Capitolo 30: La Manta dei Mari

Fra le rovine dell’Isola di Mur, Whinga dell’Oca Polare osservava l’avversaria avanzare verso di lui con sguardo furioso: era una donna dai lineamenti chiaramente nordici e dagli occhi azzurri come stagni; i capelli granata, legati in due sottili code, scendevano paralleli all’elmo nero, che delineava le piccole corna della Manta Nera. Le vestigia erano altrettanto oscure, ma, malgrado ciò, incredibilmente eleganti nei gambali e bracciali muniti di pinne e congiunti a quello che era il vasto mantello dell’animale acquatico, un pezzo di corazza che congiungeva, lasciando parecchia elasticità, gli arti al tronco della guerriera, coprendola per intero come una seconda pelle di nere scaglie.

"Hai detto di chiamarti Schon della Manta Nera, ebbene, Generalessa, cosa ti spinge a servire Erebo?", domandò allora l’Hayoka, mentre i suoi tre alleati guardavano stupiti il pellerossa attendere in una posizione che non appariva nemmeno una guardia.

"Preparati allo scontro, Hayoka, anziché fare domande di cui non dovresti preoccuparti! Sei l’unico ostacolo che mi blocca dal vendicarmi, perciò, prenderò la tua vita e poi quella del guerriero dell’Acquario", minacciò, per nulla interessata alle parole di Whinga, la Generalessa Oscura.

Il guerriero pellerossa, in tutta risposta, portò la gamba sinistra in avanti, compiendo un mezzo inchino e sorridendo all’avversaria, "Ebbene, se solo l’odio anima il tuo spirito, Schon della Manta Nera, attaccami pure, ti mostrerò come il gelo possa placare la rabbia, senza però perdere il controllo del soffio vitale", avvisò Whinga, espandendo di rimando un cosmo freddo come una tempesta di neve.

"Le tue parole sono dunque solo un modo per profumare l’amara pillola della battaglia? Allora, guerriero pellerossa, ti mostrerò come niente di più freddo ci sia del mio astio nei confronti di tutti gli avversari che si frappongono fra me e la meta cui ambisco", minacciò prontamente la Generalessa Oscura, espandendo il freddo cosmo, che simile alle lande antartiche apparve a chi la osservava, per la vastità che riusciva a raggiungere.

"Antartic Blizzard", tuonò, concentrando il proprio cosmo nel pugno sinistro, la guerriera, prima che una potentissima corrente di nera neve e di violenta aria gelida scaturissero da lei, diretti con una violenza senza pari verso Whinga.

"Questo colpo", balbettò osservandoli Camus, "Che cosa?", domandò allora Freiyr, che assieme al cugino ed a Kain osservava lo scontro, "Questo colpo assomiglia oltremodo a quello che un tempo usava colui cui prima abbiamo già pensato, ma non è lo stesso, ben più violento e meno diretto a congelare è questa sua versione", spiegò prontamente il figlio di Hyoga, seguendo poi l’esito dell’assalto su Whinga.

Il guerriero pellerossa non si mosse abbastanza velocemente, sembrò quasi, a Kain che lo aveva visto combattere, che la volontà del giorno precedente fosse scomparsa dal suo corpo, mentre veniva travolto in pieno dalla furia della corrente, prima ancora che la polvere gelida lo gettasse al suolo, ferito in più punti, seppur non in modo mortale.

"Uno è dunque caduto, prima che si riprenda, mi occuperò di te, cavaliere dell’Acquario", esclamò allora Schon, senza più guardare l’avversario, che, proprio in quel momento si rialzava in piedi, ponendosi fra lei ed il suo obbiettivo.

"Sei potente, guerriera oscura, ho subito quel tuo colpo per testarne la potenza ed è impareggiabile ed incredibile, i miei complimenti", esordì l’Hayoka, "Certo, quella è la forza del desertiche lande dell’Antartide, dove, in piena solitudine, ho completato il mio addestramento", ringhiò superba l’altra, "ma prendere attacchi di tal calibro, così, a cuor leggero, ti sarà fatale", avvisò infine Schon, espandendo nuovamente il proprio cosmo contro il pellerossa.

