Capitolo 34: Fiori e Foresta

Un forte dolore, fu quella la prima sensazione che Sekhmet di Bastet riuscì a ricordare: sentiva il corpo intorpidito dal veleno di En dello Shachihoko, ma, malgrado questo, era viva; in qualche modo non solo aveva fermato il suo temibile avversario, era persino riuscita a guarire da quel fatale siero.

Tutto fu però più chiaro alla giovane guerriera egizia quando, nella confusione dei sensi, ancora sopiti per colpa del veleno, percepì come un faro di quiete e silenziosa attesa che brillava lì vicino, un cosmo così familiare che non le fu difficile riconoscervi Kano del Pavone.

Il santo d’argento di Atena si accorse solo in quel momento che la Pharaon si era ripresa, ne vide i deboli movimenti delle braccia, che annaspavano nel vuoto, verso di lui e con la mano destra andò a toccare quella dell’egiziana; "Non ti preoccupare, la tua battaglia è finita, Sekhmet, hai vinto sul Portatore di Luce che ti si era parato davanti", affermò il cavaliere, neppure sicuro che l’altra lo sentisse, "altri sono gli scontri che si sono ormai conclusi, con le nostre vittorie, solo un nemico è ormai rimasto a difesa di Amaterasu, ma questo non è un problema che c’interessi al momento, tu pensa solo a riprendere le forze", concluse il discepolo di Kaor, tornando a concentrarsi sulla serie di cosmi che confluivano nell’ultima sala, quella del Kitsune.

Esmeria di Suzaku e Joen del Pavone furono i primi a varcare la soglia di quella sala, la sala del Demone Volpe, che apparve loro in qualche modo simile alla stanza del Candido Rapace, dove poco tempo prima avevano lottato contro Rai-Oh: infatti, se la terza stanza era una gigantesca voliera adornata solo da grandi alberi, dove il Portatore dell’HakuHou poteva agilmente nascondersi per attaccare al meglio, l’ultimo piano era invece un gigantesco giardino, anzi, una foresta di alberi fra i più particolari e belli; lì poterono riconoscere Camelie, Salici Piangenti, Pini e Clematidi, fra gli altri alberi.

"Benvenuti nella Foresta della Volpe", esordì allora una voce, mentre una figura avanzava serena fra quei maestosi alberi, "io ne sono il custode, Kiten di Kitsune", si presentò il comandante dell’esercito di Amaterasu.

"Mia regina, lo lasci a me, lei deve raggiungere le sale della dea nemica", affermò poco dopo Joen del Pavone, guardandosi intorno ed avanzando verso l’avversario, "No", fu la secca risposta della figlia di Ikki, portandosi alla destra del Guardiano di Era, "tu hai già avuto la tua battaglia, lascialo a me, saprò fronteggiarlo al meglio", concluse la sovrana di Cartagine.

"Pensate veramente che uno di voi riuscirebbe a battermi? Non ho nemmeno bisogno di attaccarvi, basterà che le mie fedeli alleate vi tengano imprigionati, saranno loro stesse a schiacciarvi", tuonò in tutta risposta il Jinchuuriki, mentre espandeva il luminoso cosmo attraverso le mani.

A quell’unico gesto seguì una scossa di terremoto prima che, dal terreno sotto i piedi dei due guerrieri cartaginesi, fuoriuscissero delle possenti radici che subito si avvinghiarono ai loro corpi, stringendoli con incredibile potenza.

"Le anime della Natura?", domandò stupito Joen, memore della tecnica che apparteneva già ai Megrez e quindi a Medea, sua comandante fra i Goshasei.

"No, giovane stolto, la mia non è quella tecnica del Nord Europa; non ho bisogno di richiamare a me delle anime che risiedono negli alberi", lo ammonì Kiten, "io sono il Primo Guerriero della Regina Amaterasu proprio perché sono l’abile cultore della natura, un guerriero capace di domare ogni sorta d’albero e di fiore che gli stia intorno, una tecnica che, legata all’immenso cosmo donatomi dal Kyuubi, mi rende il miglior servo della Sovrana del Sole", spiegò il Jinchuuriki, mentre già le radici si stringevano attorno ai corpi dei due cartaginesi.

Una fiamma, però, esplose sul campo di battaglia, un fuoco che improvviso circondò una delle due prede del Kitsune, incenerendo le radici che la intrappolavano, la fiamma di Esmeria di Suzaku, ora libera e pronta alla battaglia.

