Capitolo 39: I veri nemici

Daidaros di Cefeo camminava da solo attraverso i sacri Territori degli Hayoka; il cavaliere d’argento stava riflettendo su quanto gli aveva detto, in una chiacchierata durata quasi due ore, lo Sciamano del Serpente, sulle diverse ipotesi che lo portavano a supporre che il vero nemico doveva ancora mostrarsi, con tutte le proprie forze.

"Vedi, giovane cavaliere, il modo migliore per vincere una battaglia è tendere una trappola al proprio avversario, e sai qual è la trappola migliore? Quella che non appare come tale. Se infatti tu avessi dalla tua parte un esercito di cento uomini, ma di questi sai che solo venti sono effettivamente portentosi in battaglia, mentre gli altri ottanta possono al più contare sul numero per indebolire lo schieramento nemico, uno schieramento magari di duecento uomini, allora che faresti? La cosa più ovvia è dividere quelle ottanta pedine su più fronti, due, o anche quattro, tutte potenzialmente vitali per il tuo avversario, così da costringerlo a mandare un numero almeno pari, se non superiore, di propri soldati per fermarli. Se poi a queste ottanta pedine aggiungi qualcuno dei tuoi venti soldati migliori, così da mettere ancora più in difficoltà gli avversari, allora avrai consumato una quantità poco considerevole delle tue forze per dividere al meglio quelle del tuo nemico.

La strategia migliore per creare un’apertura nella difesa nemica è quella di non lasciargliela vedere: tu non attaccherai mai frontalmente con la tua catena un nemico che si protegge con qualche scudo invalicabile, o almeno lo spero; piuttosto preferirai fargli credere che l’assalto è frontale e solo all’ultimo, quando lui non avrà modo di portare le difese in altra posizione, lo raggiungerai dove è più scoperto. In questo medesimo modo credo ragionino i nostri nemici: loro stanno usando Amaterasu ed Erebo, delle divinità spinte dai propri fini personali, non veramente devote alla Bestia, ma con degli eserciti abbastanza rilevanti da costringere voi, cavalieri di Atena, a mandare tutti i vostri alleati e la maggioranza dei Silver saints, contro di loro. Sicuramente solo quando anche gli ultimi scontri, quelli con le due divinità, che tuttora sento agitarsi, finiranno, i nostri veri avversari si faranno avanti, rivelando alcuni valenti soldati.

Anche allora, però, ci sarà un’incognita da svelare: il loro vero bersaglio potrebbe essere la nostra distruzione, oppure riprendere le chiavi e temo che, se i nostri avversari sono abili tanto quanto stanno dimostrando attendendo con tanta calma l’esito delle battaglie, allora potrebbero anche far finta di essere interessati ad ambo le opportunità", questa era stata la parte saliente del discorso che Vake aveva fatto al figlio di Shun, finché, una volta avvertito l’esito degli scontri, non gli aveva suggerito di raggiungere di nuovo i compagni nella zona centrale, dove si trovavano le Chiavi.

Questi ricordi nella mente di Daidaros, però, furono interrotti quando questi sentì una serie di cosmi oscuri esplodere intorno all’accampamento: ve n’erano sei, due diretti verso la zona centrale dall’alto e quattro che puntavano ognuno verso uno dei guardiani preposti ai confini del territorio Hayoka.

Il cavaliere d’argento sapeva di non avere il tempo per raggiungere la zona centrale, quindi corse il più veloce possibile verso il guerriero pellerossa che gli era più vicino in quel momento: cioè il guardiano della zona meridionale, Bow dello Storione.

 

Shiqo della Lontra aveva seguito il susseguirsi degli scontri dall’area settentrionale dell’accampamento, ma crollò al suolo nel momento in cui avvertì spegnersi la vita in Firon del Puma e da allora non aveva quasi più posto attenzione agli scontri successivi.

"Firon, tu che mi eri amico e compagno fra i Guardiani dell’Inverno, sei caduto, unico fra gli Hayoka finora; non posso non pensare che la causa di tutto ciò sia mia, io, che ti dovevo essere comandante, ho forse frenato per troppo tempo i fiammeggianti artigli del Puma? Ho sopito quelle zanne con ogni piccola incertezza che avevo nel comando? Dunque sarete tu e Whinga a pagare il mio fallimento?", si ripeté più volte lo sciamano pellerossa, stringendo i pugni e colpendo il terreno tanto da crearvi dei fori per l’ira.

