Capitolo 32: Draghi Dorati e Serpenti Malefici

Rai-Oh era ancora al suolo, ferito e sconfitto, nella sala che fino a poco prima aveva custodito combattendo con tutto se stesso; rifletteva il Portatore di Luce su quanto aveva visto e percepito nel susseguirsi degli scontri e sulla virtù che, alla fine del loro scontro, aveva dimostrato di alimentare il cuore di quel nemico d’origine ellenica.

"Che le azioni della Regina Amaterasu siano state avventate?", si chiese d’improvviso fra se il guerriero asiatico, mentre la sua mente veniva scossa dal dubbio, "So bene quanto sia stata dura la lotta per il potere nei cieli d’Oriente, come l’aperta opposizione del suo divino padre, il potente Kaguzuchi, e del fratello Susanoo siano state le cause dell’esilio volontario in cui la mia sovrana si è ritirata; ma da questo ad allearsi con l’Erebo e con chi li comanda, qualcuno di ben più malvagio, il passo è stato incredibile persino per la nostra sovrana", continuò Rai-Oh quasi che ora stesse parlando con qualcun altro in quella sala.

"Ora, dei Nove Portatori di Luce, solo quattro ne restano, ed io di certo non sarò un nemico per i nostri invasori, non più dato che ormai il dubbio aleggia in me; mentre gli scontri di colei che custodisce lo Shichibi e dell’Hachibi si approssimano e persino il Kyuubi potrebbe essere costretto ad andare in battaglia", parlò ancora Rai-Oh, chinando il capo sulla propria destra, a guardare un ampio e brillante albero dalle ricche fronde.

"So bene che la nostra Sovrana è stata costretta a concederci di risvegliare i Bijuu, sotto consiglio di chi le è alleato, ma proprio quando Raijuu stava prendendo il controllo della mia mente, mi è parso di capire come folle fosse questa libertà: annullarci come uomini, e come suoi servitori, solo per sconfiggere un nemico; anche se i cavalieri cadessero ora, per mano delle due bestie che presenziano il quarto piano, poi Amaterasu l’eccelsa potrebbe contare solo su un guerriero a lei fedele", analizzò costantemente il Portatore di Luce dell’HakuHou, "non credi anche tu, Kiten?", concluse, poco prima che la luce che circondava l’albero alla destra del guerriero sconfitto si spegnesse, lasciandolo solo ai propri pensieri.

"Ti ringrazio di avermi risparmiato la vita, malgrado il mio fallimento, amico, ma ora preoccupati per te stesso, poiché l’Hachibi si scatenerà nel prossimo scontro ed anche tu dovrai combattere molto presto", concluse Rai-Oh, percependo i tre avversari che ormai erano prossimi ad entrare nella sala del Drago ad Otto teste.

Ryo di Libra ed Esmeria di Suzaku guidavano il piccolo trio che varcò, in quello stesso momento, l’entrata nella quarta sala del versante destro, dietro di loro, barcollante per il lungo scontro, avanzava Joen del Pavone.

Il trio di guerrieri si trovò dinanzi ad un’ampia statua, alta quasi quanto la sala, che rappresentava il corpo di un drago ad otto teste, un mostro mitologico i cui colli, incredibilmente lunghi, scendevano lungo i lati della stanza, appoggiando i vari volti al suolo, su otto angoli, e lasciando che fiaccole s’infiammassero nelle loro fauci, come fosse il vero ed infuocato respiro di un drago ad illuminare quel luogo. Quella statua e le fiamme che da questa uscivano, erano l’unica decorazione di quell’ampia sala di mattoni.

"Hachiryu", esordì una voce, mentre ancora i tre studiavano le due teste di drago a loro più vicine, "un mitologico drago ad otto teste che, secondo alcuni culti, domina sullo scorrere delle acque nelle vaste terre d’Asia", spiegò la figura che ora si delineava con chiarezza ai piedi della maestosa statua, la figura di uno dei Portatori di Luce.