"Joen, il tuo precedente scontro ti ha indebolito, non puoi certo affrontare anche questa seconda battaglia, quindi lascia a me quest’avversario, poi affronteremo assieme la divinità che ci è avversa, ma, per ora, mi occuperò di questo nemico", avvisò la figlia di Ikki, il cui cosmo fiammeggiante già brillava di volontà guerriera.

"Ardite parole le tue, Beast Keeper, ma ora vedremo quanto saranno utili contro un’intera foresta", avvisò con altrettanta determinazione il Portatore di Luce, espandendo il proprio cosmo, mentre già altre radici si scagliavano contro la Regina di Cartagine.

Esmeria compì dei velocissimi balzi, saltando per evitare le molteplici sferzate che quelle radici davano, apparendo all’improvviso dal suolo; alla prima di quelle lunghe fruste naturali, la Beast Keeper rispose con un veloce balzo, mentre una seconda appariva alle sue spalle, fu allora che, sfruttando la coda di Suzaku, la frusta che le apparteneva da anni, bloccò una di quelle radici e la utilizzò come leva per compiere una capriola a mezz’aria, planando poi nella zona in cui si trovavano i Salici Piangenti.

"Bene, tutto come previsto", sussurrò fra se il Portatore di Luce, mentre già il cosmo maestoso brillava attraverso la sua mano, "Yanagi no Mai", fu l’unica cosa che poi il nemico sussurrò, prima che, la piccola zona delimitata dai Salici iniziasse a brillare, circondata dalla luce di Kiten di Kitsune.

Esmeria, che si trovava all’interno di quel cerchio di alberi, capì solo dopo il suo errore, quando ogni singolo ramo di quei Salici iniziò a brillare e muoversi, occludendo ogni possibile uscita dal fitto di quella foresta ed iniziando a sferrare rapidi affondi verso la guerriera di Suzaku.

"La danza dei Salici Piangenti, uno della tecniche che ho perfezionato con il tempo, un attacco coordinato dei miei preziosi alberi, il cui cupo muovere delle fronde ricorda quasi una marcia funebre, marcia che ti porterà fino alle porte degli Inferi, Beast Keeper di Suzaku", avvisò allora Kiten, mentre inutilmente Joen, stremato per il precedente scontro, riusciva a liberarsi senza, però, poter portare soccorso alla propria sovrana.

Le movenze agili della figlia di Ikki sembravano inutili dinanzi a quella pioggia di affilati rami, pareva quasi che il cosmo del Kitsune, oltre ad animare gli alberi, riuscisse a rinforzarne la corteccia, aumentandone la potenza offensiva; ogni salto di Esmeria, in quel piccolo campo avverso, era un passo verso un nuovo nemico, non un allontanarsi dal ramo che l’attaccava, bensì l’aggiungerne un altro alla già numerosa cerchia di assalitori.

Quando ormai gli alberi stavano per avere il sopravvento, però, accadde qualcosa di inaspettato: dei bianchi petali, appartenenti ad un fiore che non faceva parte di quella vasta foresta, si disposero a difesa della sovrana di Cartagine, creandole un varco fra i Salici e permettendole così di uscirne.

"Danza dei Fiori", disse in quello stesso momento una figura, arrivata dalla scalinata sinistra, mentre un fiore del deserto dai bianchi petali rigirava fra le dita dell’uomo che aveva poc’anzi parlato: Hornwer del Cervo.

"Sovrana di Cartagine", continuò poi l’Hayoka, quando Esmeria era ormai fuori della foresta di Salici, "lascia a me questo nemico, tu continua verso le sale di Amaterasu, che sia una regina d’Occidente ad affrontarne una dell’Oriente. Io vincerò questo avversario e ti attenderò qui, con il tuo Guardiano", affermò con tono sereno il pellerossa, mentre la figlia di Ikki si voltava verso Joen, che concordò con un gesto del capo, "Bene", fu allora l’unica risposta della guerriera di Suzaku, prima di scattare in avanti.

"Voi siete pazzi se sperate che vi permetta ciò", tuonò allora Kiten di Kitsune, mentre già delle radici uscivano dal suolo per colpire la Beast Keeper in corsa. "Danza dei Fiori", fu l’unica risposta di Hornwer, mentre i bianchi petali si lanciavano verso le rampicanti, dilaniandole e correndo poi verso il Portatore di Luce, che solo con una barriera di acuminati rami, apparsi dal suolo, riuscì a sconfiggere il candido attacco nemico, ma ormai era tardi per fermare la figlia di Ikki, già scomparsa lungo la scalinata.

