Capitolo 50: La volontà di un figlio

Fiamme s’alzavano nel cielo, una pioggia di lapilli e fuoco cadeva da tetre nuvole, mentre gli altri celesti erano oscurati alla vista degli uomini, terremoti e possenti venti squassavano l’intera zona circostante il monte Etna e non solo quello, l’intera provincia in cui il Vulcano s’ergeva, quasi tutta la zona orientale della Sicilia, bagnata dallo Ionio ormai in tempesta, pareva soggetta ad una vera e propria apocalisse; ma in pochi potevano comprendere la vera ragione di tutto ciò, i più avrebbero pensato ad una forte scossa di terremoto in mare aperto, magari nella faglia che si posizionava sotto l’immenso cratere. Ben diversa era però la realtà: la causa di tutto ciò, la fonte degli orribili tuoni che s’echeggiavano già per tutta la Sicilia, era una sola, Tifone, disperato per la perdita di quasi tutti i suoi figli.

Ruggiva di rabbia colui che tutti chiamavano la "Bestia", disperazione s’echeggiava nella sua voce ed in quello della tetra sposa, l’Echidna, mentre, ai piedi del trono del marito, avvertiva spegnersi i cosmi della Sfinge, del Leone Nemeo, di Ortro e di Ladone, uccisi da dei mortali.

"I miei figli, i miei figli!", urlava disperata la creatura mitologica che era madre di quelli che i più definivano mostri, "Soffriranno, per un tempo che sembrerà loro infinito, soffriranno… tutti gli uomini, non solo i cavalieri che mi si sono opposti, tutti avvertiranno la mia furia, quando essa si scatenerà sul serio. Ciò che adesso vedono su questa piccola isola, è solo un preludio, un assaggio di quanto grande possa essere la mia ira, un assaggio dell’onnipotenza del figlio del Tartaro! E dopo di loro, anche Zeus, dall’alto dell’Olimpo, e gli dei tutti a lui alleati, dovranno disperarsi e supplicare per non scoprire il fiammeggiante fiato che porta distruzione!", esclamò, trattenendo a stento la propria ira, Tifone.

"Mio signore…", balbettò la voce di Steno la Gorgone, dinanzi a tanta ira, interrompendo i ruggiti dei due sposi, "i nostri nemici sono giunti nei pressi del ponte… se anche l’ultimo dei suoi figli non riuscisse a fermarli tutti, dovrò occuparmene io…", incalzò titubante, quasi incerta su cosa volesse dire, la sorella di Medusa.

"Ebbene? Cosa volevi dirmi con ciò che io già non sapevo, Gorgone? Accingiti dunque, va verso il luogo che ti sarà campo di battaglia, poiché sei sono i nemici del mio ultimo figlio e forse qualcuno riuscirà ad oltrepassarlo senza combattere. Torturali, rendili statue di pietra se vuoi, ma ricorda, spetterà a me togliere loro il soffio della vita!", ordinò impassibile Tifone, mentre tornava ad interessarsi d’altro, che non fosse Steno.

Subito la Gorgone, sentiti gli ordini, chinò il capo e s’allontanò, dirigendosi lesta al di fuori di quella caverna centrale, verso quello che sarebbe stato il suo campo di battaglia.

Per lungo tempo corsero i sei cavalieri lungo le caverne costruite dai fabbri di Efesto, avvertendo il susseguirsi della battaglia di Ash del Corvo, finché, dopo un lungo lasso di tempo, un nuovo cosmo si rivelò a loro.

"Botan! La sacerdotessa di Cancer è tornata." , esordì Elettra, avvertendo il cosmo a lei noto riapparire, "Sì, è arrivata lì da dove era partita, nel luogo in cui anche lo scontro dell’Hayoka s’è concluso", concordò Lorgash, rallentando per tenere il passo dell’amazzone di Artemide.

"E per due scontri che si concludono, cavalieri, ora è tempo che ne inizi un altro…", li avvisò Golia, fermandosi sull’orlo di un burrone, "Cosa succede?", chiese subito Bow dello Storione, "Un nuovo nemico ci blocca la strada." , avvertì allora Daidaros, mentre già le sue catene s’agitavano per il cosmo avverso.

