Capitolo 12: Melodia e pensieri notturni – parte 1°

La giornata si concluse nel silenzio, il corpo senza testa di Big Bear fu riportato dinanzi alle quattro divinità Hayoka dallo stesso Peckend, la testa non era però lì, un cupo oggetto di trionfo era diventata per colui che aveva vinto il guerriero pellerossa, che l’aveva portata con se nella sua ritirata avvolta nella luce.

Per più ore si eseguì un doveroso funerale per il guerriero dell’Orso Americano, che con estrema determinazione e immenso del coraggio aveva combattuto contro il Portatore di Luce a lui superiore per potenza e furia, invano, ma nel nome di un credo ben più alto della sua stessa vita.

Quando la commemorazione finì, di Big Bear non era rimasto che un simulacro vicino a quelli degli Hayoka delle passate generazioni, un luogo in cui il corpo del possente pellerossa ora riposava, accompagnato dai suoi compagni.

Ora i cavalieri erano lì, in attesa, disposti in diversi punti del territorio delle divinità pellerossa, che avevano loro offerto asilo per la notte, poiché tutti erano cosciente del comune pericolo che anelava alla conquista delle Quattro chiavi, le stesse che avrebbero liberato la Bestia, la più terribile delle armi che Gea avesse potuto creare dal proprio ventre.

Sedeva da solo, nel medesimo punto in cui aveva visto cadere il maestoso Hayoka, lì, in mezzo alla flora distrutta, Peckend del Picchio restava in silenzio, quasi ancora intento a commemorare la morte dipinta sul corpo senza testa dell’amico, finché dei passi non giunsero al suo orecchio ed una figura non andò a sedere vicino a lui.

"So cosa vuol dire perdere un amico, o un parente caro", esordì colui che si rivelò essere Real della Lira, "in più battaglie ho visto decine di compagni cadere, prima i cavalieri d’argento miei pari contro i titani, fra questi il prode Robin della Sagitta; poi Xael che si sacrificò contro il Centimane Briareo; oltre coloro con cui condividevo la fede, caddero anche il mio maestro ed i compagni degli allenamenti, altri artisti che utilizzavano la musica e che caddero nell’ultima battaglia, uomini prodi come Koga della Scimmia e Ilew del Salice", enumerò il musico sacro ad Atena.

"Più di tutti, però, la morte che su di me pesava era la stessa che mi spinse a chiedere al potente Sorrento di accettarmi come suo allievo, la morte del mio antenato Orfeo, che cadde per mano di Rhadamantis di Wyburn durante la guerra sacra di vent’anni fa", spiegò ancora il cavaliere, "Ma tu hai avuto modo per vendicarti di tutte queste morti, hai sconfitto titani e vinto delle battaglie contro i seguaci dei Quattro Cavalieri", replicò con tono triste Peckend, "Questo è vero, ma non è ciò che mi ha aiutato ad andare avanti, né la vendetta lo ha fatto, poiché quando ho conosciuto l’assassino di Orfeo ho scoperto il valore di costui e le immense abilità di guerriero che aveva e ho capito che la musica trascende l’odio e si lega solo all’armonia", concluse Real della Lira.

"E con questo cosa vorresti dirmi?", domandò allora sorpreso l’Hayoka, notando la quiete che spirava dal musico che gli era vicino, "Di suonare con me, innalza le tue note al cielo, così che, in qualsiasi paradiso dei cavalieri il tuo amico sia giunto, possa sentire come potente è il cosmo della melodia e non abbia di che rimpiangere, sapendoti potente ed equilibrato, tanto da poter affrontare il suo carnefice e non cadere, vittima dell’ira che tutto annebbia", rispose quietamente il santo d’argento, mentre già sollevava l’arpa iniziando ad innalzare una melodia di requiem, non cupa, ma splendida nella sua unicità, melodia cui, con inaspettata perfezione, ben presto si riunì anche il suono dei tamburi formati dalle piume del Picchio.

La musica si spanse per tutto il territorio degli Hayoka, anche Freiyr la sentì, mentre la sua attenzione era focalizzata sulle stelle dell’Orsa che risplendevano alte nel cielo.

"Avevo sperato che non ci fosse più chiesto di combattere", sussurrò il nobile Re di Asgard, mentre una fredda brezza lo avvicinò, "Lo so, cugino, so bene quanto cupa sia la vita del guerriero, ma ancora di più ricordo quanto cupo fosse per mio padre essere reggente di Asgard e prepararsi al pericolo che incombeva sul Sacro Regno", replicò allora Camus, apparendo alla destra del figlio di Hilde.

"Non per noi sembrano fatti i periodi di pace, né per la gente di Asgard, che alla sfida del clima ha dovuto negli anni aggiungere anche gli assalti di molteplici nemici, dai titani fino a questi Generali Oscuri, che, fortunatamente, non hanno raggiunto le mura interne della città", continuò il sovrano del Nord.