"Sembra che, alla fine, sarai tu, che ti avvali di questi fiori, il mio avversario", esordì il Jinchuuriki, osservando con ironia l’Hayoka del Cervo, che lo scrutava con impassibile attenzione di rimando.

"Hornwer è sceso in campo", affermava in quello stesso momento Peckend del Picchio, ai piedi della sala del Kamaitachi, "Sì, il suo intervento ha permesso alla figlia di Ikki di avanzare oltre; questo è stato un atto di coraggio da parte del tuo parigrado", concordò Real della Lira.

"No, cavaliere d’argento, come ti ho già detto, Hornwer non mi è pari per grado, bensì superiore: egli è uno dei quattro Comandanti Hayoka, per virtù solo altri tre di noi possono pienamente stargli alla pari; ma contro quel particolare nemico che si trova ora dinanzi a lui, di certo il comandante dei Guardiani della Primavera sarà il più ostico degli avversari, poiché entrambi hanno un’impronta cosmica vegetale", osservò il musico pellerossa.

"Ho conosciuto dei guerrieri che utilizzavano i fiori in battaglia, sono nemici ostici", osservò Real della Lira, mentre la sua memoria andava ad Alcyone dei Pesci, sua compagnia d’addestramenti sotto Sorrento di Syren.

"No, cavaliere d’argento, non credo tu abbia mai avuto modo di vedere guerrieri come i due che stanno per fronteggiarsi pochi piani più in alto", lo contraddisse l’Hayoka, "Che vuoi dire?", incalzò allora il santo d’argento, "Il nemico che è stato capace di creare qui, a ben due piani di distanza, una barriera tanto resistente, deve essere qualcuno dall’energia cosmica maestosa, mentre Hornwer è un guerriero la cui forza ed amore per la natura lo portano ad un contatto di quasi simbiosi con i fiori che sfrutta. Lui non combatte con i fiori del Deserto, si sente parte di loro, proprio perché per anni si è addestrato da solo nelle vaste lande sabbiose americane, senza alcuna compagnia che non siano quei fiori", spiegò Peckend.

"Si dice che alcuni uomini parlino con i fiori, in tal caso, si potrebbe aggiungere che questi a Hornwer rispondono", concluse con fare sibillino il guerriero pellerossa, restando attento alla battaglia che si combatteva poco più in alto.

Kiten di Kitsune osservava con impassibile attenzione il nuovo nemico che gli si parava davanti, ormai l’ironia iniziale era scomparsa dinanzi alla calma dell’Hayoka con cui stava per confrontarsi.

"Tu, guerriero pellerossa che tanto abile sembri essere nell’uso dei fiori del deserto, pensi davvero di riuscire a sopraffarmi in questa battaglia?", domandò ad un tratto il Portatore di Luce, "Sai di quali immensi poteri sono padrone?", incalzò ancora, espandendo il cosmo luminoso, che lo avvolse completamente.

Il cosmo di Hornwer fu la sua prima risposta: un’energia tanto elegante nel plasmarsi nell’ambiente circostante che quasi pareva appartenere a quella verdeggiante foresta, "Questo luogo che hai creato è di una bellezza inimitabile", esordì poco dopo l’Hayoka, mentre il suo sguardo si rendeva più sereno, "magnifica la combinazione di alberi e piante diverse, ben diverso e più ricco di vita rispetto ai piani inferiori, dove solo roccia, e acqua, ho potuto osservare", spiegò il guerriero pellerossa, con tono ben più cordiale; "proprio per questo, per la naturale interazione che anche tu sembri avere con la natura, ti chiedo, Portatore di Luce, di rinunciare alla folle battaglia che combattete: Amaterasu si è alleata con esseri infidi e mostruosi. La Bestia che anche voi desiderate liberare non avrà cura alcuna della natura, spazzerà via ogni cosa nella sua ricerca di vendetta, una vendetta che appartiene agli dei olimpici, non a noi, che dell’Estremo Occidente ed Oriente siamo la progenie", concluse con serietà inaspettata il nativo americano, rivolgendosi all’asiatico avversario.