Dinanzi ai cavalieri, infatti, sull’orlo di un precipizio che pareva non aver fine, si trovava un’unica via: un ponte di pietra sufficientemente largo perché due uomini vi passassero camminando l’uno accanto all’altro, ma, bloccato adesso dalla maestosa figura scarlatta di un serpente a più teste.

"L’Idra di Lerna…", lo riconobbe prontamente il Sommo Sacerdote di Atene.

"Di nuovo quel serpente…", esordì Daidaros, memore del loro breve incontro nell’accampamento Hayoka di poche ore prima, "ma questa volta sarà battaglia!", tuonò, espandendo il proprio cosmo, mentre già Shiqo della Lontra si poneva dinanzi a lui.

"Giovane cavaliere, come pensi di poterlo fronteggiare da solo, tu che sei un santo d’argento?", domandò il comandante dei guerrieri pellerossa, "Non sarà solo, io gli darò appoggio e difesa, se necessario." , rispose prontamente Bow dello Storione, avvicinandosi al santo di Atene, "Inoltre, io ho fiducia in lui… non sarà un santo d’oro per rango, ma di certo lo è nel cuore e per valore in battaglia. Noi avanzeremo, Shiqo della Lontra, lasciando a lui la battaglia." , ordinò secco Golia, guardando all’unica strada, che gli era interrotta dal mostro mitologico.

"Il problema sarà proprio questo… passare…", osservò perplessa Elettra del Cavallo. Il gigantesco e rosso serpente a più teste era proprio al centro del ponte, impediva con la sua grandezza di oltrepassarlo, o vedere cosa si trovava al di là del mostro mitologico.

"Quella è solo un’espansione del cosmo nemico, esatto? Proprio come i precedenti figli della Bestia", suggerì Daidaros, oltrepassando il resto del gruppo. "Probabilmente sì…", concordò Bow dello Storione, "Allora servirà solo bloccarlo per un breve lasso di tempo." , sentenziò deciso il santo d’argento, lanciando le proprie catene contro la rossa figura di rettile.

"Nebula Chain! Colpisci!", tuonò il figlio di Shun, scatenando l’attacco che era già noto a suo padre: non ci volle molto perché le catene circondassero le diverse teste, penetrando oltre quell’immagine fasulla con cui il mostro mitologico si celava.

Solo una risata, però, proruppe dall’interno della figura scarlatta, mentre le catene si stringevano su un corpo solido.

"Ora! Andate!", esclamò Daidaros, mentre tirava a se le proprie armi, con ciò che queste avevano bloccato.

Ben presto la scarlatta immagine dell’Idra si dissolse, lasciando intravedere ai due cavalieri d’oro, l’amazzone e Shiqo, che correvano serrati lungo il ponte di pietra, una rossa e snella figura saettare nella direzione opposta alla loro, diretta contro il cavaliere d’argento, che a se aveva attirato la propria preda.

"Buona fortuna, Santo di Cefeo…", augurò fra se il Sommo Sacerdote, prima di voltarsi verso Lorgash e l’Hayoka, che gli stavano subito dietro: "Forza, amici miei, il nostro vero nemico è ora sempre più vicino!", esclamò sicuro Golia, mentre aumentava il passo.

"Sì", risposero all’unisono i due ed Elettra che, date le ferite, si muovevano molto più lentamente, così da chiudere il gruppo.

La presa delle argentee catene di Cefeo pareva essere assoluta sul loro bersaglio, tanto che lo stesso Daidaros fu inizialmente sorpreso di quanto facilmente i suoi compagni fossero riusciti a passare e di come, senza altre difficoltà, il temibile nemico che si trovava dinanzi si stesse in realtà rivelando una mera bandiera, sospinta dalla furia delle armi di cui era padrone.

Con forza sorprendente, infatti, il figlio di Shun stava sbalzando da una parte all’altra del ponte di pietra il suo nemico che, quasi avesse disuso nel mantenere l’equilibrio, non aveva nemmeno cercato di restare in piedi, facendosi spingere fino a sbattere violentemente il viso contro il roccioso pavimento che poc’anzi calpestava.