"Deve essere lui, il guerriero di cui ci ha parlato Rai-Oh: il Portatore che è stato dominato dal proprio demone", esclamò prontamente il Goshasei, pronto alla battaglia, "Esatto, guerriero che hai vinto sul Rokubi, o meglio, su chi lo ha quietato, io sono colui che domina il corpo di Vasuki dell’Hachiryu, io sono l’Hachibi, Yamata No Orochi", si presentò lo stesso individuo che, poco tempo prima, aveva dialogato con Kiten nella nona stanza.

"Orochi della Spada", sussurrò Ryo di Libra, squadrando il nemico, "Preferisco Yamata di Orochi, se proprio vorrete storpiare il mio nome", affermò con tono canzonatorio il nemico, i cui cupi e malefici occhi scrutavano i tre avversari.

"L’uscita è oltre la statua", esordì, dopo una piccola pausa, il Jinchuuriki, "tu, donna, e tu, che sei stato indebolito dal Rokubi, potete andare, terrò come mio avversario solo il cavaliere d’oro", avvisò con tono deciso, mentre la mano destra indicava, uno dopo l’altro, i suoi avversari.

"Perché dovremmo fidarci?", chiese subito Esmeria, sorpresa da quelle parole, "Perché il vostro alleato ferito non mi è di alcun interesse, mentre tu, guerriera, potresti essermi più utile se indebolissi chi vi è nella sala superiore; al contrario, contro uno dei cavalieri d’oro, che hanno fronteggiato e vinto diverse divinità nei secoli, preferisco combattere al massimo delle mie forze, per essere più che certo della vittoria", affermò con tono distaccato Yamata, mantenendo il proprio sguardo su Ryo.

"Come il Rokubi, dunque, anche tu non hai interesse nel salvare Amaterasu, ma piuttosto gioiresti della sua sconfitta?", domandò allora Joen, "Non se mi fosse inutile, ciò che ho sempre voluto era il dominio sulle terre del Sol Levante e solo con la caduta della dea che dovrei difendere e di chi la protegge, o le è nemica, potrei considerarmi più vicino al mio traguardo, perciò, mi vedo costretto a decidere chi di voi andrà avanti ed incontrerà il Kyuubi e chi no", concluse con tono secco il Jinchuuriki, mentre ancora la perplessità si leggeva negli sguardi dei due cartaginesi.

"Non perdete altro tempo in domande", esordì dopo poco il figlio di Shiryu, "se costui anela ad avermi come suo nemico, ebbene avrà modo di fronteggiare i miglioramenti che ho ottenuto in questo anno di addestramenti, mentre voi, amici miei, avanzerete verso le stanze di Amaterasu; fermate i piani della divinità del Sole giapponese, è l’unica possibilità che c’è data in questo momento parrebbe", concluse seccamente il cavaliere d’oro.

La Beast Keeper di Suzaku scrutò lo sguardo del santo di Atena, per poi rivolgere un cenno d’assenso verso il Guardiano di Era e scattare in avanti assieme a lui, scomparendo, dopo pochi secondi, dietro la maestosa statua del Drago ad otto teste, fino ad uscire completamente dalla sala.

"Siamo rimasti soli, cavaliere d’oro, ora puoi, infine, mostrarmi le tue mosse, i miglioramenti di cui parlavi poc’anzi, oppure desideri attendere oltre scrutandomi con attenzione?", domandò, dopo alcuni brevi secondi di silenzio, Yamata, sollevando le braccia dinanzi a se, per preparare la propria guardia; "Se è questo che vuoi, demone mitologico, ebbene, eccoti la furia del Drago di Goro – Ho", esclamò con tono deciso il santo d’oro, mentre già il cosmo aureo e fiammeggiante lo circondava.