"Anche se l’Essere che la mia Sovrana ha giurato di aiutare a risvegliarsi distruggesse l’intero creato, quello sarà il volere della Regina che servo più di me stesso, colei per cui si muove questo corpo; per il Sole d’Oriente sarei pronto ad affrontare e combattere qualsiasi nemico, poiché senza quel Sole, né le piante, né tanto meno la mia persona, avrebbero vita. Gli alberi ed i fiori sono per me una passione, ma ben minore dell’amore profondo che mi lega alla mia Sovrana, colei che mi strappò dall’oscurità dell’ignoranza e della solitudine", replicò con tono deciso Kiten, mentre il vasto cosmo andava confluendo attorno al braccio, su cui parve sbocciare un fiore dai petali dorati, subito seguito da quattro suoi simili.

"Ora, seguace delle divinità pellerossa, avrai modo di confrontarti con un ben più potente attacco, dinanzi al quale la danza dei salici è meno che un overture, un prologo a questa splendida e distruttrice potenza", continuò con determinazione il Jinchuuriki, mentre i cinque fiori sul suo braccio prendevano la forma di Camelie dorate.

"Attaccami pure, guerriero asiatico, ora ti mostrerò la follia delle tue parole, che contrastano con la grandezza dello spirito che percepisco tramite queste piante", affermò in tutta risposta Hornwer, mentre un altro fiore del deserto, dai petali viola, si manifestava fra le sue mani, "sarà proprio il soave nettare celato in questa mia mano a rivelartelo", continuò con tono deciso, per poi voltarsi verso Joen: "Guardiano di Era", lo avvisò, "cerca di trattenere il più possibile il tuo respiro", concluse, ormai pronto allo scontro dei due colpi.

"Tsubaki no Hana", esclamò con determinazione Kiten di Kitsune, "Winds of Pollen", fu la rapida risposta di Hornwer del Cervo; ma prima ancora che l’Hayoka potesse lanciare il proprio fiore, delle saette dorate volarono contro le sue vestigia, dilaniandole all’altezza di braccia e gambe, tanto da produrre dei profondissimi tagli nel corpo del guerriero pellerossa, tagli che, d’improvviso, parvero moltiplicarsi all’infinito.

Joen fu sbalordito nel vedere che quei petali dorati delle camelie, anche se lo avevano appena sfiorato, stavano ancora movendosi, carichi d’energia cosmica, attorno al proprio stelo, staccandosi con traiettorie sempre diverse, tutte puntate a perforare le difese dell’Hayoka e colpirne il corpo in più e più punti, finché, quando il corpo di Hornwer era ormai segnato da decine di profondi solchi, quella oscura danza di petali si quietò, lasciando in pace le carni martoriate del pellerossa.

"Anche il fiore della Camelia si palesa in una danza, una terribile pioggia di petali carichi della mia energia cosmica, capaci di cambiare di continuo direzione a seconda del movimento dello stelo, e, con cinque di questi posso attaccarti contemporaneamente da così tante direzioni che è pressoché impossibile la difesa", avvisò con soddisfazione il Portatore di Luce.

"Io, però, non cercavo alcuna difesa dal tuo attacco, ero troppo impegnato a portare a termine il mio", avvisò allora l’Hayoka, rialzando il volto ora ferito, "Che cosa?", tuonò stupito l’avversario, "Il profumo del fiore del deserto dai violacei petali è un’arma letale, o un sonnifero, secondo cosa desideri chi lo comanda, ma, all’occorrenza, può essere semplicemente un narcotico, che stordisce il nemico, rendendogli chiaro ciò che ha dinanzi, aumentandone la sua percezione di ciò che gli sta intorno e proprio questo farò con te: ti mostrerò la follia dei vostri piani e condividerò con te questa visione", spiegò con tono rasserenato il guerriero pellerossa, mentre già quelle parole apparivano lontane al suo avversario.

Quelle parole introdussero Kiten ad una visione di un luogo diverso: una foresta, spazzata via dal furioso cosmo fiammeggiante della Bestia, che apparve, agli occhi del Portatore di Luce, come una gigantesca ombra di cui solo i fiammeggianti occhi erano distinguibili; però, accadde qualcosa che nemmeno Hornwer, si aspettava: qualcosa, come una seconda coscienza, sopita attorno al guerriero asiatico, prese forma, confondendo quell’immagine futura con dei ricordi, ricordi di un passato lontano, in cui Amaterasu era venerata dagli altri dei per il calore del suo cosmo, il ricordo di un mostro dalla forma di Volpe e con Nove Code, il cui solo respiro distruggeva intere città.