"Ora basta, cavaliere d’argento!", esordì, però, Bow dello Storione alle sue spalle, riportando Daidaros alla realtà dei fatti, "I nostri compagni sono passati, non c’è bisogno d’altra violenza, se questo nemico ci concederà un passaggio altrettanto facile…", suggerì l’Hayoka, mentre le catene d’argento abbandonavano la presa sul figlio della Bestia che poté infine rialzarsi.

Il nemico che i due si trovarono dinanzi aveva un’armatura scarlatta, al pari di quella del musico di Asgard, ma più simile, nelle forme, a quella del guerriero della stella Phecda del Sacro Regno di Odino, poiché, come quelle vestigia, anche queste rappresentavano un serpente, ma un serpente con nove teste.

Infatti, se il corpo centrale dell’armatura era composto di squame scarlatte, vi erano delle teste di serpente a copertura di spalle, ginocchia e delle mani, mentre altre due teste erano stilizzate sul tronco, all’altezza della cinta ed al centro del petto; infine l’elmo costituiva l’ultima testa di serpente, celando per intero il volto umano nascosto al suo interno, un volto di cui era possibile notare solo i lunghi capelli biondi e gli occhi posseduti dal figlio della Bestia.

In qualche modo, se Ryo di Libra avesse visto questo nemico, avrebbe notato le somiglianze estetiche delle armature fra il Portatore di Luce che lui aveva affrontato e l’attuale avversario di Daidaros, ma solo all’estetica pareva ridursi la somiglianza, poiché già s’erano aperte delle crepe su quelle scarlatte vestigia, crepe bagnate del sangue dell’Idra.

"Dunque voi due sarete i miei avversari?", domandò impassibile il figlio della Bestia, dopo essersi ormai rialzato del tutto, "No, se non ci costringerai a continuare nell’attacco… arrenditi, seguace della Bestia, ed abbandona quel corpo, così non dovremo continuare oltre quest’inutile spargimento di sangue!", s’intromise Bow, incontrando lo sguardo seccato di Daidaros, che pareva non gradire le continue interruzioni dell’Hayoka nella battaglia che vedeva come propria.

"Sbagli, umano. Nessun mio spargimento di sangue è inutile, tutti sono compiuti per la gloria del Padre mio, Tifone." , ribatté con calma l’Idra, "E non sia mai che l’Idra di Lerna si dimostri il meno nobile dei figli del Padre da lui tanto amato… non concederò a nessuno d’oltrepassare questo ponte, se non alle poche prede che ho lasciato per Steno, affinché potesse saziare il suo desiderio di vendetta." , minacciò il rosso avversario, mentre passava una mano su una più sanguinolenta ferita sul proprio petto.

"Per questo hai fatto quindi passare senza opporre difesa alcuna i nostri compagni? Perché credi che basterà un altro di voi a vincerli?", domandò allora Daidaros, intromettendosi nella discussione ed oltrepassando di diversi passi la figura di Bow, fino a portarsi proprio dinanzi al nemico, che, incurante, stava ancora saggiando la gravità della ferita al proprio petto.

"Steno non è una di noi… lei non è della progenie di Tifone ed Echidna, bensì l’ultima delle Gorgoni, con un forte desiderio di rivalsa sugli uomini che hanno ucciso le sue sorelle. Proprio questo suo desiderio di vendetta ha spinto quella creatura a seguire gli ordini di nostra madre, l’Echidna, dandoci supporto in questa battaglia. Il mio gesto di far passare quei vostri compagni, poi, è stato un semplice ringraziamento: l’unione delle abilità della Gorgone con il pericoloso labirinto in cui si troveranno, porterà di certo alla caduta dei vostri compagni… e chi sarà tanto sfortunato da tornare verso questo ponte si troverà ad affrontarmi." , concluse l’Idra, con tono impassibile.

"Sempre che io non ti sconfigga prima." , lo corresse con prontezza Daidaros, "Puoi provarci, umano, è in tuo diritto farlo… ma finirai solo per essere un’altra mia preda." , lo ammonì il nemico, tradendo, per la prima volta, un tono chiaramente sarcastico in quelle parole di sfida.