"Antartic Blizzard", tuonò di nuovo la guerriera, scagliando il proprio attacco, ma stavolta Whinga non rimase ad osservare l’assalto, bensì, con incredibile agilità, spiccò un salto verso l’alto, planando ben lontano dal punto d’arrivo della corrente fredda, che si schiantò contro una parete, congelandola fino a distruggerla.

Nessuno però si preoccupò di osservare la parete in pezzi, poiché tutti furono rapiti dall’eleganza con cui Whinga planava verso terra, quasi fosse un cigno su una superficie ghiacciata piuttosto che un uomo che ritorna al suolo dopo un salto in mezzo ad oscure e vecchie macerie.

"Non sottovalutare l’Hayoka dell’Oca Polare per un semplice colpo andato a segno", avvisò il nativo americano, "poiché un’eleganza pari a quella di pochi altri, unita a velocità e controllo delle energie fredde, ho potuto apprendere in gelide e solitarie lande quali sono quelle dell’Alaska, dove ho conseguito l’investitura", spiegò, prima di espandere il proprio cosmo, "ed appreso colpi come questo", concluse, lasciando esplodere quell’energia che aveva incanalato.

"Snow Torpedo", esclamò Whinga, mentre una corrente d’aria, circondata da una folta neve, si creava dai suoi palmi e si scagliava contro Schon.

Il viso della Generalessa si dipinse di un sarcastico sorriso, mentre apriva le braccia, quasi fosse pronta a ricevere in pieno l’assalto avverso, per poi spiccare un lieve salto all’indietro, poggiando poi i piedi su una parete del palazzo di Erebo e compiere così un salto acrobatico che gli permise di evitare la gelida corrente e spostarsi alle spalle dell’Hayoka.

"Se ti credi tanto potente, guerriero pellerossa, perché mi sfidi con degli attacchi che sono quasi del tutto simili ai miei?", domandò allora la Generalessa, "Vuoi forse osservare come anch’io sia abile nel saltare quanto te?", concluse, voltandosi verso il nemico. "Sì, in vero sei abile, guerriera oscura, ma non pensare che la bianca neve dell’Oca Polare ti sia passata vicino come brezza d’inverno, ben più furente tormenta era quella", la ammonì Whinga, indicando i gambali della Manta Nera, che subito si piegarono, segnati dagli impatti dell’attacco, tanto da far barcollare la rigida figura della Generalessa, che però resse l’inaspettato contraccolpo.

"Sei bravo, guerriero pellerossa, ma sono stanca di questo insulso battibecco, ogni attimo passato a combatterti mi ruba dei momenti per la vendetta, quindi, cedi il passo e, insieme a questo, la vita", ringhiò Schon, lanciandosi in un assalto diretto con un secco calcio sinistro, che, però, Whinga evitò con un balzo laterale; ciò che però l’Hayoka non si attendeva, era la seconda parte dell’attacco, costituita dalle vestigia del mantello che, allargandosi per permettere i movimenti alla propria padrona, apparivano ora sconnessi, come arti a se stanti che, inaspettatamente, si mossero, nel riunirsi, così da colpire alla spalla destra Whinga, che fu costretto a compiere un lieve salto per non cadere al suolo.

"Sorpreso, Hayoka? Da ciò che mi ha raccontato il mio comandante Vize, le scales originali della Manta sacra a Nettuno erano tanto elastiche da permettere al loro padrone, un contorsionista senza pari, di soffocare all’interno delle stesse l’avversario, dote che non possiedo, ma riesco comunque a sfruttare le abilità di quest’armatura così particolare", avvisò ironica la nemica, lanciandosi di nuovo all’assalto.

Stavolta il calcio giunse dall’alto, come un’ascia che calava contro la testa del malcapitato condannato, ma le braccia di Whinga furono abbastanza veloci da serrarsi attorno all’arto di Schon, mentre questa, maleficamente sorridente, appoggiava le mani al suolo e lasciava che, l’onda d’urto del suo movimento, animasse le vestigia della manta che, come una serie di onde impazzite si mossero verso l’Hayoka, investendolo in pieno sterno, così da sbalzarlo indietro, malgrado un altro agile salto permise al guerriero pellerossa di atterrare su mani e piedi senza problema alcuno.

