era quello il momento dei ricordi, piuttosto era l’attimo delle scelte: se contrastare la potenza del vortice con il proprio attacco, o usarne uno ancora più devastante sullo Stormo dal lato opposto, in ambo i casi si sarebbe trovato scoperto al pericolo opposto.

In quel momento, mentre ancora la mente del generale era intenta a pensare a tutto ciò, un cosmo gelido invase la zona, un’aria congelante, non potente come quella di Camus, ma pari a quella del defunto Zero di Megadolon, circondò quella zona dell’Atlantico Settentrionale.

"Generale di Shark, fronteggia il colpo del tuo nemico, a questo esercito di corpi senz’anima penserò io", avvisò una voce che a Kain parve incredibilmente amica, mentre una figura bianca ed azzurra calava dal cielo.

Supportato da tale consiglio, il figlio di Ikki lasciò esplodere il proprio cosmo, "Galaxian Explosion", urlò allora verso il vortice offensivo del nemico, speranzoso sull’aiuto che sembrava stesse calando dal cielo.