"Ora vedremo!", tuonò il santo di Cefeo in tutta risposta, "Nebula Chain!", ordinò subito dopo, scagliando la catena contro il suo avversario.

Per un breve attimo parve, sia a Daidaros, sia a Bow, che l’Idra avesse intuito con lo sguardo la traiettoria offensiva dell’arma, diretta contro il pettorale nemico, ma, poi, inaspettatamente, fu proprio il figlio di Tifone a spostarsi di qualche passo sulla sinistra, così che la catena impattasse violentemente con la zona già danneggiata e gravemente ferita del petto, tanto da sollevarlo da terra e scagliarlo al suolo, a diversi passi di distanza.

I due cavalieri erano sconcertati dalla facilità con cui il loro nemico pareva farsi colpire: era già la seconda volta che un attacco di Daidaros andava a segno senza problema alcuno… e per la seconda volta videro l’Idra rialzarsi con impassibilità, mentre scrutava con le mani la natura della ferita al pettorale, ma, stavolta, accadde qualcosa di diverso, il cosmo del loro nemico s’accese.

"Ora posso controbattere!", minacciò il mostro, mentre la rossa aurea già lo circondava, "Colpite con furia, Serpi Scarlatte!", tuonò poi la creatura.

Dal petto dell’Idra proruppero due scarlatte e sinuose figure a forma di serpente che si lanciarono contro Daidaros; il cavaliere di Cefeo fu lesto nello scatenare la sua catena d’attacco che rapida s’avvolse attorno ai due serpenti d’energia rossa.

"Povero sciocco, non conosci forse il Mito che m’appartiene?", domandò ironico l’Idra, mentre i due serpente scarlatti mutavano in quattro sinuosi simili che si lanciarono all’unisono contro i due guerrieri avversi.

I cosmi del santo d’argento e dell’Hayoka dello Storione s’accesero di splendenti riflessi, "Rolling Defense", "Drop Color", esclamarono i due, sollevando le rispettive difese e proteggendo i rispettivi padroni; i serpenti cozzarono contro la goccia d’energia e la spirale della catena di difesa, mentre impassibile l’Idra osservava i propri attacchi vanificarsi.

"Ne devo convenire, guerriero dalla pelle rossastra, la tua strana tecnica di lotta sviluppa una barriera più che ottima, una tecnica difensiva, che, al contrario di quella del servitore di Atena, ti salverà la vita…", ridacchiò il figlio di Tifone, mentre i serpenti attorno alle catene di Daidaros iniziavano a brillare di un tetro cosmo.

"T’avevo ammonito già poc’anzi, guerriero di Atena, non hai conoscenza del mito… quando affrontai il figlio di Zeus, Eracle, egli dovette affrontarmi nella mia forma reale, sconfiggendo le teste che sempre rinascevano e scoprendo su se stesso, e poi sulle proprie vittime, quanto terribile fosse la potenza del sangue che possiedo!", tuonò l’Idra.

Solo in quel momento il figlio di Shun comprese che i serpenti, anziché essere respinti dal vorticare della catena di difesa, vi venivano smembrati, rivelandosi per ciò che realmente erano: gocce del sangue nemico, che lentamente caddero sul santo d’argento; amara fu la sorpresa per Daidaros quando il cosmo nemico, a contatto con la sua armatura, iniziò a produrre delle terribili fitte, tali da far crollare la concentrazione del cavaliere ed abbassarne le difese.

"Cavaliere!", esclamò Bow, "No, fermo!", tuonò in tutta risposta il figlio di Shun, indicando all’alleato di non rilasciare la propria difesa, "La tua sfera ti protegge da quel sangue nemico, lascia a me la battaglia, avrò ragione di costui, come tu hai avuto ragione di Cerbero!", lo rassicurò il cavaliere d’argento.