"Rozan Shoryuha", urlò il figlio di Shiryu, scatenando la furia del Drago Nascente, che si risvegliò contro il nuovo bersaglio, avanzando con incrollabile determinazione fino al momento dell’impatto; ma non vi fu impatto: le fauci del drago dorato furono fermate dalle otto teste di serpente che si portarono dinanzi al loro padrone, quasi fossero animate, spalancando ampie fauci, che inghiottirono la potenza maestosa dell’attacco di Ryo.

"Date le tue conoscenze, pensavo lo sapessi", ammonì il Jinchuuriki, "Yamata No Orochi era il bijuu dall’aspetto di serpente con Otto Code ed Otto Teste. Pensi forse che fossero un abbellimento? Le mie otto fauci possono inghiottire un colpo come quello che mi hai appena proposto, inoltre, grazie ai sedici occhi, non ci sono nemici che non riesca a vedere: la mia difesa non ha angoli morti", concluse l’avversario, lanciandosi in avanti verso il figlio di Shiryu.

Con prontezza di riflessi Ryo sollevò l’avambraccio destro, lasciando che lo scudo dorato placasse il pugno che gli era stato diretto contro, un colpo la cui violenza scosse però l’arto del santo di Atena, "Sorpreso dalla mia forza, cavaliere? Ricorda che otto strati di squame rendono più potenti i miei attacchi", affermò con sarcasmo il malefico nemico, prima che il diretto sinistro investisse anch’esso la difesa d’oro, rigettando indietro, con incredibile violenza, il figlio di Shiryu.

"So già cosa pensi, cavaliere, ti chiedi come possa essere così abissale la differenza fra me e Raijuu, che già avevi potuto osservare nella sala del Candido Rapace; eppure dovresti capirlo: io sono stato risvegliato molto tempo fa, ormai ho pieno controllo di questo corpo e del modo in cui si manifestano i miei poteri in esso, al contrario del Rokubi, che non ha potuto mostrarvi né come le scariche elettriche circondassero le sue sei code, né le abilità di volo che lo distinguevano, come lo Yonbi, che appena ha emanato il venefico gas del monte Fuji, o Nekomata, il Nibi, rimasto rinchiuso dentro Ko di Baku, che avrebbe potuto comandare con il solo pensiero centinaia di morti dalla forza superiore a quei pochi che il suo Portatore ha saputo risvegliare", spiegò Yamata No Orochi, scrutando il nemico, rialzarsi, "quindi, se sei cosciente di ciò, cavaliere, mostrami la tua furbizia, e lasciati uccidere senza soffrire, o l’ardire del tuo cosmo, ed affrontami con ben più minacciosi colpi, perché ora dovrai provare su di te la violenza del mio primo attacco", concluse il Jinchuuriki.

"Hachi Jashosen", tuonò con furia incontrollabile il mostro mitologico nel corpo di Vasuki, mentre già le otto teste di serpente sembravano prendere vita ed altrettanti fasci d’oscura energia cosmica scaturivano, come otto serpi che, contorcendosi fra loro, avanzavano con irrefrenabile istinto omicida verso la preda, in questo caso Ryo, che fu scagliato alto nel cielo dalla carica delle fiere energetiche, schiantandosi rumorosamente contro una delle teste di drago, che andò in frantumi sotto il peso del suo corpo.

"Sei dunque tanto debole, cavaliere? Eppure avevo sentito grandi notizie su di voi santi d’oro, alcuni erano caduti in battaglie passate, contro Urano ed i suoi titani, ma gli ultimi a scomparire fra voi furono due guerrieri capaci di fermare, con le loro vite, i più potenti fra gli Horsemen. Sei forse tu da meno di quei due, oppure sono i Cavalieri della Fine del Tempo ad avere una fama fin troppo superiore alle attese?", lo schernì il Jinchuuriki, "Questi tuoi compagni caduti erano per caso dei deboli guerrieri come te?", continuò, mentre già Ryo si rialzava in piedi.

