Capitolo 46: Voce, Anima, Spirito e Mente

Le gelide lande dell’Ade sarebbero, di lì a poco, diventate il teatro di uno scontro che molto aveva di particolare, sia per la natura delle guerriere che si sarebbero affrontate, una Sacerdotessa d’oro di Atene ed una creatura dalle Mitologiche origini, sia per il tipo d’attacchi che queste avrebbero mostrato; ma tutto ciò era per ora ignaro alle guerriere, che si osservavano passivamente.

Botan di Cancer riusciva adesso, per la prima volta, ad osservare il vero aspetto della sua nemica, la Sfinge; questa aveva preso il corpo di una giovane donna dai lunghi capelli castani, che sinuosi le scivolavano sulla tetra armatura, un’armatura composta da grandi ali sulla schiena, mentre il tronco era ricoperto da vestigia simili ad una pelle di leone, per la forma che avevano, come i guanti ed i calzari, che rappresentavano le zampe della fiera.

Una maschera di leonessa, infine, le copriva gli occhi, la fronte ed il naso, lasciando scoperte le pallide guance, le carnose labbra ed il mento, mentre un sorriso si disegnava sul volto della Sfinge.

"Dici che il mio canto sarà inutile qui, nel regno dell’Ade, giovane mortale?", domandò con sarcasmo la nemica, "Ben poco, però, tu sai delle virtù offensive che ha la mia voce possiede!" , ammonì con sicurezza, mentre, come la Sacerdotessa d’oro, anche lei espandeva il proprio tetro e vasto cosmo.

"Qualunque incanto tu voglia usare non avrà effetto in questi luoghi, figlia della Bestia", avvisò Botan con fare sicuro, "poiché non con i sensi si percepisce il mondo in questa tetra valle, bensì con lo spirito." , concluse la Custode della Quarta Casa.

"Con il corpo siamo però giunti fin qui nell’Ade e ben presto del tuo corpo niente resterà, mia sciocca avversaria!", minacciò l’altra, mentre un ultrasuono incredibilmente potente prorompeva dalle sue labbra.

Botan fu dapprima sorpresa da quell’attacco così immediato, ma non si perse d’animo, bensì, utilizzando la telecinesi, si trasportò lontano dal punto d’impatto del colpo.

Grande fu però la sorpresa della Sacerdotessa nel vedere, alla fine del suo spostamento, la Sfinge dinanzi a lei che, sorridente, la investì con un potente diretto all’addome, scagliandola indietro di diversi passi, prima di emettere un nuovo urlo che stavolta raggiunse l’avversaria, sollevandola da terra e gettandola al suolo a decine di passi di distanza.

"Troppo mi sottovaluti, donna, se pensi che bastino le tue misere doti psichiche per sfuggirmi;", ammonì la creatura, "forse, fra le rumorose correnti di lava dell’Etna, mentre i tuoi compagni si contorcevano, schiavi dell’Incanto, e mio fratello s’avvicinava a loro con passo feroce, mi era impossibile sentire il sopraggiungere di nuovi avversari, ma adesso, in questa vuota vallata, ho orecchie solo per te e facilmente sento ogni tuo piccolo ed insulso movimento, anche quelli che fai con la mente, anche quelli delle ossa che si frantumano sotto i miei colpi!", concluse, mentre già l’avversaria si rialzava.

"Vorresti dirmi di sapere dove mi sposterò perché lo senti con l’udito?", domandò stupita Botan, rimettendosi in posizione di guardia.

"No,", fu la semplice risposta della Sfinge, "come tu stessa hai detto, in questo luogo non si ascolta con i sensi, ma i suoni sono parte stessa del mio cosmo, li avverto attraverso lo spirito. Sento l’aere attorno a te che s’infiamma per il propagarsi della tua energia cosmica, sento il pugno che si chiude, il respiro affannoso per il colpo subito, persino il battito del cuore e l’attrito del corpo con l’armatura mi sono noti; ed oltre questo, il soffiare di questa gelida aria sulla pietra, il lamentarsi delle anime lontane. Devi capirlo, donna, io non uso i suoni per combattere, io sono il Suono!", tuonò la creatura, in un crescendo vocale che si concluse quasi in una nota, un attacco tanto potente da travolgere di nuovo al suolo Botan.

