Capitolo 45: Quadruplo scontro

La nera figura del Drago, apparso dal sottosuolo, primeggiava fra le rovine dell’Isola di Mur, mentre i guerrieri che lì avevano sconfitto Erebo ed il suo esercito osservavano sbalorditi il maestoso nemico, che niente aveva di umano.

"Non possiamo dare a lui la libertà del primo attacco", esclamò d’un tratto Zadra dello Scultore, scattando verso l’essere maestoso, seguita a ruota da Kela dell’Alce e Schon della Manta Nera: l’occasione aveva reso le tre guerriere, così diverse fra loro, alleate e coordinate nelle loro azioni.

"Grande Scalpello", tuonò la Sacerdotessa d’argento, "Lighting Blade", fece eco l’Hayoka, "Antartic Blizzard", concluse poi la Generalessa Oscura, mentre i tre attacchi, lanciati all’unisono, si dirigevano verso la gigantesca e mitologica bestia.

Grande fu lo stupore generale nel rendersi conto che sia il fendente energetico che l’attacco congelante si erano persi nelle profondità degli abissi, trapassando l’incorporea figura del gigante, mentre il colpo di Zadra era stato fermato da qualcosa, o qualcuno, che si trovava ai piedi della belva.

"Quella è solo un’illusione creata con l’energia cosmica del vero nemico", avvisò prontamente Camus, che osservava l’assalto delle tre, mentre queste si gettavano assieme all’interno della maestosa creatura che appariva dinanzi a loro.

Fu la guerriera asgardiana la prima a trovare il vero nemico, confuso in mezzo al suo stesso cosmo, caricando frontalmente verso il punto in cui il suo attacco si era fermato; Zadra, con in mano lo scalpello ed il martello d’oro, era pronta a colpire l’avversario, ma questi, complici la stanchezza e le ferite della sacerdotessa dello Scultore, le bloccò le braccia con estrema facilità, storcendole fin quasi a spezzarle.

Lesta arrivò intanto Kela dell’Alce, sollevando con la mano destra il maestoso Tomahawk, ma, quando era pronta a sferrare il proprio attacco, per atterrare il nemico con la possente arma, questi si spostò lateralmente, portando Zadra come scudo fra se e l’Hayoka. Al vedere l’alleata dinanzi a se, in pericolo di essere travolta dal suo attacco, la guerriera pellerossa fermò il proprio colpo, bloccandosi immobile a pochi passi dal misterioso avversario che, in tutta risposta, scagliò con incredibile violenza la Silver saint contro l’Hayoka, gettandole entrambe all’esterno del drago d’energia cosmica, facendole crollare sotto un muro di pietra.

Quando ormai l’attacco pareva essersi concluso, dalle tenebre di quel cosmo scuro apparve la tetra figura di Schon, che, giungendo alle spalle del nemico come un’ombra, lo bloccò alla cinta, espandendo poi il proprio gelido cosmo, "Calotta Polare", tuonò la Generalessa, mentre la fredda energia iniziava a dirompere.

L’esplosione del cosmo nemico, però, rivelò quanto questi fosse superiore all’allieva di Jacov per poteri, tanto da annullare l’attacco di lei e scagliarla, ad altissima velocità, contro un palazzo diroccato, che crollò seduta stante sulla Generalessa.

"Chiunque sia, non è nemico da poco", osservò preoccupato Bifrost, che a stento si mise a difesa del suo svenuto Re, assieme a Helyss, Whinga e Blat, mentre già Kain e Camus si portavano dinanzi a loro.

"Hai ragione, guerriero del Nord, questi, chiunque egli sia, è un nemico ben più pericoloso dei Generali Oscuri che abbiamo fronteggiato, il suo cosmo è pari a quello di un dio, ciò è certo", concordò il figlio di Hyoga, espandendo la propria gelida aura, "e per quanto non potrò portare su di lui l’Estinzione dell’Aurora, cercare di vincerlo con il Sacro colpo dell’Acquario è d’obbligo", concluse, sollevando le braccia dinanzi a se.

"Non sarai solo in questo assalto, cavaliere d’oro", continuò il figlio di Ikki, "poiché costui ha invaso il Regno dei Mari, rendendosi nemico di Nettuno, oltre che mio, che ora lo fronteggio poiché legato alla Bestia di cui cerchiamo d’impedire il risveglio. Inoltre, nella battaglia con Zahn, non ho avuto modo di effettuare il mio attacco più potente", concluse con una certa ironia il generale dei Mari.