"No, i miei compagni non erano guerrieri da poco, anzi, eroi e campioni della Giustizia furono Tok’ra di Virgo e Odeon di Leo e come loro anche gli altri cavalieri che prima erano caduti, tutti coraggiosi combattenti di Atena; forse, però, hai ragione, io non sono loro pari per virtù, ma, in questo anno di pace, ho avuto modo di perfezionare le mie tecniche ed ora ti darò prova di come anche i tuoi sedici occhi di serpente saranno inutili contro l’assalto di cento draghi", minacciò in tutta risposta il santo d’oro, il cui cosmo splendeva d’aurea determinazione, "Rozan Hyakuryuha", tuonò con voce decisa il cavaliere, mentre già l’assalto che appartenne a Dauko di Libra scaturiva dalle mani del suo successore.

Lo sguardo di Yamata divenne improvvisamente serio, quando iniziò a muoversi nel vorticare d’artigli dorati, sembrava che effettivamente fosse munito di sedici occhi che, con apprezzabile preavviso, gli permettevano di evitare gli assalti nemici, almeno, questo accadde inizialmente, ma ben presto l’infuriare dell’assalto dei cento draghi vinse sullo sguardo degli otto serpenti, travolgendo il Jinchuuriki, il cui corpo volò violentemente contro un’altra delle fauci lanterna che illuminavano quella sala, distruggendo quella fonte di luce.

Yamata No Orochi si rialzò con velocità, era ferito, ma questo sembrava non preoccuparlo, "Complimenti, cavaliere, non immaginavo avessi tanta virtù guerriera da sapermi atterrare; dunque è vero che voi custodi dorati siete potenti tanto da sfidare gli dei", osservò con voce decisa il Jinchuuriki, "ma, proprio per questo, il tempo delle schermaglie è terminato, ora ti mostrerò la vera potenza, la forza che fin dai tempi del mito è stata la fonte del mio potere", avvisò con tono deciso il nemico, mentre già una testa di serpente si posizionava dinanzi al suo addome, lasciando uscire qualcosa di molto simile ad una lingua, qualcosa che ben presto il nemico estrasse, rivelandone la forma: una spada dalla lama nera.

"La spada dei Kusanagi", esordì fra se Kiten, sorpreso dalla forza che avvertiva provenire dalla sala del Drago a Otto Teste, ancora ignaro di ciò che avrebbe poi percepito nella stanza dell’Hari Onogo. "Era diverso tempo che l’Hachibi non ne faceva uso, da quando, ai tempi del mito, per mille giorni i due bijuu più potenti si scontrarono, fino al momento in cui, esaurita la forza di quella spada, il serpente ad otto code dovette arrendersi dinanzi a chi custodisco, il Kyuubi", ricordò il Portatore di Luce, come se quelle memorie gli appartenessero, ma in modo puramente onirico, come se facessero parte di un sogno che di continuo riviveva nella sua mente, più che del passato di ciò che lui custodiva, tanto le loro menti si confondevano l’una con l’altra.

"Ora che sta usando quella spada, le possibilità di sopravvivenza del santo d’oro sono diminuite enormemente, ma, i cavalieri di Atena sono famosi per le loro abilità, probabilmente da questo scontro ne uscirà solo un vincitore tanto stremato da non essere più un pericolo per la mia Sovrana", concluse di analizzare Kiten, tornando a seguire i due scontri che stavano avvenendo contemporaneamente per lui.

"La spada dei Kusanagi", riconobbe anche Ryo, osservando l’arma nelle mani del suo nemico: una spada dalla lama nera, ma dalla bellezza innegabile, per il sottile e snello filo tagliente, proprio delle katane meglio lavorate, e per l’impugnatura che, assieme alla guardia, sembrava rappresentare una testa di serpente la cui lingua coincideva con la lama scura.