La disperazione che quella perdita lasciò nel cuore di Shiqo fu appena placata dal sapere l’Hayoka dell’Oca Polare vivo e capace di redimere una dei loro nemici, "Whinga, tu almeno sei riuscito nel vincere, non solo un avversario, ma anche il male che lo condizionava, di questo ti faccio lode e molta di più te ne farò quando ci rivedremo, ma non posso non pensare che, al contrario di Firon, tu fossi uno spirito più libero e puro, come le candide ali dell’Oca Polare su cui ti libri con maestria", sussurrò fra se il comandante dei Guardiani dell’Inverno.

Le altre battaglie furono poi seguite da Shiqo con un misto di autocommiserazione e rammarico che lo portarono a non interessarsi tanto di come si susseguivano gli eventi, quando a sottolineare come i guerrieri fedeli alle divinità olimpiche e guidati da comandanti ben più bravi di lui, a suo dire, fossero ancora vivi, feriti ma vivi.

"Camus dell’Acquario, su di te il Sommo Sacerdote deve riporre immensa fiducia, poiché sei stato capace di vincere il terribile Erebo e tu, Esmeria di Suzaku, sei una così abile Regina e comandante da aver fatto ciò che persino a noi Hayoka pare impossibile: hai redento lo spirito di una divinità", disse fra se, analizzando le vittorie dei suoi due alleati contro gli dei nemici.

Quel momento di riflessione, però, non durò a lungo: subito una serie di cosmi maestosi ed oscuri si palesò attorno al campo indiano, ben due stavano per assalire la zona centrale; "Potente Waboose!", urlò preoccupato Shiqo che riconobbe l’essenza divina in ognuna di quelle sei presenze, ma non si curò di difendere la propria postazione bensì, in preda al rammarico, scattò con una velocità fuori dal normale verso la zona centrale, per andare in soccorso degli alleati che lì si trovavano.

Pochi attimi dopo la partenza dell’Hayoka della Lontra, una figura si stagliò all’orizzonte sul confine settentrionale, qualcosa che non apparve come umano, né bipede, bensì un gigantesco leone nero che avanzava con passo felpato, oltrepassando con facilità quei confini e continuando poi nell’invasione di quella zona, che gli era risultata più facile del previsto.

 

Nelle profondità della terra, nel luogo in cui la voragine dove era intrappolata la Bestia permetteva quasi di intravedere quell’oscuro mostro oltre la sottile coltre di fulmini, una figura femminile osservava, avvolta in un nero mantello, quella bocca oscura dove era imprigionato l’essere Mitologico.

"Madre", esclamò una figura entrando nella sala ed inchinandosi dinanzi alla donna, "Colei che ti serve ed i miei fratelli sono partiti, diretti verso il luogo in cui sono state portate le Chiavi", affermò il nuovo giunto, senza alzare il capo verso l’interlocutrice.

"Bene, molto bene. La mia alleata ed i tuoi fratelli sanno come portare avanti il nostro piano al meglio, ben presto avremo gli strumenti per spezzare quei dannati sigilli ed allora Zeus stesso dovrà inginocchiarsi ai piedi di colui che già una volta lo costrinse alla fuga. Riavremo la gloria e la vendetta che ci spettano, sul Signore dell’Olimpo e sui suoi figli tutti, Eracle per primo", ringhiò la donna, il cui viso era diretto verso il nero baratro, prima di voltarsi verso il figlio: "Gli altri due tuoi fratelli hanno ricevuto l’ordine di attaccare i sopravvissuti ad Erebo ed Amaterasu?", domandò, come a ricordarsi solo ora di quelle altre battaglie, "Sì, madre, staranno giusto per palesarsi ai loro nemici, per annientarli tutti, così che non possano riunirsi con quelli nelle terre pellerossa", rispose prontamente l’altro.

"Molto bene, tutto procede come previsto, mio signore e padrone", si rallegrò la figura femminile, rivolgendo le proprie parole agli occhi simili a lava vulcanica, che la scrutavano da sotto quei sigilli di fulmini, e ricambiandone lo sguardo con le sottili e taglienti pupille gialle.