L’Hayoka non riusciva più a controllare le immagini che passavano nella mente del suo avversario, poté solo osservare come i passati guerrieri di Amaterasu vinsero su quella bestia e su altre otto a lei simili, prima di quella, sigillandone gli spiriti nelle nove armature dei Portatori di Luce.

La memoria di Kiten, poi, si abbandonò a ricordi diversi: di una piccola città dove le sue capacità di comunicazione e di relazione con le piante, tramite un cosmo già particolarmente vasto, venivano rifiutate e lo portavano ad essere trattato alla stregua di un mostro.

Hornwer vide la triste e solitaria vita del suo avversario, abile come pochi nell’uso del microcosmo, seppur inconsapevole di ciò; una vita passata per intero fra le piante che sole sembravano seguirne le volontà, finché, un giorno, una luce accecante non illuminò il vasto giardino di cui il giovane Kiten si curava: una luce che lo chiamò a se, come un girasole che si sposta verso dove l’Astro supremo splende di più.

"Tu sai chi sono io, giovane guerriero?", domandò la voce che splendeva in quella luce, "Guerriero, io?", balbettò Kiten incapace di comprendere, "Sì, tu sei nato per servire me, la Regina Amaterasu, i magnifici poteri di vita che ti sono stati offerti sono quelli che più si legano alla grandezza della mia persona, capace, con la luce del Sole, di dare forza ad ogni essere vivente", spiegò la divinità, il cui calore stava ormai irradiando l’intera persona del suo giovane interlocutore.

"Segui la via che ti propongo, abbraccia questo cosmo caldo che ti circonda ed io ti darò un motivo per vivere, ti darò un legame potente come quello che tu hai con le piante, in te depositerò tutte le mie speranze", continuò la dea, mentre già il giovane avanzava senza paura fino a scomparire nella luce.

Il ricordo si spostò quindi in un’ampia sala, di certo quella in cui risiedeva la divinità, poco lontano dal luogo dello scontro; in quella stanza Kiten trovò ad attenderlo nove armature, rappresentanti altrettante creature mitologiche e, dietro queste, nascosta da un paravento dorato, la brillante figura di Amaterasu.

"Benvenuto nel mio castello, giovane guerriero, tu sarai il mio primo seguace, ma, prima di diventarlo, distendi la mano ed espandi quel cosmo che mi ha attirato a te, rivela la potenza massima di cui sei padrone, così che una delle nove armature ti scelga come suo custode", spiegò la divinità, "L’armatura mi sceglierà?", domandò perplesso il giovane Kiten, "Sì, in queste nove vestigia riposano i Bijuu, i demoni con le code che nell’era del mito i miei Portatori di Luce riuscirono a sigillare. Ora, quando espanderai il tuo cosmo, la sua forza attirerà tante più bestie quanto più forte ti rivelerai, ma solo il Bijuu più potente ti avrà come custode", spiegò la dea, "custode di un potere che, ne sono certa, tu saprai ben sfruttare", concluse, mentre già il ragazzo allungava la mano fra le nove vestigia.

Il cosmo di Kiten produsse un’animazione generale fra le nove armature, quasi che tutte anelassero di essere da lui custodite, finché, inaspettato e maestoso, giunse il ruggito feroce di una famelica fiera, che parve quasi ricordare il ringhio di una volpe, fu allora che, quietatesi le altre otto, la cloth di Kitsune, il Demone Volpe, si andò a porre sul corpo del giovane guerriero asiatico.

"Bene, come immaginavo, è stato proprio il Kyuubi, il più potente, quasi il sovrano, dei nove Bijuu, a sceglierti come proprio custode, così, ora tu, Kiten di Kitsune, sarà il Re fra i miei guerrieri, colui a cui solo mi rivelerò nella mia splendente persona", concluse la divinità, mentre in un accecante bagliore di luce scompariva il paravento, ma con quello anche il legame fra le memorie del Portatore e dell’Hayoka.