Whinga non si fermò a parlare all’avversaria, bensì, facendo leva proprio sulle mani, si lanciò in avanti, scagliandosi con un agilissima capriola in un salto che finì con un pugno verso lo sterno dell’avversaria, che, però, parve abbastanza pronta di riflessi da sollevare ambo le mani per bloccare l’assalto e cercare poi di colpirlo con un calcio ascendente, che fu prontamente fermato dal piede sinistro del pellerossa; infatti l’Hayoka calò il proprio tallone sinistro sulla punta del piede avverso e facendovi forza con il peso del corpo, lo lasciò tornare al suolo, appoggiandovisi con il proprio, prima d’espandere il gelido cosmo, che, però, non investì Schon, ma semplicemente sembrò disperdersi fra loro.

"Sei agile, te lo devo concedere, guerriero pellerossa, ma non puoi sperare d’intimorirmi e fermarmi, troppo grande è la mia sete di vendetta", affermò con ira tracotante la Manta Oscura, "Grazie, guerriera di Erebo, anche tu sei particolarmente agile", osservò in tutta risposta Whinga, "Questo per le mie vestigia che, paragonate ai pesanti abiti che portavo durante l’addestramento, sono per me quasi un misero e pudico velo a copertura della pelle", concluse l’altra, mentre già espandeva il proprio cosmo.

"Se ciò che dici è vero, allora immagino che tu non voglia che questo misero velo sia perforato, penetrando anche le tue carni", minacciò, per la prima volta con voce rigida, Whinga, saltando indietro di qualche passo, ma lasciando un’aura azzurra fra se e l’avversaria, "Ice Storm", sentenziò allora l’Hayoka, riportandosi in posizione d’attesa; solo allora quel cosmo residuo si manifestò in diverse schegge di ghiaccio appuntito, tutte poste intorno all’esile e bella figura di Schon, come predatori pronti ad assaltare un animale ferito.

"Ora, guerriera oscura, sei circondata, basterà che solo lo pensi perché si scateni contro di te la mia Tempesta di Ghiaccio", concluse con voce secca Whinga, mentre l’avversaria si guardava intorno.

"Voi che ne pensate? Credete che lo scontro sia concluso?", domandò allora Freiyr di Dubhe, "Non so, cugino, di certo entrambi sono abili utilizzatori delle energie fredde, anzi, fino a pochi attimi fa avrei persino assicurato che i due s’eguagliavano, però adesso la cosa è diversa: la Generalessa Oscura è chiaramente in difficoltà, per quanto non posso immaginare il potere dell’attacco dell’Hayoka", spiegò poi Camus.

"La potenza di Whinga dell’Oca Polare è molta, amici miei, credetemi", s’intromise Kain di Shark, "però c’è qualcosa nel cosmo di lei, quasi una forza mal contenuta, che non vuole mostrarci e che di certo lascia per te, figlio di Hyoga", osservò allora l’ultimo dei Mariner, "una forza che né il gigante che abbiamo lasciato a Zadra, né l’altro generale oscuro fronteggiato dalla ragazza Hayoka, avevano", concluse il figlio di Ikki, restando ad osservare lo scontro.

"Proprio ciò temo anch’io, che abbia ancora altri assi da usare contro di noi", concordò anche Camus, mentre Freiyr scrutava i due compagni di molte battaglie, "Ciò che dite è vero e probabilmente proprio la vastità del suo odio le fa celare questo potere, ma, questo stesso sentimento dovrebbe spingerla a mostrarlo ora contro l’Hayoka, giacché si trova in difficoltà", concluse il Re di Asgard, trovando entrambi gli interlocutori concordi.

Il guerriero dell’Oca Polare, intanto, manteneva il controllo sui propri cristalli di ghiaccio, che non lasciavano via d’uscita all’avversaria, "Dimmi ora, Schon della Manta Nera, cosa ti spinge ad odiare tanto il santo dell’Acquario? Perché lo accusi della tua solitudine?", domandò l’Hayoka, mentre la sua avversaria portava il proprio sguardo non sul nemico pellerossa, bensì sul cavaliere d’oro dietro di lui.

