Capitolo 43: Fuoco e lava

Tutti coloro che in quella lunga notte siciliana levarono lo sguardo verso l’Etna, dall’area ionica del messinese, le zone più rialzate di Taormina, Giardini Naxos, fino al catanese, partendo da Calatabiano e giungendo alle estremità di Catania, sarebbero di certo rimasti sbalorditi dinanzi al magnifico, seppur spaventoso, temporale di fiamme e lava che scaturiva dal vulcano. Lapilli d’ogni forma venivano continuamente vomitati, mentre decine di lingue di fuoco, dalle tre diverse bocche dell’Etna, scivolavano, distruttrici e prive di pietà, verso le zone abitate. La zona sciistica di Piano Provenzano, infatti, era già stata fatta evacuare e le forze dell’ordine dell’intera provincia di Catania stavano elaborando dei piani di protezione persino per il capoluogo di provincia, che avrebbe ben presto rischiato di rimanere sepolto sotto un fiume di lava ardente, come il resto dell’area toccata dall’Etna.

In quel susseguirsi di sguardi preoccupati verso il vulcano, però, nessuno avrebbe di certo notato un gruppo di sottili figure, vestite di brillanti armature, che correvano fra i fiumi di lava, dirette verso un’entrata, celata ai più, che conduceva alle grotte sottostanti l’Etna, consacrate al dio Efesto.

Le sette figure saltavano con incredibile agilità da un macigno all’altro, evitando di cadere nella lava ardente, finché, a pochi passi dalla loro meta, il gruppo si fermò.

"Non avrei mai pensato che proprio questo luogo, dove abbiamo trovato difesa dalla minaccia degli Horsemen, sarebbe stato il posto dove avremmo dovuto combattere un nemico altrettanto pericoloso", osservò Daidaros di Cefeo, mentre cercava con lo sguardo dei movimenti della propria catena, che, però, sembrava come impazzita, poiché s’agitava senza sosta, movendosi in ogni direzione.

"Inutile crucciarsi su questa casualità, cavaliere d’argento, in fondo, quando gli Horsemen vi diedero battaglia, la Bestia non s’era ancora risvegliata a nuova vita", rispose con tono quieto Bow dello Storione, che si trovava sul medesimo macigno del figlio di Shun, che, però, sembrava non ascoltarlo, tanto era rapito dal movimento della propria arma.

"La tua catena non servirà nel trovare i nostri nemici", lo avvisò subito l’Hayoka dallo spirito pacifico, "fin troppo vasto è il cosmo della Bestia: quest’eruzione vulcanica ne è la prova; solo quella creatura malefica può aver creato tanta distruzione, malgrado il suo potere sia ancora per lo più sigillato. È come se fossimo circondati dalla presenza nefasta di quell’essere, non potrai avvertire nessun altro dei suoi seguaci qui intorno", concluse Bow.

"Se questo è il potere che Tifone riesce a risvegliare con appena una minima parte del proprio cosmo, mi chiedo cosa succederebbe se egli si scatenasse del tutto", rifletté Lorgash di Capricorn, che avanzava vicino ad Elettra.

"Giusto dubbio il tuo, cavaliere d’oro", concordò impassibile Ash del Corvo, "ti basti immaginare quanto tremendo potrebbe essere un fenomeno vulcanico mille volte più potente di questo; basterebbe quello per portare alla morte milioni di persone lungo l’intera faglia che chiamano di Sant’Andra, creatasi nel momento in cui la Bestia venne sigillata sotto questo vulcano, ai tempi del Mito. Basterebbe quello perché una delle due razze che Egli vuole spazzar via scomparisse", spiegò, con terribile distacco, l’Hayoka, che avanzava solitario, come retroguardia del gruppo.

"Proprio per questo, amici miei, dobbiamo essere lesti a raggiungere le grotte d’Efesto e trovare il luogo in cui si trova Tifone", suggerì allora Golia, invitando tutti a continuare la marcia, ma Shiqo, che si trovava alla sua sinistra, gli indicò una figura che si avvicinava con balzi felini, fermandosi a breve distanza da loro.

La belva che apparve dinanzi ai cavalieri pareva un gigantesco leone la cui coda era però un serpente, mentre risaltava una testa di capra sulla schiena dell’animale.