"Tu sei colui che ha vinto Cerbero? Uomo dalla pelle rossastra, devi essere un nemico degno di nota per aver vinto le tre identità di mio fratello…", osservò l’Idra di Lerna, "ma per ora mi occuperò di vincere questo tuo impavido, e forse stolto, alleato, che ancora per poco si reggerà in piedi a seguito del veleno che lo ha infettato." , avvisò il figlio di Tifone.

Daidaros sapeva che il suo nemico aveva ragione: già avvertiva i sensi venirgli meno, sentiva un peso alle gambe ed alle braccia, l’armatura, leggera fino a quel momento, era ora un peso senza pari, così come le catene, arma sempre a lui amica, ma non in quel dato istante, non riusciva a scatenarla.

"Ebbene, seguace di Atena, cosa hai intenzione di fare? Accetta la sconfitta e perderai la vita senza conoscere la potenza suprema del veleno dell’Idra." , propose il figlio della Bestia, ma già il cosmo del suo avversario s’espandeva, cercando di vincere l’effetto del possente siero di sangue.

"Mai cederò, mostro, come non ho ceduto dinanzi a Tree Monks e Runouni, come non mi sono arreso affrontando i titani e come non ho rinunciato contro il figlio di Shiva! Ti affronterò e ti vincerò, in nome di Atena e della salvezza di tutti!", esclamò sicuro Daidaros, prima di scatenare le sibilanti catene, che rapide si mossero verso i lati del nemico, accerchiandolo su ambo i fianchi per poi dirigersi contro il bersaglio.

Qualsiasi guerriero, in una situazione del genere, avrebbe facilmente intuito come evitare un attacco dai lati, spostandosi, ma non l’Idra di Lerna che rimase immobile, subendo l’impatto con le due catene che, prontamente, danneggiarono l’armatura scarlatta.

"Bene, cavaliere di Atena, ti ringrazio, ora potrai godere della visione di un’altra mia tecnica!", avvisò il figlio di Tifone, mentre dalle ferite appena apertesi e quella sul petto, iniziavano a generarsi delle ondate di rosso sangue, "Fauci dell’Idra!", tuonò il mostro, mentre, da ognuna delle tre ferite, uscivano altrettante teste a forma di serpente, che rapide si lanciarono sull’avversario.

Daidaros tentò un’estrema difesa sferrando dei violenti attacchi a spazzare con la catena d’attacco, ma fu tutto inutile poiché le teste di serpente, quando venivano colpite, si ricomponevano prontamente, ritornando alla originale trina forma e continuando la loro corsa verso il comune bersaglio, che ben presto raggiunsero.

"Rolling Defense!", fu l’estrema difesa che il santo di Cefeo richiamò a se, sollevando la catena di difesa e portandola a circondarlo, con una rotazione costante e velocissima che, come poc’anzi, riuscì appena a dilaniare le teste di sangue, capaci di superare quella difesa ed investirlo.

Il cavaliere d’argento fu investito da ogni lato, colpito da feroci zanne venefiche, che lo rigettarono indietro, verso l’Hayoka che osservava lo scontro.

"Cavaliere!", urlò Bow dello Storione, pronto ad abbassare la propria difesa, ma incapace di farlo poiché già le nove teste di serpente si erano gettate contro di lui.

"Avanti, guerriero straniero, prova ad abbassare quella difesa e scoprirai come terribile può essere un attacco che non ha punti morti." , minacciò lesto il figlio di Tifone.

"Ha ragione, Hayoka, non devi abbandonare quella tua difesa, non è necessario che tu partecipi ad una battaglia che ormai è vinta!", concluse Daidaros, mentre, a tentoni, riprendeva la posizione eretta.

"Parole grosse, specie se dette dopo aver subito la potenza del mio veleno…immagino che già la vista ti abbia abbandonato, cavaliere di Atena…", ironizzò l’Idra, e già era chiaro a Bow, che aveva avuto modo di osservare l’andamento incerto del suo alleato, che questi doveva avere la vista quanto meno annebbiata: così in effetti era; Daidaros, a seguito dell’attacco nemico, aveva iniziato a perdere la vista, una parziale mancanza di certo, ma sufficiente ad impedirgli di focalizzare il nemico dinanzi a lui.