Sul confine orientale del Territorio Hayoka, Taimap del Castoro aveva seguito con trepidazione il susseguirsi degli scontri, commentando ogni azione dei propri parigrado con una più che chiara punta d’invidia.

"Com’è possibile che Hornwer abbia accettato di portare con se Firon e Lihat?", sbottò ad un tratto, "Il primo ha combattuto con onore, ma è stato tanto avventato da cadere per mano del suo nemico, mentre la seconda ha riportato molteplici ferite nello scontro, seppur, devo ammettere, che non avrei mai creduto possibile che persino lei riuscisse a vincere uno dei Portatori di Luce", osservò, continuando a camminare sui propri passi lungo la zona che doveva difendere.

Dopo alcuni minuti di silenzio, però, Taimap affondò il piede destro al suolo, gridando alla sorte che lo aveva lasciato a difesa dei sacri confini anziché concedergli di combattere e, parve che quest’ultimo sfogo lo avesse stremato da farlo sedere su una roccia poco lontana.

Da quella posizione l’Hayoka del Castoro seguì il susseguirsi degli ultimi scontri, fino alla vittoria dei cavalieri sulle due divinità, "Tanto potente da sigillare Erebo è Camus dell’Acquario ed abile nell’uso delle fiamme Esmeria di Suzaku, ecco la sorte che avrei voluto avere per me, quella di evolvere le mie abilità fino a raggiungere questi stessi livelli di bravura", sussurrò con voce amareggiata.

Ma, mentre quelle parole uscivano dalle sue labbra, Taimap avvertì ben sei cosmi, oscuri e maestosi, invadere la zona in diversi punti, "Dei nemici? Qui, presso di noi? Quale fortuna! Dunque Erebo ed Amaterasu avevano altri soldati con loro, persino più potenti degli altri! Uno sta addirittura dirigendosi da me, perfetto", esultò l’Hayoka, mentre espandeva un sottile cosmo biancastro attorno a se, scrutando la figura che gli stava apparendo dinanzi; grande fu il suo stupore nel vedere un gigantesco animale nero con tre teste che ringhiavano in lontananza dirigersi verso di lui, grande lo stupore e la soddisfazione di poter infine combattere.

 

Fra le rovine dell’Isola di Mur, Whinga, ora libero alle gambe, si era seduto a terra, vicino a Kela dell’Alce e Blat, il nemico ormai sconfitto ed arresosi a loro, mentre Helyss era sdraiata, ancora stordita, a pochi passi dai tre.

Fu il rumore di qualcuno che si avvicinava a far voltare il trio di guerrieri: era Zadra che portava sulle spalle Kain, ferito e svenuto; "Generale dei Mari!", esclamò stupito Whinga, avvicinandosi alla sacerdotessa guerriero ed invitandola ad appoggiare al suolo il corpo del ferito, per tamponarne le ferite con il proprio gelido cosmo.

"Non lo curerà, ma almeno impedirà che il braccio e le gambe continuino a sanguinare in questo modo", affermò il nativo americano, mentre notava la profondità delle ferite.

"Il suo nemico deve essere stato davvero feroce", affermò stupita Kela, "Questa è opera di Zahn, ne sono più che certo, solo lui poteva perforare la pelle e l’armatura in quel modo", osservò subito dopo il Generale Oscuro sconfitto, "la sua ultima tecnica, deve aver usato quella, mi chiedo come costui lo abbia vinto", concluse, guardando le cure che l’Hayoka dell’Oca Polare compiva sul Mariner.

"Ottimo lavoro, Whinga", si complimentò una voce femminile, mentre le figure di Schon e Bifrost apparivano dal palazzo, reggendo l’una il corpo di Freiyr, segnato da una profonda ferita, tamponata con l’ametista, e l’altro le vestigia di Odino, che sosteneva con ambo le braccia.

"Re Freiyr", esclamò sbalordita Zadra, che mai aveva visto il sovrano di Asgard in condizioni così gravi, né pensava fosse possibile un simile avvenimento.

Quando anche il Re del Nord fu poggiato al suolo, nessuno sapeva come poterlo aiutare, "Dobbiamo portarlo il prima possibile da Lihat, solo le potrà curare a pieno quella ferita", esclamò Kela, inorridita per la mostruosità del foro che si era aperto fra le carni del figlio di Siegfried.