"La Chimera", esordì sorpreso Daidaros, riconoscendo la mitica creatura, "anch’essa è dunque una delle belve al servizio di Tifone?", si domandò il figlio di Shun, "Sembrerebbe di sì", rispose Golia, dinanzi al santo d’argento.

Fu proprio il Sommo Sacerdote il primo a rivolgersi alla creatura: "Chimera, sono più che sicuro che non ci concederai di oltrepassarti, ma, almeno, non cercare di prenderti gioco della nostra intelligenza, sappiamo bene che non una belva abbiamo davanti, bensì un uomo al cui interno si trova lo spirito della bestia che il tuo cosmo ci rivela", avvisò il santo d’oro, mentre una sottile risata scaturiva dal mostro ferino, prima che la sua figura cambiasse.

Non vi era più una belva mitologica dinanzi ai cavalieri, bensì un giovane ed atletico giovane dai rossi capelli ondulati che scendevano eleganti fino alle orecchie; un guerriero il cui corpo era rivestito da scure vestigia rappresentanti la Chimera.

Il diadema, immerso nei rossi capelli, era il volto di Leone della belva, la spalliera destra, invece, reggeva la testa di Capra, mentre sul braccio sinistro si avvolgeva il serpente; ma, oltre le tre teste, l’armatura era composta dal corpo della fiera, che ricopriva petto e gambe per intero, lasciando scoperta solo la zona della vita e parte della spalla sinistra.

Il bel volto del giovane, però, era sfigurato dagli occhi, che parevano iniettati di sangue, segno della mostruosità che controllava quell’uomo, dominandone le azioni.

"Volevate vedere il volto dell’uomo che custodiva il mito, ebbene, cavalieri, vi ho reso questo favore, ma per voi sarà un segno di maggior disdetta, poiché, chi narrerà della vostra caduta, non potrà narrare di come fu uno dei figli del Messaggero ad uccidervi, bensì di come un uomo vinse altri uomini, sotto la volontà di una creatura mitologica", esordì con tono soddisfatto l’essere che dominava quel corpo umano.

"Parole forti le tue, figlio della Bestia, ma ben presto scoprirai com’è amara la sconfitta, che ti giungerà per mano di chi ha già dovuto gustarne il sapore", avvisò in tutta risposta Shiqo, facendosi avanti, subito fermato da una delle maestose mani di Golia, "No, comandante degli Hayoka, è tempo che anche noi, guerrieri di Grecia, compiamo la nostra parte: già troppe vite avete sacrificato e troppi scontri avete dovuto combattere voi pellerossa, lasciate che sia uno di noi, seguaci delle divinità olimpiche, a dar battaglia stavolta", propose il Sommo Sacerdote, mentre il suo quieto sguardo zittiva l’alleato.

"Concordo a pieno, sacerdote di Atena", esordì d’un tratto una voce femminile alle spalle di Golia e Shiqo, mentre una figura dalle vestigia argentee oltrepassava entrambi con un balzo, portandosi dinanzi al nemico: era Elettra del Cavallo.

"Lasciate a me questa battaglia, che il debito che ho verso di voi, cavalieri di Atena, che già diverse volte mi foste di soccorso in battaglia, si possa almeno in parte colmare, concedendovi d’entrare per primi nelle grotte, di trovare i nostri nemici e, se possibile, anche le tre Ancelle di Efesto, che ci sono alleate", suggerì allora l’amazzone, senza voltarsi verso il gruppo.

Lorgash ben sapeva che, sotto la maschera d’argento, segno di comando fra le amazzoni, il viso di Elettra sorrideva, poiché da tanto anelava alla battaglia e proprio questo avrebbe dovuto fargli intuire com’era strano il suo silenzio; il cavaliere d’oro non voleva lasciare l’alleata da sola in quella battaglia, tanto che stava per intromettersi, proponendosi come supporto in quello scontro, quando le parole del Sommo Sacerdote lo fermarono: "Sia, Amazzone, a te questa prima battaglia, ti attenderemo all’interno del Vulcano, dinanzi ad un altro nemico", concordò infatti Golia del Toro, invitando tutti a seguirlo con un gesto della mano.