"Non preoccuparti della mia vista, mostro, non ne avrò bisogno per vincerti… poiché già mi è noto tutto del tuo modo di combattere!", sentenziò il cavaliere d’argento. "Davvero? E cosa avresti scoperto, guerriero di Atena?", incalzò l’avversario, attendendo le parole del figlio di Shun.

"Come nel mito, che narra delle teste che ricrescono dal corpo, aumentando in numero, così adesso, che sei confinato in un corpo mortale, tu puoi guidare il sangue attraverso il cosmo affinché attacchi con l’ancestrale forma che possedevi un tempo, teste di serpente, ricolme del tuo sangue. Questa dote, però, ha un difetto: i tuoi attacchi non sono particolarmente potenti, quanto piuttosto accurati e veloci, proprio perché devi mantenere unito il sangue attraverso il cosmo, scatenandolo di conseguenza contro il nemico, evitando che si disperda su altre superfici, come la barriera dell’Hayoka, che di certo non reggerebbe altrettanto bene ad un attacco di pura potenza. Per un guerriero che utilizza armi, o che incanala in un’unica direzione i propri attacchi, sei di certo un nemico ostico…", si complimentò alla fine della sua analisi Daidaros.

"Davvero bravo, cavaliere, ma cosa pensi di fare con tali nozioni? Come tu stesso hai detto, le tue catene non possono niente contro di me! Fauci dell’Idra!", urlò ancora una volta il mostro di Lerna, scatenando le nove teste che, rapide, volarono all’unisono contro Daidaros, per poi, trovarsi d’improvviso bloccate, quasi a cozzare contro un’invisibile barriera, barriera che ben presto si rivelò come una corrente di vento particolarmente intensa.

"Da dove viene questa corrente che tutto blocca?", si domandò il figlio della Bestia, notando che, per quanto non fosse sua abitudine spostarsi dalla propria posizione, ora ogni movimento gli era impedito da una morsa d’energia.

"Nebula Storm", esordì il cavaliere d’argento, mentre s’ampliava sempre di più il suo cosmo, "il colpo che mio padre mi ha tramandato, una corrente che lentamente diventa tempesta, un attacco furente che saprà come fermare il sangue che tu lasci scorrere, impedendogli di raggiungermi." , spiegò il figlio di Andromeda.

"Un colpo ereditato da tuo padre, cavaliere? Hai dunque tutto il mio rispetto se in battaglia porti avanti quelle che sono state le volontà paterne, ma, proprio per questo, immagino tu capirai che io non mi fermerò ed anzi ti attaccherò con il più tetro dei colpi dell’Idra… una tecnica che mai avrei pensato di dover usare." , sussurrò con voce titubante il mostro, mentre un sottile rumore di crepe s’andava avvicinando alle orecchie di Daidaros.

"Che succede? Hayoka, cosa sta facendo?", domandò il santo di Cefeo al suo alleato, "Lui… lui sta lasciando implodere il proprio cosmo… sta portando quel corpo umano a far esplodere i vasi sanguigni…", balbettò stupito Bow dello Storione.

"Esatto, guerriero straniero. Il cosmo è energia, di matrice mitica, ma pur sempre energia, che ognuno trae dalle stelle, da creature che provengono dal mito, o, nel mio caso, dalla propria ancestrale genesi… e l’energia sviluppa calore. I corpi umani sono poco resistenti al calore, ne servirà ben poco per far esplodere i vasi sanguigni di queste mortali spoglie, poi avrete l’onore di subire la Mattanza dell’Idra… l’attacco finale di cui sono padrone!", minacciò il mostro mitologico.

"Sei impazzito? Pensi forse di poter sopravvivere un colpo del genere? Il tuo è un suicidio!", lo ammonì Daidaros.

"So bene che, una volta eseguita questa tecnica, queste spoglie umane decadranno in poco tempo ed io ricadrò negli abissi del Tartaro, ma da quei luoghi mio padre mi ha salvato, dandomi per la seconda volta la vita; è mio dovere, come figlio, sacrificare in suo nome questa vita che mi ha concesso… già una volta mi fu possibile fare poco per lui, poiché Eracle m’avea sconfitto, ma adesso darò tutto me stesso come sacrificio ultimo ed estremo in sua gloria!", esclamò con estrema determinazione il mostro, mentre alle sue spalle si delineava un mantello di sangue, fuoriuscito dalle molteplici ferite che si aprivano sul corpo, dando forma ad intricante e numerose serpi, che si legavano l’una all’altra.