"Aurora Execution", tuonò subito dopo Camus dell’Acquario, scatenando le Sacre Acque, che con furia si diressero verso il maestoso mostro, "Shark bite", continuò Kain, lo Squalo d’oro, lasciando esplodere l’energia del più potente e distruttivo dei suoi attacchi.

I due colpi, la cui forza congiunta era indescrivibile, malgrado il cavaliere d’oro fosse stremato ed il Mariner gravemente ferito, si diressero con incessante velocità verso il loro bersaglio, tanto che il gigantesco Drago nero si dissolse dinanzi ai loro occhi, rivelando una figura, umana, che, espandendo un cosmo dalle mitologiche fattezze, trattenne quella potenza indescrivibile.

Il confronto fra le due potenti offensive e la difesa del misterioso nemico produsse un’esplosione d’energia tale da scagliare i due guerrieri sacri a divinità olimpiche contro una parete alle loro spalle, entrambi stremati, mentre il loro avversario rimase immobile, probabilmente stordito, ma ancora ricco di forze.

"Vi faccio i miei complimenti, mortali, avete dimostrato temerarietà nell’attaccarmi malgrado le ferite, ma di certo quei due erano i più potenti fra voi", esordì l’avversario, iniziando per la prima volta a parlare, malgrado la sua figura fosse ancora celata nell’ombra delle rovine, mentre avanzava verso i quattro a difesa di Freiyr.

"Di certo, questi piccoli insetti che ancora si pongono sul mio cammino non saranno ostacolo più grande dei due che sono riusciti persino a scuotere la mia posizione, due uomini capaci di confrontarsi, quasi da pari, con Ladone, il Drago, figlio di Echidna e Tifone", concluse con un’esclamazione il mitologico nemico.

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I cinque cavalieri correvano ancora nella lunga galleria all’interno dell’Etna, mentre molteplici echeggiavano le scosse del suolo e la lava scorreva con sempre maggior violenza attraverso la roccia, fin ad essere sputata all’esterno delle bocche di pietra del Vulcano.

"Il cosmo della Bestia diventa ogni secondo più vasto e potente, sembra che niente riesca a fermarlo", osservò preoccupato Shiqo della Lontra, che avanzava accanto a Golia del Toro, "Temo anch’io che sia così", concordò il Gran Sacerdote, "proprio per questo dobbiamo accelerare il passo e sperare che i nostri compagni ci raggiungano presto", continuò, voltandosi verso gli Hayoka ed i due cavalieri di Atena che gli si trovavano alle spalle, mentre già s’intravedeva la fine di quel lungo tunnel.

Alle parole del Sommo Sacerdote solo Ash del Corvo parve non interessarsi, mentre un cupo gesto del capo fu la risposta di Daidaros ed un triste sorriso quella di Lorgash; Shiqo, al contrario, osservava sbalordito quanta fiducia pareva trasparire dalle parole e dalle azioni di Golia.

Le riflessioni dei cinque, però, s’interruppero quando questi uscirono dalla galleria che avevano percorso, trovandosi uno spiazzo trapezoidale di pietra che si apriva su cinque gallerie diverse, di cui, però, ben quattro erano sigillate da grossi macigni.

"Sembra che il nostro percorso sia ancora una volta obbligato", sussurrò con una vena ironica il Sommo Sacerdote, mentre il figlio di Shun si voltava verso il cunicolo appena oltrepassato, "Sì", gli disse d’improvviso Lorgash, "le due battaglie alle nostre spalle sono ormai da tempo concluse, ma, oltre ai cosmi dei nostri nemici, non percepiscono nemmeno io quelli di Elettra e dell’Hayoka", spiegò il cavaliere d’oro, mentre la voce quasi gli moriva in gola data la preoccupazione per l’amazzone.

Un sibilo, d’un tratto, interruppe la parole fra i due, mentre una figura calava dall’alto sui cinque, la gigantesca figura della Sfinge, che, planando in mezzo ai suoi nemici, espanse il proprio cosmo, mentre già la sua voce echeggiava nella sala.

"Ponete attenzione, cavalieri!