"Sia, saprai da dove scaturisce il mio odio e poi ne conoscerai la vera potenza", affermò in tutta risposta Schon, che, però, sembrava rivolgersi più a Camus che a Whinga, attirando così l’attenzione completa anche del santo d’oro e dei suoi compagni.

"Io sono l’allieva di Jacov dell’Acquario Nero", fu la prima frase che la ragazza disse, sbalordendo già con questo i presenti, "Com’è possibile? Mai Jacov mi parlò di te nelle settimane passate a prepararci per lo scontro con gli Horsemen", esclamò allora di rimando Camus, facendosi avanti verso l’avversaria, che però continuò, quasi disinteressata alle parole di lui.

"Il mio maestro mi conobbe sei anni fa, prima dell’avvento di Urano, prima delle battaglie che vi videro coinvolti, ma dopo aver concluso l’addestramento con il potente Cooler della Capra; mi trovò che raccattavo come vivere nelle vie della vasta città di Mosca e decise di prendermi come propria discepola, come il Runouni di Giada aveva fatto con lui, piccolo bambino di Kobotek. Aveva solo otto anni più di me, ma mi addestrò con impegno, malgrado io avessi già superato la normale età degli addestramenti, il che rese ancora più duro il cammino, ma ciò non mi pesava, poiché nella sua magnificenza Jacov sapeva come accudirmi e fra noi nacque qualcosa di ben più profondo del rispetto fra maestro ed allieva", spiegò la ragazza con un cupo sguardo, in parte orgoglioso, ma altresì imbarazzato per un così personale racconto.

"Un anno e mezzo fa, però, Jacov fu richiamato dal guerriero di Libra Oscuro, lo stesso che gli aveva concesso l’investitura poco prima del nostro incontro, gli fu spiegato che, assieme ai Runouni, avrebbero combattuto per Ate contro i cavalieri di Atena e per lui fu il momento di aspirare alla propria vendetta sul figlio di Hyoga. Mi disse di aspettarlo, che sarebbe tornato in pochi giorni, ma non tornò più.

Dopo quasi un mese di attesa, però, mi convinsi e lo cercai sull’Isola di Deathqueen, che lui stesso mi aveva indicato tempo prima; ma lì trovai solo resti di passate battaglie e ciò che rimaneva delle vestigia dell’Acquario, con un messaggio diretto a me, un avviso di non cercarlo e di trovare una ben diversa via per me stessa. Non serve che vi dica quanto m’infuriai scoprendo che non solo aveva abbandonato me, ma persino i propri ideali di vendetta, diventando un santo d’argento; fu allora che decisi di abbandonarmi ad un esilio nelle gelide lande dell’Antartide. Lì, fra i ghiacci eterni e sconfinati, trovai una spinta vitale legata a quella volontà che il mio maestro non aveva saputo tenere stretta, una forza che mi permise di fortificarmi da sola ed ottenere un cosmo e dei colpi tanto potenti che, due mesi fa, dopo più di un anno di solitudine, conobbi Vize, il mio comandante, il quale mi propose di ottenere la vendetta seguendo Erebo come Generalessa Oscura, mi permise persino di scegliere, ma preferì le vestigia della Manta Nera dell’Antartico a quelle dello Springhual del Mar Artico, che andarono poi a Riesig. Il resto dovrebbe esserti abbastanza noto, cavaliere d’oro", concluse la guerriera, squadrando il figlio di Hyoga.

"Sbagli ad accusare Camus, giovane guerriera. L’uomo che ammiravi e hai divinizzato, suppongo dopo il suo abbandono, è stato tanto coraggioso da abbandonare la via della vendetta per quella della Giustizia, ha ripreso in mano il destino che le stelle gli avevano indicato, diventando un santo d’argento e morendo come un eroe per il bene del mondo intero", avvisò allora Whinga, "Silenzio!", ringhiò allora Schon, mentre espandeva il proprio cosmo, tanto da scuotere con la sola pressione le vestigia ed il ghiaccio che la circondava.