"Inoltre, questo luogo in cui mi hai portato, mi è molto più congeniale del mondo mortale per combattere. Lì, per evitare che le orride percezioni visive di voi uomini mi rallentassero, ho dovuto sigillare la luce di questo corpo ospite", ridacchiò la creatura, mentre già la Sacerdotessa d’oro si rialzava.

"Che cosa?", domandò perplessa Botan, mentre la sua nemica si toglieva la sottile maschera rivelando un viso deturpato da della pelle che, innaturalmente, era cresciuta a congiunzione delle due palpebre, chiudendole del tutto alla luce.

"Il mio cosmo alimenta questo perfezionamento, lasciando questo corpo i suoi occhi tornerebbero come prima, ma di certo non ci sarà questo problema, poiché nel momento in cui tornerò ad essere la Sfinge, costei sarà una sporca e misera preda, niente di più." , rise con soddisfazione la figlia di Echidna.

"Tu, orrendo essere", ringhiò allora Botan, espandendo il cosmo dorato, mentre si lanciava in un rapido attacco.

"Cancer’s Light!", tuonò la Sacerdotessa d’oro, sferrando il colpo offensivo che, fu prontamente evitato dalla Sfinge, quasi riuscisse veramente a leggere nei movimenti della sua avversaria.

"Non puoi sperare di battermi così, donna", esordì la Creatura, "percepisco la traiettoria e velocità dei colpi prima ancora che tu finisca di sferrarli, inoltre, finché il tuo spirito sarà così debole ed insicuro, finché non vorrai veramente colpirmi, anche solo tentare ti sarà solo d’affanno." , concluse.

"Sai forse leggere nella mente?", domandò stupita Botan, "No, ma avverto l’insicurezza che trapela dal tuo respiro e dai movimenti incerti, il tuo corpo parla per te, ogni suo piccolo rumore è un’ammissione di incertezza, seppur non so cosa ti faccia tanto titubare, pensavo che avessi un piano ben più congeniale ad una guerriera portandomi in questo luogo. O forse mi hai solo sottovalutato, piccola mortale?", incalzò la Sfinge.

"In vero, figlia della Bestia, ambo le ipotesi sono esatte: avevo sì un piano per liberare quel corpo dalla tua presenza senza ferirlo, ma ho altresì sottovalutato le tue doti; non immaginavo certo che possedessi un udito tanto fine", spiegò con voce rammaricata la Sacerdotessa d’oro.

"Vorresti ferirmi senza danneggiare questo corpo? Questo era il tuo piano?", domandò stupita l’avversaria.

"Certamente." , fu l’immediata risposta di Botan. "Non ho mai desiderato ferire un solo essere umano, per difenderli ho scelto di essere uno dei dodici custodi dorati di Atena e per questo stesso motivo in tante battaglie ho tolto solo una vita, per di più con mio immenso rammarico; una colpa da cui non si sento ancora libera…", spiegò con tono triste.

Un urlo di rabbia senza pari, un tuono in confronto ai sottili ultrasuoni giunti fino a poco prima, un attacco che però si mosse ad una velocità pari a quella della luce, raggiungendo la guerriera di Atena prima ancora che se ne udisse il rumore.

"Questo, piccola donna mortale, era il Grande Urlo della Sfinge, un assaggio della fine che ti darò per queste tue parole!", ringhiò furiosa la creatura, "Tu che osi dare più valore ad una vita mortale che alla mia, come pensi di sopravvivere? Distruggerò ogni tuo osso, fino a lasciar solo cenere delle tue membra!", esclamò, espandendo ancora di più il proprio cosmo.

"Perché tanta rabbia, Sfinge?", domandò allora la guerriera d’oro, "Non accetti forse che io dia più valore ad una vita mortale, privata della propria libertà da te, che a quella che tu, discendente di divinità immortali, hai già avuto modo di vivere ed ora cerchi di riottenere a danno d’altri?", incalzò la Sacerdotessa di Cancer.