"Ma grande è la forza di chi è abituato a vivere nelle terre gelide", ammonì allora una terza voce, mentre in un gelido cosmo si palesava ai due la figura di Whinga dell’Oca Polare, "So bene di cosa parlo io, che unico fra gli Hayoka sono stato addestrato a controllare le gelide arie del Nord, rimanendo per diverso tempo segregato in solitudine sulle candide montagne, dove solo chi mi addestrava veniva, di quando in quando, a farmi visita", raccontò. "Proprio in quella solitudine compresi la grandezza dell’uomo, che sa convivere con i suoi simili, trovando in se, e nelle persone circostanti, il calore che lo riscalda; fu questo il modo in cui entrai pienamente in contatto con la natura e con il mio cosmo ed è questo che di certo gli asgardiani sanno, seppur in modo ben più inconscio", concluse con tono sereno e rassicurante l’Hayoka.

"Parole sagge le tue, guerriero delle energie fredde d’America, sapiente è il tuo spirito, come il cosmo che da te sento nascere, un cosmo che non ha raggiunto lo Zero Assoluto, ma le cui capacità sono innegabili e sorprendenti", spiegò con un sorriso Camus dell’Acquario, mentre anche il viso di Freiyr abbandonava la tristezza che sembrava averlo avvolto, "Forse un giorno, nobile cavaliere d’Oro, m’indicherai la via per raggiungere il gelo supremo allora", concluse con ironico fare Whinga dell’Oca Polare, il cui sorriso aveva rischiarato gli spiriti dei due guerrieri del Nord.

Poco lontano, coperti dagli occhi indiscreti dei compagni e dei nuovi alleati, stavano due figure, prive delle vestigia, entrambe con semplici abiti umani, l’una seduta accanto all’altra. "Ho temuto per te quando ti sei lanciata in quel folle attacco, dovevi essere più attenta nelle tue azioni", ammonì lui, "ti ho sempre avvisato di quanto la tua avventatezza fosse un difetto, Elettra", affermò con tono preoccupato verso l’Amazzone di Artemide, "So bene cosa pensi del mio modo di combattere, ma per troppo tempo sono stata una statica e sciocca fanciulla, ho visto morire Maya, Cleo, Awyn e le altre mie sorelle senza far niente, ora il mio spirito di guerriera arde come fuoco, impedendomi di restare immobile dinanzi al sacrificio di chi mi è caro. Nemmeno il tuo potrei accettare, Lorgash", concluse, voltandosi verso il cavaliere d’oro della Decima Casa.

Un sentimento, nell’anno passato viaggiando, era nato fra il santo del Capricorno e colei che era rimasta l’unica fra le seguaci di Artemide, frutto forse del caso, o delle disavventure che in quel periodo di pace avevano condiviso, ma era qualcosa che nessuno dei due riusciva a mostrare di fronte ai compagni, malgrado chiaro fosse a tutti come avessero legato, motivo per cui, mentre le note della Lira e del Tamburo risuonavano nell’aria, nessuno andò cercando l’ultima Amazzone ed il cavaliere custode di Excalibur.

Altra coppia intenta al dialogo era quella costituita da Helyss e Bifrost, entrambi seduti all’interno della tenda di Lihat del Falco Rosso, che a loro aveva lasciato quel luogo affinché riposassero dopo l’attacco subito da parte di Ruck della Medusa Nera.

Erano rannicchiati in due punti diversi della piccola tenda, in silenzio, vivendo in modo diverso l’attesa di quella notte, prima delle battaglie che sarebbero di certo esplose il giorno successivo. "Pensi che le vestigia saranno riparate per domani? Non posso subire il medesimo destino vissuto un anno fa, non posso permettere che il mio Re vada in battaglia privo della presenza dell’unico God Warrior rimasto", chiese prontamente il guerriero di Megrez, "Sì, mia sorella si sta occupando di riparare le nostre vestigia e quelle degli altri due cavalieri che sono stati soggetti di uno scontro ben più violento, Lorgash e l’amazzone, sai bene quanto sia zelante nel suo mestiere, saprà riparare le armature prontamente", rispose la Sacerdotessa d’argento, appoggiando poi le mani sulla maschera che indossava.

"Credi che non verrà mai il tempo della pace per noi?", domandò la guerriera sacra ad Atena, "Penso che non sia possibile decidere completamente dell’esito della nostra vita. Ricordi quando incontrammo il sommo Hemdall? Egli mi mostrò la via per migliorare le mie doti di guerriero e sfuggire all’oscura fama dei Megres, ridando onore al casato a cui appartengo, ma per cosa avrei fatto ciò se non per combattere in nome di Asgard, come tu hai abbandonato la tua femminilità dietro quella maschera in nome di Atena", affermò il guerriero del Nord, "Di tutto ciò hai ragione, ma sempre triste mi appare la sorte che ci costringe alla battaglia piuttosto che alla pace", affermò sconsolata Helyss, ritornando ad ascoltare la musica che si alzava nell’aria.