"Ma come?", balbettò stupito Hornwer, riavendosi da quell’immane memoria, "Per la prima volta sono rimasto legato a memorie che non volevo risvegliare", rifletté fra se, osservando il nemico, scosso, ma illeso fisicamente; "Non era uno scontro fra chi comandava meglio i fiori, quello che hai appena voluto fronteggiare, guerriero pellerossa, bensì una prova di forza fra la tua mente e le nostre. Quella mia e del Kyuubi che domino", avvisò allora Kiten, "il mostro a nove code che dorme dentro queste vestigia è parte integrante del cosmo di cui sono padrone, è grazie a lui se tutti i miei attacchi sono decuplicati di potenza; grazie a lui riesco a muovere, senza problema alcuno, le radici in battaglia con la volontà, grazie a lui la danza dei Salici è tanto ben coordinata e grazie a lui sono cinque, e non due, i fiori della Camelia che mando all’assalto", spiegò il Jinchuuriki.

"La forza dei Bijuu è devastante, un solo momento di debolezza può far impazzire un uomo, o renderlo schiavo della sua bestia; per questo i Portatori sono divisi per la debolezza del loro cosmo. Mai, infatti, non aveva nemmeno percepito la forza dell’Ichibi, mentre Ko, Hyui ed En non erano tanto potenti da risvegliarlo al meglio, non sentivano le voci di quelle bestie nelle loro teste; al contrario, Rai-Oh ed Aoshi ne erano coscienti, sentivano il continuo parlare di quelle creature mostruose, tanto che il tuo compagno è caduto per mano del Gobi, che ha preso possesso di Aoshi, mentre quel guerriero ha saputo aiutare l’HakuHou a riprendere il controllo del Rokubi.

Quando un Portatore di Luce entra in contatto con il proprio demone diventa un Jinchuuriki, ma si può venire schiacciati e restare servi di tale creatura, come è successo ad Aoshi e poi a Shime e Vasuki, che sono stati da poco uccisi dai vostri compagni, oppure prendere il controllo di questi demoni, come ho fatto io, riuscendo a sfruttare a pieno il potere del Kyuubi", spiegò ancora Kiten, mentre il suo cosmo diventava sempre più vasto, tanto da non apparire più nemmeno umano.

"La fede in Amaterasu, la devozione verso la dea mi ha permesso di capire che non è il corpo a muoversi, non è il cosmo ad animare le piante, né la voce del demone ad avermi scelto; ma la mia volontà, quella che mi ha donato la dea quando mi ha strappato dal vacuo e solitario andare della vita che mi era stata data, una vita di solitudine, poiché nessuno capiva le mie doti. Quella volontà mi fa dominare il Kyuubi e mi permette di sfruttarne il potere, potere che ora vedrai nel suo massimo utilizzo, attraverso il mio colpo finale", concluse il Jinchuuriki, ora pronto a sferrare l’ultimo attacco.

"Jyukai Koudan", esclamò, dopo una breve pausa, Kiten, lasciando esplodere il proprio cosmo.

Joen osservava lo scontro da alcuni passi di distanza, ma ciò che vide in quel momento fu per lui a dir poco assurdo: l’armatura stessa del Portatore di Luce stava generando, dal freddo metallo, decine di arbusti, radici, fiori e fogliame, come se dal guerriero stesse avendo origine una foresta, alimentata dal calore del suo cosmo.

Persino l’Hayoka del Cervo fu costretto ad indietreggiare dinanzi alla maestosità di quella foresta, che, lentamente, lo stava avvolgendo, "Avresti fatto meglio ad uccidermi con quel tuo polline, quando ne avevi la possibilità, guerriero pellerossa", esclamò il Jinchuuriki, mentre già il suo corpo pareva diventare un grande albero, palpitante d’energia cosmica; "Non è mai stata mia intenzione ucciderti. Anelo a risvegliarti dal lavaggio mentale a cui ti ha costretto la tua divinità, niente di più", spiegò allora Hornwer, continuando a distanziarsi dagli arbusti che cercavano di bloccarlo e mentre prendeva fra le mani il fiore dai bianchi petali, scatenandone nuovamente la Danza.

Un urlo, però, proruppe allora dalle labbra di Kiten, mentre il cosmo della Volpe a Nove code si risvegliava del tutto, decuplicando la velocità di crescita di quella foresta, che nel Portatore aveva le sue radici, una foresta che, in pochi attimi, riempì l’intera sala, bloccando i movimenti di ambo i guerrieri lì presenti.