"Forse non vi è chiaro, miseri umani, ma non è questione di lei, o voi, ma di prima e dopo", ringhiò infastidito da tanta sicurezza il nemico, espandendo il proprio cosmo che si rivelò simile ad una fiammata, mentre il rosso avversario si lanciava all’assalto, circondato da alte fiamme, quasi fendendo con i propri balzi la lava incandescente, pronto a colpire i cavalieri dinanzi a se.

Quando però Chimera era già in salto, apparve dinanzi a lui Elettra, "Forse, creatura mitologica, a te non è chiaro, ma non sei tu a sancire le regole di questa guerra", lo avvisò l’amazzone, sferrando un violento calcio all’addome, in parte scoperto, del nemico, così da rilanciarlo indietro, più per la sorpresa del suo attacco che per la velocità e la potenza.

Entrambi i duellanti toccarono due sottili macigni nel medesimo momento, mentre gli altri cavalieri oltrepassavano i due, correndo verso l’entrata alle caverne sotterranee; nessuno si accorse del brevissimo scambio di sguardi fra Elettra e Lorgash, quasi una silenziosa promessa di rivedersi, entro pochi minuti, all’interno dei molteplici cunicoli.

"Mi hai sorpreso, mortale, ma non sei riuscita a fare più di questo: la tua azione non porterà né gloria al tuo nome, né salvezza ai compagni che hai fatto avanzare, condannandoli a ben più dolorose morti per mano dei miei fratelli e sorelle", esordì, dopo alcuni attimi, Chimera, guardando con ironia l’avversaria.

"Lo pensi davvero? Eppure credevo che sapeste di essere stati richiamati perché nessun altro nemico era capace di batterci, così, la disperazione, ha spinto la Madre Terra a reclamare il supporto di colui che viene chiamato la Bestia", ribatté con altrettanto sarcasmo l’Amazzone.

"Egli è Messaggero di un nuovo avvento, un mondo migliore, privo di quelle sporche creature che sono gli uomini e le divinità, un mondo in cui solo le creature pure, generate per diretta discendenza da Gea e dal Tartaro, calpesteranno il suolo illuminato dal sole, libere finalmente dalle tenebre in cui l’anziano patriarca ci tiene rinchiusi, le sue tenebre, le stesse che mio padre, Tifone, ha dovuto osservare dalla sua prigione di lava e pietra!", la zittì con tono offeso Chimera, prima di prepararsi alla battaglia, espandendo il cosmo fiammeggiante.

Elettra fu ancora una volta più rapida, avvicinandosi con un balzo al nemico e cercando di colpirlo con un calcio sinistro all’addome, ma, la creatura, che già aveva subito quest’attacco, parò il colpo con l’avambraccio destro, stringendo poi con la mano sinistra la gamba nemica.

Vedendosi bloccata, Elettra effettuò un rapido movimento all’indietro, poggiandosi sulle mani, che per poco non andarono a toccare la lava incandescente, mentre sferrava un violento calcio con la gamba destra, colpendo il mento dell’uomo guidato dalla Chimera, che, sorpreso dall’attacco, barcollò indietro, lasciando la presa sulla nemica, così da permettere all’amazzone di portarsi ad una distanza di sicurezza con un rapido balzo.

"Ti concedo l’agilità come virtù, guerriera, ma cosa pensi di avere, oltre questo, per fronteggiarmi?", domandò ironico Chimera, mentre si massaggiava il mento, "Non hai ancora visto la potenza del mio cosmo, creatura mitologica, e già mi dai per spacciata?", replicò con tono sicuro l’Amazzone, lanciandosi all’assalto.

"Horse Fire Gallop", tuonò la seguace di Artemide, lanciandosi alla carica con i suoi molteplici calci fiammeggianti, che, però, non furono stavolta una sorpresa per il nemico, il quale si mosse con inaspettata prontezza di riflessi, utilizzando l’avambraccio sinistro per la difesa da così tanti colpi portarti alla velocità della luce.

"Ti faccio i miei complimenti, guerriera, ma è ancora troppo superficiale il tuo modo d’usare il fuoco", l’ammonì la Chimera, mentre il serpente sul braccio sinistro brillava d’energia cosmica, "Lingua di Fuoco", ringhiò allora la creatura.

Elettra, completamente sbilanciata nell’attaccare, riuscì appena a distinguere quella bocca di serpente sull’avambraccio nemico che pareva quasi animarsi, emettendo una gigantesca lingua di fuoco che, divampando con violenza, la investì alla schiena, gettandola indietro verso la lava incandescente.