Quella stessa musica era sinfonia nell’orecchio di Daidaros di Cefeo, che era rimasto con Vake del Serpente di guardia ai confini degli Hayoka. I due erano in silenzio, quasi rapiti dalla dolce musica che il tamburo e l’arpa sapevano commisurare, finché una terza figura non si avvicinò loro: "Pensavo di essere l’unico intento alla guardia della terra sacra, ma noto che anche tu, Serpente d’Autunno, e tu, nobile alleato olimpico, state compiendo la medesima custodia dei sacri confini", osservò il nuovo giunto, rivelandosi come Taimap del Castoro.

"Hai ragione, amico mio, siamo anche noi di guardia, ma non vi è bisogno alcuni d’agitarsi com’è tua maniera fare, sembra quasi che tu non abbia appreso niente dal tuo comandante Hornwer", osservò ironico Vake, sedendosi al suolo, "non dovresti agitarti di continuo, non hai appreso la quiete dell’attesa?", domandò sorridendo allegro.

"Quiete nell’attesa? Hanno ucciso uno di noi, non possiamo restare qui, fermi ed in attesa dei nemici che ci attaccheranno", affermò secco il guerriero del Castoro, "Non con l’ira e la furia si può vincere una battaglia, devi saper attendere e trovare il momento perfetto per combattere la tua battaglia, Hayoka del Castoro", esordì allora il santo di Cefeo. "Questa è una cosa che ho appreso combattendo avversari nobili, come Endimon del Fagiano, che divenne poi un valido alleato, o Hazel del Pino, nobile ragazzo celtico dal triste passato, fino al vile e terribile Ryoga della Lepre, colui che ingannava i vivi utilizzando le immagini dei morti. Prima di tutte queste battaglie, le mie doti erano imperfette, perché troppo legate all’impazienza, quindi, mio nuovo alleato, sii paziente, come lo è questo tuo pari, incredibilmente saggio in ogni sua azione, malgrado cerchi di non farlo apparire", concluse allora il figlio di Andromeda, ritornando ad ascoltare la musica, mentre Vake chinava il capo in segno di ringraziamento e Taimap, si sedeva, di malavoglia, vicino ai due.

Una figura sembrava non interessarsi alla melodia nel cielo, un giovane che muoveva velocemente un tridente dorato nell’aria attorno a se, allenandosi instancabilmente con l’arma, mentre le vestigia a lui care erano riposte alla sua destra: questo era il riposo di Ryo di Libra, almeno finché un cosmo Hayoka apparve dietro di lui.

Quando il figlio di Shiryu si voltò vide dinanzi a se Lihat del Falco Rosso osservarlo perplessa, "Perché, cavaliere d’oro, anche nell’ultimo momento di pace prima della battaglia che ci attenderà per certo domani, continui ad addestrarti con le armi? Perché non ascolti quieto la musica?", chiese la giovane sciamana.

"Perché la musica rinfranca il mio animo mentre il corpo si riscalda, in vista degli scontri che di certo avverranno domani; non posso permettere che ancora una volta siano i miei compagni a cadere, mentre risulto nuovamente un mero alleato, un aiuto superfluo dinanzi ai pericoli più grandi", rispose prontamente il cavaliere della Bilancia, mentre deponeva il tridente, osservando poi le altre armi dorate delle sue vestigia, "Eppure sono certa che i tuoi compagni non ti reputino tale, poiché fosti il primo ad essere proposto come Sommo Sacerdote, seppur tu hai scelto di rifiutare quella carica, a quanto so", replicò quieta la giovane, accennando un sorriso.

"Dimmi piuttosto, Hayoka del Falco Rosso, cosa ti porta qui?", tagliò corto allora Ryo, "Una richiesta, di supportarmi nel curare i due che stanno aiutando la Sacerdotessa dello Scultore ad infondere nuova vita nelle armature danneggiate in questo triste giorno", spiegò subito Lihat.

"Pensavo che le tue doti fossero pari a quelle del santo del Leone", osservò perplesso il figlio di Shiryu, "Questo è vero, ma consumare il mio cosmo nel guarire le ferite m’impedirebbe di combattere contro i nemici che affronteremo domani e come te, cavaliere d’oro, nemmeno io voglio essere una semplice comparsa in questa guerra, ma un aiuto rilevante", concluse la nativa americana.

Ryo sorrise a quelle parole, "Capisco e dunque ti aiuterò, per quelle poche conoscenze della medicina che possiedo", replicò il santo d’oro, indossando nuovamente le vestigia della Bilancia per poi seguire la sciamana Hayoka.