"Quale potenza", balbettò l’Hayoka, "Ora vedrai cosa ho appreso nelle terre dell’Antartide, figlio di Hyoga, la vera potenza con cui poi ti spazzerò via", ammonì con malefica determinazione la guerriera nera, mentre il suo gelido cosmo, ora brillante di una luce dorata, esplose.

"Calotta polare", ringhiò la Generalessa Nera, "No!", replicò Whinga, scagliando la pioggia di ghiaccio contro l’avversaria, ma era ormai troppo tardi: la potenza del gelido cosmo si aprì come una volta di ghiaccio che andava espandendosi con un moto circolare che gelò sul nascere l’assalto nemico e poi volò verso i quattro nemici, lasciando solo uno strato di bianco nevischio dietro di se ed intorno alla Generalessa.

"Questa potenza è superiore a quella di una misera ombra nera", balbettò appena Kain, mentre assieme ai compagni sembrava incapace di fare qualcosa dinanzi a quell’attacco.

Nella propria sala, all’interno del Palazzo di Erebo, anche Vize fu scosso da un freddo brivido, mentre avvertiva il cosmo della sua seguace espandersi, "Di tutti noi sette Generali Oscuri, solo io e Zahn sapremmo tener testa a Schon ed alle fredde energie che sapeva manovrare. Il guerriero dell’Acquario Nero aveva trovato proprio un’ottima discepola, inoltre, quella ragazza avrebbe comunque avuto un grande destino, se qualcuno fosse riuscita a trovarla degli alleati di Atena, poiché di certo ne avrebbe distinto la particolare impronta energetica, la stessa che io potei percepire mentre lei si addestrava, quella che mi guidò al suo cospetto. Un’energia che non è adatta ad un’ombra, ma a chi viene visto alla luce del sole", pensò fra se il comandante dei guerrieri di Erebo, mentre il suo viso quasi si storceva in una smorfia di dispiacere per il destino rubato alla ragazza.

Poco lontano, anche Zadra, Kela e Blat, intenti a scavare in una zona del suolo, mediante le armi che le prime due possedevano, mentre il guerriero nero le aiutava disarmato, si fermarono per il gelido cosmo che s’espanse fino a quella zona.

"Questa potenza", balbettò la Sacerdotessa dello Scultore, "non è di nessuno che io conosca", continuò, voltandosi poi verso il Generale sconfitto con uno scatto d’ira: "C’è forse fra voi qualcuno di così potente?", domandò furiosa, bloccando per la gola l’avversario ferito, ma le sue mani furono fermate da Kela, che con un cenno del capo le chiese di lasciare la presa.

"I tre che ancora vi attendevano sono i più potenti fra noi, unici ad aver ricevuto l’addestramento di veri guerrieri e potenti ben più di me ed i compagni che avete vinto; ma, fra tutti, quest’energia gelida può appartenere solo a Schon della Manta Nera, che fra noi domina solitaria le forze gelide", concluse il Generale del Pesce Sega, tornando a scavare a capo chino, mentre la sacerdotessa d’argento osservava preoccupata verso il luogo da cui s’era espanso quel cosmo.

Schon osservava soddisfatta ciò che vi era ora dinanzi a lei: una vasta distesa di ghiaccio, quelle rovine coperte da alghe e nerume erano ora solo lembi di una landa che le ricordava l’Antartide e fra queste, le figure di Whinga, Camus, Kain e Freiyr, brillavano come statue di morte, degno simbolo della sua furiosa vendetta.

"Non serve che restiate oltre immobili, guerrieri olimpici, sento ancora il caldo battito dei vostri cosmi", esordì dopo pochi attimi la guerriera nera, "siete stati lesti nel sollevare le vostre difese", concluse, mentre un muro di ghiaccio, tanto sottile quanto resistente, crollava dinanzi a Camus ed i due compagni.

"Non noi, bensì Whinga", avvisò il santo d’oro, "lui ha creato una seconda barriera di ghiaccio portandola dinanzi a noi e, con il mio cosmo, sono riuscito a solidificarlo abbastanza da renderlo una difesa abbastanza resistente da reggere all’ondata gelida che hai scatenato", spiegò il figlio di Hyoga, "ma facendo ciò, ha rischiato la sua stessa vita", concluse il giovane cavaliere, osservando l’Hayoka avvolto in un candido strato di neve.