Che le mie parole siano ascoltate

E le movenze di voi, guerrieri fieri,

Siano, all’istante, incantate"

Quelle parole, come già era successo nell’accampamento Hayoka, ebbero un immediato effetto sui corpi dei cavalieri che le udirono, paralizzandoli all’istante.

"Ma cosa?", riuscì appena ad obbiettare Daidaros, mentre il suo corpo s’irrigidiva innaturalmente, "Di nuovo in trappola", ringhiò infastidito Lorgash, incapace anche alle più semplici movenze, mentre una risata echeggiava dall’unica via libera.

"Ben fatto, sorella, ora che il tuo Incanto li ha bloccati, sarà un lavoro ben facile per me sbranarli, uno dopo l’altro", sussurrò una dura voce maschile, mentre un nero e maestoso Leone avanzava verso le proprie prede, con passo calmo e sicuro, subito osservato dagli occhi, stranamente sgranati, di Ash del Corvo.

"Noi, i figli gemelli dell’Echidna, la Sfinge ed il Leone Nemeo, siamo di certo i più potenti fra i seguaci del Messaggero", continuò con lieta calma la nera fiera, "non avrebbero dovuto mandare Chimera e Cerbero prima di noi", ridacchiò l’essere celato nel suo stesso cosmo.

La risata fu però interrotta da un cosmo che, inaspettato e potente, riempì la sala, illuminandola di una luce dorata, prima che, dal nulla, due guerrieri feriti apparissero, sorretti da una donna coperta da vestigia d’oro; quest’ultima puntò il proprio indice verso la figura della Sfinge, "Death World Waves", esclamò la Sacerdotessa di Atena, scomparendo con la creatura mitologica dall’ampio spiazzo.

"Sorella?", domandò sbalordita la voce del Leone Nemeo, "Sfinge, dove sei?", tuonò ancora, mentre già la capacità di muoversi liberamente tornava ad essere propria dei cinque che avevano subito l’Incanto della Sfinge.

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In quella che era stata la grotta dove si celava la dea Amaterasu, i dieci cavalieri riunitisi per sconfiggere la divinità asiatica, osservavano con attenzione il mostruoso Cane nero a due teste che ringhiava contro di loro.

"Quella forma è…", analizzò titubante Real della Lira, "Sì, semplice facciata, un’immagine creata mediante l’espansione del cosmo di chiunque ci sia dinanzi", si sbrigò a concludere Ryo di Libra, mentre il gruppo avanzava verso il nemico.

"Il vero ostacolo sarà trovarlo all’interno del suo stesso cosmo, che lo copre come un mantello e ne cela quasi la posizione", aggiunse Lihat, che aveva da poco terminato di curare gli alleati, restando visibilmente spossata da quel continuo uso delle proprie abilità guaritrici.

"Non per me", esclamò d’un tratto Sekhmet, scattando solitaria e veloce in avanti, gettandosi con violenza contro la belva famelica.

La guerriera egizia affondò con uno scatto all’interno della figura d’energia cosmica: proprio come contro En dello Shachihoko, non erano i sensi umani a guidarla adesso, ma una percezione più profonda ed animalesca, un istinto quasi primordiale, che la conduceva all’assalto con incredibile velocità, pronta ad una rapidissima carica.

Un fendente di luce scaturì dalla mano della Pharaon di Bastet, un artiglio di luce che si diresse verso la figura al centro della belva nera, artiglio che, però, cozzò prontamente con una zampata nera come la notte, estinguendosi contro quest'ultima.

Quando però il primo colpo, oscuro, si spense contro quello di Sekhmet, un secondo attacco, di accecante luce, si scagliò contro la guerriera egizia, travolgendola all’esterno della figura d’energia cosmica.

La Pharaon di Bastet riuscì solo con un abile capriola ad evitare di cadere malamente al suolo, mentre già Peckend e Real si portavano ai lati del nemico; "Che le nostre note possano fermarne l’avanzata", augurò il musico olimpico al parigrado pellerossa, ma, prima ancora che il loro attacco partisse, due fasci di luce, uno dorato e l’altro oscuro, proruppero dai fianchi della creatura, dirigendosi con violenza verso i due guerrieri.

Solo l’arrivo di Kano, dinanzi a Real, e Lihat, a difesa del proprio parigrado, permise ai due musicisti di evitare quella coppia d’attacchi, ma impedì loro di rispondere con acute note, poiché la devastante potenza dell’attacco produsse il crollo delle pareti alle spalle delle due coppie di guerrieri, sotterrandoli al di sotto della roccia.