"Esatto, immagino tu sappia anche la sua storia, oltre che il nome", osservò con tono saccente Yamata, "La spada dei Kusanagi che fu rubata all’ultimo membro di quel clan da uno dei nove Demoni con le Code, l’ottavo, il serpente, che, nutrendosi dell’infinita energia cosmica di quella reliquia, divenne il secondo per potenza fra i nove, oltre che maestro di tecniche oscure, che lo portarono ad essere la causa della guerra fra i Bijuu, scatenata dal suo nero cosmo, capace di risvegliare gli altri, ancora sopiti", spiegò, facendo leva sulle proprie memorie di allievo, il santo di Libra.

"Giusto, ci risvegliammo e, mentre distruggevamo il mondo circostante, ci combattevamo anche fra noi, finché i servitori di Amaterasu non giunsero ad intrappolarci, uno dopo l’altro, sfruttando anche momenti di debolezza. Io, ad esempio, fui catturato dopo la sonora sconfitta che ricevetti da Kyuubi, alla fine del nostro scontro, durato mille giorni", ricordò il Jinchuuriki. "Ma ora non perdiamoci oltre in chiacchiere, cavaliere", esordì dopo una piccola pausa il Portatore dell’Hachibi, "ti sfido a scagliare di nuovo i cento draghi contro di me", lo avvisò con tono baldanzoso, sollevando dinanzi a se la scura spada.

Il cavaliere d’oro, malgrado conoscesse la forza mitologica che doveva scaturire da quell’arma, non si fermò, anzi lasciò esplodere il proprio cosmo, "Rozan Hyakuryuha", esclamò in un fiato, scatenando di nuovo le fauci dei cento draghi d’oro.

"Senai Jashuu", fu l’unica risposta del Jinchuuriki, mentre manteneva il filo della spada dinanzi al proprio volto, lasciando che un oscuro cosmo circondasse la lama, prendendo la forma di otto serpenti che, rapidi, si insinuarono fra i dorati draghi per poi, d’improvviso, moltiplicarsi, creando otto teste da ogni testa di serpe, che ancora si moltiplicarono, fino a sopraffare per numero i mitologici signori d’Oriente, schiacciandoli fra le loro spire e svanendo con loro.

"L’ombra del Serpente", esordì dopo alcuni attimi di silenzio Yamata, "la tecnica difensiva della Spada che possiedo, per osservare quella offensiva dovrai attendere di esserne meritevole, poiché basterà il potente taglio dell’ancestrale arma per recidere la forza dal tuo corpo", avvisò con determinazione il Jinchuuriki, portando la reliquia in posizione di guardia, sopra la propria testa.

"Sia, demone mitologico, il nostro duello dunque si svolgerà all’arma bianca, ma sappi che per una mitica arma che tu possiedi, ben sei di divina fattura furono date in custodia al cavaliere della Bilancia fin dai tempi del mito e con quelle armi ti abbatterò", avvisò in tutta risposta il figlio di Shiryu, impugnando il tridente dorato con ambo le mani.

La carica del cavaliere di Libra sfociò in un affondo, ma prontamente il suo nemico calò la lama oscura, parando con una stoccata da sinistra verso destra, che andò a spostare l’arma avversa in un’innaturale rotazione delle braccia, subito sfruttata da Yamata per tentare un fendente all’altezza dell’addome nemico, colpo che si perse nel vuoto quando Ryo calò con rapidità l’estremità non appuntita del tridente, così da farvi cozzare la nera lama.

Il santo d’oro sfruttò l’angolo scoperto per caricare con l’attacco che aveva mostrato per la prima volta dinanzi a Nachi del Lupo: così espanse il cosmo attorno al tridente, "Ryutsumuji", fu l’unica cosa che disse poi, scatenando il drago vorticante, ma non si aspettava la replica pronta dell’avversario che, recidendo parte dell’arma dorata, produsse un fendente ascensionale, così da deviare la corrente d’energia nemica.

Il drago vorticante si schiantò contro una parte della statua che riempiva la sala, portando con se solo un lembo dell’armatura dell’Hachibi, uno degli otto volti che la componevano, mentre una ferita si apriva sull’avambraccio destro di Ryo ed il pezzo reciso del tridente gli cadeva di mano.