L’amazzone dovette ricorrere alla propria energia cosmica, caricata sul pugno sinistro, per colpire appena la superficie incandescente, dandosi così la spinta per atterrare su un macigno.

Terribile fu poi la sorpresa nel cercare di rimettersi in piedi, poiché Elettra percepì un’ondata di dolore rovente per l’intera schiena, oltre alla sofferenza portatale dalla mano, ormai gravemente ustionata.

"Con un solo attacco mi ha inferto due gravi ferite, ormai non potrò più muovermi con la massima agilità con la schiena così dolorante", pensò l’amazzone, incapace di comprendere perché un singolo attacco le arrecasse tanto dolore.

"Ti sorprende forse la portata del mio attacco?", domandò beffardo Chimera, "Ciò vuol dire che non conosci la mia storia: io ero il fiero custode di un vulcano, in terra di Grecia, si diceva che il mio respiro eliminasse ogni forma di vita, poiché la devastante fiammata che sapevo produrre era tanto potente da lasciare solo cenere e morte al suo passaggio. Per intere vite di uomini dominai su quel vulcano, finché un uomo dalle divini origini, Bellerofonte, mi vinse, sfruttando l’aiuto di Pegaso, il cavallo alato. Fui sconfitto da due creature dall’origine divina, ben più potenti di voi, miseri mortali, che per tante ere tentaste di uccidermi, subendo la potenza del mio respiro che tutto ustiona e distrugge, proprio come ora sta accadendo alla tua schiena, di certo già segnata dalla profonda bruciatura che vi ho lasciato, attraverso l’armatura che indossi", spiegò con tono soddisfatto l’essere mitologico.

Nelle profondità del vulcano Etna, intanto, Tifone, ora seduto su un trono di pietra, era in silenzio, intento a soppesare, mentalmente, il proprio cosmo, sempre più prossimo a risvegliarsi, pronto a rivelare tutta la potenza di cui era padrone.

Vicina al figlio di Gea si trovava solo Echidna, inginocchiata alla sua destra, anche lei persa nei suoi pensieri.

"Cosa ti turba, mia sposa?", domandò d’un tratto l’essere definito la Bestia, "Sei forse preoccupata per i figli che abbiamo mandato in battaglia? Credi che Chimera, l’unico ad aver già iniziato a combattere, possa avere difficoltà alcuna contro dei miseri mortali?", incalzò con tono indagatore.

"Sì, mio signore, è la morte della nostra prole che temo", rispose l’Echidna titubante, "già è caduto l’Avvoltoio Nero, e ben in mente ho la sofferenza subita quando, nell’era del mito, gli eroi come Eracle e Bellerofonte rubarono la vita ai nostri figli, potrei impazzire se la subissi di nuovo", ringhiò a denti stretti la creatura.

La mano di Tifone cinse con ferocia la nuca di Echidna, sollevandone lo sguardo verso il suo, "Non devi temere per la vita dei nostri figli, se anche qualcuno di loro cadesse per mano dei vili mortali che ci invadono, sarebbe subito vendicato; inoltre, una volta che avremo ripreso la nostra forma reale, dopo aver spazzato via uomini e dei, penseremo a ripopolare questo mondo, con pura discendenza e, dominando sui vivi e sui morti, faremo tornare tutti i nostri figli caduti dalla bocca dell’Ade", spiegò la creatura, avvicinando il volto di lei al proprio.

"Chimera sta combattendo all’esterno, circondato dalla lava ardente, dove le fiamme che sa generare troveranno un ottimo campo in cui svilupparsi; porterà distruzione e desolazione, come è solito fare", concluse Tifone, prima che lui e la sua sposa si scambiassero un altro appassionato e reciproco morso.

Elettra del Cavallo era riuscita a mettersi in posizione di guardia, dinanzi al proprio nemico, intenta a studiarne le movenze, per quanto questi pareva spaventosamente sicuro di se e attendeva le morse della guerriera a braccia conserte; "Ebbene, avversaria, non attacchi più? Forse tutta la potenza che avevi risiedeva solo nella tua velocità?", domandò ironico Chimera, mentre scrutava la maschera d’argento dell’avversaria.