"Le vite mortali sono corrotte! Quale valore hanno queste brevi e luride vite in confronto a quella mia e dei miei fratelli? Noi che a causa di luridi uomini e vili divinità elleniche siamo stati costretti all’ululante abisso del Tartaro, mentre a voi è stato concesso di perpetrare nel tempo, generazione dopo generazione, abominio dopo abominio!", ringhiò ancora una volta, mentre un nuovo potente urlo prorompeva verso Botan, con incredibile violenza.

La Sfinge, però, non parve interessata al proprio attacco, infatti, mentre ancora echeggiava l’urlo prodotto, già una smorfia di stupore si dipingeva sul viso deturpato della fanciulla che la custodiva.

"Com’è possibile?", si chiese l’essere Mitologico, "Un colpo usato una volta, anche se di così alta portata, non ha più effetto contro un cavaliere", fu la pronta risposta che Botan, spostatasi alla sinistra della nemica, diede, "inoltre, nel momento stesso in cui ho avvertito la tua ondata d’energia mi sono mossa, non con la telecinesi, bensì con un semplice balzo, sfruttando le mie doti psichiche per bloccarti nelle Chele del Granchio, imprigionando il corpo che hai rubato." , concluse la Sacerdotessa d’oro.

"Ebbene? Ora che farai? A nessun cavaliere è concesso utilizzare due attacchi al qual tempo, inoltre potrò ben presto liberarmi ed anche a questa distanza sei una facile preda per la mia voce!", ammonì con sicurezza la mitica creatura.

"Non avrai tempo di attaccarmi, poiché ora subirai su di te un colpo nato dopo il fallimento contro Silas, uno dei Quattro Horsemen, la tecnica con cui avrei voluto liberare subito quel corpo." , spiegò la Sacerdotessa d’oro.

"Un attacco nuovo? Era dunque questo che avevi tenuto come ultimo inganno?", incalzò ironica l’altra, "Non un nuovo colpo, piuttosto l’unione di due tecniche che già possedevo e che ho perfezionato in un unico attacco dagli effetti non letali…", spiegò sibillina Botan, mentre già il cosmo dorato faceva vibrare le chele psichiche intrappolavano la Sfinge.

"Scissione Astrale!", tuonò con tutta la voce che aveva in corpo la Sacerdotessa d’oro, mentre un rombo echeggiava intorno alla Sfinge.

 

Correvano nella galleria i sei guerrieri guidati da Golia del Toro e Shiqo della Lontra, avanzavano sicuri, mentre sentivano già espandersi i cosmi dei compagni lasciati dietro di loro, intenti in maestose quanto straordinarie battaglie.

"Non deve essere lontana l’uscita da questa galleria, già vedo la luce dinanzi a noi!", esordì Elettra, mentre già Lorgash si fermava, assieme a tutti gli altri.

"La stanchezza ti inganna, amazzone, quella luce non indica l’uscita, bensì è il manifestarsi di un cosmo", affermò preoccupato Daidaros, mentre già la sua catena si muoveva con fare agitato.

"Esatto, giovane mortale, ma, ho pensato, fosse giusto presentarmi a coloro che tanto s’animano per incontrarmi; in fondo non arriverete mai dinanzi a me, ma per aver sorpassato ben quattro dei miei figli, mi pare dovuto un saluto!", esclamò con chiaro sarcasmo una voce, mentre la luce si plasmava, prendendo l’aspetto che, in quel momento, aveva il corpo in cui era ospite Tifone.

"La Bestia!", esclamò disgustato Shiqo, "Sì, so che è con questo nome che voi, miseri omuncoli di terre lontane, oltre l’Atlantico, siete soliti rivolgervi a me, ma, proprio perché questo sarà il nostro unico incontro, vi concederò di utilizzarlo ancora", concluse con tono ironico l’essere mitologico.

Golia si mise però in mezzo fra l’Hayoka e la presenza cosmica, "Cosa vuoi da noi?", domandò con tono deciso il Cavaliere d’oro.

"Tu devi essere il Sommo Sacerdote di Atena, scelto dopo la caduta di quella donna che ti precedette e la vittoria sugli Horsemen… complimenti, piccolo uomo, hai fatto un’ottima carriera rispetto al precedente custode di quella medesima armatura!", esclamò, con ironica voce, Tifone, mentre lo sconcerto s’impadroniva dei presenti per le molteplici informazioni che questi pareva avere.