"Pensavi davvero che quella tua arma potesse resistere al taglio della Spada dei Kusanagi? L’arma mitologica più potente dell’intero Giappone?", domandò soddisfatto Yamata; il santo d’oro, però, non rispose, guardò solo l’arma danneggiata, quindi, piantandola al suolo, portò le mani all’armatura, estraendone il Triple Rod, il bastone, che prontamente roteò dinanzi a se.

"Ora, Yamata di Orochi, ti mostrerò tutte e sei le Vie della Bilancia", affermò il cavaliere d’oro, il cui cosmo sembrò rinvigorirsi di nuova determinazione.

Il cavaliere d’argento del Pavone era intento a seguire ancora lo scontro, "Sembra che, dopo la vittoria sul nemico che li attendeva nella sala che ci sovrasta, sia ora il turno di Ryo di combattere e contro un ben più oscuro avversario", osservò fra se Kano, "ma, in fondo, di certo non è il santo di Libra a dover temere una battaglia, egli, che già era potente fra i cavalieri, tanto che i suoi stessi compagni gli avevano chiesto di diventare il Sommo Sacerdote, è ora ben più potente", analizzò, percependo l’agitarsi dei due cosmi pochi piani più in alto, mentre già il riposo della Pharaon di Bastet era ormai quieto.

"Le Vie della Bilancia?", ripeté incuriosito il Jinchuuriki, "Sì, una via per ogni arma", spiegò il cavaliere d’oro, "Quindi mi vorresti mostrare le tue doti con le armi? Interessante", ridacchiò Yamata, "ma se saranno colpi futili come quello dato dal tridente, sprecherai solo il tuo tempo", concluse il mitologico essere, lanciandosi all’assalto con la spada dalla lama oscura.

Un veloce fendente d’energia si scagliò contro il santo d’oro dalla sinistra verso la destra, ma fu un rapido movimento del Triple Rod la risposta, quando l’arma scivolò contro quella oscura, mentre uno dei suoi tre segmenti si sganciava, legandosi attorno alla lama avversa e spingendo verso il cavaliere d’Atena l’avversario.

Yamata, però, non fu da meno per prontezza e lasciò scivolare la Spada dei Kusanagi dentro gli anelli dorati del Triple Rod, portando un affondo che per poco sfiorò il viso, privo dell’elmo, di Ryo, producendo sul cavaliere una sottile cicatrice, mentre, l’altro estremo dell’arma d’oro investiva l’addome del Jinchuuriki, spingendolo indietro.

Quando riprese la distanza, il cavaliere d’oro espanse il proprio cosmo, caricandolo nel Triple Rod, che subito si scagliò in avanti, "Carica del Drago", tuonò il santo di Atena, mentre l’arma, vorticante d’energia cosmica, segnava il tragitto aureo verso la preda.

"Senai Jashuu", esclamò allora il Jinchuuriki, prima che ancora una volta si manifestasse la barriera di serpenti attorno all’assalto nemico, bloccandone la furia e raggiungendo con un impatto di pari potenza il santo d’oro, che ricadde indietro, investito dalla potenza di quella difesa oscura.

"Complimenti, cavaliere", esordì Yamata, senza nemmeno curarsi se il suo avversario fosse ancora vivo o meno, "sei riuscito a tenermi testa finora, io, che sono secondo solo a Kyuubi, sto combattendo uno scontro alla pari con un mortale, ne sono lieto di ciò, non auspicavo in tanto potere da un mio avversario", si complimentò, mentre già il figlio di Shiryu si rialzava, brandendo ora un’altra arma: le lance bracciali, i tonfar.

"Queste tue armi, però, non ti salveranno dalla potenza della mia", avvisò allora il Jinchuuriki, scagliandosi un’altra volta all’attacco, ma, al contrario che nei precedenti assalti, Ryo non replicò con una propria carica, bensì, posizionandosi più chino sulla gamba sinistra, sollevò il tonfar sinistro, che parve brillare d’un energia cosmica incredibile, mentre anche l’altro brillava più che mai.