"Il potere di Vize era davvero temibile, costui deve essere un potente guerriero per aver vinto il mio maestro", sussurrò appena Blat, nello scrutare il corpo martoriato del God Warrior di Dubhe.

"Questo è certo, ma non è il momento per parlare di queste cose, guerriero nero, dobbiamo portarlo dall’Hayoka che lo potrà curare", lo zittì allora Zadra.

"Per questo, nobili cavalieri, posso aiutarvi io, vi farò d’avanguardia nel ritorno al nostro sacro Territorio", esordì una voce, mentre un cosmo divino si palesava fra i guerrieri, rivelando la figura del Coyote d’argento, che portava con se Camus, ferito, ma vivo e vincitore.

"Nobile Shandowse", lo salutarono con un inchino Whinga e Kela, mentre gli altri osservavano stupiti la divinità fra loro, "A dopo i convenevoli, eroici Hayoka, per ora dobbiamo occuparci dei nostri alleati feriti ed anche di questo guerriero nero, che pare anch’egli mal ridotto", suggerì il dio pellerossa, ricevendo un imbarazzato gesto di gratitudine da Blat per l’attenzione concessagli.

Un cosmo, però, invase quelle rovine, oscuro e terribile quanto quello di Erebo, se non di più, un cosmo che preannunciò un sussulto nel terreno prima che un maestoso e nero drago uscisse dal sottosuolo, ruggendo con furia dinanzi al gruppo di eroi e sbarrando loro la strada.

"Dunque era vero, vi erano altri nemici, oltre Erebo ed Amaterasu", esclamò stupito Shandowse, "Questi erano gli alleati del nostro oscuro signore, Schon?", domandò sbalordito il Generale del Pesce Sega alla sua parigrado, "Non lo so, Blat, ma di certo questi ci reputa tutti suoi nemici", replicò semplicemente la Manta Nera, osservando il mostro dinanzi a loro.

 

Sul versante Occidentale del territorio Hayoka, Vake del Serpente era ora rimasto da solo, a riflettere: "Di certo i nostri nemici, quelli veri, non saranno moltissimi per numero, ma, se vogliono attaccarci ed allo stesso tempo dividerci dagli altri, dovranno mandarne due in Giappone e nell’Oceano Pacifico, due che avranno lavoro facile su dei feriti", aveva iniziato fra se il nativo americano.

"Non di quelli però ci dovremo preoccupare per ora, bensì di chi ci sta per assalire: mi chiedo che tipo di abilità possiedano; so bene che fra i quattro versanti, i più deboli sono il mio e quello Orientale, dove Taimap, per la sua eccessiva avventatezza e lo spirito violento che possiede, potrebbe facilmente finire per fare il lavoro del proprio nemico, scoprendo fin da subito ogni sua carta e portandosi così sempre più vicino alla sconfitta. L’unica nostra fortuna sarebbe se il nemico non avesse elementi capaci di percepire gli stati d’animo degli avversari perché, da ciò che ora sento, se io e Taimap siamo i più deboli fisicamente, Bow e Shiqo sono quelli più facili da colpire per carattere: il primo è troppo incline alla compassione, l’esatto opposto del Castoro, ma le sue tecniche difensive lo aiuteranno di certo a resistere ad ogni attacco, anche se non vorrà replicare con altrettanti attacchi, mentre il secondo è troppo scosso, la morte di Firon lo ha portato a dubitare ancora di più delle sue qualità, non potrà di certo affrontare con serenità un nemico sapendo anche la zona centrale attaccata.

E su chi manderanno nella zona centrale ho più dubbi? Che tipo di nemici potrebbero tener testa a ben tre cavalieri d’oro allo stesso tempo, oltre che a due divinità?", queste erano le domande che Vake si faceva, tutti interrogativi che, dopo pochi attimi, ebbero risposta, quando i sei cosmi si fecero avanti nell’accampamento Hayoka.