"Cavaliere d’Atena", esclamò Sekhmet, lanciandosi verso il luogo dove erano stati sotterrati i due Silver saints, mentre un nuovo artiglio d’energia correva contro di lei.

Un drago dorato, però, proruppe da dietro la Pharaon, difendendone l’avanzata, un drago generato dal cosmo di Ryo di Libra.

"Fin troppo quest’essere ha osato attaccando i nostri compagni", esclamò il cavaliere d’oro, già pronto a sferrare un nuovo assalto contro il misterioso nemico, "Concordo con te, santo di Atena, permettimi quindi di esserti accanto in questo attacco", aggiunse subito Hornwer del Cervo, il cui cosmo già richiamava a se molteplici fiori, "Sì, cavalieri, attacchiamo insieme, solo così, dati i nostri cosmi sfiancati, potremo avere speranze contro costui", concluse Esmeria, la cui fenice infuocata già aleggiava intorno a lei.

"Rozan Hyakuryuha", esclamò subito dopo il figlio di Shiryu, "Hoyoku Tensho", aggiunse la figlia di Ikki, "Danza dei Fiori", concluse l’Hayoka, mentre già i bianchi petali si univano agli attacchi degli alleati.

I tre assalti, però, indeboliti dalle precedenti battaglie, si confrontarono con la furia della coppia di zampate, una dorata e l’altro oscura, che il mostro nemico scatenò contro gli avversari.

Il confronto fra le forze energetiche era immane, bagliori d’ogni sorta scaturivano da quella prova di forza, mentre i cavalieri indietreggiavano affaticati dinanzi alla resistenza avversaria, finché una figura non si pose dinanzi a loro, Joen del Pavone sacro ad Era, che prontamente sollevò il muro difensivo di cui era padrone fra loro ed il nemico.

"Joen", esclamò la Sovrana di Cartagine, "Non si preoccupi, mia regina, lasci a me la difesa, a voi spetterà solo l’attacco", rispose laconicamente il Guardiano di Era, mentre il confronto di forze portava ad un’esplosione tanto eclatante da far quasi crollare su se stessa la grotta.

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Nelle profondità della terra, Tifone ed Echidna sorseggiavano ancora della linfa vitale del malcapitato uomo che era diventato il loro nettare.

"Mio Signore", esordì d’un tratto la donna, "ho avvertito proprio ora che anche la Sfinge è scomparsa da questo luogo, affondando di nuovo nell’Ade, un nostro terzo figlio è scomparso, dopo Chimera e Cerbero; e già il Leone Nemeo, come Ladone e chi abbiamo mandato in Giappone, sono intenti in potenti battaglie", osservò preoccupata, come ogni madre per i propri figli, Echidna, porgendo la coppa al proprio sposo.

"I tuoi sensi sono indeboliti dai sentimenti per i nostri figlia, mia sposa", la ammonì con un beffardo sorriso Tifone, "non avverti come il cosmo della Sfinge non si sia spento, ma semplicemente stia per scatenarsi in una battaglia sulla bocca dell’Ade? No, solo due dei nostri figli sono finora caduti, ma, quando avremo portato un nuovo ordine nel mondo, essi torneranno alla vita, come molti altri mitologici e fedeli esseri che Zeus, e le altre misere divinità, hanno sigillato nel Tartaro. No, mia sposa, non temere, placa la tua paura di madre, ed ascolta questo susseguirsi di battaglie con lo spirito della creatura potente quale sei, proprio come faccio io", suggerì allora colui che era definito la Bestia, mentre ancora di più il suo cosmo s’espandeva, scotendo con maggiore intensità la dura pietra dell’Etna.

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"Bow", esordì Shiqo, appena fu capace di muoversi, reggendo il parigrado con l’aiuto di Daidaros, che, sorrise all’Hayoka dello Storione, ferito, ma vivo, "Ho vinto il mio nemico senza doverlo uccidere", furono le semplici parole del guerriero pellerossa, soddisfatto del proprio risultato.

Ben più silenzioso fu il modo in cui Lorgash resse Elettra, ferita e stremata, mostrandole un sommesso e preoccupato sorriso, "Te lo avevo promesso", furono le semplici e sussurrate parole che l’amazzone rivolse al cavaliere d’oro, prima che Golia si affiancasse ai due.