"Il Tridente d’oro ed il Triple Rod sono armi per la lotta a lunga e media distanza, proprio per questo ho sviluppato la Carica ed il Vorticare del Drago, seppur la seconda è quasi una copia della prima, mentre i Tonfar sono strumenti per lo scontro ravvicinato, molto più efficaci di una spada a quella distanza e soprattutto, perfettamente bilanciati: l’uno, il sinistro, è la difesa, mentre il destro, l’attacco. Loro sono i Souryu, i Draghi Gemelli", avvisò il figlio di Shiryu investendo con violenza l’addome di Yamata con il tonfar destro, tanto da farlo schiantare contro il centro della statua, che crollò attorno al Jinchuuriki.

Ryo osservò per alcuni attimi ciò che era rimasto della statua dell’Hachiryu, poi si ritrasse, sorpreso dalla potenza cosmica che esplose sotto le macerie, mandandole in frantumi.

"Hachi Jashosen", tuonò Yamata, utilizzando l’oscura spada per emettere gli otto serpenti ascendenti, che si scagliarono con violenza verso il santo di Atena, che, però, espanse semplicemente il proprio cosmo dinanzi agli scudi dorati.

"RyuKansen", fu l’unica esclamazione del cavaliere di Atena, mentre la dorata figura d’un drago, quasi riflessa dallo scudo, andava a vorticare attorno al figlio di Shiryu, portandosi a completa difesa e subendo l’attacco degli otto serpenti neri, che scuoterono persino Ryo, senza però ferirlo oltremodo.

"Una difesa tale da reggere persino la potenza amplificata degli Otto Serpenti Ascendenti? Bene, allora dovrò mostrarti l’ultimo mio attacco", esclamò con decisione il Jinchuuriki, mentre l’energia nera della lama sembrava avvolgere adesso, come un nido di serpi, l’intera figura del guerriero nemico, "Kuro Jasen", esclamò; fu un attimo poi l’intero agglomerato di serpi andò confluendo alla lama, prendendo la forma di un unico grande serpente e scagliandosi con maestosa potenza verso il santo d’oro, la cui difesa ancora vorticava attorno a lui.

L’impatto fu esplosivo: la difesa dorata, che altri non era se non uno scudo rotante ad altissima velocità, andò in frantumi, la stessa arma fu seriamente danneggiata, mentre delle ferite profonde si aprivano sul corpo di Ryo, costringendolo al suolo, in ginocchio, sanguinante.

"Sei ancora vivo?", domandò stupito Yamata, "Anche contro il più potente dei miei attacchi sei sopravvissuto, perdendo ogni possibilità di difesa", osservò, notando gli scudi danneggiati, come le sacre vestigia della Bilancia.

Il figlio di Shiryu, però, si rialzò nuovamente, impugnando ora il Twin Rod, i nunchaku, che già agitava fra le mani; non disse parola alcuna al proprio nemico, semplicemente si lanciò alla carica, ma, per ogni colpo che scagliava, solo una pioggia di stelle ne seguiva: nessun attacco andava a segno sull’Hachibi, mentre questi riuscì a portare diversi fendenti alle gambe dell’avversario, prima che si allontanasse.

"Tutto è inutile, cavaliere d’oro, sei stato abile a costringermi a mostrare tutte le mie mosse, ma ormai non hai più speranze", lo ammonì, quando era ormai distante, Yamata, "Non credo, ora sei tu preda del mio attacco", ribatté prontamente l’altro, mentre già la polvere di stelle, aleggiante attorno al Jinchuuriki, iniziò a brillare.

"Lacrime di Drago", sussurrò il custode della Settima Casa, mentre l’energia di quelle stelle esplose attorno alla sua preda, scagliandolo tanto alto nel cielo da cadere ai piedi di una testa di drago dalla parte opposta della sala.