"No, non solo nella velocità risiede il potere di Elettra, ultima delle amazzoni di Artemide, ma ben più vasto è il suo repertorio d’attacchi", esordì la guerriera, espandendo il cosmo fiammeggiante e portando le mani dinanzi a se, "Fire Explosion", urlò subito dopo, creando la sfera di fuoco incandescente che si gettò con velocità incredibile contro Chimera, il suo bersaglio.

Il mostro mitologico sollevò ambo le braccia dinanzi a se, incontrando la violenza dell’attacco nemico, che lo costrinse ad indietreggiare, fino ad ustionarsi un piede nella lava ardente, prima che, il cosmo maestoso della bestia mitica, brillasse sul corpo dell’uomo che lo custodiva.

"Mi compiaccio che tu abbia anche questa virtù, guerriera, ma purtroppo ti sarà inutile dinanzi alla vera violenza di un attacco incendiario", minacciò l’essere mitologico, mentre la testa di capra brillava, quasi fosse viva, animata dal cosmo del mostro.

"Cornata Fiammeggiante", tuonò Chimera, mentre delle maestosa corna di fuoco oltrepassavano la sfera di Elettra, annullandola, ed investivano con violenza l’amazzone, sollevandola da terra, dilaniandone le vestigia e producendo nuove ustioni su braccia e gambe, prima di farla ricadere su un altro macigno, supina.

Solo il dolore di una spalla immersa nella lava ardente fece scuotere l’amazzone, facendole appoggiare la schiena contro la dura roccia, mentre il bene dei sensi la abbandonava.

"Alzati, Elettra", esordì una voce nella mente dell’amazzone, una voce che non apparteneva al nemico, bensì a Lorgash: in pochi attimi, infatti, la mente dell’ultima guerriera di Artemide aveva spaziato, riportandola a ricordi vecchi di quasi un anno.

"Alzati, Elettra", propose di nuovo il santo d’oro, mentre la guerriera, aprendo gli occhi, si rivide nelle foreste circostanti i monti Urali, i medesimi luoghi in cui aveva avuto il suo primo addestramento: si era da poco unita al viaggio di Lorgash, cavaliere d’oro che, dopo la sconfitta degli Horsemen, aveva deciso d’intraprendere una lunga marcia, attraverso l’Europa, e poi l’Asia, per prestarsi ad ogni sorta d’addestramento quel suo percorso gli avesse offerto. Elettra, che nel suo ultimo scontro aveva subito diverse ferite e perso anche Awyn, ebra di Dioniso ed unica sua compagnia sull’Isola di Andromeda dalla fine della guerra con Urano, aveva deciso di seguire il cavaliere d’oro, una volta scoperto il viaggio che questi stava intraprendendo.

Inatteso fu però il sentimento che nacque, durante questo particolare viaggio, fra i due: entrambi erano rimasti privi di tutti i loro compagni d’addestramento ed amici più cari, entrambi viaggiavano perché si sentivano guerrieri incompleti; poteva sembrare un gioco del destino, ma furono quelle circostanze a far nascere un legame fra Lorgash ed Elettra.

"Alzati, Elettra", ripeteva intanto, nella mente dell’amazzone, la voce del cavaliere d’oro, che, al terzo richiamo, si alzò, calpestando con i piedi, privi di calzari, il soffice terreno dei boschi russi.

"Stanotte non erano queste le parole che mi dicevi", esordì, con malizioso sarcasmo, la guerriera, sollevando la propria guardia, pronta a lanciarsi in un nuovo attacco, simile ai precedenti, che l’avevano vista cadere malamente a terra.

Lorgash non si mosse, quando vide caricare la guerriera, bensì parò con estrema facilità il suo calcio sinistro con l’avambraccio destro, per poi poggiare appena il palmo della propria mano libera contro l’addome di Elettra, così da farle perdere l’equilibrio, costringendola a poggiare tutto il peso sulla gamba ancora al suolo, la destra, che fu prontamente raggiunta da una veloce spazzata del cavaliere d’oro, così da far nuovamente cadere a terra l’amazzone.

"Dannazione", borbottò Elettra, prima che la mano di Lorgash l’aiutasse a rialzarsi: erano entrambi senza armatura, ma, al contrario dell’amazzone, il cavaliere d’oro pareva incredibilmente rilassato, oltre che illeso.