Lihat del Falco Rosso fu svegliata da quella maestosa esplosione d’energia, "Comandante Hornwer", esclamò alzandosi di scatto, cosciente di quale grande cosmo fosse poc’anzi esploso poco sopra la sua testa, il cosmo del nemico di chi gli era superiore per grado.

La giovane sciamana non parlò oltre, semplicemente si appoggiò alla parete più vicina ed iniziò ad avanzare verso la stanza del Demone Volpe, "So bene che tu, mio comandante, sei abile nell’uso delle piante, ma altrettanto conosco la bontà del cuore che ti rende il più vicino alla natura vivente", pensò fra se colei che aveva vinto su Shime dell’Hari Onogo.

Anche Ryo di Libra fu risvegliato dalla potenza del cosmo nemico, "Sembra che la battaglia contro l’ultimo Portatore sia ardua, proprio come aveva preannunciato l’HakuHou", osservò senza nemmeno alzarsi il figlio di Shiryu, prendendo poi con ambo le mani il secondo tridente dorato, su cui fece leva per rimettersi in piedi ed avanzare verso il piano sovrastante.

"Non so quanto potrò essere d’aiuto ai miei alleati, così ridotto, ma di certo non posso abbandonare nessuno ad un così potente cosmo avverso", si disse il santo d’oro, iniziando, zoppicante, ad avanzare sulla scalinata.

Joen del Pavone sacro ad Era si ritrovò intrappolato fra decine di massicci arbusti che, quasi avessero una volontà comune, bloccavano il corpo del guerriero, impedendogli anche il più semplice movimento.

"Guardiano Cartaginese, sei ancora vivo?", gli chiese ad un tratto la voce di Hornwer, intrappolato da altrettante radici pochi passi più avanti, "Sì", fu la semplice risposta del figlio di Tige, "Bene, allora resta fermo in quella posizione, non cercare di liberarti, sarò io a risolvere la situazione con l’ultimo mio fiore, l’unico che avrei voluto non usare, poiché darà un’unica sentenza al fautore di tale foresta: la morte", concluse con tono chiaramente rammaricato l’Hayoka.

"Adesso basta parlare, guerriero pellerossa, troppo a lungo ho sentito le tue scuse dinanzi alla speranza di risvegliarmi dal torpore in cui mi ha, a tuo dire, intrappolato la mia Sovrana, ebbene, sappi che non seguo con delle catene mentali Amaterasu!", esclamò la voce di Kiten, mentre ben più strette le radici s’avvinghiavano alla gola di Hornwer, ardendo d’energia cosmica, "La Regina del Sole mi ha concesso un calore ed un affetto che mai nessun uomo mi diede, sono diventato il suo fidato primo guerriero, mi ha persino chiesto un consiglio sull’accettare o meno l’alleanza con Erebo e chi altri vuole risvegliare quella mostruosità; allora non parlai, poiché non gli uomini devono scegliere per gli dei, ma tuttora sono convinto che la volontà di Amaterasu sia stata la più giusta! Quando le divinità d’Oriente vedranno la furia di quel mostro dovranno accettare di nuovo la mia Sovrana come loro guida, come quando si scontrarono con i Bijuu, allora lei potrà rinunciare a questo suo spontaneo esilio, seguito alla caduta dei suoi poteri assoluti e tornerà a dominare sul Giappone. Poco importa se per allora io non ci sarò più, il mio spirito continuerà ad esistere in ogni scelta di Amaterasu, scelte che sempre condividerò", concluse la voce tonante di Kiten, mentre già le radici provocavano profonde ustioni e tagli sul corpo di Hornwer.

"Ciò che dici è segno di profonda lealtà, ma di altrettanta stupidità", sussurrò con tono triste l’Hayoka, lasciando cadere un fiore del deserto dai petali scarlatti verso il suolo; ma quel semplice atto fu interrotto da un fitto fogliame, apparso dal nulla e pronto a bloccare ogni attacco dello sciamano pellerossa.

"Pensavi forse che ti lasciassi concludere questo tuo attacco?", domandò la voce di Kiten, celata ancora nella maestosa foresta da lui generata.

"No, ma proprio questa tua azione ora ti mostrerà la differenza fra te, che hai rinunciato all’amore per la natura, adorando una dea, e me, che adoro i miei dei, ma per rispettare la vita anche della più insignificante delle erbacce che nascono dal terreno", affermò con voce secca l’avversario.