"Cosa vi stupisce tanto, cavalieri?", chiese allora l’Essere, "Pensavate che io, l’entità con il cosmo più vasto dai tempi del Mito, fossi completamente sopito al di sotto di questa dura roccia? No, non è così facile vincermi. Diverse volte ho tentato io stesso la fuga d’altronde, l’ultima poco più di trenta anni fa, quando un passato cavaliere di Sagitter vinse il mio spirito, appena ridestatosi ed ancora debole", ricordò con tono sognante Tifone.

"No, piccoli uomini, non la mia attenzione non s’è assopita nemmeno un attimo per gli interminabili millenni di prigionia, piuttosto ho seguito ogni guerra, ogni atto violento, ogni follia compiuta da uomini e dei e sono giunto alla mia conclusione, la più giusta." , spiegò l’entità chiamata la Bestia.

"Quale sarebbe questa conclusione?", domandò allora, quasi con incertezza, Golia, mentre un sadico sorriso si dipingeva sul viso di Tifone.

"Un genocidio universale. Cancellare ogni forma d’esistenza, mortale e divina, per creare un ordine nuovo e perfetto a mia immagine e somiglianza." , rispose con raccapricciante freddezza ed indescrivibile compiacimento l’Essere mitologico.

"Questa è follia!", esclamò inorridito Bow dello Storione, "La follia e la saggezza vengono sancite da chi scrive la storia, piccolo uomo, e l’avvento del Nuovo Ordine sancisce che voi, uomini corrotti da passioni e poteri per voi troppo grandi, siete in errore!", replicò seccamente Tifone.

"Già odo le urla di milioni di voi, piccole creature, che sbalordite si rivolgono a questa mia prigione, osservando come la furia degli elementi la stia scotendo da un sonno forse troppo lungo. I tuoni e la pioggia echeggiano sopra le nostre teste, come il vento che fra loro fischia, mentre la lava segna l’avanzare del mio potere. È un vero peccato che, chiusi in questo vulcano, non possiate vedere il magnifico spettacolo che il mio cosmo, ridestandosi lentamente, riesce a sviluppare attorno a noi. Chi fra voi ha uno spirito più artistico potrebbe di certo apprezzare tale, apocalittica, arte creativa!", concluse con soddisfazione l’Essere.

"Ha un potere così vasto?", domandò stupito Lorgash di Capricorn, "Sì, che lo ho, ma non starci a pensare, cavaliere di Atena, non avrai modo di vederlo, come non lo avranno i tuoi compagni. Piuttosto, vi lascio alla vostra corsa; il mio figlio primogenito avrà modo di eliminarvi tutti alla fine di questa galleria", concluse Tifone, prima di scomparire, proprio com’era apparso, ma lasciando un tetro peso nel cuore di tutti coloro che lo avevano ascoltato.

 

"Scissione Astrale!", echeggiò ancora la voce di Botan, mentre, attorno a lei ed alla sua nemica si creava come una barriera di luce che, lentamente, si sciolse, rivelando qualcosa che la creatura mitologica avrebbe, fino a poco prima, ritenuto impossibile.

La Sfinge non era più all’interno del corpo umano che l’aveva ospitata, bensì ora si trovava nella sua vera forma, quella originale, e, dinanzi a lei, vi era sì la Sacerdotessa di Atena, ma sia le vestigia che la sua figura parevano quasi immateriali, bianche, trasparenti.

Lo stupore di queste immagini sbalordì la Sfinge, che ora riusciva a vedere con i propri occhi, perché non erano sigillati come quelli del corpo ospite, tanto da non permetterle di notare che anche l’ambiente intorno a loro non era più la tetra valle dell’Ade, bensì un piano, quasi una superficie bidimensionale, circondata da aloni di nebbia.

"Questo è il piano astrale", esordì la voce di Botan, "il mondo degli uomini è quello in cui risiede corpo, spirito ed anima di un cavaliere; quello dell’Ade è dove l’anima e lo spirito giungono non appena si scindono dal corpo, ma il piano astrale è qualcosa di diverso: un luogo in cui si trova lo spirito, da cui proviene la forza cosmica." , spiegò la Sacerdotessa di Atene.