Per alcuni secondi, Vake parve un vero serpente, che muoveva il capo in ogni direzione, come in cerca di qualcosa, poi sembrò tirare un mezzo sospiro, "Daidaros si è diretto verso la zona meridionale, lui almeno non rischierà particolarmente: Bow di certo lo proteggerà anche più di se stesso, tanto è il valore che dà alle vite altrui; ciò che più mi preoccupa è l’azione di Shiqo, si è diretto verso la zona centrale, lasciando la propria posizione scoperta, uno spazio che il nemico al Nord di certo sfrutterà e questo mi obbliga a dare più del massimo contro chiunque apparirà dinanzi a me", concluse, interrotto da un rumore stridente che proveniva dall’alto.

Con suo grande stupore, Vake del Serpente vide volteggiare nel cielo un gigantesco avvoltoio nero, un mostro che poco aveva dell’animale cui pareva somigliare, tanto era grande.

"Interessante ed inaspettato", sussurrò con un sorriso sarcastico l’Hayoka, pronto alla battaglia.

 

Il castello di Amaterasu era ormai crollato, senza la folta vegetazione generata da Kiten, sembrava che quell’imponente costruzione avesse perso il suo scheletro, crollando su se stessa, ma non vi era più nessuno all’interno e solo il gruppo di eroi che avevano avuto ragione della Sovrana del Sole e dei Portatori a lei consacrati parevano esserci all’esterno, intenti nelle cure dei feriti.

Lihat, infatti, dopo aver curato i tre che con lei si trovavano nella sala del Demone Volpe, stava ora controllando gli altri alleati. "Regina di Cartagine, lascia che curi quest’ustione", propose la sciamana del Falco Rosso alla figlia di Ikki, "No, prima di pensare a questa mia ferita, occupati di Sekhmet, pare che la guerriera egizia sia ridotta molto peggio", suggerì Esmeria, indicando la Pharaon di Bastet, ancora indebolita dal veleno di En dello Shachihoko.

L’Hayoka del Falco Rosso andò subito a curare l’alleata dalle origini egizie, mentre Ryo, Joen e Hornwer osservavano, assieme agli altri alleati, i resti del maestoso castello.

"Sembra incredibile che Amaterasu, alla fine, si sia ritirata di sua spontanea volontà", affermò sorpreso Real della Lira, "Hai ragione, cavaliere d’argento, se fin dall’inizio avesse compresso la grande della sua follia, probabilmente non saremmo arrivati a questo punto; non ci sarebbero stati dei caduti nei diversi schieramenti e soprattutto non si sarebbe tornati sui campi di battaglia", rispose a malincuore Ryo di Libra, mentre scrutava alcune delle armi della Bilancia, particolarmente danneggiate dallo scontro con Orochi.

"La battaglia, però, non è ancora finita, ora dovremo tornare all’accampamento, per aspettare l’assalto del vero nemico, quello che, secondo il potente Waboose, guidava i movimenti di Amaterasu ed Erebo", li informò subito dopo Wabun, rivelandosi in mezzo ai mortali, prima che, un cosmo oscuro e pari a quello del dio pellerossa, invadesse la zona.

"Sembra che non dovremo andare a cercarli, loro ci hanno già trovati", esclamò Peckend, pronto a riprendere la battaglia, prima che il suo ardore fosse interrotto dall’apparizione di una figura mostruosa: un gigantesco cane nero a due teste, che parevano ringhiare fameliche verso il gruppo di guerrieri.

 

Bow dello Storione aveva seguito l’evolversi degli scontri dal confine meridionale del territorio consacrato agli Hayoka, da lì aveva avvertito ogni nemico spegnersi e gli alleati ferirsi e per ognuno di loro il suo cuore si era rammaricato; alla morte di Firon del Puma, anche una lacrima bagnò la guancia dello Sciamano.

"Così, dopo Big Bear, che mi era compagno su questi confini meridionali, anche Firon ci ha lasciati; posso capire a pieno la sofferenza che appesantisce lo spirito di Shiqo; spero solo che nessun altro dei nostri compagni debba cadere, anzi, mi auguro che, come Whinga e Kela, anche altri sappiano far ragionare i loro nemici senza dover rubar loro la vita, un bene così prezioso che non può essere in alcun modo ripagato", sussurrò fra se il giovane Hayoka, continuando a seguire i vari scontri.