"Così, quel garrulo pellerossa ha scelto, alla fine, di morire assiderato per salvarvi? Bene, allora adesso mi occuperò di te, figlio di Hyoga", sentenziò con tono deciso Schon, prima che un potente cosmo scaturisse dalla pallida figura di Whinga, sciogliendo parte della neve sopra il suo corpo.

Lentamente, ma inesorabilmente, la sottile trama bianca che circondava l’Hayoka lasciò spazio alle naturali e brillanti luci dell’armatura dell’Oca Polare ed allo sguardo sereno del guerriero pellerossa.

"Sei sopravvissuto al freddo antartico?", domandò stupita Schon, osservando il nemico, in ginocchio dinanzi ai propri alleati, "Come già ti dissi, Generalessa Oscura, ho ricevuto addestramento in Alaska e lì ho appreso come convivere con il gelo e sopravvivere agli assideramenti. Ho anche appreso che, dinanzi al gelo del mondo che ti circonda, non si può continuare a vivere nel distacco dei sentimenti, bensì solo curandosi degli altri prima che di se stessi, facendo delle sofferenze altrui le proprie si riesce a sopravvivere, riscaldandosi nel comune calore che è proprio di tutti gli uomini; non isolandosi come hai fatto tu", affermò in tutta risposta Whinga, scrutando con tono severo l’avversaria.

"Il tempo delle prediche è ormai finito, guerriero pellerossa, inoltre, per quanto tu possa parlare, ormai è chiaro che il mio colpo ti ha raggiunto, le tue gambe ne sono la dimostrazione", ammonì allora la Manta Oscura, indicando i piedi congelati al suolo, malgrado il cosmo di Whinga cercasse di liberarli.

"Su questo hai ragione, le mie gambe sono piantate al suolo, ma non pensare che ciò ti dia la vittoria; inoltre, farò un’ultima predica, guerriera nera, sul motivo per cui Jacov ti ha lasciato: per permetterti di scegliere il tuo futuro. Devi infatti sapere che, proprio mentre espandevi quel cosmo dorato, ho compreso come, trovandoti per le strade di Mosca, il guerriero di Kobotek non ha fatto altro che aprirti una strada verso il destino che già le stelle ti avevano segnato; infatti in te aleggia il cosmo di chi non è solo un’ombra, bensì un vero guerriero prescelto dagli dei. Quando l’odio non accecò più la sua vista, probabilmente anche Jacov se ne rese conto e decise di lasciare che la sorte, in qualche modo, ti avvicinasse a quel destino che avresti dovuto seguire", spiegò con tono sereno Whinga.

"Che vuoi dire?", tuonò la Generalessa Oscura, "Vuole dire", affermò Kain intromettendosi, "che il tuo cosmo è ben diverso da quello dei tuoi pari che abbiamo già incontrato. I santi di Atena hanno una forza che brilla della luce delle stelle, i guerrieri neri sono portatori di una lieve forza, un cosmo che si animava solo dell’odio e dell’astio, un’egocentrica furia malefica, ma tu, sotto quell’aura, hai un’energia diversa, un’energia che è parsa come un’onda devastante mentre scaturiva dal tuo corpo, una forza che solo in Neleo, Reptile, Argo, Zero e gli altri miei compagni ho sentito, la forza dei Generali dei Mari di Nettuno. A quella via eri stata destinata", spiegò allora il mariner di Shark.

"Che cosa?", affermò Schon indietreggiando, "Ciò che dice corrisponde al vero, Generalessa; Jacov ti abbandonò di certo perché cosciente di quanto tu potessi fare del bene e del male che invece lui stava facendo a te lasciandoti vivere nell’odio", continuò allora Whinga, "ora ti prego, anziché continuare a combattere, fermati e rifletti, pensa a come il tuo cosmo arde di una forza differente a quella dei tuoi compagni, la forza di chi è sacro a Nettuno ed alle cause giuste", affermò infine l’Hayoka.