"Questi sono limiti per gli uomini! Come puoi tu, misera creatura, scindere la natura divina da quella umana che piego al mio volere?", tuonò infuriata la Sfinge.

"Il potere del Cavaliere di Cancer è da sempre tale da scindere l’anima dal corpo, sigillandola nella Bocca dell’Ade, ma ho sempre odiato questa mia capacità, portatrice di sventura e dannazione eterna. Per questo, quando la mia insegnante Shaina dell’Ofiuco mi spiegò tale tecnica cercai il modo per usarla facendo il minor danno possibile sui miei nemici ed oltre quella sviluppai altri due colpi, uno per paralizzare e l’altro per colpire. Rare sono state le volte in cui ho usato sul serio gli Strati di Spirito, come contro l’Horseman, su cui è però fallito come attacco, condannando alla dannazione l’anima innocente di una povera vittima; ma adesso, dopo un anno di allenamento, ho sviluppato questa tecnica, trasmettendo gli strati di Spirito attraverso la presa psichica: ora non più l’anima viene scissa dal corpo, ma lo spirito e quindi il cosmo e la mente che lo domina. In questo luogo, creatura, non saranno i suoni ad aiutarti, o il corpo fisico a fermarmi, bensì sarà solo un confronto fra i nostri cosmi e le nostre menti!", spiegò con tono secco Botan, mentre già un’aura priva di colore la circondava.

Un ruggito provenne dalla Sfinge, unico segnale di un’ira senza pari, quasi indescrivibile, ma ben distinguibile attraverso il vasto cosmo che ora la circondava con violenza.

"Voi, uomini immondi! Mi parli ancora di innocenza fra voi esseri umani, donna? Quando vi divoravo avevo disgusto di me stessa, ma era l’unico modo per mondare la terra dalla vostra presenza, purificando anche voi, mentre vi rendevo parte del mio organismo; ma poi fui abbattuta proprio dal più corrotto degli uomini: Edipo, colui che uccise suo padre e sposò la propria madre generando i suoi stessi fratelli! Questa corruzione non fu però criticata dagli dei, poiché fra le vostre divinità vi sono i medesimi incestuosi vizi! No, in voi non vi è innocenza alcuna, neppure tu, che tanto sembri attenta al bene degli altri hai però il rispetto per me, che ho divine origini, osi anzi sfidarmi e tentare di uccidermi, ma adesso, che sono libera dai limiti di un corpo mortale, ti mostrerò l’ultimo Ruggito della Sfinge!", tuonò con sempre più incontrollabile furia la creatura.

I cosmi delle due proiezioni spirituali si scontrarono l’un con l’altro, parve quasi che delle gigante chele d’energia ed una coppia di feroci zampe si confrontassero con incredibile velocità. Persino le figure delle due immagini mentali sembrarono ingrandirsi, come se non fosse più lo scontro fra un essere umano ed una mistica creatura, bensì fra due esseri divini: la Sfinge, infatti, s’avventò con furia su Botan, aprendo le possenti zampe in un balzo assassino, ma la guerriera d’oro parve quasi rendere le sue mani maestose quanto quelle nemiche, bloccandola con la forza dei pugni, mentre, facendo leva sull’inesistente pavimento, roteava su se stessa, scagliando la mitologica avversaria a diversi metri di distanza.

Distanza che ambedue superarono nel tempo d’un pensiero, riavvicinandosi e combattendosi di nuovo con furia; pugni e zampate si scambiavano: ad un gancio allo stomaco di Botan, la Sfinge rispose con una veloce artigliata alla spalla, mentre la sacerdotessa d’oro riusciva a portarsi, quasi fosse incorporea, dietro la figlia della Bestia, così da allontanarla con un’ondata d’energia cosmica.