"Come fai a parare sempre tutti i miei attacchi? Anche quando uso una delle mie tecniche, non riesco a superare la tua spada sacra", obbiettò la guerriera di Artemide, "Semplicemente perché non conosci le tue piene abilità", gli rispose il cavaliere d’oro.

"Tu usi molto spesso i tuoi attacchi a sproposito, senza valutare le abilità dell’avversario e soprattutto scoprendo più e più angoli nella tua difesa", spiegò Lorgash, "Perché? Tu sei sempre attento alla difesa nei tuoi scontri?", ribatté la ragazza con superbia, "Sì, è raro che non valuti le differenze legate allo stile che il mio avversario mi mostra durante i primi confronti; con quasi tutti i nemici che ho affrontato, dopo i primi scontri, ho sempre saputo ponderare le distanze e le strategie di lotta migliori per fronteggiarli", affermò con calma l’altro.

"Quante battaglie hai vinto?", chiese poi il cavaliere d’oro, "Una sola, contro Judas dei Pesci Oscuri", rispose l’amazzone, chinando il capo delusa, "ma di ben più importanti ne ho perse, perdendo anche le mie amiche più care", concluse rammaricata.

Fu allora che le mani di Lorgash le si appoggiarono con gentilezza sul viso, "Non per riflettere su cosa hai perso ti ho chiesto di ciò, ma per come hai vinto: hai rischiato la vita sia per la vendetta che per chi ti era caro; ogni battaglia, se la combatti con tutta te stessa, che sia vinta o persa non avrà importanza, poiché potrai dire di aver dato fino all’ultimo bagliore del tuo cosmo per vincere", spiegò sollevandole delicatamente il volto verso di se.

"Entrambi cerchiamo di scappare da ciò che abbiamo perso, aggrappandoci a quanto ancora abbiamo, per questo vuoi ottenere una forza maggiore, giusto? Ma non posso offrirti ciò che già hai; il giorno stesso in cui capisti come far ardere il tuo cosmo hai aperto la strada verso una forza maggiore, una forza che, quando vuoi, puoi usare a tuo piacimento, unendola a delle ottime strategie; ti serve solo focalizzarle", suggerì il cavaliere d’oro, sorridendo all’amazzone.

Dopo quelle parole, Lorgash si allontanò di qualche passo da Elettra, "Ora, forza, combatti", la invitò con voce decisa, una voce che echeggiò nella mente dell’amazzone, riportandola al presente.

La guerriera sacra ad Artemide si risvegliò sulla dura roccia, ferita, già avvertiva un altro cosmo, non quello di Lorgash, che stava accingendosi a combattere una nuova battaglia all’interno del vulcano, ma, dinanzi a lei, si parava ancora il suo nemico, pronto a finirla.

"Un vero peccato per te, guerriera, che tu ti sia risvegliata, avrei potuto finirti senza farti soffrire oltre", osservò divertito Chimera, mentre nuovamente il serpente sull’avambraccio sinistro pareva animarsi, "Lingua di Fuoco", sussurrò il mitico nemico, "vai e colpisci la tua preda".

La biforcuta fiammata partì, diretta verso il proprio bersaglio, con precisione incredibile, ma Elettra non rimase immobile: "Spirito del Fuoco, ti invoco al mio cospetto, per una battaglia che freni il mostro che, in sacrilego modo, di te fa uso", invocò con voce sicura l’amazzone, "Spirit of Fire", esclamò infine.

Una barriera di fuoco s’alzo dinanzi ad Elettra, bloccando la lingua fiammeggiante, che su quell’alto focolare si perse, ma, la difesa non era l’unica cosa che l’amazzone aveva preparato, come quell’attacco non era l’unica mossa della mitologica creatura.

"Sei stata abile, guerriera, ma quel muro non basterà per fermare l’assalto della Capra", avvisò Chimera, "Cornata Fiammeggiante", tuonò allora, mentre dalla spalliera dall’aspetto ovino prorompevano le corna infuocate, ma, ancora prima che l’attacco potesse lanciarsi in avanti, la muraglia di fuoco di Elettra si spostò, avanzando come un’ombra sulla lava, circondando il figlio di Echidna e Tifone con un cilindro fiammeggiante.

La colonna di fuoco in cui era ora intrappolato Chimera, però, non ne fermò le intenzioni, poiché lesto l’attacco incornante partì, per finire, però, intrappolato fra le spire roteanti del cilindro infuocato.