Ryo si trovava dal versante opposto della sala, vicino ad un’altra testa di drago, lì abbandonò i Twin Rod, portando le mani alla spada d’oro, che sollevò prontamente sopra il proprio capo; Yamata No Orochi, nel frattempo, si rialzò, e, impugnando anch’egli la Spada dei Kusanagi con ambo le mani, se la portò sul fianco sinistro.

"Ora cosa vuoi mostrarmi? Un’altra delle tue sei vie?", domandò il Jinchuuriki, "No, questo sarà l’ultimo assalto, portato con il colpo che appresi da mio padre, l’ultima tecnica del Drago Divino, utilizzata dal Cavaliere di Libra, come da molti altri suoi allievi", concluse seccamente Ryo.

"Ryutsuisen", esclamò il santo di Atena, "Kuro Jasen", replicò l’Hachibi.

In quel momento, mentre il Serpente Oscuro ed il Drago Dorato si scontravano a mezz’aria, dinanzi allo sguardo di Ryo passò l’intero anno che aveva vissuto addestrandosi a Goro-Ho, dove era stato anche una compagnia per l’ormai anziana madre, Shunrei, che sola aveva come unica speranza, nei suoi giorni sempre simili, quella di rivedere il figlio, ormai divenuto abile cavaliere di Libra. Ryo, però, non si sentiva così abile: fu per quel motivo che aveva rifiutato il titolo di Sommo Sacerdote, quando i quattro compagni dorati glielo proposero; sapeva di non reggere il paragone con i precedenti Oracoli della dea, né con Seiya, che con coraggio aveva guidato i compagni in molte vittorie, né con Shaina che per loro si era sacrificata dinanzi alle Furie. Sapeva inoltre di non valere quanto i cavalieri d’oro caduti; per questo, per completare l’abisso che vedeva fra se e coloro che avevano sacrificato se stessi, si era addestrato in quel lungo anno; per questo ora affrontava un mostro del mito, una creatura dalla malvagità indescrivibile, che lasciava passare i propri nemici perché per lei uccidessero Amaterasu, la divinità che falsamente difendeva.

Quel pensiero fu però interrotto dall’esplosione d’energia cosmica: l’intera sala andò in frantumi, per poco persino il soffitto non cadde sul piano sottostante, dove riposava Rai-Oh; solo degli arbusti, improvvisamente, ed opportunamente, apparsi dal nulla, salvarono quell’ala del castello dal crollare rovinosamente su se stessa.

Uno di quei tronchi, inoltre, bloccò il corpo dilaniato di ferite, ma ancora ricco del soffio vitale, di Ryo, lasciandolo adagiare in quelle mura dilaniate, dalla parte opposta, intanto, il corpo di Yamata privo di vestigia e dilaniato dalla potenza del drago d’oro, tale da inghiottire, con il proprio furore, il serpente nero, cadde al suolo.

La battaglia era conclusa, ma il cavaliere d’oro, privo di sensi, non se ne era pienamente resoconto.

"Sei dunque caduto, Hachibi, tu che fra i nove Bijuu eri il più pieno di te e carico delle tue insane idee, hai fatto di nuovo il passo più lungo della gamba, piccolo serpente. Come contro il Kyuubi la tua forza non bastò, ora nemmeno contro questo santo di Atena hai potuto vincere la battaglia; tutta la tua brama di potere non è bastata contro il desiderio di giustizia di questo giovane. Di una cosa però ti ringrazio, Yamata No Orochi, grazie a te ed a Kaku, lo Shichibi, dovrò ora fronteggiare solo due nemici, poiché dei guerrieri potenti come il santo d’oro e la guerriera pellerossa sono stati da voi indeboliti tanto da renderli incapaci di continuare.Onore a chi ha vinto voi, demoni traditori di Amaterasu", disse fra se, quasi stesse recitando un epitaffio per quelle creature ormai sconfitte, Kiten di Kitsune, mentre già dei passi risuonava sulla scalinata che a lui conduceva, da ambo le vie.