"Come puoi, donna? Come puoi muoverti così velocemente e non produrre un rumore?", tuonò la Sfinge, "Come ti ho già detto, figlia di Tifone, non sono le leggi della fisica a dominare questo luogo, bensì quelle della mente e dello spirito." , spiegò Botan in tutta risposta, "Non sono io ad essere più forte, bensì sei tu ad essere già nata con questo cosmo divino, non hai avuto bisogno d’allenarlo, ne eri da sempre padrone; al contrario io ho sviluppato le mie conoscenze scontro dopo scontro, allenamento su allenamento, spesso sbagliando, ma sempre imparando qualcosa dai miei errori e questo mi ha portato allo stato ultimo della conoscenza, che già Tok’Ra, Golia ed altri miei compagni avevano raggiunto, quello stato di conoscenza che permette di oltrepassare i limiti fra vita e morte, fra realtà fisica e spirituale: l’ottavo senso.

Proprio questo potere mi concede di agire liberamente, slegata dai concetti fisici di distanza e solidità del corpo. Il mio potere ora, per quanto non voglia io essere capace di tanto, è tale da rimandarti nella valle tetra da cui sei scappata, Sfinge; quindi, mi dispiace, ma è tempo che lo scontro si concluda e tu torni negli Abissi che da diverse ere ti tengono prigioniera, poiché non tutti gli uomini sono corrotti come voi, seguaci della Bestia, pensate", concluse la Custode della Quarta Casa, mentre già ampio brillava il cosmo attorno al suo indice.

"Le porte dello Tsei Se Kei ti condurranno fino alle tue antiche prigioni, Sfinge; mi dispiace, ma questa battaglia può concludersi solo così. Troppe vite è costata, nelle passate battaglie, la mia incertezza, ora è tempo che io finisca di aver dubbi e combatta al pari dei miei compagni, quelli che sono ancora vivi, e quelli che sono caduti in nome degli uomini", annunciò Botan, mentre lasciava prorompere gli Strati di Spirito verso la sua nemica.

"Non pensare che cadrò senza difendermi", fu l’unica risposta dell’altra, mentre un vero e proprio ruggito prorompeva dalla figura cosmica della mitologica creatura.

Le onde d’energia psichica nemmeno si confrontarono con quelle sonore, quasi che i due cosmi si evitassero volontariamente, entrambi coscienti che non era importante, in quel frangente, difendersi, quanto colpire ognuno il proprio bersaglio, poiché non delle ferite fisiche stavo per infierirsi, quanto dei danni allo spirito avverso e solo un colpo pienamente andante a segno avrebbe distrutto le difese avverse, che non potevano essere segnate dalla stanchezza di una lunga lotta fisica.

Fu così che l’onda d’energia produsse increspature simili a quelle di un sasso nell’acqua travolgendo l’integrità di Botan, la cui figura quasi scomparve alla fine dell’impatto con il tremendo ruggito della Sfinge.

La Sacerdotessa, però, prima che la sua mente, stremata dal potentissimo assalto, abbandonasse il piano astrale, vide la sorte della nemica: nere catene, infatti erano state richiamate attorno a questa, effetto degli Strati di Spirito di certo, ma ben diverso da quello che aveva di norma l’attacco sui normali nemici; un baratro nero s’intravedeva già dietro la mastodontica figura di donna – leone, e le catene la attiravano dentro quell’abisso, in cui, alla fine, incapace di resistervi, la Sfinge ricadde, maledicendo la Sacerdotessa d’oro, e sparendo assieme al suo cosmo.

Quella fu l’ultima immagine che Botan vide prima che i suoi occhi mortali focalizzassero di nuovo, attraverso la maschera d’oro, la figura della giovane donna che era stata posseduta dalla Sfinge, ora priva di quelle tetre vestigia, che vicino a lei si erano ricomposte.

A stento la guerriera di Atena si rimise in piedi, avvicinandosi alla giovane ragazza e controllando che fosse viva ed illesa.

"Vorrei portarti in un luogo sicuro, ragazza, ma purtroppo la lotta sul piano astrale mi ha stremato, quindi potrò solo lasciarti sul campo di battaglia che dovrò attraversare, nelle gallerie del Vulcano Etna, prego gli dei che ciò non ti sia causa di danno alcuno", sussurrò più a se stessa che alla giovane, ancora incosciente.

In un bagliore dorato, Botan di Cancer, tristemente vincitrice sulla Sfinge, scomparve dalla Valle dell’Ade, diretta verso il campo di battaglia dove avrebbe trovato, ne era certa, i compagni intenti in altrettante battaglie.