Il Leone Nemeo era ormai prossimo al gruppo di nemici, ringhiava al loro indirizzo con furia famelica, mentre la maestosa figura della nera fiera scrutava con rabbia gli antistanti, una rabbia che oltrepassava l’inganno della forma cosmica, raggiungendoli tutti.

"Avanzate", fu la laconica parola che, d’un tratto, proruppe dalle labbra di uno dei sette guerrieri nella zona rocciosa, la parola che giunse da Ash del Corvo.

"Che cosa?", incalzò il mostro, "Pensi forse, misero uomo, di potermi rallentare mentre i tuoi compagni scapperanno? No, nessuno di voi andrà via, finché non m’avrete ridato mia sorella", ringhiò ancora la belva.

"Avanzate", fu l’unica cosa che Ash ripeté agli altri, mentre faceva un passo verso il nemico ed un brivido di gelo coglieva Daidaros e gli altri cavalieri che lo osservavano.

"Sommo Sacerdote, è meglio seguire il suo consiglio, il tempo non è a nostro favore e, se l’Hayoka del Corvo ha deciso di combattere da solo, non avremo di che temere da questo nemico", suggerì allora Shiqo della Lontra, dopo aver scambiato un veloce sguardo con Bow, che, titubante e ferito accennò d’essere d’accordo con il capo.

"Non ve lo permetterò", ringhiò ancora la nera belva, ma, ancora prima che potesse agire, la tetra ombra di Ash si gettò contro il nemico, penetrando e diradando la figura cosmica che circondava il vero avversario e schiantandosi con quest’ultimo contro una delle pareti della caverna, che quasi si frantumò per la violenza dell’impatto.

I restanti cavalieri si scambiarono fra loro dei veloci sguardi, prima di correre, tutti assieme, verso la galleria che li conduceva sempre più vicino alla loro meta: il rifugio della Belva.

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Tutto ciò che la Sfinge riusciva a ricordare era una figura che, apparendo dal nulla, aveva interrotto le risa di suo fratello, prima di puntarle contro un dito e pronunciare parole a cui lei non aveva dato peso; poi, il nulla, solo un bagliore di luce prima di ritrovarsi nelle fredde lande dell’Ade, luogo tetro e pieno d’anime che vagavano, in cerca di quel riposo che mai le avrebbe salvate.

Una cosa però era certa all’essere mitologico: la stessa creatura mortale che le aveva fatto ciò, si trovava ora dinanzi a lei, bardata di un’armatura d’oro e d’una maschera del medesimo prezioso materiale.

"Odi le mie parole…"

Iniziò la mitologica creatura, ma in un bagliore l’avversaria si spostò, portandosi alla sua destra, "Inutile sarà in questo luogo l’uso del tuo incanto, figlia della Bestia, non potrai intrappolarmi con le suadenti parole che più volte ti ho visto usare; sia perché un colpo già noto non ha più valore contro un cavaliere, sia perché in questa valle non ascolto, né vedo con i sensi mortali, bensì con le doti della mente e dello spirito", spiegò la Sacerdotessa d’oro, "perciò, Sfinge, preparati a combattere con me, che per troppo tempo ho indugiato dinanzi ai nemici, preparati a combattere con Botan di Cancer", esordì con voce sicura la guerriera di Atena, mentre espandeva il proprio cosmo verso la creatura nemica.

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I sei cavalieri correvano con sicurezza all’interno della galleria di pietra, "Siete sicuri di voler lasciare il vostro compagno a combattere da solo contro il Leone Nemeo? Secondo il mito, era l’unico figlio della Bestia che poteva vantare l’invulnerabilità", osservò Lorgash, che aiutava Elettra nell’avanzare.

"Non il corpo è il bersaglio degli Hayoka in battaglia, bensì la mente del loro avversario, una mente da riportare verso la rettitudine", lo ammonì Bow, che avanzava poco più avanti, "inoltre, se solo l’invulnerabilità è la dote di quella creatura, allora troverà in Ash del Corvo un nemico altrettanto implacabile", concluse con un triste sorriso il guerriero pellerossa.