Quando anche Erebo fu sigillato ed Amaterasu si arrese, non vi era invidia nello spirito di Bow per chi aveva combattuto al posto suo, ma solo dispiacere, per le vite che erano state spente, e preoccupazione, poiché anche lui aveva iniziato ad avere delle ipotesi riguardo una terza forza nemica, malgrado non avesse la minima idea di quale questa potesse essere.

La perplessità dell’Hayoka dello Storione, però, fu presto risolta dall’esplodere di sei cosmi nell’accampamento, tutti oscuri e spaventosamente vasti.

"Hayoka!", urlò una voce alle sue spalle e Bow, voltandosi, vide sopraggiungere il cavaliere d’argento di Cefeo, "Attento!", continuò a gridare l’alleato, prima ancora che un sibilo costringesse lo sciamano a voltarsi.

Ciò che Daidaros aveva visto, la stessa cosa che ora Bow trovava dinanzi a se, era un gigantesco serpente nero dalle molte teste, forse nove, che si stavano dirigendo con famelica rapidità contro i due guerrieri, quasi fossero pronte ad ingurgitarli.

 

Elettra e Lorgash stavano cercando di seguire il susseguirsi degli scontri, malgrado le loro capacità percettive non permettessero un’analisi degli eventi pari a quella effettuata dagli Hayoka.

"Come credi stiano andando le due battaglie?", domandò dopo diversi minuti di silenzio l’amazzone, "Non avverto più molti dei cosmi dei nostri nemici, e sembra che le stesse divinità avverse stiano ora fronteggiando Camus e quella che credo essere la figlia di Ikki", rispose con un po’ di perplessità il cavaliere del Capricorno; "Hai una percezione più fine della mia", si complimentò la guerriera sacra ad Artemide con un sottile sorriso, "però, ho sentito qualcosa prima: un cosmo di uno degli Hayoka, penso, spegnersi", concluse lei con tono ora più triste.

"Sì, temo che uno dei nostri alleati partito per il Giappone sia caduto assieme al suo nemico", concordò, dopo una breve pausa, Lorgash; "Così, un’altra vittima fra i nostri compagni vi è stata, oltre che quelle fra i nemici. Anche gli Hayoka stanno conoscendo la terribile sensazione di perdere chi si considera al pari di un fratello, o di una sorella", osservò Elettra, chinando il viso triste.

A quelle parole, le mani del cavaliere di Capricorn si cinsero alle spalle dell’amazzone, attirandola a se, "So bene che ancora oggi soffri per essere l’unica sopravvissuta delle amazzoni, per loro e per la baccante e la guerriera di Apollo; come io rimpiango le morti di tutti i miei compagni, dai cavalieri di Atena a Jenghis e Koryo, che con me si erano addestrati presso il potente Shiryu", gli disse con tono gentile il santo d’oro, "ma in fondo, è per questo che ci siamo trovati, giusto? Eravamo entrambi solo nella vita, rimasti senza gli amici che ci hanno visto crescere come guerrieri", le sussurrò con un sorriso sereno Lorgash, mentre Elettra, rispondeva a quel sorriso appoggiando i rossi capelli sulle vestigia d’oro del Capricorno.

L’invasione dei sei cosmi nemici, però, interruppe quella breve pausa emotiva, costringendo entrambi i guerrieri a correre verso l’accampamento centrale, dove già Ash del Corvo e Botan di Cancer si erano preparati allo scontro ed in cui, ben presto, assieme al cavaliere ed all’amazzone, apparvero anche Golia del Toro ed il Bisonte Bianco.

"Infine, i nostri nemici sono giunti", esordì il dio pellerossa, mentre una gigantesca figura nera, simile ad una donna con il corpo di leone, comparve, misteriosamente, in mezzo a loro.

"Udite la mia voce, prodi guerrieri,

che lascerà liberi solo i vostri pensieri.

Ogni movimento vi è ora precluso,

poiché del Canto della Sfinge, è questo l’uso"

Queste semplici rime parvero giungere dalla figura immobile, mentre i sei riuniti attorno ad essa si rendevano conto di non riuscire più a muoversi, intrappolati da qualche misterioso incanto.

"Ben fatto, figlia della mia Nera Imperatrice, ora nessuno potrà fermarmi, riprenderò le Chiavi che imprigionano chi spazzerà via gli dei olimpici", esultò un’altra figura femminile, facendosi spazio dietro la maestosa e nera creatura che li aveva imprigionati.