"Non una sola è la forma dello spirito del Fuoco che domino", avvisò l’amazzone, "questa colonna rotante di fiamme limerà, fino a farlo scomparire, quel tuo attacco, schiacciando anche te", concluse Elettra, mentre già l’attacco nemico si perdeva nella sua barriera.

Chimera, però, non pareva preoccupato dalla nuova offensiva nemica, "Tu mi sottovaluti, guerriera", affermò piuttosto l’essere, "pensi davvero che solo quelle due siano le mie tecniche? Hai forse dimenticato la terza parte di me? Il Leone?", domandò con fare superbo, "Ruggito di Fuoco", tuonò poi il mostro che dominava un corpo umano.

Un ruggito echeggiò allora nell’aria, emanando una fiamma dalle dimensioni indescrivibili, tanto da inglobare in se il cilindro di fuoco, spegnendolo e dirigendosi con incredibile celerità verso Elettra.

L’amazzone, però, non subì passivamente l’attacco, bensì, facendo leva sulle gambe, e sulla schiena dolorante, spiccò un salto, subendo la fiammata sull’armatura, mentre con le braccia copriva il volto.

La guerriera di Artemide sentì il rovente dolore che le vestigia, fuse in alcuni punti, le portavano alla pelle, ma non per questo si fermò, bensì, quando era ormai vicina al nemico, caricò il più possibile il proprio cosmo, incurante del dolore.

"Per le anime dei compagni caduti e la forza di coloro che ancora vivono, ti richiamo un’altra volta ancora a me, forza del Cavallo sacro alla Caccia ed ai Boschi, fa che il fuoco del mio cosmo arda vittorioso", pregò l’amazzone, "Fire Explosion", tuonò infine, scatenando ancora una volta l’assalto verso il nemico.

"Stolta, hai già visto come questo attacco è inutile contro di me", avvisò Chimera, bloccando con ambo le mani l’assalto fiammeggiante, "inoltre, a mezz’aria, subirai la piena potenza del mio Ru…", ma le parole morirono in bocca alla belva, le cui gambe umane furono investite dalla lava incandescente, che le ustionò irrimediabilmente, lasciando cadere il corpo che ospitava Chimera verso il rosso fiume che lo circondava.

L’attacco di Elettra, non trovando più resistenza, colpì con violenta furia la schiena del nemico, che stava cadendo supino nella lava, aumentando la velocità di quella caduta, mentre l’amazzone, con un ultimo sforzo, compì una capriola a mezz’aria, atterrando malamente su un macigno poco lontano.

"Il muro di fuoco che prima ho sollevato serviva sì a bloccare il tuo attacco, ma allo stesso tempo ha martoriato ancora di più il sasso su cui ti sostenevi, Chimera, poi, la pressione del mio ultimo attacco ha completato l’opera, facendoti affogare nella lava", spiegò la guerriera dalla maschera d’argento, più a se stessa che al nemico.

"Brava, guerriera", ringhiò la voce, ormai spettrale, dell’uomo avverso, il cui volto era dilaniato dalle ustioni, mentre ancora affogava agonizzante nella lava, "alla morte di questo corpo tornerò nel Tartaro, ad attendere che il Messaggero compia il suo destino, ma mentre per me vi sarà un ritorno su questa terra, tu non vedrai il prossimo giorno: lascerò esplodere il mio cosmo, affinché la lava che si solleverà ti sommerga", minacciò il mostro nemico, mentre l’energia che proveniva dalla sua aura divenne tale da distruggere ciò che restava del corpo.

Un’ondata di lava incandescente si alzò, dirigendosi verso Elettra, che, stremata e ferita, non tentò nemmeno la fuga.

"Ho combattuto con tutta me stessa e vinto l’avversario che aveva promesso di battere, ma, Lorgash, temo che non potrò raggiungerti molto presto", sussurrò l’amazzone, che già stava chiudendo gli occhi dinanzi alla marea di fiamme e lapilli.

Un cosmo dorato, però, apparve alle spalle della ragazza, "Non è ancora il tempo di morire, amica mia", la apostrofò una voce femminile, prima di avvolgerla e scomparire con lei.

La lava investì la semplice roccia, mentre già un’altra battaglia si combatteva all’interno del Vulcano Etna.