"Comunque, l’arrivo della Sacerdotessa del Cancro è stato di grande aiuto a tutti noi", rifletté con un sorriso gioioso Daidaros, "Sì, è riuscita a liberarci dalla difficoltà che l’Incanto della Sfinge era per tutti noi", concordò Golia, che guidava il gruppo.

"E ci ha anche avvisato", aggiunse Elettra, "di non preoccuparci per i gruppi inviati contro Erebo ed Amaterasu: degli alleati stanno andando in loro soccorso", concluse l’amazzone, mentre quelle parole rincuoravano i presenti.

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Il confronto fra i cosmi dei tre cavalieri e quello del mostro nemico aveva quasi fatto crollare l’intera caverna di Amaterasu, per alcuni interminabili secondi, sembrò quasi che nessuno era sopravvissuto a quell’esplosione, finché un bagliore verde scaturì dalle macerie, rivelando il maestoso scudo energetico di Joen del Pavone, scudo che aveva protetto sia il Goshasei, sia le tre persone alle sue spalle.

"Dove sono gli altri?", chiese, rialzandosi a fatica, Ryo della Bilancia, mentre un cosmo argenteo apriva un varco nella pietra, rivelando le figure di Kano, Real e Sekhmet, stremati, ma vivi, ed rosso cosmo di Wabun planava sul terreno, portando con se Lihat e Peckend, entrambi svenuti.

Quando, però, la sicurezza si stava impadronendo del gruppo d’eroi, potente tuonò un cosmo fra le macerie, mentre la figura del loro nemico usciva dalle stesse sbriciolandole; non più circondato dall’ingannevole figura del Cane a due Teste, bensì semplicemente bardato delle nere vestigia che ancora si confondevano nell’ombra.

"Avete saputo mettermi in difficoltà, guerrieri mortali, più di quanto immaginassi", si complimentò la figura, "ma ora basta giocare, preparatevi a subire l’ira terribile di Ortro, il Cane a due Teste figlio di Echidna e Tifone", ringhiò il nemico, pronto a scatenare un nuovo attacco contro gli avversari stremati.

Un cosmo giunse però a fermarlo, mentre una schiera di raggi di luce verde costringevano il nemico ad indietreggiare, lasciando spazio al nuovo giunto, un guerriero la cui energia cosmica lasciò presto spazio a vestigia color dello smeraldo.

"Ti ergi a giudice, giuria e boia, mostruosa creatura, ed il tuo arrivo nelle terre d’Oriente mi ha impedito di continuare la pacifica vita di marito e padre che avevo scelto per me stesso, ritornando a vestire gli abiti di guerriero dello Zodiaco Cinese e servitore delle schiere che appartennero all’Imperatore di Giada, e di Giada sono le mie vestigia, rappresentanti il Cinghiale", esclamò, palesandosi, la figura di Dorton, Runouni e sposo di Mamiya del Topo, ora giunto in soccorso dei passati alleati in questa nuova battaglia.

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Ladone, il mitologico drago figlio di Tifone ed Echidna, avanzava con passo sicuro verso i tre deboli nemici che, dinanzi a lui, difendevano Freiyr di Dubhe, ferito e svenuto, mentre già anche Shandowse riprendeva forma umana, dinanzi ai quattro guerrieri mortali.

"Dunque, tu, un dio minore, vuoi sfidarmi per difendere questi tuoi seguaci?", domandò ironico il mostro, mentre ancora la sua figura era celata nell’ombra, "Sì, ti combatterò se sarà necessario, figlio della Bestia", replicò l’altro, prima che un cosmo invadesse la zona, apparendo, circondato da una luce smeraldea, aliena a quel cosmo, ma che fin lì lo aveva trasportato.

"Non vi sarà bisogno dell’intervento di un dio in questa battaglia", esordì la voce del nuovo giunto, "basterò io per fermare questo essere che s’atteggia a portatore di morte e di guerre, io che della Guerra sono da sempre il Signore fra le schiere celtiche e che più e più debiti ho verso il Re d’Asgard che ferito si trova ora al suolo", esclamò con tono sicuro il nuovo arrivato.

"Sarò io a schiacciare questa lucertola travestita da drago", concluse con beffarda ironia la voce, "E chi saresti tu poter fare ciò?", incalzò infuriato Ladone, "Taranis del Nocciolo", concluse il Tree Monk, mentre il cosmo che fin lì l’aveva trasportato scompariva, permettendo di osservarne la figura.