Schon però non rispose, sollevò piuttosto le braccia sopra di se, raggiungendo una posa che sbiancò Kain: "Il colpo dell’Aurora Boreale", balbettò il generale, memore delle tecniche di Zero di Megadolon; "No, questa è la mia tecnica, la tecnica personale della Manta Oscura di Erebo, resistete a questa e forse vi ascolterò", ammonì allora la ragazza.

"Great White Ray", urlò Schon, lasciando apparire sopra di se la bianca figura di una manta gigantesca che parve quasi ruggire mentre un fiume d’energia cosmica partiva dalle braccia della guerriera nera, diretto verso i suoi avversari.

"Sia così se proprio vuoi", ammonì allora Whinga, espandendo il candido cosmo, "che le ali dell’Oca Polare sanciscano la vittoria o la sconfitta", affermò l’Hayoka, mentre già un maestoso volatile del nord si disegnava dietro di lui, "White Wing", tuonò poi il pellerossa, scotendo dinanzi a se il braccio sinistro e lasciando che quella maestosa folata d’energia, ora simile ad un’ala che si apre verso il nemico, s’espandesse nell’aria.

Lo scontro fra le due forze parve quasi concludersi con un pareggio, finché la furia della corrente gelida della Manta non oltrepassò l’ala bianca dell’Oca Polare, investendo in pieno petto Whinga, che, non cadde al suolo solo grazie alle pronte braccia di Camus che lo sorressero.

L’Hayoka riportò, però, delle ferite all’avambraccio ed al pettorale sinistro, ora completamente congelati, come i gambali e si chinò verso terra, sostenendosi con la sola mano destra; anche Schon, però, parve essere stata raggiunta, seppur in modo più lieve: infatti le nere coperture delle braccia della Manta Nera erano ora circondate da un bianco strato di nevischio; ciò che però nessuno si attendeva fu quando la guerriera, dopo averli guardati per alcuni secondi, cadde in ginocchio, con il viso rigato da calde lacrime, sussurrando una singola parola, un nome, "Jacov".

"Andate pure, cavalieri", esordì allora Whinga, ancora cosciente seppur ferito, "i suoi colpi hanno vinto su di me, ma le mie parole hanno sconfitto la sicurezza che la reggeva, ora, dentro il suo cuore, la Generalessa sa di aver sbagliato la propria via da percorrere, non sarà più un ostacolo alla nostra lotta, come io non potrò essere un supporto, voi, però, avanzate", affermò con voce sicura il nativo americano, mentre già Kain, Freiyr e Camus si consultavano con uno sguardo prima d’avanzare verso le porte del Palazzo di Erebo.

Quando furono sull’uscio, pronti ad entrare, il Generale di Shark si voltò, "Vivi, guerriera della Manta, ritrova in te quella forza prima, e di certo buona, che ti animava quando seguivi gli addestramenti di Jacov, come il tuo maestro abbraccia la strada che il destino ti indica, unisciti a Nettuno, abbandona l’Oscurità che cerca di divorarti silenziosa", consigliò, con voce cupa, il figlio di Ikki, "poiché la solitudine del proprio cuore è più profonda di quella degli Abissi e da entrambe ci si può salvare solo avendo fiducia e cercando l’alleanza di altri, questo da sempre fanno i Generali dei Mari, che insieme custodiscono le vastità sacre al divino Nettuno", concluse poi il mariner, ricominciando ad avanzare.

"Cavalieri", esclamò allora Schon, che aveva momentaneamente fermato le proprie lacrime, "fate attenzione a chi vi attende in quel luogo: Zahn è come me, medesima è la potenza e la natura del suo odio, ma il nostro comandante, Vize, egli è guidato da un rancore ben più profondo, dalla furia per il genocidio della sua gente", avvisò la giovane guerriera, guardando con chiara preoccupazione i tre prima che questi si allontanassero.

Rimasero quindi soli Schon e Whinga, l’una ferita nello spirito e l’altro nel corpo, mentre i tre guerrieri che avevano vinto già diverse battaglie negli anni passati, figli di altrettanti mitici eroi, avanzavano con passo deciso verso gli ultimi due guardiani dell’oscuro Erebo.