In quel momento il cosmo di Hornwer si espanse e, agli occhi di Joen, parve quasi che fosse fagocitato dalle piante, come se quel guerriero Hayoka stesse abbandonandosi a quella foresta, ma, in realtà, per ogni emanazione d’energia che lo sciamano distribuiva nella folta vegetazione, parte del dominio di Kiten sulle stesse andava scemando, finché, non accadde ciò che lo sciamano attendeva: il suo fiore dai petali scarlatti toccò il suolo.

"Horns of Flowers", sentenziò con voce serena il nativo americano, mentre il suo stesso cosmo sembrava irrigare il terreno sopra cui si era piantato il fiore, che, d’improvviso, esplose d’energia cosmica, prendendo la forma di un cervo di petali scarlatti.

Quella creatura si alzò in un balzo, scattando nella profonda foresta e scomparendo agli occhi di Joen, che poté ascoltare le parole dell’Hayoka: "Lo Spirito del Cervo, che richiamo attraverso i petali scarlatti, diventa un concentrato d’energia esplosiva, capace di nutrirsi e ricercare l’aura cosmica più potente e scagliarsi contro questa, per esplodere con essa. Un attacco dalla violenza sorprendente, il più devastante che possiedo, ma efficace", spiegò subito Hornwer.

Ci vollero quindi alcuni secondi prima che una detonazione prendesse forma in quella fitta foresta, dove sembrava quasi che gli alberi concedessero volontariamente il passaggio allo Spirito del Cervo; quando però avvenne tale esplosione, fu tanto fragorosa da distruggere il centro della folta vegetazione e, dopo questa, il cosmo di Kiten del Kitsune venne meno, liberando ambo i guerrieri dalla sua presa.

Fu allora che Joen e Hornwer avanzarono verso il loro nemico, trovandone il corpo squarciato per l’esplosione, "Ciò che ti ha portato alla sconfitta, guerriero del Demone Volpe, è stato il tuo attaccamento alla dea Amaterasu, un legame che ti ha indebolito dall’affetto che avevi verso le piante. Non hai mai compreso che le stesse foglie che curavi con amore erano una vittoria alla solitudine, se solo avessi aperto il tuo orecchio, avresti sentito, tramite il cosmo, le voci di queste foglie, di queste piante, che per quanto apprezzassero il legame che ti unisce Amaterasu, non potevano accettare la folle idea di distruggere tutto, solo per il bene di una dea orgogliosa. Per questo mi è stato concesso di colpirti, perché si impedisca che la Bestia, che tutto distrugge, si faccia di nuovo avanti in questo mondo", spiegò l’Hayoka del Cervo.

"Parole sagge le tue, immagino che così hai ingannato la mia foresta, ma, guerriero pellerossa, non mi è mai importato chi fosse nella ragione e chi nel torto. Io combattevo per Amaterasu e per la mia dea, ora, morirò", sussurrò con le ultime forze il Portatore di Luce, lasciando esplodere in un urlo il proprio cosmo: "che nessuno di voi aiuti la guerriera che già è andata avanti!", queste furono le ultime parole di Kiten del Kitsune, mentre la sua stessa pelle, l’armatura e tutta la sua persona diventavano una maestosa muraglia d’albero ed arbusti, che bloccava la strada verso la sala della divinità giapponese.

"Mia Regina", esclamò subito dopo Joen, pronto a superare quella barriera, ma una mano di Hornwer lo fermò, "No, Guardiano di Era, proprio perché tu, come Kiten, hai piena devozione verso la tua sovrana, dovresti capire che non spetta a te rovinare l’ultimo gesto di un nobile guerriero, inoltre è tempo che le due Regine si scontrino fra loro", lo ammonì l’Hayoka, fermandone il passo.

Nella sala del Candido Rapace, intanto, una lacrima bagnava il viso di Rai-Oh, "Kiten, tu che fra di noi eri il più potente, eri anche il più cieco, l’unico a fidarsi, in qualsiasi caso, di Amaterasu, una fiducia che ti ha portato a questo terribile sacrificio, una fiducia, che, purtroppo potrebbe non essere ricambiata dalla nostra Sovrana. Spero almeno che il tuo essere riposi in pace, amico mio, ora che sarai per sempre parte di questo castello, come magnifica vegetazione che lo custodisce", si augurò il Portatore di Luce stremato, mentre altre lacrime seguivano la prima ed un ultimo scontro stava per iniziare, nelle stanze della dea del Sole.