La Nebulosa tratteneva quella potenza offensiva, di ciò Daidaros era certo, ma altrettanto bene sapeva che, se per troppo tempo quel contrasto di pressioni fosse andato avanti, il sangue nel suo corpo, a seguito dell’aumento del cosmo necessario per contenere l’offensiva nemica, avrebbe aumentato la velocità di contaminazione, portandolo a svenire prima di vincere il suo avversario, probabilmente.

Fu proprio per questo chiara solo al santo di Cefeo la sua azione successiva: sopire la Nebulosa senza scatenarla subito prima.

"Cavaliere, è nobile che tu non voglia colpire il tuo nemico, ma dovremo anche impedire che questi si uccida da solo…", lo ammonì allora Bow dello Storione, ma l’attenzione di Daidaros era concentrata totalmente sul suo nemico.

"Hai detto di voler sacrificare la vita in nome di tuo padre, Idra di Lerna; il tuo sentimento è lo stesso che per molto tempo mi ha crucciato… ho per diverso tempo provato un senso di profonda colpa per non essere riuscito a donare la mia vita salvando quella di Shun d’Andromeda, il santo divino che m’era padre, poi ho capito: non era questo che lui desiderava; non la mia morte prima di lui, non che io perdessi la possibilità di migliorarmi e di apprendere dagli errori compiuti, come era stato possibile a lui prima di me, piuttosto desiderava che vivessi e che riuscissi a completarmi come cavaliere.

Per diverso tempo mi sono crucciato all’ombra di quella che consideravo come una mia mancanza come figlio, poi ho capito che non con il sacrificio lo avrei onorato, bensì migliorandomi, come ho fatto quando ho appreso il settimo senso, vincendo battaglie in nome della Giustizia e riuscendo a risvegliare l’oro insito in questo argento. Allo stesso modo, ora Shun di Andromeda avrà modo d’essere osservare, come te e Bow dello Storione, l’ultima tecnica da me appresa, una tecnica che non mi dettò lui, bensì che ho io stesso trovato grazie alle stelle di Cefeo!", tuonò Daidaros, mentre, inaspettatamente, la corrente ricominciava a fluire attorno a lui, senza dirigersi contro il nemico.

"Nobili parole le tue, cavaliere di Atena, ma non altrettanto acuti sono i tuoi gesti…", sottolineò l’Idra di Lerna, "cosa pensi di fare con quella corrente protettiva? Vorresti farmi desistere con quella difesa e queste tue parole? Sappi che, se non potrò far esplodere su di te l’energia del mio cosmo, allora sarà l’intero ponte ad andare in cenere, con noi sopra….", affermò deciso il figlio di Tifone, prima che una sorprendente verità si affacciasse ai suoi occhi: la corrente d’aria ora circondava l’intera zona e stava lentamente dividendo il sangue, togliendo la vita ai molteplici serpenti che già s’erano formati attorno al mostro.

Daidaros, dal canto suo, pareva ora non curarsi nemmeno del nemico, aprendo con estrema tranquillità le braccia ed alzando il capo verso il cielo, "Liberati, Respiro delle Cefeidi!", sussurrò, quasi ad innalzare una preghiera, anziché scatenare un ordine, il cavaliere d’argento, mentre già le vestigia risplendevano di bagliori dorati.

Solo quando le prime increspature della barriera sferica si andarono disperdendo, Bow dello Storione comprese che quella che il suo alleato stava usando non era una corrente dall’incrementale furia distruttiva, bensì qualcosa di più anomalo, ma allo stesso tempo, armonico nel proprio incedere nell’aere circostante, qualcosa che già stava dilaniando il sangue che l’Idra aveva disperso, impedendo che altro ne fuoriuscisse dal suo corpo.

"Che cosa sta succedendo?", domandava intanto il mostro, sbalordito, "Una Cefeide è una stella, una gigante gialla, dalle pulsazioni talmente costanti nel susseguirsi con periodi precisi da essere usate, nell’astronomia moderna, come candele standard, per misurare persino la distanza fra le galassie… allo stesso modo il mio cosmo s’espande con un respiro costante ed allo stesso tempo sempre diverso per direzione ed andatura, un percorso che mi è assolutamente noto, ma agli altri risulta imprevedibile, un percorso che domino e mi concede di disperdere il sangue dei tuoi attacchi, oltre che impedirti di produrne altro, trattenendolo nel corpo che occupi…", spiegò con un’inaspettata calma il cavaliere d’argento.

"Qualunque trucco tu stia usando, mortale, non mi impedirà di onorare mio padre! Mattanza dell’Idra, scatenati!", tuonò il mostro, mentre il sangue disperso riprendeva la forma ordinata, mutandosi in uno stormo di serpi che, da ogni direzione e con diverse velocità, si gettavano sul nemico, pronte a schiacciarlo sotto il loro venefico assalto.

"Tutto questo è inutile, Idra…", suggerì Daidaros, mentre la furia delle serpi si disperdeva, recisa a metà dal soffio ascensionale delle Cefeidi, che con inaspettata quiete ed altrettanta potenza, si diffondeva fra i tre, su quel ponte di pietra, arrivando, alla fine, a paralizzare i movimenti dell’Idra, incapace ora di scatenare il proprio sangue al di fuori del corpo.

"Hayoka, è il tuo momento… libera quell’uomo dalla prigionia del mostro di Lerna." , sussurrò con calma il cavaliere d’argento, "Nessuna goccia di sangue gli è più concesso spargere, né sua, né nostra…", concluse poco dopo, mentre la difesa sferica dello Storione abbandonava il suo padrone che, prontamente, oltrepassò l’alleato, avvicinandosi al nemico.

Per un breve momento, occhi rossi, carichi d’odio, incontrarono lo sguardo di Bow, "Maledetti", sembrava urlare quell’occhiata, ma l’Hayoka rispose con antiche parole, nella lingua della sua gente, iniziando il processo che avrebbe liberato quel corpo dall’anima che lo aveva invaso.

"Mi dispiace che tu non abbia potuto onorare come credevi giusto tuo padre, creatura mitologica, ma il tuo metro di giudizio era contrastante con il nostro, inoltre, per quanto puro potesse essere l’affetto che provi, sbagliata era la foce in cui lo facevi sgorgare…", queste furono le parole di commiato del cavaliere d’argento al suo mitologico avversario, prima che l’anima di questi sprofondasse di nuovo negli abissi del Tartaro.

Non appena la battaglia fu conclusa, la corrente delle Cefeidi si quietò e lentamente il corpo di Daidaros cadde sul ponte di pietra.

"Cavaliere!", urlò Bow, correndo dall’alleato, "Non preoccuparti per me, Hayoka, è arduo l’uso di quella tecnica… mi costringe ad una concentrazione senza pari, sfinendomi." , fu la semplice giustificazione del santo d’argento.

"È comunque un attacco efficace… sei riuscito ad ottenere una nobile vittoria." , esordì una voce, mentre due figure si presentavano alla base del ponte: Botan di Cancer ed Ash del Corvo; "Ora, dobbiamo solo riunirci ai nostri compagni e raggiungerli, pronti per l’ultima battaglia, la più difficile, quella con la Bestia." , concluse il guerriero pellerossa che già aveva sconfitto il Leone Nemeo, mentre la sacerdotessa d’oro e Bow sollevavano Daidaros, aiutandolo ad avanzare.

In quello stesso momento, i quattro cavalieri che avevano oltrepassato l’Idra di Lerna evitando lo scontro fermarono i loro passi, "Ma questo…", balbettò appena Elettra, dinanzi allo spettacolo che si apriva dinanzi a loro, "Questo è un labirinto!", concluse stupefatto Shiqo della Lontra, ignaro, come i compagni, che già la loro avversaria li attendeva in quel complesso percorso.